Prospettive assistenziali, n. 114, aprile-giugno 1996

 

 

L'OSPEDALIZZAZIONE A DOMICILIO: UN SERVIZIO MOLTO UTILE

RENATA FRENCIA

 

 

Era il 27 ottobre del 1988 quando mio marito cardiopatico venne ricoverato all'ospedale Moli­nette di Torino per insufficienza respiratoria e scompenso cardiaco. Dopo soli quattro giorni di degenza venne trasferito in un altro ospedale. Un disastro per quanto riguarda il personale medico e infermieristico; di giorno in giorno mio marito peggiorava, si agitava per un nonnulla anche perché la sua depressione psichica con manie di persecuzione lo rendeva intollerante verso le altre persone ricoverate.

Per andarlo a trovare dovevo prendere tre au­tobus e impiegavo un'ora e un quarto. Poi dove­vo mettere tutta la mia pazienza per calmarlo.

Venni a sapere che presso l'ospedale Molinet­te funzionava un servizio di ospedalizzazione a domicilio. Mio marito è stato preso in carico dal 2 dicembre 1988 fino al 13 marzo 1994. Non ho pa­role sufficienti per ringraziare i medici e gli infer­mieri dell'ospedalizzazione a domicilio che sem­pre si sono prodigati e che hanno fornito a mio marito cure ancora più valide di quelle che aveva ricevuto quando era ricoverato in ospedale.

Mio marito era sofferente a causa di diverse patologie, in particolare pleura polmonare, tumo­re alla prostata. La malattia mentale, le sue manie di persecuzione e paranoiche peggioravano la sua situazione; c'erano dei giorni in cui tutto filava liscio, ma c'erano dei momenti in cui la mia dispo­nibilità e pazienza erano messe a dura prova. Non accettava nessuno in casa con lui, che non fossi io. Quando diventava più aggressivo potevo con­tare anche sul servizio di igiene mentale che era sempre disponibile ad intervenire a casa.

La possibilità di curarlo a casa per me voleva dire gestire la sua irritabilità, la sua depressione anche se per la verità devo dire che più di una volta mi dicevo: non ce la faccio più. Eppure mi sentivo forte lo stesso per affrontare un'altra giornata. Oggi questa forza non ce l'ho più e mi rendo conto che esiste un vuoto che è più pe­sante di quei momenti duri che ho vissuto.

L'équipe dell'ospedalizzazione a domicilio non solo si prendeva cura di mio marito ma an­che di me. Quando si sono resi conto che stavo cedendo mi hanno proposto l'aiuto di un volon­tario per permettermi anche un po' di libertà. Ero titubante: non sapevo se accettare o no; mio marito non voleva nessuno in casa neanche i parenti, figuriamoci una persona estranea. Provammo ugualmente, ero troppo stanca. Giuseppe, così si chiama il volontario (1), fu accettato da mio marito nei suoi alti e bassi; c'erano dei giorni che non lo voleva vedere; do­po un'ora però mi faceva telefonare per farlo ve­nire. Beppe rispondeva sempre anche alle ri­chieste più pressanti; sapeva che mio marito ol­tre a me non aveva nessun rapporto con altre persone. II volontario era l'unica persona che mio marito riteneva disinteressata; gli altri gli vo­levano tutti male! Era importante fargli capire che poteva avere fiducia in qualcuno. Beppe c'è riuscito; diversamente sarebbe stato impossibile aiutarlo e di conseguenza aiutarmi.

L'ospedalizzazione a domicilio ha lati positivi, tanti, come si può capire dalla mia esperienza, ma i lati negativi non mancano. Ad esempio quello di toglierti ogni momento di libertà. Come ho già detto, mio marito fu dimesso dal servizio il 13 marzo 1994. Avevo però la possibilità di ri­chiedere il loro intervento in qualsiasi momento, così come potevo fare in precedenza chiaman­do infermieri o medici mediante il teledrin.

Non potete immaginare la sicurezza che ti dà il sapere che comunque sono presenti sempre e in particolare per me che dovevo condividere la solitudine di mio marito. Gli infermieri, i medici e il volontario erano i miei contatti sociali.

Oggi che mio marito è mancato, sono sola, ma ho subito ripreso i contatti con i miei nipoti e con mio fratello che ha superato i novant'anni. Ho settantotto anni e ho deciso che quando comin­cerò ad accorgermi che perdo la mia indipen­denza, mi ritirerò in qualche pensionato; non vo­glio obbligare nessuno ad assistermi.

A proposito della morte di mio marito, mi ram­marico di averlo portato, per i suoi problemi pol­monari, in un ospedale della Liguria (così mi aveva consigliato il medico). Dopo una settima­na è mancato. Mi è crollato il mondo addosso.

Avrei dovuto capire subito che peggiorava, te­lefonare al servizio di ospedalizzazione a domi­cilio e riportarlo a casa dove lui si sentiva più si­curo e rispondeva meglio alle cure.

Quando veniva dimesso dall'ospedalizzazione a domicilio, ogni volta si verificava un peggiora­mento generale, non solo psichico. Lo tranquil­lizzavo dicendogli che il numero di telefono degli infermieri era lì e, se fosse stato male, i medici e gli infermieri sarebbero venuti subito. Tutto ciò era sufficiente per tranquillizzarlo. lo non ne avevo bisogno perché ero certa che loro non mi avrebbero mai lasciata sola.

Beppe, anche dopo le dimissioni, ha conti­nuato le sue visite. Non siamo stati lasciati soli e anche oggi che mio marito non c'è più posso contare ancora su di lui.

 

 

(1) Giuseppe fa parte dell'ASVAD, Associazione solida­rietà e volontariato a domicilio, Via Artisti 36.

 

 

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