Prospettive
assistenziali, n. 115, luglio-settembre 1996
PRESTAZIONI DI ASSISTENZA SOCIALE AGLI HANDICAPPATI
INTELLETTIVI GRAVI CON AUTONOMIA MOLTO LIMITATA (*)
VINCENZA ZAGARIA (**)
Quando i principi sono vitali
Mi
è capitato di essere esclusa da un coro per la mia diversità (1). È certamente
un gesto clamoroso per chi lo riceve e per chi lo compie. Ciò che però viene
trascurato è che ogni reazione al clamore, dovrebbe comportare una riflessione
generalizzata, circa la capacità di radicalizzare le emozioni.
La
forza dell'indignazione dovrebbe essere tale da consentire l'affermazione
duratura dei principi che si sostengono. In altre parole credo che oggi si
debba andare oltre la filosofia dei diritti. II diritto ad
esistere è un messaggio che confonde. Ogni individuo infatti, esiste in quanto
essere vivente e non deve chiedere il "permesso" a nessuno per
continuare ad esistere ed affermare sé, il proprio valore e la propria immagine.
Oltre
i diritti dunque, per l'affermazione di ciò in cui si crede e si ritiene di
dover e poter fare, nel pieno rispetto delle altrui necessità, ma su un piano
di parità tenendo conto delle differenze di ciascuno. La materia di cui
trattiamo oggi certamente solleva problemi molteplici circa il "garantismo"
dei diritti e delle pari opportunità. Gli organizzatori del convegno hanno
diffusamente posto in evidenza la necessità di operare per specificità e dunque
per competenza.
Da
ciò la necessità di esplicitare che oggi parliamo di handicappati intellettivi
e non per esempio di psicotici puri. Questa differenziazione so che fa discutere,
è però necessario accordarci sulle prestazioni e sui servizi che le diverse
patologie richiedono.
La
confusione circa le risposte ai bisogni di fatto può costituire a volte degli
sprechi, a volte dei danni alle persone. Ciò è maggiormente vero in fase
evolutiva.
Handicap e
autonomia
Quando
si parla di handicap (disabilità, minorazione, ecc.) è necessario precisare i
gradi di autonomia potenzialmente conservati in relazione alla patologia
invalidante.
Nella
mia esperienza ho potuto constatare che la gravità degli handicappati
intellettivi è estremamente difficile da definire.
L'approccio
psicodiagnostico, che utilizza strumenti di misurazione su base cognitiva, si è
rivelato sovente infedele.
L'handicap
intellettivo è complesso, in quanto al deficit organico si associa e dunque si
innesta un consistente blocco psicoaffettivo tale da compromettere fortemente
le prestazioni relazionali.
Queste
sono solo alcune delle considerazioni per cui ritengo si debba fare molta
attenzione circa le possibilità che anche gli handicappati intellettivi hanno
di poter lavorare.
Questo
è un argomento delicato in quanto ormai da più parti (alcune associazioni,
alcuni operatori, alcune famiglie) si sostiene la necessità e la validità di
inviare al lavoro anche coloro che hanno una riduzione della capacità lavorativa.
Per
contro sappiamo che altri (datori di lavoro, alcuni sindacalisti, alcuni
operatori, alcuni genitori) ritengono ciò affermazioni di principio e non
certo la necessità e utilità a realizzare percorsi concreti per la
"resa" produttiva di queste persone. Pochi ci credono, le persone
stesse non lo sanno, i genitori sovente sono increduli; però molte sono, ormai,
le testimonianze per poter affermare che non stiamo parlando solo di
"principi".
II
nuovo corso storico ed economico impone severità e razionalizzazione della
spesa pubblica: i nostri principi e le nostre proposte sono assolutamente
coerenti quando chiediamo un lavoro per chi può lavorare e per quanto può lavorare.
La
risposta puramente assistenziale è arcaica e dannosa. Arcaica per quanto già
detto prima; dannosa perché più o meno arbitrariamente e su basi a volte
pseudoscientifiche (è ancora da dimostrare infatti che la Wais per esempio possa
dare lo stesso risultato a fronte di un ipotetico ed identico ritardo
mentale), si traccia un percorso meramente assistenziale invece che .
riabilitativo.
Presumibilmente
questa è una delle maggiori confusioni per cui le pubbliche amministrazioni
relegano ogni intervento per le persone, presunte improduttive, nell'ambito
assistenziale e a volte sanitario. Tale approccio non solo è confondente al
punto da designare percorsi sbagliati per queste persone ma, di fatto,
costituisce un reato ed una grave inosservanza delle leggi dello Stato.
Ogni
cittadino deve, se lo ritiene, poter ottenere l'aiuto in base al tipo di
bisogno: dunque dall'Assessorato e/o Ministero all'istruzione se si tratta di
un bisogno scolastico e dall'Assessorato al lavoro se è un problema
occupazionale, ecc. Cioè si tratta di garantire l'accessibilità al servizi per
competenza, come accade per il resto della popolazione.
In
tal modo si vedrebbe ridotto fortemente il bisogno meramente assistenziale. Ciò
costituisce per altro una garanzia per chi ha effettivamente bisogno di
assistenza a causa di gravi limitazioni dell'autonomia globale.
Sappiamo
che è difficile trovare lavoro, ma questa è una ragione in più per ricordare a
chi conta il numero dei disoccupati: per esempio far comprendere alle società
demoscopiche che tra i disoccupati ci sono gli handicappati con diverse
capacità produttive.
Sappiamo
che molti handicappati fisici non hanno una riduzione della capacità
lavorativa, in quanto la disabilità non si connette con la mansione da
svolgere, ad esempio i lavori intellettivi.
Riabilitazione
degli handicappati intellettivi gravi
Nella
USL in cui ho lavorato precedentemente, è stato formato un gruppo di lavoro
che si occupa della riabilitazione delle persone gravi e meno gravi con ritardi
intellettivi.
Si
lavora, ormai è prassi, ad orientare anche persone con un consistente ritardo e
che oggettivamente (ciò significa aver provato concretamente a farla
lavorare) non possono lavorare garantendo una produttività
"commerciale" nei tirocini e/o esperienze socializzanti a tempo indeterminato.
Ciò
significa che queste persone possono passare nella giornata un tempo nel CST
(2) per attività specifiche se necessarie e un tempo a svolgere un lavoro
idoneo alle capacità presso associazioni diverse (circoli sportivi e
ricreativi, culturali, di volontariato, ecc.) ricevendo in cambio un riscontro
economico seppure simbolico. Ciò rappresenta una conquista significativa per
persone che nella maggior parte d'Italia e per quanto ho potuto vedere in
Europa, salvo alcune eccezioni, sarebbero interamente affidate all'assistenza,
producendo così danni irreversibili alla persona e lievitazioni incalcolabili
dei costi assistenziali.
Si
è potuto, in tal modo, verificare che invece l'approccio riabilitativo
programmato a percorsi è una strada importante e produce sostanziali
cambiamenti.
La
riabilitazione globale comprende come fulcro centrale il pieno coinvolgimento
della famiglia quale principale consulente del programma, riappropriandosi
delle specifiche competenze psico-pedagogiche e psico-affettive.
L'obiettivo
principale rimane dunque quello di garantire, attraverso prestazioni e aiuti
corretti, la qualità della vita.
Sovente
mi sono sorpresa a non comprendere "l'accanimento" di parti della
società "civile", che sostengono il diritto alla vita quando poi poco
o nulla viene fatto, da costoro, per garantire alla vita difesa, pieno diritto
di cittadinanza e di un'esistenza dignitosa, umana.
Vivere
in istituto la propria vita perché si è storti o stupidi è disumano e può
essere certamente paragonato alla consumazione di un crimine psichico lento
ed inesorabile.
Queste
affermazioni non sono solo l'effetto dei mio pathos che agisce per far sentire
le emozioni, ma sono anche i tanti volti di persone che ho incontrato nel mio
lavoro, nella mia vita e che hanno vissuto l'esperienza dell'esclusione e poi
assaporato il gusto, a volte anche amaro e faticoso, della quotidianità nel
mondo di tutti, con tutti e non più separati.
Alcune
esperienze europee
Per
quanto riguarda l'esperienza dei nostri partner
europei, ho compiuto alcune visite in questi due anni in diverse città, e mi
pare di poter rilevare che la differenza sostanziale sta che i bambini
handicappati, salvo qualche eccezione per la Francia e la Spagna, nel resto
d'Europa frequentano la scuola speciale, in alcuni Paesi le classi speciali.
Un
altro aspetto da rilevare è che siamo ancora molto lontani circa il criterio
di omogeneità della definizione di gravità; pertanto la difficoltà maggiore è
concordare sui programmi e dunque sulla destinazione dei fondi per gli handicappati
gravi.
Normalmente
le persone gravi, per noi, sono gravissime in Germania, ecc.
È
invece interessante considerare la molteplicità delle risposte, che in diversi
Paesi si stanno dando, per la formazione professionale (che per ora è ancora
speciale e che tradotta per i colleghi stranieri significa separata), e
l'integrazione al lavoro nel mercato libero.
In Spagna,
molti operatori sono orientati in procedure e programmi simili ai nostri
modelli SIL, anche se la gestione è ancora affidata al Servizio sanitario e
assistenziale.
Nel
Nord Europa ho invece verificato che la famiglia non è ancora considerata parte
importante del processo riabilitativo.
Occorre
ricordare però che ciò è riconducibile al fatto che la famiglia, in quella
società non svolge il ruolo sociale preminente, come nel nostro Paese.
Ricordo
lo scambio avuto con operatori danesi i quali non comprendevano l'importanza
che noi assegnavamo alla famiglia nel programma terapeutico e riabilitativo.
Le
persone con ritardo intellettivo avviate nel mercato libero del lavoro non sono
numerose, anche perché sono ancora pochi i paesi che lavorano in tal senso;
quelli con maggiore esperienza sono in genere i paesi mediterranei: Italia,
Spagna, Portogallo.
AI
Nord ci sono esperimenti interessanti in Irlanda ed in Olanda in particolare.
Mi
scuso per tutto ciò che non conosco e che non ho potuto citare.
Centralità
della famiglia
Dall'approccio generale finora tracciato possiamo
desumere quali possono essere, a mio e nostro avviso, i percorsi e le risposte
da costruire e garantire alle persone gravissime e alle loro famiglie. .
Ribadendo
la centralità del ruolo della famiglia, è necessario organizzare servizi che
aiutino le famiglie a convivere con il problema, il meglio possibile.
Ciò
può avvenire con l'aiuto di una rete pluridisciplinare capace di supportare la
famiglia al momento della comunicazione circa l'handicap intellettivo del
figlio che frequentemente si verifica alla nascita.
Poiché
la famiglia con un figlio handicappato è impossibilitata ad accedere a nuovi
stadi evolutivi, il figlio, se è ritardato intellettivo gravissimo, si
fermerà allo stadio infantile, il sistema famiglia deve dunque interagire con
modalità relazionali ed affettive rigide che non consentono di accedere al
cambiamento, alla sperimentazione delle emozioni nelle età diverse.
Pertanto
la presenza di un servizio di consulenza educativa già dalla nascita può garantire la
costruzione di un percorso corretto, neutralizzando ogni possibile chiusura ed
impossibilità di agire investimenti affettivi, pulsioni emotive e processi di
identificazione e di proiezioni positive.
Dare
invece un'informazione prospettica, e dire che per esempio anche un figlio con
ritardo intellettivo può andare a lavorare,
oppure informare che anche un figlio gravissimo può manifestare
bisogni e che il soddisfacimento di questi lo può rendere felice,
gratificare, ecc., vuol dire stare in una strategia finalizzata davvero al
rispetto di ogni vita, di ogni persona.
È
importante aiutare i genitori a favorire, oltre alla nascita biologica, anche
quella psicologica. M. Mannoni diceva: «...
l'infermità del figlio colpisce
la madre sul piano narcisistico: essa perde repentinamente ogni punto di riferimento identificatorio. Ne consegue, come corollario, la possibilità di
condotte impulsive. Si
tratta cioè del panico di fronte ad una immagine di sé che non si può né riconoscere né amare ... ».
I servizi
indispensabili
Le
istanze di cui sopra vanno tutte concretamente favorite e sostenute; per tanto
è indispensabile il mantenimento, l'ampliamento e la creazione, là dove non
c'è, del servizio di aiuto alla persona che garantisca per i gravi fisici, il
mantenimento di una vita indipendente (si può essere
indipendenti anche stando in un polmone di acciaio, Rosanna Benzi ce l'ha
insegnato) e per i gravi pluriminorati il mantenimento presso la loro casa,
garantendo al resto della famiglia, la possibilità di vivere e di non essere
segregati con il figlio handicappato.
L'altro
anello importante è garantire la scuola dell'obbligo per tutti i bambini,
osteggiando ogni forma subdola di negazione pratica di tale conquista.
Occorre
ricordare sempre che l'insegnante di sostegno è assegnato come supporto per
l'insegnante titolare per facilitare lo svolgimento della didattica in
relazione alle particolari esigenze dei bambini presenti nella classe.
Una
pratica ancora non molto sviluppata è quella dell'affido familiare e
dell'adozione di minori handicappati.
Come
operatore pubblico, so per certo che tra noi (parlo degli psicologi e degli
assistenti sociali) sovente non è considerata positivamente la scelta
di una famiglia che si dispone, pur di soddisfare il bisogno di genitorialità,
ad adottare un bambino handicappato.
È
difficile, per gli operatori, comprendere le dinamiche intrapsichiche che di
fronte ad una mancanza (la sterilità) agiscono nella coppia la scelta di un
bambino handicappato, quale risarcimento psico-affettivo.
Diverse
sono invece le considerazioni circa l'affido visto proprio come disponibilità
transitoria e non così coinvolgente sul piano della identificazione.
Ciononostante
si tratta certamente di una pratica sociale importante e da auspicare, come risposta
concreta, contro il processo di istituzionalizzazione ma, a tale proposito,
ascoltiamo la testimonianza che seguirà dopo il mio intervento.
Quando
ciò non può realizzarsi oppure quando si tratta di adulti che non possono più
contare sulla propria famiglia, per l'età dei genitori o perché questi non ci
sono più, è necessario disporre di comunità alloggio con una disponibilità
massima di 10 posti, in cui sia possibile sviluppare una vita di relazione e
di convivenza accettabile.
Nella
mia esperienza ho potuto constatare che l'affermazione clinica, secondo cui un
soggetto può essere privo di vita di relazione è quasi totalmente opinabile,
in quanto anche persone con gravi ritardi intellettivi possono interagire se
opportunamente stimolati.
Tutti
ci ricordiamo quanto ci hanno detto Spitz, Winnicott e altri.
Se
si impara ad ascoltare i diversi linguaggi, Guerralisi ci ha insegnato a
decodificare la globalità dei linguaggi, scopriamo che davvero molte sono le
potenzialità anche in un corpo gravemente leso.
È
importante crederci e stimolare tutte le potenzialità occulte. È un lavoro che
deve accomunare tutti, famiglia, operatori, ecc.
È
inoltre fondamentale garantire ai gravissimi la frequenza dei centri diurni per
tutta la settimana, con un minor numero possibile di utenti,
al
fine di evitare la massiccia concentrazione di patologie. I centri diurni
devono privilegiare i percorsi riabilitativi e per quanto è possibile
programmare interventi all'esterno della struttura, che dovrebbe essere
utilizzata solo per i momenti di pausa, relax e per qualche attività per i
gravissimi che risentono anche di brevi spostamenti.
Conclusioni
La
riabilitazione dei gravissimi è ancora un ambito affidato alla volontà e
disponibilità di qualche operatore che ha avuto la fortuna di scoprire che chi
non parla, chi ha pochi strumenti interattivi, o non ne ha alcuno, in realtà se
aiutato, compreso ed amato può non solo gratificare chi si impegna per lui, ma
si può scoprire che anche nella gravità esiste il principio della relatività e
dell'opinabile, molto dipende dal valore che assegniamo a ciascuno di noi.
Poiché in presenza dei gravi spesso ci dimentichiamo che essi sono comunque
soggetti dialoganti e non organismi indifferenziati che tanto non possono e
non devono percepire.
Concludo
con un frammento di dialogo riportato da Freud: «Zia parla con me. Ho paura del buio. Ma a che serve? Così non mi vedi lo stesso. Non fa nulla; se
qualcuno parla c'è la luce».
In sostanza se
un handicappato grave può diventare un "oggetto d'amore", ogni
piccola potenzialità può essere recuperata e valorizzata.
(*) Relazione tenuta al convegno "Handicappati intellettivi nell'Europa
del 2000: orientamenti culturali ed esperienze a confronto", Milano
25-26-27 maggio 1995.
(*)
Psicologa.
(1) A causa di un handicap fisico, V. Zagaria si
sposta con una carrozzella.
(2) I CST,
Centri socio-terapeutici, sono strutture diurne per handicappati intellettivi
ultraquindicenni, non inseribili al lavoro a causa della gravità delle loro
condizioni intellettive e fisiche (n.d.r.).
Prospettive
assistenziali, n. 115, luglio-settembre 1996
www.fondazionepromozionesociale.it