Prospettive assistenziali, n. 116, ottobre-dicembre
1996
Libri
ANDREA
CANEVARO, Quel bambino là... Scuola
dell'infanzia, handicap e integrazione, "Collana Didattica viva, Guide
per gli asili nido e la scuola materna (diretta da Piero Bertolini)",
Firenze, La Nuova Italia, 1996, pp. 170, L. 18.000.
II libro, collocato correttamente in tale collana,
presenta tuttavia la sua piena validità formativa anche al di là di tali limiti
istituzionali.
Questo è evidente fin dalla introduzione con cui si
apre, "Sui bambini oggi, per capire
una realtà complicata": una riflessione di ampio orizzonte e di acuta
sensibilità, che definire socioeducativa è limitante, svolta su temi di
estrema attualità e carichi di conseguenze sul futuro dei bambini: fra gli
altri, lo sviluppo divaricante nei vari Paesi, progresso e sottosviluppo,
privato e pubblico, tendenze selettive e localismi egoistici, difesa di
privilegi e aperture al mondo...
II primo capitolo sostiene un cambiamento doveroso:
il passaggio "dalla cultura
dell'handicap a quella dell'integrazione", e a conferma riporta
alcune testimonianze dirette di protagonisti: la più ampia, di Angela Biavati,
medico, psicoterapeuta, in carrozzella, e di due genitori con figli
handicappati.
II secondo capitolo, "Nella scuola di tutti l'intreccio di teorie e pratiche",
che risulta il più ampio, sviluppa tale tema, dal rapporto fra didattica
generale e didattica speciale, alle pedagogie e didattiche più ricorrenti,
analizzate nei loro limiti, per indicare nella pedagogia istituzionale "il
modello più congruente per il processo di integrazione".
Dal capitolo quarto alla fine prevale un nucleo molto
vivo e interessante di contributi dello stesso Canevaro e di alcune
pedagogiste e insegnanti degli asili nido e delle scuole per l'infanzia di
Ravenna: esperienze di formazione ed esperienze coi bambini, riflessioni su
tali esperienze; un insieme di vissuti e di analisi esemplari e stimolanti.
CARITAS
AMBROSIANA, La carità: nomi, volti,
percorsi - Le opere socio-assistenziali nella Diocesi di Milano, Franco
Angeli, Milano, 1993, pp. 272, L. 28.000.
II volume analizza le caratteristiche peculiari delle
opere assistenziali collegate alla Chiesa ambrosiana. La ricerca è stata
effettuata dal Dipartimento di sociologia dell'Università cattolica di Milano.
Sono indagati gli aspetti economico-giuridici dei
servizi, l’“identikit" degli
operatori e degli utenti, i rapporti con il territorio e la comunità cristiana,
nonché le tappe evolutive dei servizi. Per quanto concerne l'ingresso degli
anziani nel settore socio-assistenziale è confermato ancora una volta che «avviene principalmente per motivi di
salute» anche se «gli istituti e le
comunità residenziali non sano servizi sanitari e non sembrano in grado di
poter offrire sempre cure specifiche in tal senso».
Inoltre, dall'indagine sugli interventi svolti nei
confronti dei minori, degli handicappati, degli anziani e degli altri soggetti
emerge che «è alquanto ridotta
l'attenzione nei confronti della prevenzione».
M.
PALLESCHI - S.M. ZUCCARO - M. TRABUCCHI - F. NICO, Il problema della cronicità in Italia, Casa Editrice Scientifica
Internazionale, Roma, 1996, pp. 163, senza indicazione di prezzo.
Sono di estrema importanza le affermazioni contenute
nel volume dirette a confermare la competenza sanitaria in materia di anziani
cronici non autosufficienti:
- «I
problemi da affrontare sono ancora particolarmente complessi, perché in una
determinata cultura conservatrice prevale il criterio di considerare
l'ammalato cronico come bisognoso solamente di interventi assistenziali» (p. 3);
- «La cronicità
non può essere studiata al di fuori di considerazioni che tengono nel dovuto
conto la realtà delle forti integrazioni fra il dominio somatico, psicologico
e relazionale della persona» (p. 5);
- Va chiarito «come
i meccanismi di istituzionalizzazione portano ad un aggravamento della
cronicità e come interventi volti alla risocializzazione svolgano invece un
ruolo importantissimo per ricostruire il rapporto di realtà, frantumato in
molte forme patologiche croniche» (p. 5 e 6);
-
«Generalmente il termine cronicità evoca un quadro clinico-funzionale stabile.
È stato invece dimostrato che la realtà è molto diversa in quanto le malattie
croniche invalidanti provocano una minore capacità di adattamento e quindi un
incremento della probabilità di andare incontro ad ulteriori eventi clinici
avversi» (p. 30);
- «Se ci
riferiamo al recente progetto-obiettivo “Tutela della salute degli anziani”; si
deduce che l'anziano non autosufficiente è un malato ed in quanto tale la cura
è a carico del settore sanitario» (p. 139 e 140).
II volume, che fornisce un panorama aggiornato della
cronicità, è uno strumento indispensabile per tutti coloro che - operatori
sanitari e sociali, sindacalisti, attivisti dei movimenti di base, cittadini
sensibili - operano nel settore o vogliono semplicemente avere una
informazione corretta e completa del problema.
SANDRA
ROCCHI, II volontariato fra tradizione e
innovazione, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1993, pp. 160, L. 22.000.
II primo capitolo del volume "II quadro storico
di riferimento" è un riassunto della parte iniziale del volume di G.
Alasia, G. Freccero, M. Gallina, F. Santanera, Assistenza, emarginazione e lotta di classe - Ieri e oggi, edito
nel 1975 da Feltrinelli. Alcune frasi, addirittura, sono riportate
integralmente senza citarne la fonte.
Le altri parti del libro non fanno perno su esigenze
di giustizia, ma si rifanno ad un concetto generico di solidarietà. Pertanto,
l'obiettivo degli interventi non è sempre rivolto ad ottenere il rispetto dei
diritti personali e sociali, ma semplicemente è quello di fornire alle persone
e gruppi più deboli aiuti di vario genere, limitati alle disponibilità e
capacità del volontariato.
Alcune affermazioni sono semplicistiche, come, ad
esempio la seguente: «Il volontariato si
esprime nella logica della solidarietà: è la cultura, la politica della
solidarietà che crea il costume della condivisione del proprio tempo, della propria
professionalità, della propria casa».
Certamente sono da apprezzare le dichiarazioni a
favore dei soggetti più deboli, ma riteniamo che esse non siano più
sufficienti. Anzi, a volte, possono nascondere disinteresse o comunque coprire
le responsabilità di enti pubblici o privati.
È necessario che, con la massima sollecitudine
possibile, si passi dalle affermazioni di principio sull'importanza del
volontariato (che certamente non mettiamo in dubbio), alle concrete esperienze
attuate, alle difficoltà incontrate e ai risultati raggiunti.
CARLO
LEPRI, ENRICO MONTOBBIO, Lavoro e fasce
deboli - Strategie e metodi per l'inserimento lavorativo di persone con
difficoltà cliniche o sociali, Franco Angeli, Milano, 28
edizione 1994, pp. 181, L. 28.000.
II libro ha un taglio manualistico e si pone
l'obiettivo di offrire una metodologia dell'inserimento lavorativo, che
permetta di costruire progetti realistici ed efficaci.
Vi sono alcuni elementi che vanno tuttavia
considerati per poter utilizzare il volume senza incorrere in facili deduzioni.
Un primo equivoco è considerare tutti i "disabili"
come elementi perturbanti del sistema produttivo (p. 47). Ci sembra una
generalizzazione davvero infelice, che non tiene conto delle innumerevoli
diversità che vi sono tra i disabili, dovute ai gradi di autonomia e di
capacità lavorativa, che in misura diversa essi sono in grado di esprimere.
Per esempio, un handicappato motorio, a cui manca
solo un arto, o un non vedente, si pongono nei confronti della realtà
produttiva in una posizione differente rispetto ad un handicappato
intellettivo; inoltre, per tutti i soggetti prima indicati si può senz'altro
affermare che vi sono meno ostacoli all'inserimento (naturalmente con un
collocamento mirato), rispetto all'avviamento di una persona con malattia
mentale.
Così non si può
sostenere, come si fa nell'introduzione, che «tutti siamo soggetti
deboli», per il semplice fatto che, di fronte alla crisi attuale del lavoro,
tutti abbiamo più difficoltà. È un modo di generalizzare che non considera la
realtà in modo oggettivo, perché, per forza di cose, un handicappato
intellettivo incontra in maggior misura ostacoli nel suo percorso di ricerca
del lavoro rispetto ad un suo coetaneo avente un normale livello di
intelligenza.
Vi è poi una semplicistica fiducia nella ricerca
della metodologia più giusta, quasi che, individuata la strategia e dei bravi
operatori, fosse risolto il problema lavoro per gli handicappati intellettivi
e i malati mentali. Certamente sono entrambi strumenti importanti e necessari,
ma non si può trascurare, come fanno
gli Autori, la rilevanza che assume il ruolo politico delle istituzioni.
GIAMPIERO
GRIFFO (a cura di), I percorsi
dell'autonomia, CIDHA (Centro di informazione, documentazione e consulenza
sull'handicap, Via Ferrarecce 159, Parco Letizia, 81100 Caserta), 1994, pp.
105, senza indicazione di prezzo.
II volume è il risultato dei lavori svoltisi nel corso
del seminario regionale sull'applicazione della legge 104/92 in Campania,
tenutosi a Napoli l'11-12 dicembre 1993.
È stato redatto dal CIDHA con la collaborazione
della Federazione regionale campana delle associazioni degli handicappati e
delle loro famiglie, del Consorzio delle cooperative sociali e del Comune di
Caserta.
Lo scopo del volume è quello di testimoniare il
lavoro propositivo e di tutela svolto dalle associazioni delle persone
handicappate e dalle loro famiglie in Campania.
L'analisi - peraltro critica - della legge 104/92 è
il pretesto per valutare in modo dettagliato le leggi regionali, individuarne
le carenze e proporre richieste precise per rispondere ai bisogni delle
persone handicappate differenti a seconda delle loro autonomie.
Si consiglia la lettura a quanti (diretti interessati,
associazioni, familiari, volontari) sono impegnati per ottenere diritti
concreti per le persone handicappate.
N.
RABBI (a cura di), AAA Cercasi lavoro e
solidarietà. Esperienze di cooperazione sociale a Bologna e provincia,
CDH, Bologna, 1994, pp. 65. Può essere richiesto a: Aias, Via degli Orti 60,
40139 Bologna.
La pubblicazione presenta le attività relative a 21
cooperative che operano nell'area bolognese.
Dalla lettura della storia passata e presente di
ciascuna di esse emerge la conferma del fatto che la cooperativa, per essere un
vero luogo di lavoro, deve innanzitutto
funzionare bene come impresa.
Pertanto, se è vero che esse sono sorte anche per
dare risposta allo "svantaggio sociale", è altrettanto vero che
diventano soci lavoratori occupati a tutti gli effetti prevalentemente persone
che hanno la possibilità di esprimere una capacità lavorativa piena (immigrati,
ex-carcerati, giovani a rischio).
Anche nelle cooperative l'handicap fa fatica a
trovare posto e, se lo trova, è perché sono gli stessi handicappati e i loro
familiari che danno il via all'esperienza, sempre con l'appoggio dell’ente
pubblico.
Nel caso in cui le cooperative inseriscano handicappati intellettivi (molto
poche) si tratta di progetti di formazione professionale, che si trasformano
assai di rado in assunzione. Chi ha avviato iniziative in tal senso ammette
l'impossibilità di sostenere i ritmi imposti dalla produzione e i costi
stessi, senza l'aiuto consistente e continuativo di volontari e la riduzione
dei compensi ai soci lavoratori handicappati.
Una consistente quota di cooperative
è impegnata nel settore della salute mentale, in stretto collegamento con i
servizi psichiatrici territoriali delle USL. AI recupero e al potenziamento delle capacità lavorative dei
soggetti interessati, in alcuni casi fa seguito anche l'assunzione. Ma necessariamente
la capacità delle cooperative di assorbire ed impegnare in un rapporto di
lavoro continuativo queste persone è assai limitata.
USL
SAN LAZZARO DI SAVENA, Essere adulti,
essere handicappati, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1994, pp. 223, L.
23.000.
Scritto dagli operatori di un centro bolognese per
handicappati intellettivi gravi adulti, questo libro racconta l'esperienza dal
punto di vista professionale e personale.
Non si dà nulla per scontato e acquisito e, come
evidenzia Canevaro nella sua argomentata prefazione, vi è il bisogno - e la
consapevolezza - di accettare che questi soggetti gravi non possono essere
"rinchiusi" in categorie. Ognuno è a sé; ognuno porta una sua
esperienza ed esigenza di vita.
II testo scorre tra il racconto della vita del centro
(con la descrizione delle attività e della ricerca degli operatori di modalità
di relazione con gli utenti) e l'osservazione delle persone handicappate che
lo frequentano.
Accettarli, capirli e aiutarli a vivere con il maggior
"gusto" possibile la loro vita: questa è la finalità degli
interventi. «Oggi abbiamo chiaro - dice Maura Forni - che ciò che dobbiamo fare
è facilitare l'esistenza delle persone affidateci, che hanno, proprio per il
loro deficit, scarse risorse per fronteggiare i cambiamenti e le difficoltà
della vita».
Non manca un richiamo forte alla necessità di
investire risorse in questo settore. Uno degli scopi del libro è anche la
dimostrazione di quanto siano utili questi servizi per gli handicappati
intellettivi adulti.
Vi sono infine suggerimenti pratici per gli operatori
di questo servizio socio-assistenziale, che sono interessanti per gli stessi
genitori o volontari, che desiderano partecipare attivamente nella relazione
con queste persone.
SILVIA
MONICA - RENZO VIANELLO, Handicap
mentale - Dalla scuola al mondo del lavoro: esperienze e prospettive, UTET
Libreria, 1994, pp. 220, L. 26.000.
II volume offre una panoramica della situazione
italiana in termini di leggi, esperienze e prospettive relative
all'integrazione lavorativa degli. handicappati, con particolare
riguardo a quelli mentali.
Purtroppo non è chiarito dagli Autori se nel termine
"mentale" essi comprendano solo gli handicappati intellettivi, oppure
anche i malati di mente, per cui anche la parte dedicata in particolare all'esame
delle esperienze condotte in Europa per l'integrazione lavorativa non è utilizzabile per un adeguato
confronto con la realtà italiana.
Manca inoltre una ricerca approfondita sulle
istituzioni competenti in materia di lavoro. Gli Autori si limitano a raccontare
l'esistente, che non sempre corrisponde però alla modalità più corretta di
intervento. È il caso delle USL, per esempio, che vengono indicate come enti
"tenuti" a fornire ogni tipo di servizio finalizzato a promuovere
l'inserimento lavorativo, mentre, in realtà, è il Comune il vero titolare.
www.fondazionepromozionesociale.it