Prospettive assistenziali, n. 132, luglio-settembre 1996
LA STORIA DI CHIARA
ENZO E MONICA QUIRICO
Sono ormai quasi dieci anni che
Chiara è diventata nostra figlia e di cose ne sono accadute molte, forse
troppe, per poter in qualche modo essere esposte organicamente. Quella che segue
è una breve riflessione su quanto è accaduto, sperando che possa essere di
aiuto a chi, come noi, crede nella possibilità di offrire concretamente a
tutti i bimbi ciò che di diritto spetta loro: una famiglia in cui essere amati.
Chiara è ipovedente, soffre di
gravi problemi di salute legati a una malformazione congenita, il che comporta
lunghi periodi di ospedalizzazione spesso anche più volte durante l'anno, con
interventi chirurgici molto lunghi e complessi e queste soste forzate innescano
ogni volta periodi di agitazione, di angoscia, che sfociano in veri e propri
conflitti con noi, con suo fratello e con se stessa. È difficile descrivere che
cosa passi nel profondo di una persona quando si decide di affrontare una
situazione come questa, ma ci proveremo.
Adottare Chiara non è un'idea
nata così dal nulla, seguendo l'emotività, o semplicemente il desiderio di fare
qualcosa per gli altri; al contrario è stata una decisione che si è formata
nel corso di tutti gli anni precedenti, a partire dagli anni delle scuole
superiori, anni di impegno politico e sociale, anni che ci ponevano di fronte
a drammi più grandi di noi, anni di piombo, anni dove bisognava decidere se
lasciarsi vivere o riflettere su quanto accadeva intorno a noi, accettare
passivamente o giudicare gli avvenimenti, schierarsi, avere il coraggio di
sbagliare, e così divenne un'abitudine vivere con passione, riflettere,
discutere... e anche la componente di fede ha avuto la sua parte, che per molti
è stata giudicata ed interpretata negativamente, ma non importa.
Quando venimmo a conoscenza, per
puro caso, della situazione di Chiara, ricoverata da diversi mesi in
ospedale, ci mettemmo in contatto con i servizi sociali da cui dipendeva la
bambina ponendoci come disponibili ad una adozione (avevamo già inoltrato domanda
di adozione e dichiarato genericamente di accettare situazioni particolari o a
rischio giuridico).
Fummo messi al corrente della
reale situazione clinica e delle possibilità, per il futuro, di portare
Chiara ad una vita normale; ci fecero vedere la bambina ed iniziò una delle
settimane più tormentate che abbiamo mai vissuto; decidere non era semplice e
comunque, nel profondo di noi stessi avevamo già deciso, ma le argomentazioni
che chi ci circondava portava contro questa scelta erano molto pesanti e
comunque andavano affrontate.
Le preoccupazioni più grandi
venivano espresse per nostro figlio Francesco che, all'epoca aveva tre anni e
mezzo, e tutti si preoccupavano delle sue reazioni, di che cosa avrebbe patito,
se avrebbe accettato e capito quello che stava per accadere.
Ma dove sta la differenza tra
una bimba portatrice di handicap adottata e una biologica? Solamente nel
fatto di aver cercato questa situazione? Ma quando si desidera un figlio lo si
ama per quello che è, così come è, senza chiudere gli occhi sui problemi ma
senza gridare alla sventura.
Altre preoccupazioni vennero
espresse per il lato economico della cosa, e queste devo dire si sono rivelate
decisamente concrete, ma fino ad oggi i servizi sociali si sono dimostrati
molto disponibili nell'aiutarci a sostenere le forti spese che comportano le
cure di Chiara scegliendo anche posizioni di frontiera in modo molto deciso.
La cosa più difficile è stata,
ed è tuttora, dare una famiglia normale a questa bimba, che conduce una vita
normale come tutti, e che fa esattamente come tutti gli altri bambini, con
qualche svantaggio, a volte grosso, ma che è trattata come gli altri, chiedere
cioè semplicemente di essere noi trattati come tutti, e non come marziani, e
Chiara di ottenere le possibilità che hanno tutti.
Le reazioni di chi ci circonda
sono state molto sconcertanti. Alcuni amici, inaspettatamente e di cui non
avremmo mai pensato possibile una simile reazione, hanno espresso giudizi
molto pesanti e anche decisamente cattivi, altri che sembravano molto più
superficiali e che avevano spesso manifestato disagio nell'affrontare il mondo
dell'handicap, sono stati molto comprensivi, profondi nel giudizio e ci hanno
aiutato nei momenti più difficili.
Questo è molto importante, e lo
vogliamo sottolineare: non bisogna lasciare soli chi come noi sceglie di
essere coinvolto in prima persona in questi problemi; nelle cose più banali per
vivere la quotidianità è molto più utile, sapere di poter contare sull'amico X
a cui affidare i bambini qualche ora per stare insieme come coppia, che non la
solidarietà a parole, gli elogi, ecc.
Anche le istituzioni, i servizi
sociali, devono sostenere le famiglie che decidono di affrontare adozioni
difficili, occorre che la legge sull'adozione sia applicata nei suoi
intendimenti più profondi, che la disponibilità di chi è disposto a prendersi
carico di quei bambini, che molti non vogliono, non sia vanificata, che
l'aspetto economico, in questi casi molto pesante da sostenere, sia
pianificato e non diventi uno scoglio insuperabile, che non sia solo la buona
volontà degli operatori a far funzionare le cose, che si facciano leggi che
favoriscano il reale inserimento nella società dei portatori di handicap, in
poche parole che la solidarietà non sia spettacolo, ma concretezza.
Per concludere vorremmo
esprimere alcune brevi considerazioni che sono un po' il concentrato di questa
esperienza.
Una amara constatazione da fare,
che in questi anni abbiamo vissuto in prima persona, è che noi abbiamo spesso
trovato molte porte aperte, molte persone disposte ad aiutarci e starci vicino,
perché avevamo fatto una scelta coraggiosa, ma chi l'handicap non lo ha scelto,
lo deve vivere anche se non lo vuole, spesso è lasciato solo a lottare contro
la burocrazia, le leggi non chiare, i mille cavilli nell'applicare le
normative, e di fronte a queste persone noi sentiamo un profondo disagio e,
spesso, proviamo vergogna per ciò che devono subire.
La seconda considerazione è che
alla maggioranza delle persone interessa lo spettacolo, la notizia, il tuo
privato, i "fatti tuoi", e dopo che hanno saputo, visto, giudicato
tutto ciò che serviva a soddisfare la loro stupidità, non muovono più neanche
un dito, e si limitano al solito commento idiota: «Che disgrazia! Povera
bambina!» ed in questo giornali, riviste, televisione facciano il loro mea
culpa.
Un giorno, si parlava e si
discuteva di handicap, adozioni, affido, un amico ci fece vedere una
fotografia di alcuni ragazzi scouts che giocavano tutti insieme; tra di loro,
ci disse, c'è un bambino gravemente handicappato ma, nonostante la figura
fosse molto grande e nitida, era impossibile distinguerlo dagli altri: erano
solo dei ragazzi che giocavano felici.
Questo è l'augurio che ci facciamo e che facciamo a
tutti i genitori che vivono l'handicap.
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