Prospettive assistenziali, n. 115, luglio-settembre
1996
Editoriale
ADOZIONE: LA PESSIMA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE E LE PREOCCUPANTI PROPOSTE DI LEGGE GUIDI E MELANDRI (*)
II 18 luglio 1996 (1) la Corte costituzionale ha
assunto una decisione che solleva gravissime preoccupazioni in merito ai
diritti fondamentali dei minori in situazione di abbandono materiale e morale da
parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi.
Infatti la sentenza, che riportiamo integralmente,
consente l'adozione da parte di coniugi anche quando uno di essi ha, rispetto
al bambino, una differenza di età superiore ai 40 anni (2).
In sostanza, per l'adozione di un neonato, se un
adottante ha 40 anni, il coniuge potrebbe essere ritenuto idoneo anche se ha
60 e più anni!
Questo principio è assolutamente inaccettabile e non
tiene in alcun conto, come insegna il semplice buon senso, che i minori
adottabili hanno l'esigenza di essere inseriti non in una famiglia qualsiasi,
ma di essere accolti da coniugi giovani in modo da poter beneficiare, in tutta
la misura del prevedibile, dell'appoggio di entrambi i genitori fino al
momento del loro autonomo inserimento lavorativo e sociale, inserimento che
sempre più spesso si realizza in modo definitivo non prima dei 25-30 anni
(frequenza dell'Università, assolvimento del servizio militare o civile da
parte dei maschi, fine del lavoro precario, ecc.).
In base alle norme vigenti, i neonati che sono
adottati da coniugi quarantenni (come massima differenza di età) raggiungono
l'autonomia quando i genitori hanno 65-70 anni.
Quindi, tenuto anche conto che la vita media degli
uomini è di 73 anni e della donna di 79, a nostro avviso, la differenza massima
di età di 40 anni è un limite già fin troppo elevato.
Un gravissimo errore della Corte costituzionale
La sentenza 303/1996 della Corte costituzionale
stabilisce che «deve essere riconosciuta
la possibilità che il giudice valuti, con rigoroso accertamento, l'eccezionale necessità di consentire, nell'esclusivo interesse del minore, che
questi sia inserito nella famiglia di accogliénza che, sola (3), può soddisfare
tale suo interesse, anche quando, pur rimanendo
nella differenza di età che può solitamente intercorrere tra genitori e
figli, l'età del coniuge adottante si discosti in modo ragionevolmente contenuto dal massimo di quaranta anni, legislativamente
previsto», aggiungendo che, «la necessità della deroga al criterio rigido del
divario di età (fissato dall'art. 6, secondo comma, della legge n. 184 del
1983) si verifica quando 1'inserimento
in quella specifica famiglia adottiva risponde
al preminente interesse del minore
e dalla mancata adozione deriva un danno grave
e non altrimenti evitabile per lo
stesso» (4).
Ovviamente, per poter valutare se concedere o meno
l'adozione ad una coppia di cui uno dei coniugi ha una differenza di età con il
minore superiore ai 40 anni, il giudice dovrebbe prendere in esame la
situazione prima che il minore sia inserito in quella specifica famiglia, per
accertare se sussistono tutte le condizioni indicate dalla Corte
costituzionale nella sentenza 303/1A6.
L'intervento del giudice prima dell'ingresso del
minore italiano nella sua nuova famiglia è un compito preciso del Tribunale per
i minorenni, il quale, in base alla legge 184/1983, pronunciata la
dichiarazione di adottabilità, deve provvedere all'abbinamento minore-coppia
adottante e, quindi, disporre l'affidamento preadottivo.
La Corte costituzionale non ha tenuto conto - e a
nostro avviso si tratta di un errore gravissimo con conseguenze molto negative
- che, in base alle norme vigenti, per l'adozione dei fanciulli stranieri il
giudice italiano non interviene, né può intervenire per l'abbinamento, ma è per
forza di cose chiamato a pronunciarsi solo dopo che il minore è già stato
accolto - magari da un lungo periodo - dagli adottanti (5).
In questi casi il giudice non può compiere nessuno
degli accertamenti indicati dalla Corte costituzionale: il Tribunale per i
minorenni può solo decidere se lasciare quel bambino dov'è, oppure se
allontanarlo. Non ci sono altre possibilità.
Ricorrendo all'artificio del fatto compiuto, -
artifici che a seguito della sentenza 303/1996 da sporadici diventeranno
centinaia all'anno - i requisiti previsti a tutela dei minori sono destinati a
cadere nel nulla, compresa la giusta affermazione della Corte costituzionale,
inserita nella stessa sentenza 303/1996, che riportiamo: «L'intero sistema dell'adozione di
minori è eminentemente incentrato sulla valutazione e sulla protezione della
personalità e dell'interesse del fanciullo, alla cui accoglienza è preordinato
lo stesso apprezzamento dell'idoneità della famiglia adottiva, e quindi dei
requisiti richiesti ai suoi componenti».
È, quindi, facilmente prevedibile che nei prossimi
mesi si svilupperà - e notevolmente - il traffico dei bambini del Terzo mondo,
utilizzato soprattutto dalle coppie che la Corte costituzionale sorprendentemente
ha voluto favorire.
Inoltre, a nostro avviso, non passerà molto tempo
prima che si rivolgano alla Corte costituzionale altre coppie che usando il
solito artificio si sono impossessate di uno o -più bambini anche se la
differenza di età di entrambi i coniugi (e non solo uno di essi) supera di 40
anni l'età del minore, per poi chiedere -tramite i Tribunali e le Corti di
appello per i minorenni - alla Corte stessa di dichiarare l'incostituzionalità
degli articoli della legge 184/1983 che impediscono la legalizzazione della
violazione compiuta.
Stante (come vedremo in seguito) l'enorme maggior
numero di domande di adozione rispetto ai bambini stranieri adottabili, la
violazione della legge 184/1983 - che la Corte costituzionale ha sanato con la
sentenza 303/1996 - in realtà è mai avvenuta (6) per consentire l'adozione di
minori che altrimenti sarebbero stati destinati a rimanere senza famiglia. Gli
abusi sono stati compiuti esclusivamente o prevalentemente per soddisfare le
egoistiche pretese di adottanti che non accettano fanciulli grandicelli, ma
vogliono solo bambini in tenerissima età.
D'altra parte non riusciamo a comprendere per quale
motivo le autorità giudiziarie minorili coinvolte e la Corte costituzionale, se
ritenevano che il minore non dovesse essere allontanato dalla coppia che
l'aveva accolto senza rispettare le norme concernenti la differenza massima di
età di 40 anni, non abbiano fatto ricorso alla legge 184/1983 che prevede alla
lettera c) dell'articolo 44 l'adozione in casi partico-lari, adozione che è
consentita alle coppie e alle persone singole alla sola condizione che abbiano
un'età che supera di 18 anni quella dell'adottando, sempre che siano
riconosciute dal Tribunale per i minorenni idonee ad educarlo, istruirlo e
mantenerlo (7).
Anche se l'adozione in casi particolari è prevista
per situazioni ben determinate e non per coprire illegalità, si potevano con
questo strumento sanare casi specifici senza scardinare le norme della legge
184/1983, norme che erano state individuate con una ampia partecipazione per
tutelare l'interesse preminente dei minori italiani e stranieri in situazione
di abbandono (8).
Doveri etici degli aspiranti
adottanti
Gli aspiranti adottanti, ottenuta
l'idoneità ad adottare un bambino straniero, hanno, a nostro avviso, il dovere
etico di segnalare all'ente o alla persona a cui si rivolgono, ovviamente prima
della proposta di abbinamento, quali sono le condizioni poste dalla legge
184/1983, fra le quali anche quella riguardante la differenza massima di età.
È, infatti, evidente che le organizzazioni straniere che si occupano di adozione
non sono tenute a conoscere la legislazione italiana.
Se gli adottanti non forniscono
l'informazione suddetta, che va fatta per rispettare le esigenze ed i diritti
dei minori in situazione di abbandono, non hanno poi nessun motivo né giuridico
né etico per contestare le norme della nostra legge da essi scientemente
violate, norme che il Parlamento italiano ha approvato per tutelare i bambini
senza famiglia.
Come ha stabilito la Corte
costituzionale nella sentenza 303/1996, una coppia potrebbe oggi accogliere un
minore, anche se per uno dei coniugi la differenza di età è superiore ai 40
anni, solo nel caso in cui sia in grado di dimostrare che era la «sola»
famiglia in grado di soddisfare «I'interesse
preminente del minore» e che quindi, se non l'avesse accolto, avrebbe cagionato
«un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore».
A questo proposito, va ricordato
che nei Paesi da cui provengono i minori adottati in Italia, non ce n'è uno
solo per la cui accoglienza adottiva non vi siano centinaia di coniugi
disponibili. Vi sono difficoltà esclusivamente per i fanciulli colpiti da
severi handicap o da gravi malattie o di età superiore ai 10-12 anni. Identica
situazione si verifica per i bambini italiani in quanto il loro numero è
nettamente inferiore agli aspiranti adottanti.
Ne deriva che è assolutamente
falsa l'affermazione secondo cui quel minore "normale", se non
veniva adottato da quella coppia, rimaneva in situazione di abbandono: sarebbe
stato sicuramente accolto dalle centinaia di coppie disponibili che non
riescono ad adottare per la mancanza di bambini italiani e stranieri.
La Corte costituzionale
può rimediare
Entro breve tempo la Corte
costituzionale dovrà pronunciarsi sull'ordinanza del Tribunale per i minorenni
di Catania del 22 dicembre 1995 secondo cui non è manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale degli articoli 6 e 30 della legge
184/1983 «se interpretati nel senso che
essi escludono che il Tribunale
per i minorenni possa, nel rilasciare l'attestato di idoneità all'adozione internazionale, specificare che
quest'ultimo si riferisce esclusivamente a minori nati non più di quaranta anni prima del più anziano dei
coniugi dichiarati idonei»
(9).
L'ordinanza trae origine dal
decreto della Corte di appello di Catania del 26 settembre 1995 in cui veniva
affermato che, nel decreto attestante l'idoneità all'adozione internazionale,
il Tribunale per i minorenni non poteva precisare che l'idoneità stessa era
valida solo per i bambini la cui differenza d'età rispetto agli adottanti non
superasse i 40 anni.
Nell'ordinanza, il Tribunale per
i minorenni rileva giustamente che «il
rifiuto, da parte del legislatore, dell'ufficio, che è suo, di proteggere, con
acconce disposizioni, l'interesse minorile in discorso, e la rimessione al
giudice dell'accertamento, caso per caso, successivamente alla introduzione in Italia, della idoneità quoad
aetatem, equivalgono dunque alla fattuale cancellazione dall'ordinamento di
ogni remora all'adozione di minori stranieri da parte di persone che troppo ne superino l'età; e al fattuale sacrificio delle ragioni
dei minori alla volontà di adulti, inidonei per età, di appropriarseli».
AI riguardo confidiamo che la
Corte costituzionale, anche allo scopo di favorire la corretta applicazione
della Convenzione internazionale de L'Aja (10), confermi che deve essere sempre
rispettata la differenza massima di età di 40 anni fra adottanti e adottando,
salvo quando occorra derogare dal vincolo anagrafico per dare una famiglia a un
minore che altrimenti ne resterebbe privo.
In questo caso la coppia
adottiva, prima di accogliere il minore, dovrebbe essere tenuta a sottoporre
la questione al Tribunale per i minorenni che ne ha dichiarato l'idoneità, il
quale provvederà alla valutazione della sussistenza delle condizioni
eccezionali indicate dalla sentenza 303/1996 e, se lo riterrà opportuno,
autorizzerà la coppia stessa ad inserire presso di loro il minore. Se non
viene prevista questa procedura, viene di fatto negato il diritto del minore ad
essere accolto dalla più valida famiglia possibile.
I difensori degli adulti all'attacco
La sentenza della Corte
costituzionale ha scatenato coloro che difendono gli adulti che vogliono
adottare, a tutti i costi, senza considerare il prevalente interesse del minore
(11).
Furio Colombo, su "la Repubblica" del 26 luglio 1996 ha indirizzato
all'ANFAA la solita dose di insulti (questione che esamineremo in un prossimo
articolo) ed è arrivato ad affermare che I'ANFAA stessa e I'AIBI (Associazione
Amici dei Bambini) «dimenticano le statistiche (ma non ne cita una sola!): le
coppie giovani rivelano con più frequenza casi di incapacità e di inaffidabilità rispetto alle coppie meno giovani».
A sua volta, l'On. Giovanna
Melandri, nell'articolo pubblicato su "la Repubblica" del 27 luglio 1996, sostiene che
dovrebbe essere riconosciuta «I'idoneità ad adottare un bambino anche piccolo per una coppia più adulta (per
esempio 37 anni l'uno e 50 l'altro)».
A noi sembra, invece, che, in
presenza di migliaia di coppie infraquarantenni disponibili, sia contrario ad
ogni principio etico-giuridico che a quel neonato sia impedito di essere
adottato da una coppia giovane (ad esempio due trentenni) per essere affidato a
coniugi che, al momento in cui l'adottato compirà 25 anni, ne avranno 62 la
donna e 75 l'uomo.
La proposta di legge Melandri
Ma l'On. Melandri non si
accontenta di elevare - come ha scritto su "la
Repubblica" - la differenza di età fra gli adottanti e gli
adottati dagli attuali 40 anni ai 50; nella proposta di legge n. 1781,
presentata alla Camera dei deputati il 4 luglio 1996 prevede addirittura
l'abolizione di ogni limite d'età per gli adottanti.
Pertanto, se la suddetta
iniziativa verrà approvata, si ritornerà alla situazione precedente
all'entrata in vigore della legge 431/1967 e cioè all'adozione di bambini anche
di pochi mesi da parte di "nonni" (50-60 anni) e di
"bisnonni" (60-80 anni)!
E queste adozioni - lo ripetiamo
- verranno disposte rifiutando la disponibilità di migliaia di coniugi giovani
e pienamente idonei sul piano affettivo-educativo.
La proposta di legge Guidi
A sua volta l'On. Antonio Guidi,
già Ministro per la solidarietà sociale e la famiglia, nel testo non corretto
(12) della proposta n. 187 presentata alla Camera dei deputati il 9 maggio
1996 prevede che «l'età degli adottanti deve superare di almeno diciotto
e di non più di quarantacinque anni l'età dell'adottando», ma che «nel caso in cui l'adottando abbia compiuto i dodici anni, ovvero presenti un handicap accertato ai sensi dell'art. 4
della legge 5 febbraio 1992, n. 104, l'età degli adottanti può superare di
non più di cinquanta anni l'età
dell'adottato», e inoltre, che «i limiti di età possono essere superati nel caso di adozione di fratelli».
Perché illudere migliaia di
persone che vorrebbero adottare minori italiani
Le proposte di legge Guidi e Melandri
consentono l'adozione non soltanto ai coniugi anziani, ma anche alle persone
singole.
L'On. Guidi la rende possibile
anche alle coppie conviventi, senza però precisare se composte da persone
dello stesso sesso o di sesso diverso.
In sostanza uno degli scopi -
fra l'altro quello principale - delle iniziative degli On. Guidi e Melandri è
l'aumento delle domande di adozione, aumento che potrà anche essere rilevante.
Vediamo perché è una proposta assolutamente negativa.
Da trent'anni il numero delle
domande di adozione è sempre stato di gran lunga superiore ai bambini
dichiarati adottabili.
Secondo i dati forniti dal Ministero di grazia e
giustizia - Ufficio centrale della giustizia minorile, le richieste presentate
negli ultimi tre anni per l'adozione di bambini italiani sono state complessivamente
22.705 (7.631 nel 1993, 7.338 nel 1994 e 7.736 nel 1995).
Negli stessi anni i decreti di
affidamento preadottivo sono stati 2.188 (710 nel 1993, 614 nel 1994 e 864 nel
1995) (13).
Pertanto sono state ben 20.519
le coppie la cui disponibilità all'adozione non è stata accolta per la mancanza
di bambini italiani adottabili.
È questa la vera ed unica
ragione per cui la stragrande maggioranza delle domande di adozione non ha
seguito.
Si possono fare tutte le
modifiche legislative, ma se i bambini adottabili (e cioè in situazione di
abbandono materiale e morale da parte dei genitori e dei parenti tenuti a
provvedervi) sono "solo" 700-800 all'anno, non si può certo consentire
l'adozione ad un maggior numero di adottanti.
Pertanto le proposte avanzate dagli On. Guidi e
Melandri per estendere il numero dei coniugi e delle persone che possono
presentare domanda di adozione servono soltanto ad aumentare da 6-7.000
all'anno le coppie insoddisfatte (ed i relativi congiunti, amici e conoscenti)
ad un numero ancora maggiore!
Illudere la gente e provocare quindi sofferte
delusioni è un comportamento censurabile; significa strumentalizzare le
positive disponibilità dei cittadini sensibili e demotivare i magistrati, gli
assistenti sociali, gli educatori, i funzionari, i volontari che si impegnano
con scienza e coscienza.
Mentre esclusivamente per la mancanza di minori
adottabili sono respinte ogni anno migliaia di domande di adozione, c'è ancora
chi continua a sobillare l'opinione pubblica attribuendo la responsabilità di
questa situazione alla "cattiveria" e al "menefreghismo"
degli operatori giudiziari e sociali e all'oscurantismo dei volontari
dell'ANFAA e delle altre organizzazioni che da decenni si battono per la difesa
dei diritti dei bambini senza famiglia.
D'altra parte tutte le persone serie dovrebbero
lavorare per la prevenzione degli abbandoni: è infatti auspicabile che il
numero dei bambini italiani adottabili diminuisca.
Ancora una volta ripetiamo senza tema di essere
smentiti che non vi è in Italia un solo bambino dichiarato adottabile che non
venga accolto nel giro di pochi giorni da una coppia adottiva scelta dal
Tribunale dei minorenni (14).
Dove i Tribunali per i minorenni ed i servizi sociali
operano correttamente, non vi sono difficoltà insormontabili per l'adozione di
minori ciechi, sordi o con altri handicap gravi.
Le difficoltà di sistemazione familiare (adozione e
affido) riguardano i ragazzi grandicelli (di età superiore ai 10-12 anni) e
quelli con gravi handicap intellettivi o con malattie inguaribili (AIDS, ecc.),
difficoltà in gran parte dovute alla mancata predisposizione degli
indispensabili servizi di sostegno psico-sociale da parte degli enti pubblici
responsabili.
Certamente una più penetrante azione dei Giudici
tutelari, dei Tribunali e delle Procure per i minorenni e dei servizi sociali
(gravemente carenti specialmente nel Sud) aumenterebbe il numero dei minori
dichiarati in stato di adottabilità (sarebbe molto positivo anche se si
trattasse di poche decine di soggetti), ma certamente non modificherebbe in
modo significativo l'attuale altissimo rapporto fra domande di adozione e minori
adottabili.
In particolare, interventi più adeguati delle autorità
suddette ridurebbero la durata della permanenza in istituto (sempre deleteria
per l'armonico sviluppo della personalità infantile) e favorirebbero la
creazione di servizi alternativi al ricovero. Così facendo i 35-40mila minori
ancora ricoverati (esclusi quelli dichiarati in stato di adottabilità)
potrebbero rientrare nelle proprie famiglie di origine o essere affidati a
scopo educativo o essere accolti in comunità alloggio di 8-10 posti al
massimo.
Dunque, se si vuole veramente intervenire a favore
dell'infanzia in difficoltà, vi è l'esigenza urgentissima di una adeguata
riforma dell'assistenza in modo da rendere obbligatori i necessari interventi
di sostegno alle persone e ai nuclei familiari in difficoltà.
Analoghe illusioni per l'adozione internazionale
Anche in materia di adozione internazionale la
situazione è sostanzialmente uguale a quella descritta in precedenza: ci sono
molte più domande rispetto ai bambini stranieri adottabili.
Le domande presentate negli ultimi tre anni per
l'adozione internazionale sono state 18.165 (6.329 nel 1993, 6.007 nel 1994 e
5.849 nel 1995).
Nello stesso periodo gli affidamenti preadottivi di
minori stranieri sono stati in totale 6.629 (1.992 nel 1993, 2.434 nel 1994 e
2.203 nel 1995).
Pertanto 11.556 coppie non sono riuscite, per la
mancanza di bambini disponibili, a realizzare l'adozione internazionale.
AI riguardo vi è da osservare che il numero dei
minori adottabili del Terzo mondo è destinato a ridursi mano a mano che verrà
attuata la Convenzione internazionale de L'Aja, varata nel 1993 proprio allo
scopo di regolamentare l'adozione internazionale e di stroncare il mercato dei
bambini.
Assurdi sovraccarichi di lavoro per l'autorità
giudiziaria minorile e per i servizi sociali
Come abbiamo visto, sono circa 11 mila ogni anno le
pratiche di adozione nazionale e internazionale che non si concludono con
l'affidamento a causa della mancanza di bambini italiani e stranieri; ciò
nonostante le proposte di legge presentate tendono a far aumentare questo
numero.
Anzi, il già citato disegno di legge Melandri prevede
che le indagini sull'idoneità degli adottanti ad educare, istruire e mantenere
i minori debbano obbligatoriamente essere effettuate nei confronti di tutti
coloro che hanno presentato domanda, addirittura anche nel caso in cui per
tutti i minori dichiarati in stato di adottabilità sia stato già predisposto
l'affidamento preadottivo!
Sempre secondo la stessa proposta di legge, se le
indagini, che devono essere completate entro 180 giorni dalla data di
presentazione della domanda di adozione, non sono svolte dai servizi sociali,
su richiesta di chi ha presentato domanda, il Tribunale per i minorenni deve disporre
la nomina di un collegio di periti.
In sostanza, prevedendo che invece delle attuali
13mila domande di adozione ne vengano presentate 20mila, tenuto conto che i
bambini italiani e stranieri adottabili sono appena 3.000, dovranno essere
effettuate ogni anno circa 14mila indagini assolutamente inutili (15).
Pertanto, contro il più elementare buon senso, le
proposte Melandri e Guidi - se approvate - determineranno un enorme esborso di
denaro pubblico per l'adeguamento degli organici dei Tribunali e delle Procure
dei minorenni e dei servizi sociali (16).
Ridurre la differenza massima di età fra adottanti e
adottando
Se si partisse veramente dalle esigenze dei minori in
situazione di abbandono, non dovrebbe essere aumentata la differenza massima
di età fra adottanti e adottando; al contrario essa dovrebbe essere ridotta almeno
a 35 anni.
Con la proposta diminuzione non si danneggerebbe un
solo bambino italiano o straniero, in quanto tutti - come abbiamo già rilevato
- continuerebbero ad essere adottati, né più né meno di quanto avviene
attualmente, ma con il vantaggio - sicuramente non trascurabile - di essere
accolti da genitori più idonei perché più giovani.
A questo proposito, nel riquadro, riportiamo le
conclusioni tratte dalla recente ricerca svolta da Melita Cavallo, Giudice del
Tribunale per i minorenni di Napoli e Presidente dell'Associazione italiana
dei Giudici per i minorenni e per la famiglia. Riducendo la differenza massima
di età, sarebbe anche minore il numero delle domande presentate ai Tribunali
per i minorenni e da questi smistate ai servizi sociali.
Diminuendo i carichi di lavoro, agli organismi
suddetti sarebbe reso possibile provvedere in modo più approfondito alla
valutazione delle capacità educative degli aspiranti adottanti.
Inoltre i servizi sociali potrebbero utilizzare il
tempo disponibile per sostenere gli adottanti e gli adottati, e soprattutto i
minori che hanno sofferto più intensamente le negative conseguenze del
ricovero in istituto.
PIÙ VALIDE LE
COPPIE ADOTTIVE GIOVANI (*)
«La giovane età
della madre, che emerge inequivocabilmente dalla ricerca come uno dei fattori
determinanti del successo delle adozioni, deve essere messa in relazione non
solo e non tanto con le cure e l'attenzione personale al figlio (perché queste
possono essere assicurate anche dalla madre "anziana"), ma soprattutto
col fatto che il rapporto madre-bambino evolve non nella direzione della
dipendenza (tipico della madre anziana, che tende a sostituirsi per
"proteggere"), ma nella direzione del rafforzamento dell'identità e
dell'autonomia, con disponibilità ad accompagnare senza ansie, con apertura a
nuovi modelli comportamentali e maggiore elasticità e duttilità nella
contrattazione delle regole. (...)
«Ma comunque si
vogliano interpretare le caratteristiche personali delle figure genitoriali e
il ruolo della famiglia allargata, sta di fatto che emerge in modo inequivoco
- in particolare dai colloqui psicologici e dalle domande aperte - la validità genitoriale della coppia in quanto composta da un uomo e
da una donna, cioè dal modello familiare
tradizionale: per uno sviluppo psico-fisico equilibrato e corretto del bambino
sono necessari dunque - afferma la nostra ricerca - un padre e una madre, e in
più la madre deve essere sufficientemente giovane.
«Discende da ciò
che non poca perplessità suscita la tendenza che vuole elevare
il limite d'età degli adottanti dai 40 ai 45 anni, o addirittura ai 50
- in parallelo con i requisiti di età previsti dai vari progetti di legge per
dare accesso alla donna sterile alle tecniche di procreazione artificiale -, e vuole aprire l'adozione ai
singles.
«L'elevamento del
limite d'età significherebbe porre i bambini adottati in una condizione
indiscutibile di rischio, quello oggettivamente connesso con il salto
generazionale, perché, se è pur vero che l'età
biologica, grazie al miglioramento globale delle condizioni di vita e alle
scoperte della medicina e della biologia, può ritenersi prolungata, non
altrettanto può dirsi per l'età psicologica. Molti nutrono grosse perplessità
sulle capacità di una coppia che chiede di essere immessa nel ruolo genitoriale
di un neonato a cinquant'anni, e che quindi sarà chiamata a confrontarsi con la
crisi adolescenziale del figlio adottivo - quasi sempre unico - alle soglie
dei settanta. Da parte di molti esperti si ritiene cioè
che
un salto generazionale troppo alto costituisca di per sé un ostacolo alla buona
riuscita dell'adozione, in quanto l'elevata differenza di età tra il genitore
e il figlio - soprattutto se unico - è una costante nei
casi in cui il conflitto adolescenziale supera in maniera sensibile i limiti
del fisiologico.
«Un bambino
chiede una mamma e un papà che sappiano restare a giocare e correre con lui,
che sappiano raccontargli fiabe sempre nuove e cantargli canzoni che lo
facciano ridere, che lo prendano in braccio e lo facciano girare vorticosamente.
Possono genitori sessantenni essere bambini con i loro figli? o forse lo stare
insieme in questo modo è poco significativo, e
si pensa possa essere delegato ad una baby sitter o alla scuola dell'infanzia,
se non addirittura alle video-cassette e alla televisione, rimanendo
appannaggio dei genitori l'erogazione dei servizi e l'elargizione di beni di
consumo del tutto superflui?".
(*) Cfr. Melita
Cavallo (a cura di, Adozioni dietro le quinte - Esperienze di
vita a confronto dalla voce dei figli, dei genitori, degli operatori,
Franco Angeli, Milano, 1995, pag. 269.
(*) In questo articolo
abbiamo commentato le proposte di legge Guidi e Melandri solo in merito alle condizioni
previste per gli adottanti; ci riserviamo di esaminare prossimamente gli
altri aspetti e le eventuali altre iniziative legislative.
(1) La sentenza n.
303 è stata depositata in cancelleria il 24 luglio 1996.
(2) La maggior parte dei commentatori
(Furio Colombo, Giovanna Melandri, ecc.) ha fornito all'opinione pubblica
notizie errate, facendo credere che la Corte costituzionale avesse abolito i
limiti massimi di età per entrambi i coniugi, mentre la sentenza stabilisce che: «il giudice possa disporre l'adozione,
valutando esclusivamente l'interesse del minore, quando l'età di uno dei coniugi
adottanti superi di oltre quaranta anni l'età dell'adottando, pur rimanendo la differenza
di età
compresa in quella che di solito intercorre tra genitori e figli».
(3) Per ben due volte
nella sentenza 303/1996 la Corte costituzionale precisa che deve trattarsi
della "sola" e quindi unica
famiglia di accoglienza in grado di soddisfare il preminente interesse del
minore.
(4) II secondo comma
dell'art. 6 della legge 184/1993 stabilisce quanto segue: «L'età degli adottanti deve superare di almeno 18 e di non più di 40
anni l'età dell'adottando».
Con sentenza n. 148 del 18 marzo 1992, la Corte costituzionale
aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dello stesso secondo comma
dell'art. 6 «nella parte in cui non
consente l'adozione di uno o più fratelli in stato di adottabilità, quando per uno di essi l'età degli
adottanti supera di più di quarant'anni l'età dell'adottando e dalla separazione deriva
al minore un danno grave per il venir meno della comunanza di vita e di
educazione». La sentenza 148/1992 è riportata nel n. 98, aprile-giugno
1992 di Prospettive assistenziali,
commentata negativamente dalla redazione e da P. Gosso nell'articolo "Le
picconate contro la legge 184", pubblicato sullo stesso numero.
(5) Abbastanza spesso gli adottanti,
che non hanno rispettato le norme della legge 184/1983, tengono presso di loro
per mesi e mesi (e a volte anche anni) il minore straniero prima di iniziare
le pratiche legali per poter mettere il Tribunale per i minorenni di fronte al
fatto compiuto, carpendo anche l'appoggio emotivo della gente e dei mezzi di
comunicazione.
(6) Saremo ben lieti di conoscere situazioni che smentiscano
la nostra affermazione.
(7) L'adozione in casi particolari
può essere disposta: (...) «c) quando vi sia la constatata impossibilità di
affidamento preadottivo».
(8) Prima della discussione della
legge 184/1983 il Senato aveva svolto una approfondita indagine conoscitiva
consultando i magistrati minorili, le Regioni, i Comuni, le Province e le
organizzazioni sociali, raccogliendo tutti gli elementi necessari per
predisporre un testo valido, così come si è dimostrato essere la legge
184/1983. Ricordiamo che a seguito di questa legge e della precedente (la n.
431/1967) sono stati adottati ben 60.000 bambini italiani e stranieri e che il
numero dei minori ricoverati in istituto 8 sceso (anche per la diminuzione
delle nascite) dai 300 mila del 1962 agli attuali 35-40 mila. Oggi, mentre i
minori adottabili sono, come vedremo in seguito, 700-800 all'anno, la
stragrande maggioranza dei ricoverati in istituto (che non è in situazione di
abbandono materiale e morale avendo legami con i propri genitori che devono
essere conservati, anzi - se possibile - rafforzati) potrebbe ritornare in
famiglia se gli enti pubblici preposti all'assistenza (Regioni, Comuni singoli
e associati, Province, IPAB, ecc.) predisponessero i necessari servizi. Altri
minori potrebbero beneficiare dell'affidamento familiare a scopo educativo. I
casi più complessi dovrebbero essere accolti in comunità alloggio aventi al
massimo 6-8 posti. Con questi interventi lo Stato spenderebbe molto meno, i
minori e le loro famiglie vivrebbero in condizioni molto migliori e si
ridurrebbero anche le situazioni di disadattamento e di delinquenza.
(9) Cfr.
la massima riportata nel n. 2, aprile-giugno 1996, di "ll diritto
di famiglia e delle persone”.
(10) La Convenzione internazionale
de L'Aja,
sottoscritta da vari Paesi, il 29 maggio 1993, ha lo scopo di «garantire la realizzazione del miglior
interesse del bambino, nonché il rispetto dei suoi diritti fondamentali
nell'adozione internazionale e di provvedimenti che possano prevenire la
sottrazione, la vendita o il traffico di bambini». II testo della Convenzione 8 riportato sul
n. 104, ottobre-dicembre 1993, di Prospettive
assistenziali.
(11) Nella legge 184/1983 è
richiamato più volte il «prevalente interesse del minore», interesse che non
deve solo essere propagandato, ma deve essere attuato e difeso. Se si parla di
interesse «prevalente» significa che in caso di conflitto con gli adulti
(parenti biologici o aspiranti adottivi) deve avere assoluta priorità il bene del
minore, anzi di tutti i minori in situazione di abbandono materiale e morale.
(12) AI momento in cui 8 stato
redatto l'articolo (11 settembre 1996) era disponibile solo la bozza non
corretta della proposta di legge n. 187.
(13) Si tenga presente che la validità
delle domande di adozione è di due anni. Pertanto in ciascuno degli anni presi
in considerazione il rapporto fra i decreti di affidamento preaodottivo e
domande di adozione non 8 di 7-800 a 7-8000 ma di 7-800 a 14-15.000. Analoghe
considerazioni valgono per l'adozione internazionale.
(14) Cfr. "L'adozione dei minori
in situazione di abbandono e i falsi progressisti", Prospettive assistenziali, n. 112, ottobre-dicembre 1995 e
"La riforma dell'adozione dei falsi progressisti: una lettera dell'On. Melandri
e la nostra replica", Ibidem, n.
113, gennaio-marzo 1996.
(15) In via di
larga approssimazione calcoliamo ad abundantiam che per individuare 3.000 coppie
adottive valide sia necessario compiere accertamenti su 6.000.
(16)
Nell'articolo pubblicato su "la Repubblica", l'On. Melandri, senza tenere in
alcuna considerazione le enormi spese che comporta la sua iniziativa, scrive: «C'è già chi esprime il pericolo che ampliando il numero
dei potenziali genitori adottivi, si finirà per appesantire il carico di lavoro
dei Tribunali e dei servizi sociali. Vero. L'obiezione però è
semplice: impegnandoci per rafforzare l'organico dei Tribunali mettiamo i
servizi sociali nelle condizioni di assolvere pienamente
le delicate funzioni a cui sono preposti piuttosto
che aggirare l'ostacolo con politiche proibizionistiche».
Calcolando
che siano 3-4 i colloqui da fare con ciascuna coppia o persona aspirante
all'adozione, si tratta ogni anno di 40-55 mila colloqui del tutto inutili! Si
consideri, inoltre, il lavoro imponente di redazione, classificazione e smistamento
di decine di migliaia di documenti.
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