Prospettive assistenziali, n. 115, luglio-settembre 1996

 

 

L'ANFFAS, LE LEGGI VIGENTI E IL "DOPO DI NOI"

 

Come è stato documentato nel volume "Han­dicap: oltre la legge quadro - Riflessioni e pro­poste" (1), sono rimaste in vigore disposizioni (una risale addirittura al secolo scorso) in base alle quali i Comuni devono assicurare, se ne­cessario immediatamente, il ricovero in comuni­tà alloggio o in istituto delle persone prive di so­stegno familiare e non in grado di provvedere autonomamente a se stesse (2).

 

L'obbligo di assistenza dei Comuni

Infatti, il regio decreto 19 novembre 1889 n. 6535 stabilisce l'obbligo dei Comuni in materia di ricovero degli inabili al lavoro. In base all'art. 2 dello stesso regio decreto «sono considerate co­me inabili a qualsiasi lavoro proficuo le perso­ne dell'uno e dell'altro sesso, le quali per infermi­tà cronica o per insanabili difetti fisici o intellet­tuali non possono procacciarsi il modo di sussi­stenza».

In secondo luogo ricordiamo che l'art. 154 dei regio decreto 18 giugno 1931, n. 77 "Testo uni­co delle leggi di pubblica sicurezza", ancora in vigore, richiamandosi al sopra citato regio de­creto 6535/1889, recita quanto segue: «Le per­sone riconosciute dall'autorità locale di pubblica sicurezza inabili a qualsiasi proficuo lavoro e che non abbiano mezzi di sussistenza né parenti te­nuti per legge agli alimenti e in condizioni di po­terli prestare (3) sono proposte (...) per il rico­vero in un istituto di assistenza o beneficenza del luogo o di altro Comune (...)».

A sua volta l'art. 91 del regio decreto 3 marzo 1934 n. 383 stabilisce l'obbligo dei Comuni di provvedere al «mantenimento degli inabili al la­voro».

Inoltre la Costituzione sancisce al lo comma dell'art. 38 che «ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha dirit­to al mantenimento e all'assistenza sociale» (4).

In buona sostanza i Comuni sono obbligati ad assistere gli handicappati minorenni e adulti pri­vi di sostegno familiare. Se i Comuni non prov­vedono, compiono un reato (5).

 

L'ANFFAS e la Comunità La Torre

Non si comprende, quindi, per quale motivo molte associazioni di tutela delle persone con handicap e tra queste I'ANFFAS, non pretenda­no l'attuazione della normativa vigente, ricerchi­no spesso soluzioni che deresponsabilizzano le istituzioni (come, ad esempio, la gestione diretta di servizi) e orientino in modo sbagliato i propri associati.

AI riguardo continuiamo a ritenere fuorvianti i motivi addotti dall'ANFFAS per la costruzione della Comunità La Torre a Rivarolo (Torino) (6), a proposito della quale il notiziario dell'Aniep (As­sociazione nazionale invalidi di poliomielite e al­tri invalidi civili) ha giustamente sostenuto che «non c'è dubbio che l'iniziativa dell'ANFFAS (As­sociazione nazionale famiglie di fanciulli e adulti subnormali), per le sue implicazioni culturali e sociali, si pone in una logica di gestione separata e privatistica dei bisogni e dell'handicap, cosa che contrasta complessivamente con la cultura dell'integrazione e del coordinamento fra pubbli­co e privato. L'esperienza di molti paesi ha dimo­strato che il creare spazi propri e protetti per specifici gruppi (handicappati, anziani, devianti), se da un lato aiuta a risolvere problemi urgenti ed emergenti, dall'altro determina dinamiche di esclusione quasi sempre irreversibili, proprio perché viene definito uno spazio topologico e psicologico separato, lontano dalla responsabili­tà e dal coinvolgimento dei cittadini».

Certamente, l'iniziativa è sorta sotto l'assillo dell'urgente sistemazione degli handicappati in­tellettivi orfani o comunque privi di sostegno familiare. Ma, se I'ANFFAS si fosse orientata ver­so la creazione di comunità alloggio sparse sul territorio, con una spesa inferiore avrebbe otte­nuto risposte concrete più rapide e valide.

Auspichiamo l'approvazione, a nostro avviso urgentissima, di una legge che vieti la costruzio­ne e il riconoscimento di nuovi istituti di assi­stenza, e incentivi la realizzazione di comunità alloggio per gli handicappati minori e adulti. Ri­teniamo inoltre che le residenze sanitarie assi­stenziali (RSA) dovrebbero essere destinate es­clusivamente agli anziani malati cronici non au­tosufficienti e non agli handicappati adulti o mi­norenni come è previsto da provvedimenti ap­provati da alcune Regioni (Lazio, Veneto, ecc.).

 

II secondo lotto di Rivarolo

Attualmente la struttura di Rivarolo, di proprie­tà della Fondazione ANFFAS "Dopo di noi", com­prende 3 comunità con una trentina di utenti provenienti da varie zone del nostro paese (7) e un centro diurno frequentato da una decina di soggetti handicappati esterni alla struttura.

Nella struttura di Rivarolo c'è la disponibilità, previ consistenti lavori di ristrutturazione, di 2.500 metri quadrati. La Fondazione "Dopo di noi" ha deciso di ricavarvi 30 alloggi mono e bi­locali, da cedere al o ai genitori con un figlio handicappato al prezzo di L. 1.500.000 al metro quadrato. II valore delle 30 unità abitative varia da 65 a 165 milioni.

I genitori non acquistano la proprietà degli ap­partamenti, ma solo il diritto di abitarli. Per otte­nere questo diritto, devono versare il 50% del prezzo dell'alloggio; un altro 50% deve essere depositato a favore della Fondazione quale pre­stito infruttifero, che verrà restituito agli eredi alla morte degli aventi diritto.

La Fondazione rientra nella piena disponibilità dell'alloggio alla morte dei genitori. Pertanto l'alloggio stesso può essere venduto dalla Fon­dazione ad altri genitori con un figlio handicap­pato.

Le condizioni stabilite dalla Fondazione pre­vedono inoltre che, per il pagamento della retta

relativa alla frequenza del centro diurno e per l'ospitalità nella struttura residenziale, è neces­sario che i genitori prendano accordi con gli enti di provenienza degli utenti al fine di stipulare ap­posite convenzioni.

 

Le riserve dell'USL 9 e del Comune di Rivarolo

In merito al progetto dell'ANFFAS, il Direttore generale dell'USL 9 e il Sindaco di Rivarolo in data 14 giugno 1995 hanno inviato alla Fonda­zione ANFFAS "Dopo di noi" la seguente lettera:

«A conoscenza del progetto di cui all'oggetto, pubblicato in "La Rosa Blu", n. 2, marzo-aprile 1995, riteniamo di dover far presenti le seguenti considerazioni:

1. stanti le modalità di ingresso negli attuali presidi, definite come a Voi noto, dall'accordo convenzionale con l'USL competente per territo­rio, non si ritiene che da parte Vostra sia possibi­le dare la "garanzia che il proprio figlio rimasto orfano sarà ospitato presso la Comunità La Tor­re" (vedi testo del progetto) o più precisamente ancora dare "al genitore o ai genitori, la certezza che alla loro morte, il figlio sarà ospitato presso uno dei 3 presidi socio-assistenziali già funzio­nanti" (vedi testo dell'art.). Il "nuovo presidio già appositamente allestito, di 10 posti letto" non ri­sulta esistere, né risulta che sia stata inoltrata una richiesta di autorizzazione in merito;

2. attualmente non esiste nella struttura di Ri­varolo alcun posto libero nelle residenze autoriz­zate, contrariamente a quanto affermato nel pro­getto inviato ai soci, cosa che può creare aspet­tative non reali nelle famiglie rispetto all'acco­glienza dei propri figli nelle comunità stesse;

3. problema della copertura delle spese da parte degli Enti locali (vedi testo del progetto). Occorre fare presente che il trasferimento delle eventuali famiglie nella struttura citata in oggetto avverrà, come specificato anche dai vostri testi, per motivi assistenziali. Le stesse, pertanto, sulla base della normativa vigente, manterranno il do­micilio al soccorso presso le località originarie, indipendentemente dall'acquisizione in loco della residenza anagrafica. Ciò significa che gli enti lo­cali scriventi non potranno accollarsi le spese di assistenza e/o delle rette. Le persone interessate dovranno perciò garantirsi prima dell'arrivo in loco, la copertura finanziaria da parte degli Enti locali di provenienza, per tutto il periodo della lo­ro permanenza, che si ipotizza a vita.

«In sostanza la decisione degli Enti in indirizzo rende operativa una situazione complessa, di con­centrazione di persone handicappate, non realiz­zabile se non con la dimensione degli attuali ospiti dei presidi, non concordata con gli Enti locali, né prevista nella programmazione degli stessi.

«In considerazione di quanto affermato sopra, si richiede che detta situazione sia resa nota ai possibili acquirenti nella fase in cui gli stessi de­cidono l'eventuale ingresso nel progetto e che compaiano negli atti di compravendita le condi­zioni complessive in cui essa si colloca».

 

Una proposta

Mentre le soluzioni private sono irte di difficol­tà a causa dei gravosi oneri economici, i Comu­ni, come abbiamo visto, sono obbligati fin dal secolo scorso ad assicurare assistenza agli handicappati privi di sostegno familiare, che non sono in grado di provvedere autonomamente a se stessi.

Proponiamo pertanto all'ANFFAS, alle altre associazioni di tutela delle persone con handi­cap, ai gruppi di volontariato e alle organizzazio­ni sociali e culturali interessate una campagna diretta ad ottenere dai Comuni singoli o asso­ciati la creazione di:

- centri diurni di circa 20 posti per gli handi­cappati intellettivi di età superiore ai 15 anni che, a causa della gravità delle loro condizioni psico-fisiche, non sono in grado di svolgere al­cuna attività lavorativa. Ciò al fine di fornire le necessarie prestazioni ai soggetti stessi favo­rendone la loro permanenza in famiglia;

- comunità alloggio aventi al massimo 10 po­sti, inserite in modo sparso nel normale conte­sto abitativo per tutte le persone minorenni o adulte che necessitano di questa modalità di in­tervento (8).

Riteniamo, in via di prima approssimazione, che ogni 30 mila abitanti debbano essere realiz­zati un centro diurno ed una comunità alloggio.

Da parte nostra ci impegnamo a sostenere con tutte le forze l'iniziativa e a promuoverne l'appoggio da parte dei numerosi gruppi con i quali siamo in contatto in Piemonte e nelle altre regioni italiane.

 

(1) II volume può essere richiesto versando il prezzo di copertina (L. 26.000) sul ccp n. 25454109 intestato a Associazione Promozione sociale, Via Artisti 36, 10124 To­rino.

(2) Se si tratta di persone non autosufficienti a causa di malattie in atto o per esiti ~i patologie, deve provvedere il Servizio sanitario nazionale.

(3) In base alle leggi vigenti gli enti pubblici non posso­no pretendere contributi dai parenti, compresi quelli tenuti agli alimenti, di assistiti maggiorenni.

(4) Com'è noto, le funzioni assistenziali sono state attri­buite alle Regioni (compiti legislativi) e ai Comuni (funzioni operative) dal DPR 24 luglio 1977 n. 616. Si vedano in par­ticolare gli artt. 22 e seguenti.

(5) L'art. 591 del codice penale stabilisce: «Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ov­vero una persona incapace, per malattia di mente o di cor­po, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stes­sa, e della quale abbia la custodia o debba averne cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni (...). La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte (...)». A sua volta l'art. 328 del codice penale prevede quanto segue: «Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pub­blico servizio che indebitamente rifiuta, omette o ritarda un atto dell'ufficio o del servizio, è punito con la reclusione fino a un anno e con la multa fino a Lire 400.000».

(6) Sulla Comunità La Torre, già denominata "Villaggio del subnormale", si vedano gli articoli pubblicati su Pro­spettive assistenziali: "Lager con tripli servizi", n. 24, otto­bre-dicembre 1973; "No al villaggio del subnormale di Ri­varolo", n. 70, aprile-giugno 1985; "II villaggio del subnor­male di Rivarolo: la montagna (di denaro e di arroganza) partorisce un topolino", n. 71, luglio-settembre 1985; "An­cora documenti e notizie in merito al villaggio ANFFAS di Rivarolo", n. 72, ottobre-dicembre 1985; "Inaugurato il vil­laggio del subnormale di Rivarolo - Un esempio di spreco del pubblico denaro", n. 80, ottobre-dicembre 1987.

(7) Ovviamente la concentrazione di comunità determi­na gli stessi negativi effetti di un istituto di ricovero avente uguale capienza complessiva. La provenienza da zone an­che lontane è un altro fattore di deresponsabilizzazione dei Comuni tenuti ad intervenire che si limitano a pagare le ret­te, anziché organizzare servizi in loco.

 (8) Per quanto riguarda le concrete possibilità di realiz­zazione, si veda l'articolo "Norme in materia di apparta­menti e comunità alloggio per persone e nuclei familiari in difficoltà", in Prospettive assistenziali, n. 109, gennaio-mar­zo 1995. Alcune indicazioni contenute nel suddetto artico­lo possono valere anche per i centri diurni, ad esempio per quanto concerne l'utilizzo dei patrimoni delle IPAB, ex IPAB e di altri enti (ECA, ONMI, ENAOLI, ecc.) che sono stati tra­sferiti ai Comuni.

 

 

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