Prospettive
assistenziali, n. 115, luglio-settembre 1996
TESTO DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 303/1996
La
Corte costituzionale composta dai signori: Avv. Mauro Ferri, Presidente - Prof.
Luigi Mengoni - Prof. Enzo Cheli - Dott. Renato Granata - Prof. Giuliano
Vassalli - Prof. Francesco Guizzi - Prof. Cesare Mirabelli - Prof. Fernando
Santuosso - Avv. Massimo Vari - Dott. Cesare Ruperto - Dott. Riccardo Chieppa
- Prof. Gustavo Zagrebelsky - Prof. Valerio Onida - Prof. Carlo Mezzanotte,
Giudici, ha pronunciato la seguente sentenza nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt. 6, 30 e 32 della legge 4 maggio 1983, n. 184
(Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), promosso con
ordinanza emessa il 18 novembre 1994 dalla Corte di cassazione, sezione unite
civili, sui ricorsi riuniti proposti dal Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale per i minorenni di Salerno contro Giovanni Battista Crescenzo ed
altra e da Giovanni Battista Crescenzo ed altra contro il Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Salerno, iscritta al n. 238
del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale della
Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visto l'atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del
29 maggio 1996 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.
Ritenuto
in fatto
1.
- Con ordinanza emessa il 18 novembre 1994 nel corso di un giudizio promosso
per attribuire efficacia in Italia, come affidamento preadottivo, ad un
provvedimento di adozione emesso a Maryland (Stati Uniti), la Corte di cassazione,
sezione unite civili, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 31 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto
degli artt. 6, 30 e 32 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina
dell'adozione e dell'affidamento dei minori), nella parte in cui non prevede
che il giudice, nel valutare il requisito della differenza di età tra minore
adottando ed adottante non superiore a quaranta anni, possa tenere conto, quale
circoscritto ed eccezionale motivo di ammissibilità della declaratoria di
efficacia del provvedimento straniero, del superamento di tale limite, da parte
di uno dei coniugi adottanti ma non dell'altro, in misura tale che sia
comunque rispettata la differenza biologica naturale, ovvero ordinaria, tra
genitori e figli (alla quale è ispirata la convenzione europea in materia di
adozione di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e resa esecutiva
con legge 22 maggio 1974, n. 357).
La Corte
di cassazione era chiamata a pronunciarsi, su ricorso sia del pubblico
ministero che dei coniugi adottanti, sul decreto del Tribunale per i minorenni
di Salerno, che, considerato l'interesse preminente del minore, aveva attribuito
efficacia al provvedimento straniero di adozione, calcolando la differenza di
età tra minore ed adottante, prevista dall'art. 6 della legge n. 184 del 1983
e da applicare anche all'adozione internazionale (art. 30 della stessa legge),
non a giorni, ma in base agli anni interamente compiuti dall'adottante. Con la
conseguenza che il limite di quaranta anni, altrimenti superato di soli tre
mesi da uno dei coniugi adottanti, era da considerare rispettato.
La
Corte di cassazione afferma che l'accertamento dei requisiti previsti
dall'art. 6 della legge n. 184 del 1983 è richiesto dall'art. 30 della stessa
legge anche per l'adozione di minori stranieri e comprende, quindi, il
requisito della differenza di età tra coniugi adottanti e minore da adottare.
La specifica fissazione di tale limite in non più di quaranta anni non
consente, secondo il tenore letterale della disposizione, di fare ricorso,
per attribuire efficacia a sentenze straniere di adozione, a valutazioni
diverse, in ipotesi compatibili con in principi di ordine pubblico italiano,
quando sia superato il limite di quaranta anni, ma il divario di età riproduca
la differenza biologica naturale e l'adozione risponda, con certezza,
all'interesse del minore.
Ad
avviso del giudice rimettente, si è in presenza di una disciplina tassativa e
rigida, che non permette in nessun caso di attribuire efficacia al
provvedimento straniero di adozione, in mancanza del requisito della
differenza di età, anche quando vi sia un eccezionale interesse del minore,
pur altre volte considerato nella giurisprudenza costituzionale (sentenze n.
183 del 1988 e n. 44 del 1990) come idoneo a consentire, a seguito di rigoroso
accertamento giudiziale, di superare la rigidità dello sbarramento legislativo.
La
Corte di cassazione ritiene che la disciplina denunciata sia in contrasto con
gli artt. 2 e 31 della Costituzione, perché non permetterebbe al coniuge in
possesso del requisito dell'età di realizzare il diritto alla costituzione
della famiglia adottiva, a causa di una situazione estranea alla sfera dei
propri diritti e doveri, e senza che vi sia un conflitto con i principi di
ordine pubblico. Inoltre ammettere all'adozione anche in questi casi potrebbe
far realizzare il fondamentale interesse del minore e consentirebbe di adempiere
al dovere di solidarietà verso chi versa in stato di abbandono.
La Corte
rimettente prospetta anche la violazione dell'art. 3 della Costituzione, in
quanto il coniuge idoneo ad adottare, sempre che sia tutelato l'interesse del
minore, sarebbe posto, a parità di condizioni personali, in posizione di diseguaglianza
rispetto agli altri cittadini.
2.
- È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la
questione sia dichiarata infondata.
L'Avvocatura
ritiene che sarebbe difficile sottrarre le norme denunciate alla censura di
incostituzionalità, se il requisito della differenza di età dovesse essere
inteso ed applicato nel significato rigoroso, attribuito dall'ordinanza di rimessione.
La
questione potrebbe essere, tuttavia, risolta in via interpretativa. È stata,
difatti, già dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, secondo
comma, della legge n. 184 del 1983, nella parte in cui non consente l'adozione
di uno o più fratelli in stato di adottabilità, quando per uno di essi l'età
degli adottanti supera di più di quarant'anni l'età dell'adottando e dalla
loro separazione possa derivare ai minori un danno grave per il venir meno
della comunanza di vita e di educazione (sentenza n. 148 del 1992). La Corte
costituzionale ha, quindi, già ritenuto che il divario di età,
legislativamente previsto, non si pone come così assoluto da non poter essere
ragionevolmente intaccato, in casi circoscritti ed eccezionali, per
consentire l'affermazione di interessi, particolarmente attinenti al minore ed
alla famiglia, che trovano radicamento e protezione costituzionale e la cui
esistenza in concreto sia rimessa al rigoroso accertamento giudiziale.
Ad
avviso dell'Avvocatura, il divario di età vive, nel nostro ordinamento, nei
limiti entro i quali è stata riconosciuta la sua aderenza ai valori costituzionali
di protezione della personalità dei minori. II caso considerato nel giudizio
principale (superamento di appena tre mesi del divario massimo di età da
parte di un solo coniuge) sarebbe compreso nell'ambito di questa
interpretazione, conforme ai principi costituzionali, che consente alla
prudente e ponderata valutazione del giudice di attenuare l'apparente rigidità
nella disciplina del divario di età legislativamente fissato.
Considerato in diritto
1.
- La questione di legittimità costituzionale investe la norma relativa al
divario di età tra coniugi adottanti ed adottato, fissato in non più di
quaranta anni dalla disciplina dell'adozione dei minori. La Corte di cassazione
ritiene che l'art. 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184, che stabilisce tale
requisito, operante anche per l'adozione di minori stranieri in forma degli
artt. 30 e 32 della stessa legge, possa essere in contrasto con gli artt. 2, 3
e 31 della Costituzione. II dubbio di legittimità costituzionale è formulato
per la rigidità della regola, che non consente al giudice di tenere conto,
quale circoscritto ed eccezionale motivo di ammissibilità della dichiarazione
di efficacia del provvedimento straniero di adozione, del superamento, da
parte di uno solo dei coniugi adottanti, del limite di età di quaranta anni tra
adottante ed adottato, in maniera tale che sia comunque rispettata la
differenza biologica naturale ovvero ordinaria tra genitori e figli.
2 -
La questione, prospettata nei confronti del combinato disposto degli artt. 6,
30 e 32 della legge n. 184 del 1983 in un caso che riguarda l'adozione di un
minore straniero, è tuttavia da considerare riferita all'art. 6, secondo comma,
della stessa legge, che stabilisce il requisito, generale e comune tanto
all'adozione nazionale che a quella internazionale, del divario di età tra
coniugi adottanti e minore adottato.
Difatti
il legislatore, nel disciplinare l'adozione dei minori, ha stabilito, tra le
disposizioni generali della legge n. 184 del 1983, alcuni requisiti comuni per
l'adozione, sia quando essa è direttamente disposta dal giudice nazionale, sia
quando, per i minori stranieri, è disposta dallo stesso giudice, ma sul
presupposto di un provvedimento di adozione emesso in altri Paesi e che solo
così può acquistare efficacia in Italia.
L'unificazione
dei requisiti risponde ad un principio al quale si ispira l'intera legge n. 184
del 1983: quello della pari protezione dei minori e quindi della omogeneità di
disciplina sostanziale per la loro adozione, tanto che siano italiani quanto
stranieri, evitando, in danno di questi ultimi, discriminazioni ed abusi
(sentenza n. 536 del 1989).
Questo
principio risponde all'esigenza di una comune e generale salvaguardia della
personalità e dei diritti del minore, e trova fondamento nella garanzia
costituzionale della dignità della persona e nella speciale protezione
dell'infanzia (artt. 2 e 31 della Costituzione). II medesimo principio ispira
le norme internazionali che richiedono, per l'adozione all'estero, garanzie e
norme equivalenti a quelle previste per l'adozione internazionale (art. 21
della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre
1989, resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176).
Tra
i requisiti comuni alle due forme di adozione, nazionale ed internazionale,
l'età degli adottanti, rispetto a quella degli adottandi, ha un rilievo non
secondario. Essa è presa in considerazione anche dalla convenzione europea in
materia di adozione di minori, che prevede la regola generale di una
differenza di età, tra adottante e adottato, non diversa da quella che
intercorre di solito tra genitori e figli (art. 8 della convenzione di
Strasburgo firmata il 24 aprile 1967, resa esecutiva con legge 22 maggio 1974,
n. 357).
L'adozione di
minori è, difatti, destinata a far cessare ogni rapporto tra la famiglia di
origine e l'adottato, il quale viene definitivamente inserito nella famiglia di
accoglienza, assumendo in essa la condizione giuridica di figlio legittimo. La
famiglia di accoglienza è chiamata, quindi, ad assolvere una funzione
completamente sostitutiva della famiglia di origine e deve, pertanto, avere
tutti i requisiti di una famiglia nella quale ordinariamente avviene
l'accoglienza della nascita, l'assistenza e l'educazione del fanciullo. Così si
spiega il divario di età tra genitori adottivi e minore adottato, che deve
essere conforme a tale modello.
3 -
II legislatore ha ritenuto, facendo uso della discrezionalità che gli è
propria, di stabilire, sia nel minimo che nel massimo (rispettivamente in
diciotto e quaranta anni), il divario di età tra adottanti e adottando in modo
rispondente alle finalità peculiari dell'adozione legittimante e tenendo conto
delle condizioni sociali nelle quali l'istituto è destinato ad operare.
Non
viene ora posta in discussione la regola, ragionevolmente stabilita dal
legislatore, ma la sua assolutezza, tale da non tollerare eccezione alcuna anche
quando l'adozione risponda al preminente interesse del minore e la specifica
famiglia di accoglienza, giudicata idonea, sia la sola che possa soddisfare
tale interesse, ma sia superato il divario di età rigidamente previsto, pur
rimanendo tale divario compreso in quello che di solito può intercorrere tra
genitori e figli, sicché l'adozione non può essere disposta ed in concreto ne
deriva un danno per il minore stesso.
Questa Corte ha già ritenuto che la regola del divario
massimo di età tra adottante e adottato non può essere così assoluta da non
poter essere ragionevolmente intaccata, in casi rigorosamente circoscritti ed
eccezionali, per consentire l'affermazione di interessi, attinenti al minore
ed alla famiglia, che trovano radicamento e protezione costituzionale, la cui
esistenza in concreto sia rimessa al rigoroso accertamento giudiziale
(sentenza n. 148 del 1992). .
Sotto
questo profilo non viene in considerazione l'interesse dei coniugi ad avere
figli legittimi di derivazione adottiva. Né, per gli aspetti considerati, il
limite di età stabilito dalla disposizione denunciata per l'adozione di minori
può essere valutato in relazione all'interesse ed alla posizione
dell'adottante, giacché l'intero sistema dell'adozione di minori è eminentemente
incentrato sulla valutazione e sulla protezione della personalità e
dell'interesse del fanciullo, alla cui accoglienza è preordinato lo stesso
apprezzamento dell'idoneità della famiglia adottiva, e quindi dei requisiti
richiesti ai suoi componenti.
Occorre,
invece, considerare l'interesse e la protezione del minore, che l'ordinanza di
rimessione prospetta quali elementi del giudizio di legittimità
costituzionale, facendo riferimento agli artt. 2 e 31 della Costituzione.
4 -
In continuità con la precedente giurisprudenza costituzionale, relativa al
superamento dell'assoluta rigidità delle prescrizioni normative, quanto alla
differenza di età tra coniugi adottanti ed adottando (sentenze n. 183 del
1988, n. 33 del 1990, n. 148 del 1992), deve essere riconosciuta la
possibilità che il giudice valuti, con rigoroso accertamento, l'eccezionale
necessità di consentire, nell'esclusivo interesse del minore, che questi sia
inserito nella famiglia di accoglienza che, sola, può soddisfare tale suo
interesse, anche quando, pur rimanendo nella differenza di età che può
solitamente intercorrere tra genitori e figli, l'età del coniuge adottante si
discosti in modo ragionevolmente contenuto dal massimo di quaranta anni,
legislativamente previsto.
Tuttavia,
affinché non si trasformi in una regola, la cui fissazione è invece rimessa
alla discrezionalità del legislatore, l'eccezione deve rispondere ad un
criterio di necessità in relazione ai principi ed ai valori costituzionali
assunti quale parametro di valutazione della legittimità costituzionale della
disposizione denunciata (artt. 2 e 31 della Costituzione).
Nel
contesto di un istituto preordinato ad assicurare al minore in stato di
abbandono una famiglia di accoglienza idonea ad assolvere pienamente la
funzione di solidarietà propria della famiglia legittima, la necessità della
deroga al criterio rigido del divario di età (fissato dall'art. 6, secondo
comma, della legge n. 184 del 1983) si verifica quando l'inserimento in quella
specifica famiglia adottiva risponde al preminente interesse del minore e
dalla mancata adozione deriva un danno grave e non altrimenti evitabile per lo
stesso.
La
questione è dunque, in questi limiti, fondata.
Per questi
motivi la Corte costituzionale
dichiara
l'illegittimità
costituzionale dell'art. 6, secondo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184
(Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), nella parte in cui
non prevede che il giudice possa disporre l'adozione, valutando esclusivamente
l'interesse del minore, quando l'età di uno dei coniugi adottanti superi di
oltre quaranta anni l'età dell'adottando, pur rimanendo la differenza di età
compresa in quella che di solito intercorre tra genitori e figli, se dalla mancata
adozione deriva un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 18 luglio 1996.
F.to
Mauro Ferri, Presidente; Cesare Mirabelli, Redattore; Giuseppe Di Paola,
Cancelliere
Depositata in
cancelleria il 24 luglio 1996
www.fondazionepromozionesociale.it