Prospettive assistenziali, n. 115, luglio-settembre
1996
HANDICAP E
LAVORO: UN ALLARMANTE ACCORDO DEL SINDACATO A BIELLA
L'USL, i Comuni, le Associazioni
degli imprenditori ed i Sindacati dell'area biellese hanno siglato un accordo
per l'inserimento lavorativo di giovani con problemi di disagio sociale e di
handicappati con capacità lavorative ridotte.
L'accordo, in vigore dal 1°
giugno 1995, prevede l'utilizzo degli strumenti legislativi e contrattuali in
vigore (contratto di formazione-lavoro, contratto a tempo determinato,
part-time), ma introduce un elemento nuovo, a nostro parere estremamente grave:
la riduzione del salario.
Si legge infatti che, in deroga
ai contratti nazionali di lavoro e in base ad un'intesa locale fra le parti
interessate, si è scelta la riduzione del salario quale base dell'accordo.
Secondo i firmatari, l'importo del salario è l'elemento che, più di ogni
altro, impedisce l'effettivo inserimento dei giovani di cui si parla
(handicappati ma, lo ricordiamo, soggetti anche pienamente validi sul piano
produttivo).
Maggiori difficoltà, minori
diritti
L'accordo è in sintesi così
riassumibile: consentire alle aziende di risparmiare riducendo non solo i
diritti delle persone handicappate con capacità lavorative ridotte - intesa assolutamente
inaccettabile - ma anche dei giovani normodotati, con difficoltà dovute a
fattori sociali, che però nulla hanno a che vedere con la loro resa produttiva.
Si apre una strada pericolosa
per cui «chi ha più difficoltà ad inserirsi» ha meno diritti degli altri
lavoratori ed è «colpa sua» se non si adegua. Torniamo alla filosofia di
ottocentesca memoria!
A fronte di un regalo enorme sul
piano dei principi, prima ancora che sul piano economico, le imprese non si
sono nemmeno impegnate ad assumere in via definitiva una quota degli handicappati
e dei giovani normodotati.
Nel libretto divulgativo
"II lavoro difficile" messo a punto dall'USL di Biella per informare
in merito all'accordo, le due situazioni sono così presentate: «È molto difficile definire il "disagio sociale" e
quindi i giovani che rientrano in questa
"tipologia"- anche in questo caso si parla di soggetti che non riescono ad adeguarsi alle aspettative che la società coltiva riguardo
alle persone della loro età.
«Sono ragazzi e ragazze che non riescono ad elaborare un pur minimo progetto riguardo al loro futuro,
che vivono una conflittualità esasperata verso le regole della comunità, che
spesso esibiscono (o sono a rischio di) comportamenti devianti, che frequentemente non possiedono alcuna figura
valida di riferimento educativo.
«L'aiuto che possono ricevere dalla propria famiglia sovente - è inconsistente o inadeguato. AI di fuori del contesto familiare non hanno trovato, nei loro percorsi di
crescita, figure di riferimento. «Quello che tentano di dar loro gli operatori sociali risulta spesso improduttivo, perché
questi ragazzi hanno bisogno di molto ma si fidano poco.
«Le loro difficoltà non sono causate da menomazioni o disabilità (anche se quasi tutti non sono riusciti a coltivare le buone potenzialità di base di cui erano in possesso), ma da una storia personale sovente caratterizzata da
trascuratezza, emarginazione, carenze educative: la comunità è per loro qualcosa da cui difendersi, magari con l'aggressività e
l'isolamento.
«Questi ragazzi corrono rischi grandi come i loro bisogni: la ricerca di una relazione significativa che li faccia uscire dalle
situazioni di emarginazione in cui vivono li costringe spesso ad identificarsi con persone che hanno i loro stessi problemi oppure a
rifiutare, come intrusivo o eccessivamente giudicante, l'aiuto e l'interesse che viene loro offerto dagli operatori
socio-sanitari.
«Ma anche quando riescono ad instaurare un rapporto positivo con chi tenta di aiutarli, se la speranza di cambiamento, così suscitata, non riesce a produrre iniziative
concrete per il loro futuro, si trasformerà nella "ennesima" disillusione e rafforzerà il convincimento (alimentato dalla loro storia)
che non c'è posto per loro nella società
di tutti».
Nella sfera del cosiddetto
"disagio o svantaggio" sociale rientrano quindi giovani a rischio di
devianza, ex tossicodipendenti, ex detenuti. Sembra di capire, tra le righe
dell'accordo, che sia giusto considerarli per questa loro condizione fragili
non tanto da un punto di vista della resa produttiva (che resta evidentemente
immutata), ma della loro "accettabilità" sociale dentro l'impresa. E
per renderli più "gradevoli" si offrono sconti!
Nel citato libretto si parla
degli handicappati con ridotta capacità lavorativa nei seguenti termini: «Si tratta di soggetti che in seguito ad un
evento patologico risultano colpiti da una menomazione (cioè la perdita o
anomalia di una funzione) che causa disabilità (cioè l'incapacità a svolgere una determinata attività).
«L'evento patologico, verificatosi nella
stragrande maggioranza delle
situazioni, è costituito da una lesione (su base genetica, traumatica, ecc.) al
sistema nervoso centrale, lesione che provoca delle menomazioni: a volte a carico
della mobilità (ad esempio paralisi spastica), a volte a carico dell'apparato
sensitivo (ad esempio una grave menomazione visiva), molto più frequentemente
a carico dell'apparato psichico (ad esempio ritardo mentale di vario grado).
«La comparsa di tali menomazioni è a sua volta causa di disabilità che
possono riguardare le funzioni motorie (dall'impossibilità di comunicare ai
disturbi di coordinazione delle mani), quelle sensoriali (dall'impossibilità di
utilizzare un linguaggio scritto all'incapacità di riconoscere i colori),
quelle psicologiche e della vita di relazione (dal grave disturbo della
capacità di apprendere alle semplici difficoltà di lettura e scrittura). È da
rilevare peraltro che in alcune situazioni di gravi menomazioni e disabilità
che colpiscono la vita di relazione, non è riscontrabile una chiara lesione al
sistema cerebrale centrale.
«La gravità delle menomazioni e delle disabilità non sempre è
proporzionale alla gravità dell'handicap che ne consegue: per handicap infatti
si intende una condizione di svantaggio che viene vissuta da una determinata
persona in conseguenza di una menomazione o disabilità che limita o impedisce
la possibilità di ricoprire un ruolo (nel nostro caso lavorativo), un ruolo
che in base all'età, al sesso, ai fattori culturali sarebbe normalmente
proprio per quella persona. L'handicap è infatti un fenomeno
"sociale" ed è la risultante di due fattori: da una parte la menomazione
o la disabilità dell'individuo, dall'altra le aspettative di normalità
dell'ambiente circostante».
Tuttavia, per noi resta il
fatto, incontrovertibile, che un giovane handicappato, con una riduzione della
capacità lavorativa, ha uno "svantaggio" (per usare la terminologia
dell'accordo) diverso da quello di un coetaneo "a rischio di
devianza", ma senza menomazioni che incidono sul suo rendimento
lavorativo. Pertanto il soggetto con handicap dovrebbe avere diritto a
condizioni che gli consentano di superare le difficoltà lavorative dovuto alla
sua menomazione.
L'handicap non va confuso con il
disagio
L'errore più grossolano di
questo accordo resta pertanto quello di aver voluto accomunare la condizione
di persona con problemi di disagio sociale, con soggetti che hanno invece una
riduzione della capacità lavorativa a causa di una minorazione.
Per gli handicappati
intellettivi o con handicap fisici che riducono la loro autonomia ci si batte
da tempo perché i Comuni si dotino di servizi con personale capace di
individuare F posti di
lavoro e di avviarli secondo le loro capacità (servizi
per l'inserimento lavorativo).
Una volta avviati (dovrebbero
esserlo mediante il collocamento mirato e cioè con ricerca del posto di lavoro
compatibile con la propria capacità lavorativa) devono poter godere degli
stessi diritti e delle stesse tutele degli altri lavoratori, secondo quanto
prevedono le vigenti norme contrattuali.
II lavoro che sono in grado di
svolgere gli handicappati intellettivi non è specializzato, ma ricopre
mansioni che in ogni caso dovrebbero essere svolte. Non è un ruolo fittizio.
Perché, dunque, rimunerarlo di meno?
Forse che il Sindacato intende
introdurre anche per gli altri lavoratori un misuratore del rendimento?
Ci si dimentica troppo sovente
che l'impresa è parte dello Stato e, come tutti, ha un suo ruolo sociale che
comprende, tra l'altro, anche l'onere di inserire "produttività
diverse", comunque proficue per l'azienda.
Purtroppo l'accordo non tiene
conto della cultura dell'inserimento lavorativo maturata nel paese, delle
esperienze positive dei corsi prelavorativi, attivate per preparare al lavoro
giovani con handicap intellettivo, e continua a considerare le persone
handicappate come assistiti, anziché lavoratori. Si comprende, quindi, perché
ci si rivolga per la realizzazione del progetto al personale dei servizi
assistenziali e non agli operatori dell'assessorato al lavoro.
È questo uno dei nodi che, a
nostro parere, ha creato l'equivoco e favorito una penalizzazione così pesante
per cui si propongono all'azienda con lo stesso accordo sia tirocini "terapeutici"
di soggetti che devono solo essere assistiti, sia tirocini di
"preinserimento lavorativo" per le persone handicappate che hanno
buone capacità lavorative, anche se ridotte, come è il caso degli handicappati
intellettivi.
Un accordo serio dovrebbe invece prevedere: - il percorso
formativo prelavorativo (almeno tre anni);
- il tirocinio in situazione, con la determinazione
della durata;
- l'eventuale incentivo/borsa
lavoro, anche in questo caso con l'indicazione dei tempi e degli obiettivi;
- il contratto di formazione lavoro;
- l'assunzione.
Ricordiamo che l'avvio al lavoro
in base al contratto di formazione-lavoro comporta la perdita dell'anzianità
di iscrizione al collocamento; inoltre i tirocini socializzanti o terapeutici
rientrano nelle normali convenzioni stipulate dai servizi socio-assistenziali,
senza il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali.
II messaggio che trapela
dall'accordo è chiaro: il sindacato non crede che gli handicappati, e,
soprattutto, quanti hanno una capacità lavorativa ridotta a causa della
minorazione intellettiva, abbiano un vero diritto al lavoro.
Ma se vi sono tutti gli elementi
per condannare questa iniziativa, per quanto riguarda gli handicappati, ha
dell'incredibile il fatto che lo stesso accordo trasferisce gli identici trattamenti
di "sfavore" anche ai giovani normodotati di cui ci sfugge quale
possa essere la difficoltà produttiva che giustifica la riduzione del salario
in una misura che può arrivare addirittura al 60%.
L'unica risposta possibile è che
per il Sindacato di Biella l'avere avuto qualche difficoltà
"sociale" richieda una "giusta" e necessaria espiazione,
che comporta appunto, la riduzione del salario a parità di produzione. È
difficile, infatti, che si possa sostenere e dimostrare che questi giovani
lavorano meno dei loro colleghi. Diverso sarebbe stato prevedere un percorso di
formazione, con la possibilità di apprendere, anche attraverso il tirocinio in
azienda.
In questo caso avrebbe davvero
senso prevedere solo forme di incentivazione, come ad esempio l'erogazione di
una borsa lavoro e non uno stipendio normale. II rapporto tra il giovane e
l'azienda è però chiaro: il giovane non è assunto, svolge tuttavia attività
produttive, ma per un periodo di tempo determinato in quanto si tratta di
formazione; pertanto gli viene riconosciuta non una retribuzione, ma solo un
contributo.
Infine, l'accordo evidenzia
altresì la carenza della formazione professionale e lo scarso impegno delle
istituzioni (Regione, Comuni) per la messa a punto di momenti formativi rivolti
ai giovani che, per motivi diversi, sono usciti dai normali circuiti
formativi.
Conclusioni
Va detto che l'accordo è stato
ampiamente dibattuto all'interno del gruppo di lavoro regionale sull'handicap promosso
da Cgil, Cisl e Uil, che dal 1995 si riuniva regolarmente con la partecipazione
di operatori della Regione Piemonte impegnati nel settore dell'inserimento
lavorativo e di rappresentanti del CSA, Coordinamento sanità e assistenza fra
i movimenti di base. Purtroppo il gruppo non ha proseguito la sua attività per
il venir meno della disponibilità della Cgil che ne era stata promotrice. II
gruppo aveva anche promosso un incontro a Biella, ma i delegati sindacali
sono stati irremovibili e non hanno voluto riesaminare il problema. Ci risulta
che finora solo l'Ufficio H della Cgil di Torino abbia fatto proprio il
parere negativo sull'accordo emerso dal suddetto gruppo di lavoro.
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