Prospettive assistenziali, n. 115, luglio-settembre 1996

 

 

Notiziario dell'Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale

 

 

DESTINO DEGLI EMBRIONI UMANI E DIRITTI DEI 40 MILA MINORI RICOVERATI IN ISTITUTO

 

Riportiamo integralmente la lettera aperta indi­rizzata il 2 agosto 1996 dal Presidente dell'UL­CES ai Direttori dei quotidiani.

 

«Nei giorni scorsi si è molto parlato del desti­no futuro degli embrioni umani: sono scesi in campo teologi, giuristi, medici, per esprimere le loro diverse opinioni.

«L'ULCES non intende entrare nel dibattito ma vorrebbe richiamare l'attenzione loro e dei lettori sui 40 mila bambini ricoverati in istituto, che pur­troppo non vedono rispettato il loro fondamenta­le diritto a crescere in una famiglia che li ami, e li accompagni nella loro crescita fino all'autono­mo inserimento nella società.

«Le conseguenze negative della istituzionaliz­zazione sono note da decenni. Quasi tutti i 35-40 mila minori ricoverati in istituti di assisten­za non sono in situazione di abbandono da par­te dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi e quindi non sono dichiarati in stato di adottabi­lità.

«La stragrande maggioranza dei minori rico­verati in istituto potrebbe ritornare in famiglia se fossero forniti dagli enti pubblici i necessari in­terventi socio-economici; per altri fanciulli oc­correrebbe provvedere mediante l'affidamento familiare a scopo educativo e, in certi casi parti­colari, tramite comunità alloggio aventi al massi­moi 6-8 posti.

«Gli interventi alternativi - previsti dalla legge n. 184/1983 - sono conosciuti e sperimentati. Aggiungiamo che in base alle nostre esperienze le persone disponibili per l'affido ci sono, man­ca invece spesso l'impegno delle Istituzioni competenti (Parlamento, Governo, Regioni, Pro­vince, Comuni e Usi e magistratura minorile).

«A causa delle inadempienze degli interventi che dovrebbero essere forniti a 40 mila minori è negata la possibilità di una vita in famiglia.

«Chiediamo a tutti di attivarsi per cambiare questa inaccettabile situazione».

 

 

L'UTENTE DOVREBBE PAGARE PER DIRITTI NEGATIGLI

 

Riportiamo la lettera inviata in data 23 maggio 1996 da Francesco Santanera a nome del CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti al Prof. Giovanni Sarpellon, già Responsabile della Commissione nazionale sulla povertà e attual­mente Presidente dell'IPAB "IRE" di Venezia, let­tera a cui finora non è stata data risposta.

 

«Sono estremamente preoccupato per l'inizia­tiva da Lei assunta citando avanti la Pretura di Venezia il Sig. E.S. che, secondo Lei, dovrebbe versare all'IRE L. 42 milioni circa.

«I fatti: il Sig. E.S. dall'età di 8 anni viveva (si fa per dire) in un ospedale psichiatrico; nel 1982 l'Ospedale S. Clemente venne chiuso e, invece di ricercare idonee soluzioni (ad esempio comu­nità alloggio di 8-10 posti) I'ULSS 11 di Venezia ha trasferito presso la Casa di riposo SS. Gio­vanni e Paolo, che - fatto gravissimo - accetta di assistere un soggetto malato. In questo modo I'ULSS nega al Sig. E.S. di essere un malato che deve essere curato dal Servizio sanitario nazio­nale, come è previsto dalle leggi vigenti, e lo in­via ad una struttura di assistenza sociale che, sempre in base alle disposizioni in vigore, non potrebbe svolgere alcuna attività sanitaria.

«Da tenere presente che mentre i cittadini ma­lati hanno diritti concretamente esigibili nei con­fronti del Servizio sanitario nazionale, non ne hanno alcuno nei confronti dell'assistenza so­ciale.

«Perché, a mio avviso, l'IRE ha compiuto un at­to gravissimo. L'IRE è un istituto di assistenza (se era di cura doveva essere trasferito al Servi­zio sanitario nazionale in base alla legge 132/ 1968) che non può e non deve curare malati. Probabilmente l'IRE non è nemmeno in posses­so della preventiva autorizzazione prevista dal Testo unico delle leggi sanitarie (art. 193 della legge n. 1262/1934).

«II giochetto è semplice: l'utente va in assi­stenza, spesso i livelli qualitativi e quantitativi (non sarà il caso dell'istituto da Lei presieduto) sono scadentissimi. I diritti sono zero o giù di lì e dulcis in fundo, l'interessato deve pagare per prestazioni che sarebbero gratuite se fosse a carico del settore sanitario.

«Ma il pagamento (anche se la legge dovreb­be essere rispettata) non è il problema principa­le. È che accettando il principio della incurabilità o scarsa incurabilità degli inguaribili si favorisce la cronicizzazione. Infatti, appena cronicizzato e non autosufficiente, il soggetto è cacciato fuori dagli ospedali.

«Le sarei pertanto molto grato se volesse esa­minare la questione, valutando anche il compor­tamento dei suoi uffici che hanno tentato (cfr. la lettera a T.D. e M.S. - Congiunti del malato) di costringerli a pagare somme non dovute».

 

 

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