Prospettive assistenziali, n. 116, ottobre-dicembre
1996
FACCIAMO IL PUNTO SUI CONTRIBUTI ECONOMICI INDEBITAMENTE RICHIESTI DAGLI ENTI PUBBLICI AI PARENTI DEGLI ASSISTITI MAGGIORENNI
La questione relativa ai contributi
richiesti dagli enti pubblici ai congiunti di assistiti maggiorenni, iniziata
dieci anni or sono dal CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti
e da Prospettive assistenziali (1), dimostra quali e quante siano le difficoltà
incontrate dal volontariato quando chiede che siano rispettate le norme,
approvate dal nostro legislatore, che tutelano i diritti dei cittadini. Queste
difficoltà sono così ardue da superare che spesso sembrano insormontabili.
Precisiamo subito che, mentre
riteniamo giusta - anche per i motivi che esporremo - la normativa vigente che
non consente agli enti pubblici di imporre contributi economici ai parenti di
assistiti maggiorenni, abbiamo sempre sostenuto che gli assistiti devono
partecipare alle spese non solo con i loro redditi, ma - se necessario - anche
con i loro beni patrimoniali, intervenendo altresì - ove è il caso - sul suo
asse ereditario.
Gli iniqui comportamenti della
Regione Piemonte
È interessante tener presente il
comportamento tenuto dalla Regione Piemonte (per altro molto simile a quello
di altre istituzioni) di fronte alla segnalazione del CSA - Comitato per la
difesa dei diritti degli assistiti, confermata - fra l'altro - dagli autorevoli
pareri dei giuristi Massimo Dogliotti e Pietro Rescigno e in un secondo tempo
dal Ministero dell'interno e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (2)
che gli enti pubblici non potevano e non possono pretendere contributi
economici dai parenti, compresi quelli tenuti agli alimenti, di assistiti
maggiorenni:
- 1a fase: la Regione sostiene che la richiesta di contributi è
prevista dalla legge 3 dicembre 1931 n. 1580. Peccato che `la norma suddetta
non sia più in vigore da quasi 20 anni;
- 2a fase: come risulta dalla lettera inviata in data 1° aprile 1994
dall'allora Assessore regionale all'assistenza Emilia Bergoglio
all'Amministratore straordinario dell'USSL 26, la Regione interpreta in modo
fantasioso le vigenti norme di legge e suggerisce, per intimidire i cittadini
rispettosi della legge e per isolare il Comitato per la difesa dei diritti
degli assistiti, l'iscrizione nella cartella esattoriale del presunto (ma
inesistente) credito vantato dall'ente pubblico a seguito del mancato versamento
di contributi da parte dei parenti degli assistiti. Si tratta di una procedura
particolarmente vessatoria (3), in quanto comporta conseguenze gravissime:
- il pignoramento dei beni (mobili,
suppellettili, appartamenti, ecc.) fino al momento dell'emissione
dell'eventuale provvedimento sospensivo dell'autorità giudiziaria a cui si
possono rivolgere le persone interessate;
- le spese legali;
- l'alto livello degli interessi (6% semestrali) di mora;
- 3a fase: l'Assessorato all'assistenza della Regione Piemonte emana
la circolare 23 dicembre 1994, prot. n. 11752/530 in cui
precisa che nessun contributo deve essere richiesto per la frequenza di
centri diurni, qualora il reddito individuale della persona con handicap sia
inferiore al minimo vitale, tenuto conto che l'indennità di accompagnamento
non costituisce reddito. Nella stessa circolare è precisato che ai parenti dei
frequentanti i centri non va chiesto alcun contributo economico.
- 4a fase: rispondendo ad una interrogazione, in data 7 marzo 1996,
l'attuale Assessore regionale all'assistenza, Giuseppe Goglio, ammette che non
vi sono norme di legge che consentano agli enti pubblici di pretendere
contributi economici dai parenti di assistiti maggiorenni. Tuttavia si rifiuta
di inviare una circolare in merito ai Comuni, alle Province e alle 'Usi che
continuano come se nulla fosse a richiedere denaro ai congiunti degli anziani
assistiti (4);
- 5a fase: la Giunta regionale presenta in data 7 maggio 1996 il
disegno di legge n.169 con lo scopo di introdurre una normativa regionale che
consenta la richiesta dei contributi ai parenti degli assistiti
(handicappati, anziani, ecc.). La Giunta, però, non tiene conto che le Regioni
non possono legiferare nelle materie di competenza del Codice civile e cioè nel
campo del matrimonio, della filiazione, dell'adozione, degli alimenti, ecc.
(5);
- 6a fase: gli enti pubblici (Regioni, Comuni, Province, Comunità
montane, USL, ecc.) continuano ad imbrogliare i cittadini. I Comuni di Reggio
Emilia e d'Udine - come vedremo -hanno assunto preoccupanti iniziative
intimidatorie. I sindacati tacciono. Gli operatori dei servizi sanitari e
assistenziali eseguono. Prosegue, però, l'azione del CSA - Comitato per la
difesa dei diritti degli assistiti, di cui segnaliamo le ultime attività
svolte.
Una delibera persecutoria
A seguito di un ricorso presentato
dal CSA, con un provvedimento del 1° agosto 1996, la Sezione Quadrante di
Torino del CORECO ha annullato la deliberazione approvata in data 20 giugno
1996 dall'Assemblea dell'Associazione dei Comuni per la gestione associata
socio-assistenziale dell'ex USSL 27 del Piemonte.
II CORECO ha riaffermato che, non
essendoci leggi che lo consentano, gli enti pubblici non possono imporre
contributi economici ai parenti, compresi quelli tenuti agli alimenti, di
soggetti assistiti maggiorenni. La delibera annullata dal CORECO è il secondo
tentativo messo in atto dall'Assemblea dei Comuni dell'ex USSL 27 per imporre
- fra l'altro in modo chiaramente illegittimo - il versamento di contributi
economici ai congiunti di assistiti maggiorenni.
È di estrema gravità il fatto che l'iniziativa sia stata assunta
nonostante:
- l'annullamento da parte del CORECO
della precedente delibera approvata dalla stessa Assemblea in data 14 novembre
1995 sullo stesso argomento (6);
- la risposta fornita il 7 marzo
1996 dall'Assessore all'assistenza della Regione Piemonte all'interrogazione
presentata dal Consigliere Rubatto, in cui era esplicitamente ammessa la
mancanza di norme che consentano agli enti pubblici di pretendere versamenti
dai parenti di assistiti;
- la presentazione da parte della
Giunta della Regione Piemonte del disegno di legge n. 169 diretto a stabilire
l'obbligo dei contributi parentali. II fatto stesso della presentazione della
suddetta proposta dimostra ancora una volta che l'attuale prassi degli enti
pubblici è illegittima perché non fondata su alcuna legge in vigore.
Uno stratagemma discriminatorio
Per poter superare lo scoglio del
CORECO che, come abbiamo detto; aveva annullato la delibera del 14 novembre
1995, l'Assemblea dei Comuni dell'ex USL 27 ha architettato uno stratagemma.
Invece di prevedere
"I'obbligo" della contribuzione, è stata inserita nella delibera dei
20 giugno 1996 la formula "coinvolgimento dei parenti".
Tuttavia, poiché la nuova parola
rischiava di essere una semplice espressione verbale, il provvedimento
prevedeva due tipi di trattamento: quello più sollecito rivolto agli assistiti
i cui congiunti "volontariamente" (sic!) avevano sottoscritto
l'impegno di versare il contributo richiesto dall'Assemblea dei Comuni e
l'altro, praticamente privo di alcuna garanzia di attuazione, previsto per i
soggetti aventi parenti che - in osservanza alle leggi vigenti - si erano
rifiutati di impegnarsi in pagamenti non dovuti.
In sostanza, la delibera prevedeva
una intollerabile disparità di trattamento fra soggetti aventi uguali esigenze,
nei cui confronti gli interventi venivano differenziati a seconda del
comportamento dei parenti, e cioè di persone estranee all'accertamento della
situazione di bisogno e alle risposte di competenza dell'ente pubblico.
Le
disparità di trattamento riguardavano:
a) la detrazione del 70% degli
importi da erogare al cittadino richiedente l'intervento assistenziale «qualora i parenti tenuti agli alimenti,
invitati per iscritto dai servizi sociali a produrre la documentazione
richiesta, non vi provvedevano». Pertanto se il contributo previsto per
garantire il minimo vitale fosse di 300 mila lire mensili; ne verrebbero
versate solo 90 mila;
b) l'assunzione prioritaria della
retta nei confronti «delle situazioni di
utenti senza parenti tenuti agli alimenti e a quelle ritenute indifferibili», indipendentemente
dalle esigenze dei soggetti e senza definire le condizioni in base alle quali
la situazione era ritenuta indifferibile. Dalla formulazione del paragrafo in
questione, si evinceva anche che non rientravano fra i soggetti a cui era riconosciuta
la priorità degli interventi coloro i cui parenti non avevano sottoscritto
l'impegno di versare contributi.
Altri motivi di opposizione
1. Violato il diritto alla riservatezza personale e familiare. Richiedendo
ai congiunti di un assistito maggiorenne di presentare la documentazione
concernente la propria situazione economica, l'ente pubblico compie due
gravissime violazioni della riservatezza personale e familiare in quanto non
rispetta la privacy:
a) di coloro che richiedono
l'assistenza. Infatti ai congiunti viene segnalata la loro incapacità economica
a provvedere da se stessi alle proprie esigenze (redditi insufficienti per
garantire il minimo indispensabile per vivere oppure per corrispondere la retta
di ricovero in istituti, ecc.);
b) dei parenti stessi, ai quali
viene richiesto di segnalare le proprie condizioni finanziarie. Nella delibera
dell'Assemblea dei Comuni dell'ex USL 27 era addirittura previsto che i servizi
sociali individuassero i parenti non conviventi tenuti agli alimenti, salvo
che il soggetto stesso non richiedesse «espressamente
che i servizi non contattino í parenti tenuti agli alimenti» e quindi
rinunciasse ad una quota dei contributi dell'USL e si ponesse in una
situazione di non priorità. Essi dovevano, inoltre, essere convocati dall'USL
ed essere «invitati ad evidenziare la
propria difficoltà a provvedere totalmente o parzialmente alla corresponsione
degli alimenti al proprio congiunto e produrre la documentazione dei propri
redditi».
È un abuso preoccupante non solo
sotto il profilo della legittimità in quanto si tratta di interferenze non
consentite dalle leggi vigenti, ma anche per quanto concerne la deontologia
professionale dei dirigenti, degli operatori, in particolare degli assistenti
sociali.
Sfera privata e sfera pubblica
In merito agli alimenti, lo Stato
distingue fra la sfera privata e sfera pubblica attribuendo SOLO ai componenti
della famiglia la facoltà di richiedere gli alimenti agli appartenenti allo stesso
nucleo (7).
AI riguardo è significativo che il
1° comma dell'art. 438 del codice civile così si esprime: «Gli alimenti possono essere richiesti SOLO da chi versa in istato di
bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento».
Le leggi vigenti prevedono una
disciplina specifica in materia di intervento dello Stato, disciplina che,
per quanto concerne gli assistiti maggiorenni, è autonoma rispetto alla sfera
familiare.
AI riguardo vi è da osservare -e il
fatto a nostro avviso è di rilevante importanza - che nelle provvidenze
erogate dallo Stato alle persone singole e ai coniugi aventi difficoltà
finanziarie (assegno e pensione sociale, ecc.) mai è stato e viene fatto riferimento
ai parenti tenuti agli alimenti.
Esautorata l'autorità giudiziaria
Gli enti pubblici (Regioni, Comuni,
Province, USL, ecc.) non solo pretendono contributi non dovuti, ma si
attribuiscono indebitamente anche il compito di stabilire gli importi che
devono essere versati dai parenti.
È un'altra inammissibile violazione
delle leggi vigenti. Infatti il 3° comma dell'art. 441 del codice civile
sancisce quanto segue: «Se gli obbligati
non sono concordi sulla misura, sulla distribuzione e sul modo di
somministrazione degli alimenti, provvede l'autorità giudiziaria».
Ricatto inaccettabile
Molto spesso le istituzioni approfittano dei legami affettivi esistenti
tra i componenti dei nucleo familiare in difficoltà non solo per non fornire i
necessari servizi ai soggetti deboli (handicappati intellettivi con limitata o
nulla autonomia, malati psichici gravi e gravissimi, anziani cronici non autosufficienti,
ecc.), ma anche per imporre ai congiunti interventi che le leggi attribuiscono
alla competenza delle stesse istituzioni.
Ad esempio, quasi tutti i primari e
gli assistenti sociali degli ospedali affermano che i parenti di soggetti
colpiti da malattie inguaribili e da non autosufficienza sarebbero obbligati a
provvedere alla loro cura.
Si tratta, invece, di una funzione
affidata al Servizio sanitario nazionale: nessuna legge dello Stato impone ai
congiunti di fornire prestazioni diagnostiche; terapeutiche e riabilitative.
Certo, occorre favorire e
valorizzare le prestazioni parentali nelle cure domiciliari e residenziali,
ma si tratta di un atto volontario di rilevante contenuto etico, non di un
vincolo giuridico.
Le istituzioni non possono e non
devono utilizzare le norme del codice civile concernenti gli alimenti per
scaricare obblighi inesistenti sui congiunti dei soggetti deboli; occorre,
invece, che riconoscano con atti concreti l'importantissimo ruolo sociale (e
non solo umano e familiare) svolto dai congiunti che accolgono a casa loro un soggetto
maggiorenne non autonomo, ruolo che è positivo non solo per le persone in
difficoltà, ma anche per lo Stato consentendogli di risparmiare centinaia di
miliardi all'anno.
Ovviamente l'ente pubblico
(direttamente o tramite enti privati convenzionati) deve continuare a fornire
a livello domiciliare o ambulatoriale le prestazioni necessarie. Ad esempio,
deve garantire le cure sanitarie domiciliari per i giovani, gli adulti e gli
anziani malati cronici non autosufficienti, istituire i centri diurni per gli
handicappati intellettivi non inseribili nel lavoro a causa della gravità delle
loro condizioni psico-fisiche, assicurare il buon funzionamento delle attività
di risocializzazione delle persone con gravi disturbi psichiatrici.
Le intimidazioni dei Comuni di
Reggio Emilia e di Udine
Per costringere i parenti di
assistiti a versare contributi non dovuti, il Comune di Reggio Emilia invia una
lettera in cui viene richiesta la «documentazione
idonea ad attestare il reddito di ogni
singolo componente del nucleo familiare».
In particolare, occorre presentare l'ultimo 740 o 730, lo stato di famiglia dei
congiunti non residenti a Reggio Emilia e, per le persone non tenute alla
compilazione della dichiarazione dei redditi, copia dei modelli 101 o 201
attestanti i compensi percepiti o copia dei certificati relativi alle pensioni
riscosse.
Nella lettera è, inoltre, precisato
che «al momento della presentazione
della documentazione, al familiare verrà richiesto di sottoscrivere una dichiarazione
attestante che il degente non ha proceduto all'alienazione di uno o più
immobili a partire dal 1986».
Infine il Comune di Reggio Emilia
minaccia i congiunti con le seguenti parole: «Qualora la documentazione richiesta non venga presentata nei termini
precedentemente fissati, da tutti o da una parte dei familiari, d'ufficio si
dovrà procedere, indipendentemente dal reddito, a richiedere le somme dovute
dai familiari inadempienti, calcolando a loro carico I'intera spesa di
mantenimento, al netto delle somme versate direttamente dal degente in conto
retta; tale differenza verrà quindi fatturata sistematicamente
all'interessato, provvedendo successivamente all'iscrizione al ruolo nel caso
in cui non si provveda regolarmente al pagamento. Parallelamente
all'iscrizione al ruolo, si rende noto che si provvederà a revocare
l'impegnativa di pagamento comunicando contestualmente, oltre che ai familiari
interessati, la revoca dell'impegnativa alla casa di riposo ove il degente è
ospite».
Analogo il tono intimidatorio usato
dal Comune di Udine nei confronti di una figlia che aveva segnalato i motivi
giuridici in base ai quali riteneva di non dover più versare alcun contributo
per il ricovero della madre: «Si
preavvisa sin d'ora che - non ottemperando alle disposizioni impartite -
questa Amministrazione si vedrà costretta, suo malgrado, a revocare
immediatamente l'ordinanza di ricovero a suo tempo emessa nei confronti
dell'istituto..., ordinando nel contempo la dimissione della familiare di cui
sopra e non accollandosi più le rette di ricovero fruite dalla medesima
presso l'istituto stesso, dando avvio alla procedura legale nei Suoi confronti
per il recupero del credito vantato da questa amministrazione comunale».
Dunque, i Comuni di Reggio Emilia e
di Udine (8) non solo pretendono contributi non previsti da nessuna legge dello
Stato, ma esercitano un odioso ricatto sui congiunti di persone gravemente
malate e non autosufficienti, aventi, fra l'altro, diritto alle cure sanitarie
gratuite.
Chiediamo ai Sindaci di Reggio
Emilia e di Udine in base a quali principi etici o giuridici possono
sospendere, a causa di presunte mancanze dei familiari di loro assistiti, le
prestazioni indispensabili per la sopravvivenza di persone totalmente
dipendenti.
I cittadini malati (e quelli in
situazioni di bisogno) hanno diritto agli interventi sanitari (e/o a quelÌi
assistenziali) indipendentemente dal comportamento dei loro congiunti
(genitori; figli, fratelli e sorelle, ecc.).
Se i Sindaci ritengono che i parenti
abbiano violato la legge (il che nei casi presi in esame non è assolutamente
vero), si rivolgano all'autorità giudiziaria.
Amministrare significa anche, se non
soprattutto, rispettare le esigenze ed i diritti dei cittadini, in particolare
di quelli che non sono in grado di autodifendersi.
I ricatti non rientrano fra i compiti degli enti pubblici.
Evidentemente, gli Amministratori delle
Regioni, dei Comuni, delle Comunità montane, delle Province e delle USL
possono richiedere al Parlamento l'approvazione di una legge che consenta agli
enti pubblici di pretendere il versamento di contributi economici da parte dei
parenti di assistiti. AI riguardo si ricorda che, ai sensi dell'art. 121 della
Costituzione, i Consigli regionali possono presentare proposte di legge alle Camere.
(1) Su Prospettive assistenziali sono stati
pubblicati i seguenti articoli del Prof. Massimo Dogliotti: "Obbligo
alimentare e prestazione assistenziale", n. 72, ottobre-dicembre 1985;
"Illegale l'imposizione da parte degli enti assistenziali di contribuzioni
economiche ai parenti tenuti agli alimenti", n. 81, gennaio-marzo 1988;
"Gli enti pubblici non possono pretendere contributi economici dai parenti
tenuti agli alimenti di persone assistite", n. 87, luglio-settembre 1989.
Si vedano inoltre: "Gli enti pubblici non possono pretendere contributi
economici dai parenti di handicappati intellettivi maggiorenni", n. 104,
ottobre-dicembre 1993; "Enti pubblici: non imbrogliate i parenti degli
assistiti", n. 105, gennaio-marzo 1994; "Contributi economici per la
frequenza di centri diurni da parte di handicappati intellettivi adulti",
n. 107, luglio-settembre 1994; "È confermato: i parenti degli assistiti
maggiorenni non sono obbligati a versare contributi economici agli enti
pubblici", n. 108, ottobre-dicembre 1994; "II Consiglio regionale
della Lombardia riconosce che gli enti pubblici non possono pretendere contributi
economici dai parenti di assistiti", n. 109, gennaio-marzo 1995. Si veda,
inoltre, il volume di Massimo Dogliotti, Doveri familiari e obbligazione
alimentare, Giuffrè Editore, Milano, 1994.
Segnaliamo, altresì, il prezioso lavoro in
materia svolto dall'UTIM, Unione Tutela Insufficienti Mentali.
(2) Cfr. le note del Ministero dell'interno
del 27 dicembre 1993, prot. 12287/70 e della Presidenza del Consiglio dei
Ministri del 15 aprile 1994, prot. DAS/4390/1/H/795 e dei 20 ottobre 1995,
prot. DAS/13811/1/H/795.
(3) Cfr. "Iniziativa gravemente
intimidatoria del Comune di Torino", Prospettive
assistenziali, n.110, aprile-giugno 1995.
(4) Cfr. "Anche
la Regione Piemonte riconosce che i parenti degli assistiti non sono tenuti a
versare contributi economici, ma...", Ibidem,
n. 114, aprile-giugno 1996.
(5) Cfr. Massimo
Dogliotti, "Poteri delle Regioni in materia di contributi economici
richiesti ai parenti degli assistiti", ibidem,
n. 115, luglio-settembre 1996.
(6) Cfr. "II
CORECO conferma che gli enti pubblici non possono pretendere contributi
economici dai parenti degli assistiti", ibidem, n. 113, gennaio-marzo 1996.
(7) Ai sensi
dell'art. 433 del codice civile «all'obbligo
di prestare gli alimenti sono tenuti, nell'ordine: 1) il coniuge; 2) i figli
legittimi o legittimati o naturali o adottivi, e, in loro mancanza, i
discendenti prossimi, anche naturali; 3) i genitori e, in loro mancanza, gli
ascendenti prossimi, anche naturali; gli adottanti; 4) i generi e le nuore; 5)
il suocero e la suocera; 6) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con
precedenza dei germani sugli unilaterali».
(8) Segnaliamo che,
con nota del 18 settembre 1996, prot. 2667/1.3.16, il direttore del Servizio
affari giuridici della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha sostenuto quanto
segue: «1. La domanda per gli alimenti va
inoltrata formalmente dall'assistito ai suoi parenti nell'ordine indicato dal
codice civile; 2. È infondata la pretesa dell'ente pubblico di determinare la
quota degli alimenti, la quale, in mancanza di accordo, va determinata dal
giudice».
www.fondazionepromozionesociale.it