Prospettive assistenziali, n. 114, aprile-giugno
1996
L'INSERIMENTO LAVORATIVO DEGLI
HANDICAPPATI - PERCORSI FORMATIVI E REALIZZAZIONI IN ALCUNI PAESI EUROPEI (*)
STEFANO SCHENA (**)
1. Premessa
II ringraziamento va ai promotori del convegno non
solo per aver promosso e realizzato tale appuntamento e per avermi concesso
l'opportunità di portare il contributo dell'Opera Don Calabria, ma anche per
aver voluto dare a questo convegno una dimensione europea, in un momento in
cui il rischio è di avere di fatto un'Europa a due velocità, e non solo nel
senso proposto dall'Unione Cristiana Democratica - CDU tedesca, ma in quanto
rischiamo di avere un'integrazione europea che si realizza tutta sul piano
commerciale ed economico e nulla o quasi sul piano dei problemi sociali, dei
problemi dei più poveri e delle fasce deboli.
Far sì che ciò non si verifichi non è solo compito
delle istituzioni, ma di ognuno di noi (inteso come operatore, come ente) che
deve fare la sua parte avendo la consapevolezza che il lavoro in ambito
europeo per essere redditizio (non nel senso economico, ma rispetto ai
risultati che si raggiungono) costa fatica, impegno e attenzione agli aspetti
qualitativi delle nostre azioni ed attività. Ad esempio ho l'impressione che alcune
iniziative comunitarie (faccio riferimento ad esempio ad Horizon), possano
essere meglio utilizzate e finalizzate da parte degli operatori e tale
valutazione nulla vuole togliere alle responsabilità della nostra burocrazia
rispetto ai notevoli problemi che tutti abbiamo incontrato nella realizzazione
dei progetti Horizon.
A questo riguardo come Opera Don Calabria da qualche
tempo abbiamo deciso di intensificare i nostri contatti europei (quindi il
nostro sforzo e impegno in tale ambito) ed anche per questo abbiamo dato vita
alla Piattaforma europea per la riabilitazione professionale (EPVR).
L'obiettivo è quello di dare vita ad un organismo che permetta un lavoro
qualitativamente più evoluto a livello europeo piuttosto che creare
un'ulteriore rete che si ponesse in alternativa ad altre similari o che
operasse come una lobby in sede
comunitaria.
Mi dilungo ancora qualche istante per descrivere
alcune delle caratteristiche su cui sviluppare il lavoro a livello europeo e
che di fatto costituiscono la base dell'impegno della EPVR:
- capacità di ottenere risultati concreti pur senza
tralasciare gli aspetti relazionali e di reciproca conoscenza interpersonale
(minor perdita di tempo per viaggi e riunioni, unica lingua di lavoro),
- sviluppo in comune di progetti,
-
sviluppo di attività comune di formazione dei formatori e dì attività di
ricerca e sviluppo.
2. L'Opera Don Calabria
Ancora in sede di premessa intendo fare una veloce
presentazione dell'esperienza (riferito in particolare all'inserimento
lavorativo dei disabili) dell'Opera Don Calabria.
A
riguardo utilizzerò alcune tabelle esplicative.
Tabella 1 - Disabili che hanno frequentato il Centro
e collocati al lavoro dal 1976 al 1994.
Anno di
nascita 1976/1994 |
Totali 538 |
Risultano
collocati al 30.4.1995 223 (41,4%) |
Note:
Tra gli usciti sono presenti ragazzi che hanno frequentato: i corsi
professionali normali pur avendo un'invalidità corsi professionali speciali,
attività collegate al centro (corsi particolari, esperienza In cooperativa di lavoro). Sono stati considerati
collocati i disabili con regolare rapporto di lavoro. |
Tabella 2 - Realtà produttiva in cui è avvenuto il
collocamento dei disabili.
Anno di uscita 1976/1994 |
Aziende artigianali industriali, commerciali (anche cooperative) 175 |
Azienda paterna o di parenti 20 |
Enti pubblici 19 |
Cooperative integrate 9 |
totali 223 |
Tabella 3 - Tipologia di handicap dei disabili
collocati.
Tipologia handicap Fisico Intellettivo Sensoriale Totali Totali % |
Entità lieve 12 139 3 154 69% |
Media 13 47 4 64 29% |
Grave 4 1 - 5 2% |
Totale 29 187 1 223 |
Percentuali 13% 84% 3% 100% |
Tabella 4 - Situazione dei non collocati.
Anno dal 1976 al 1994 |
Cooperative solidarietà sociale CEOD (1) 126 |
Altre esperienze 34 |
A casa 82 |
Non si hanno notizie 64 |
Deceduti 9 |
Totale non collocati 315 |
Totale collocati 223 |
Totale usciti 538 |
(1) Centro
educativo-occupazionale disabili. |
3.1. La formazione professionale per una migliore
qualità della vita
Ritengo che la mia relazione possa portare un
contributo specifico circa il ruolo che la formazione professionale (FP) può
assumere rispetto l'inserimento lavorativo dei disabili intellettivi. Essa ha
un ruolo centrale e strategico nella nostra modalità di lavoro per
l'inserimento lavorativ6 degli handicappati. In qualche modo possiamo
ritenere che ne sia l'elemento caratterizzante ed anche ciò che rende la
nostra metodologia diversa sia dall'esperienza di Montobbio di Genova che da
quella dell'Agenzia del lavoro di Trento (che riteniamo essere le due
esperienze che si possono meglio comparare alla nostra).
Tralasciando le motivazioni (sicuramente da ricercare
anche nello specifico modello di sviluppo economico e formativo del Veneto),
che hanno portato a tale centralità ed anche le esperienze, le sperimentazioni
realizzate in quasi vent'anni di attività, svilupperò alcune considerazioni a
partire dalla situazione attuale e delineando alcune ipotesi di lavoro per il
futuro. Quindi quale ruolo oggi può avere la formazione professionale in un
processo di inserimento lavorativo dei disabili intellettivi e soprattutto
quali indicazioni concrete siamo in grado di fornire.
Iniziamo
considerando i presupposti che danno sostanza a questa funzione.
Da tempo noi crediamo che non sia più sufficiente
porre come parametro delle varie azioni che intraprendiamo a favore e con i
disabili il tema dell'affermazione e fruizione da parte delle persone disabili
in un determinato diritto (ad esempio il diritto al lavoro, alla salute,
all'istruzione). Intendiamoci bene, nessun arretramento su questo piano, ma
riteniamo che sia necessario assumere una prospettiva più ampia: quella della
qualità della vita della persona disabile.
Innanzitutto perché tale prospettiva è quella che
attualmente prendiamo in considerazione (mi riferisco ovviamente alla società
occidentale post industriale, ricca e opulenta, com'è oggi la nostra) per ogni
persona, per ogni uomo. E noi non possiamo considerare sempre i disabili come
cittadini di serie B i quali arrivano sempre con qualche lustro di ritardo.
Oggi per ogni persona, per ogni uomo, almeno delle società ricche (le
cosiddette società del post industriale avanzato) il termine di confronto è
quello della qualità della vita, ma anche perché, dopo oltre quindici anni di
attività d'inserimenti lavorativi e centinaia di collocamenti abbiamo capito
che non ci possiamo più accontentare solo di trovare un posto di lavoro ad un
disabile se contemporaneamente non ci preoccupiamo anche di capire come occupa
il suo tempo libero, che vita affettiva e sessuale ha: in una parola, qual è la
sua qualità di vita.
Ciò richiede di poter attivare dei processi riabilitativi
(dando a questo termine un significato nord europeo) globali, capaci quindi di
promuovere un pieno sviluppo delle abilità e delle competenze del soggetto.
Questa prospettiva non comporta, come si potrebbe credere, un approccio
superficiale alla centralità del fatto medico-funzionale, ma, soprattutto nel
corso degli anni la centralità dell'educazione e del fatto educativo perché
tale approccio permette di considerare il soggetto nella sua globalità e
complessità, considerandolo lungo il continuum evolutivo, operando una sintesi
tra le diverse prospettive, considerando determinante l'aspetto relazionale e
quindi il rapporto con l'educatore.
Quindi il problema del collocamento al lavoro va
considerato lungo questo continuum che è rappresentato dalla vita della persona
disabile. Esso va inserito dentro tale prospettiva e quindi considerato e
valutato a partire da tale prospettiva. Ciò richiede di effettuare sempre una
valutazione globale della situazione del soggetto aiutandolo ad operare quelle
scelte che permettono una migliore valorizzazione delle potenzialità secondo
la prospettiva della qualità della vita.
Ciò richiede anche di demitizzare alcuni feticci (penso
all'integrazione ed all'illusione che da sola potesse consentire
l'emancipazione dei disabili), e rende possibili (per quanto concerne
l'inserimento lavorativo, almeno concettualmente) percorsi discontinui
(cronologicamente) tra esperienza e lavoro e la valorizzazione in soggetti
disabili adulti di altre esperienze che non siano né il lavoro né i centri
occupazionali.
3.2. Due binari
Fatte queste premesse che permettono almeno di
comprendere qual è il quadro di riferimento cui intendiamo muoverci, il
problema della FP va collocato così come per tutti i giovani entro il problema
della transizione dalla scuola al lavoro. Anche per esigenze di contenimento
dei tempi procederò in modo schematico.
Affrontare con una preoccupazione educativa tale delicata
fase di transizione, significa valorizzare molto la funzione dell'orientamento
scolastico e professionale e proporre al soggetto esperienze formative globali
in ambienti a forte valenza educativa dove risulti essere ancora centrale e
determinante il rapporto interpersonale (sia con gli educatori che con i
compagni) dove sia chiaro per ciascuno il proprio progetto di crescita
individuale che deve riguardare tutti gli aspetti della personalità (e non solo
quelli professionali o cognitivi). Questa può essere la prima funzione che la FP assume: quella di esperienza
formativa a prevalente dimensione educativa.
Con la tabella n. 5 presentiamo entrambe le funzioni
che la FP può assumere e tentiamo un confronto in ordine ad alcuni aspetti che
aiutino ad evidenziare le differenze.
II problema è certamente di non banalizzare la prima
opzione (considerandola unicamente un banale modo di occupare il tempo). A
questo riguardo intendo anche evidenziare come il vero nodo della questione
sia rappresentato dall'innalzamento dell'obbligo scolastico e dalla conseguente
funzione che verrà assegnata alla FR Noi non siamo per una difesa tout court
del sistema di FP, ma non possiamo fare a meno di chiederci se e come la
scuola superiore sia pronta ad accogliere i disabili e se le varie ipotesi di
innalzamento dell'obbligo non contengano implicitamente il rischio di
un'ulteriore marginalizzazione e ghettizzazione delle fasce deboli, disabili
inclusi.
Per quanto concerne invece la seconda opzione
delineata il rischio è quella di caricarla di troppe aspettative e
potenzialità. La FP in funzione di un collocamento lavorativo può operare positivamente a condizione che
esistano già dei presupposti di ordine psico-relazionale e di maturazione
globale del soggetto che ne favorisca gli esiti positivi. Tra le
caratteristiche prima evidenziate ricordiamo:
- massima flessibilità anche attraverso la predisposizione
di percorsi individualizzati (questa ipotesi accresce il ruolo e l'importanza
dell'orientamento);
- non solo una formazione che parta dal teorico per
spostarsi in situazione (train and
place), ma viceversa una formazione (p/ace
and train) che parta dai concreti bisogni che emergono nello specifico
posto di lavoro;
- questa modalità di formazione non deve però confondersi
con interminabili tirocini lavorativi che possono aver significato per alcuni
soggetti ma certamente rischiano di dare un'immagine distorta del
collocamento lavorativo agli imprenditori (perché in qualche modo a loro non
viene mai richiesto di fare un salto di qualità in funzione del collocamento) e
di protrarre nel tempo delle esperienze che dovrebbero essere a termine (perché
i bisogni, le potenzialità del disabile sono altri dal tirocinio);
- richiede di veder sviluppata una specifica funzione
di accompagnamento. Figura che con il linguaggio della FP viene chiamata tutor e per certi aspetti può essere
assimilabile all'operatore della mediazione di Montobbio. Certamente
dev'essere un soggetto che riesce a lavorare in due direzioni:
a) rispetto la persona disabile per riuscire a
superare le difficoltà di ordine lavorativo, relazionale, di autonomia
quotidiana, riuscendo quindi sia a dare soluzione a problemi concreti, anche di
organizzazione del lavoro, che ad affrontare aspetti maggiormente inerenti la
sfera educativa-relazionale;
b) rispetto l'azienda perché deve rappresentare uno
specifico punto di riferimento (reperibile in tempo reale) che consenta di
porre (e possibilmente risolvere) ogni tipo di questione che viene posta (da
problemi di comportamento, di rapporto con i colleghi, o questioni concrete riferite
all'autonomia quotidiana, ecc.);
- ho già accennato come tutto questo richieda di
dare grande importanza sia all'orientamento inteso come bilancio e prospettiva
di vita che alla valutazione (iniziale, in itinere e finale) del soggetto.
4. Il contesto europeo
Questa nuova esperienza europea che stiamo vivendo
(intendo riferirmi alla piattaforma), ci fa valutare con occhi diversi le
potenzialità del lavoro in Europa, ma anche in modo più preciso il contesto in
cui ci si trova ad operare, compresi i punti di forza e di debolezza del
sistema italiano. Procedo per punti:
- accostandoci all'Europa abbiamo frequentemente un
atteggiamento che io definisco di "debolezza culturale" perché ci
riteniamo sempre poco organizzati, poco credibili, pressappochisti. Tale
atteggiamento è rinforzato sia dalla sempre crescente inaffidabilità del nostro
sistema pubblico che dalla cultura degli altri Paesi (in particolare i nord
europei). Sul piano concreto di lavoro verifichiamo invece che gli operatori
italiani godono di grande considerazione ed inoltre constatiamo come una nostra
maggiore flessibilità nell'affrontare problemi e situazioni assieme a disagi
porti anche alcuni pregi considerevoli. In conclusione ritengo che per essere
efficaci in Europa occorra smetterla di considerarci gli ultimi della classe,
i reietti, ma avere un atteggiamento di sano realismo coscienti quindi delle
proprie potenzialità e dei propri limiti, sapendo che c'è molto da imparare
fuori Italia ma c'è anche molto da insegnare.
Delineata la mentalità con cui affrontare il lavoro
in Europa e coerentemente con questa ipotesi, vediamo quali sono i nostri
punti di forza e di debolezza:
a) in Italia soffriamo per un quadro legislativo di
riferimento carente, forse non tanto dal punto di vista formale (cioè le leggi
ci sono), quanto dal punto di vista concreto della realtà di fatto;
b) altro limite va considerato il bassissimo livello
di connessione tra gli enti sia pubblici che intervengono nel settore (cose già
a tutti molto note). Vorrei aggiungere però che rispetto ad altri Paesi
europei anche il livello di coordinamento e connessione tra enti privati
risulta essere molto basso (e questo sempre per la buona regola che dobbiamo
essere consapevoli che tutti abbiamo un pezzo di strada da fare);
c) rispetto all'avviamento al lavoro dei disabili
intellettivi possiamo però affermare che in Italia la situazione per certi
aspetti è più avanzata rispetto gli altri Paesi europei (forse ad esclusione
di Francia e Spagna) nei quali molto si è fatto per i disabili fisici e solo
ora ci si sta ponendo il problema dell'inserimento nel libero mercato dei
disabili intellettivi (è un modello che definirei nord-mediterraneo che si
confronta con un modello nord europeo fatto di grandi centri riabilitativi
dedicati esclusivamente ai portatori di handicap e che risultano essere quindi
completamente avulsi dal contesto territoriale). Tali esperienze sviluppano
come esito finale della loro azione, quando rivolte ai disabili intellettivi, i
laboratori protetti o grandi aziende speciali.
Con tali realtà una reale azione di sinergia e di
complementarietà risulta essere molto arricchente per tutte le esperienze.
Un'ultima riflessione su tale tema: sarebbe sbagliato
pensare all'Europa in termini di omologazione di esperienze. Piuttosto
integrazione tra i diversi aspetti che derivi dallo sviluppare progetti e
percorsi formativi comuni. Tutto ciò è più facile a dirsi che a farsi, richiede
anni di lavoro costante e probabilmente anche un cambiamento in termini di
mentalità, rilancia inoltre il ruolo e la funzione che a riguardo può assumere
la Commissione europea al fine di permettere il conseguimento di tale ambizioso
obiettivo.
5. Scenari futuri
Per concludere ritengo opportuno delineare dei
possibili punti di sviluppo futuri. Alla normale cautela che viene usata quando
si parla di prospettive future in ambiti ancora molto sperimentali ed
innovativi (qual è quello di cui stiamo parlando), occorre aggiungere la
consapevolezza che ogni ipotesi per il futuro risente del momento di profondo
cambiamento che come società italiana stiamo vivendo.
Farò
un'elencazione sintetica di punti non necessariamente seguendo un filo logico:
5.1.
Demitizzare il lavoro - A livello di
orientamenti generali ritengo che sarà necessario riconsiderare il senso
dell'esperienza lavorativa dentro un contesto di qualità della vita della persona
disabile. Si tratta di un punto già precedentemente affrontato che probabilmente
porterà ad una demitizzazione del lavoro come unico o principale obiettivo del
progetto riabilitativo ed esistenziale. Vorrei evitare di venire frainteso: non
si tratta di mettere in discussione il lavoro come valore, come esperienza che
dà cittadinanza e come diritto e conquista fondamentale delle persone
handicappate, ma di valutare come degne di dignità e valorizzazione altre esperienze
ed attività non lavorative che vanno pensate, sperimentate e valutate.
Sicuramente mi sento di affermare che il modello di riferimento a questo
riguardo non possono essere i centri per handicappati gravi che sono stati
realizzati in questi anni.
5.2 Progetti
riabilitativi globali ed unitari -
Ridare il giusto significato all'esperienza lavorativa richiede di sviluppare
dei progetti riabilitativi personalizzati che siano globali ed unitari. Questo
può rappresentare sicuramente il valore aggiunto per tutta l'attività di
riabilitazione e recupero dei disabili in quanto consentirebbe di recuperare
ad unità le molteplici azioni (riabilitative, formative, ricreative, ecc.) che
vengono realizzate con la persona handicappata dal momento della nascita fino
all'età adulta. Chi governa oggi questa miriade di attività (a volte erogate
da enti ed organismi differenti)? Chi offre un quadro d'insieme che sia
unitario, globale ed evolutivo al contempo e che dia quindi senso ad ogni singola
azione perché inserita in un progetto più ampio? Lavorare in questa direzione
- lo ripeto - costituisce a mio avviso forse la sfida più importante dei
prossimi anni. Questa prospettiva richiede ovviamente di individuare l'ente
che possa espletare tale funzione di "governo". Ritengo che tale
compito potrebbe essere assunto dalle Unità locali socio-sanitarie, ma va
considerato anche che, trattandosi di materia completamente inesplorata,
esiste ampio margine di sperimentazione.
5.3. Due
strade: l'alta tecnologia e la bassa professionalità secondo una logica di
redditività - Ritengo che la
formazione professionale dei disabili, almeno la parte finalizzata al
collocamento, nei prossimi anni dovrà svilupparsi lungo due ipotesi a partire
da una consapevolezza. La consapevolezza è che sempre più occorre affrontare
il mondo dell'impresa in termini di redditività. In tutti questi anni la
nostra sfida e in qualche modo presunzione è sempre stata quella di poter
inserire nel mercato del lavoro dei disabili che venissero accettati perché sostanzialmente
produttivi e capaci di porsi in modo positivo nella realtà aziendale. In altri
termini: non abbiamo mai creduto che il problema si risoÌvesse con gli sgravi
fiscali o gli aiuti economici agli imprenditori o con azioni impositive.
Assumendo questo come punto di partenza, la prima ipotesi di sviluppo è
sicuramente quella legata alle nuove tecnologie, al loro utilizzo e potenzialità
(tra queste mi sembra che in Italia siamo in ritardo con la sperimentazione
del tele lavoro che, pur con alcuni limiti, potrebbe essere un'ipotesi
interessante per alcune tipologie di handicap fisico). Questo primo settore
interessa per lo più i disabili fisici e sensoriali e comunque si propone come
molto selettivo.
II secondo settore concerne le cosiddette "basse
qualifiche" nel senso che si tratta di lavori semplici che possono essere
acquisiti in un tempo relativamente breve. Esiste da parte del mercato del
lavoro ancora una discreta richiesta a riguardo che riteniamo sarà destinata a
permanere.
5.4.
L'impresa sociale: una dimensione da approfondire - Tra le possibilità anche future di collocamento per i
disabili molto interessante rimane quella dell'autoimprenditorialità. Anzi,
per alcuni aspetti essa può rappresentare una soluzione che garantisce una
migliore qualità di vita e di lavoro per la persona handicappata nel senso che
l'ambiente di lavoro, la qualità dei rapporti e delle relazioni dovrebbe essere
migliore rispetto ad un'azienda tradizionale. Questa esigenza in Italia è
stata ben interpretata dalle cooperative di solidarietà sociale. Ho però
l'impressione che, dopo alcuni anni di grande slancio ideale, ci sia bisogno di
rivitalizzare questo tipo di esperienze soprattutto sviluppando maggiormente
tutte le potenzialità in termini di innovazione per quanto concerne l'organizzazione
del lavoro, l'adattamento del posto di lavoro, l'applicazione di soluzioni di
tipo ergonomico. È quindi urgente tornare ad investire molto su tale tipologia
di azienda (non solo e necessariamente di tipo cooperativistico) per aumentare
il numero delle possibilità a disposizione e contemporaneamente mettere a punto
ipotesi di modifica del contesto ed ambiente produttivo in funzione
dell'inserimento dei disabili, attività verso cui il mondo dell'impresa non
sembra particolarmente interessato.
5.5. La
formazione degli imprenditori - II
contatto con altre esperienze europee ci ha portato a conoscenza di attività
di formazione degli imprenditori finalizzata all'inserimento nelle loro aziende
di disabili. Ci sembra una prospettiva interessante che andrebbe sviluppata
anche in Italia. A questo riguardo abbiamo condotto nell'ambito del progetto
Horizon, appena concluso, una piccola sperimentazione con risultati sostanzialmente
positivi. Si tratta sostanzialmente di creare i presupposti di ordine
culturale, relazionale e di organizzazione del lavoro che consentano una
positiva accoglienza del disabile in azienda. Sicuramente è un'azione che non
può limitarsi ai soli imprenditori, ma secondo metodi, tempi ed iniziative
diverse deve coinvolgere anche il sindacato e tutti gli altri lavoratori.
5.6. Il
sistema di orientamento e di valutazione - Più volte durante il mio intervento ho richiamato l'importanza sempre
più rilevante che nel futuro assumeranno sia l'attività di orientamento che di
valutazione. Innanzitutto è bene precisare che tra le due attività esistono differenze
sostanziali. Infatti l'orientamento richiede una finalizzazione più globale ed
un bilancio complessivo sulla persona aiutando in tal modo il soggetto a darsi
un progetto globale di vita e collocando quindi le specifiche scelte dentro
questo contesto complessivo. È quindi evidente come l'azione di orientamento,
almeno in parte, coincide con quel progetto riabilitativo globale cui abbiamo
precedentemente accennato. È anche chiaro come ciò richieda soprattutto un
approccio interdisciplinare capace di considerare il soggetto lungo il suo
arco vitale. La valutazione delle capacità e potenzialità lavorative del
soggetto è invece un'azione più circoscritta e limitata che dev'essere molto
finalizzata e mirata e quindi condotta con metodologie e strumentazioni adeguate.
Non intendo addentrarmi ulteriormente su tali questioni, piuttosto evidenziare
come sia necessario nel breve termine iniziare delle sperimentazioni che
abbiano la caratteristica della scientificità e quindi che siano valutabili ed
eventualmente trasferibili. Anche a questo riguardo abbiamo in questi anni
condotto alcune sperimentazioni (in particolare abbiamo applicato il metodo
Ertomis per la valutazione comparata delle capacità lavorative del disabile e
delle caratteristiche del posto del lavoro) di cui contiamo dare un resoconto
nel breve periodo.
5.7. Altri approfondimenti - Tra gli ulteriori approfondimenti da prevedere per
il futuro (speriamo non lontano) solo a titolo di memoria voglio segnalare:
a) I'ergonomia che rimane una scienza di grande
interesse e potenzialità per il nostro problema e mi sembra sufficientemente
giovane per occuparsi anche di queste questioni che spesso il mondo accademico
ritiene di secondaria importanza (siamo sostanzialmente lontani dal modello delle
università americane in cui ogni sede universitaria ha anche il proprio centro
di riabilitazione);
b) un approfondimento sulla funzione di accompagnamento
e di mediazione propria degli operatori. A questo riguardo ritengo utili
specifiche iniziative seminariali di confronto ed approfondimento di
esperienze ed attività.
(*) Relazione tenuta al convegno
"Handicappati intellettivi nell'Europa del 2000: orientamenti culturali
ed esperienze a confronto", Milano, 25-26-27 maggio 1995.
(**) S. Schena fa parte del Centro studi dell'Opera Don
Calabria.
Tabella 5
Formazione professionale “di base” Obiettivo: crescita globale Tempi: almeno
due anni (meglio 3) Dove:
prevalentemente nei CFP con possibilità di stages aziendali Operatori:
insegnanti FP con particolari attenzioni e competenze Quando:
(nel continuum vitale) dopo la scuola dell’obbligo |
Formazione
professionale “di specializzazione” Professionalizzazione e
conseguente inserimento lavorativo Percorsi brevi, flessibili
e molto finalizzati (da 300 a 900 ore). Nei CFP ma soprattutto in
azienda (anche secondo il modello formativo place and train) Tutor
capaci di assumere un duplice ruolo: educatori con disabili, controparte con
le aziende In funzione del
collocamento al lavoro in ogni momento della vita attiva |
www.fondazionepromozionesociale.it