Prospettive assistenziali, n. 116, ottobre-dicembre 1996

 

 

L'ON. DI CAPUA VORREBBE RICREARE IL MONOPOLIO DELLE ASSOCIAZIONI STORICHE DEGLI HANDICAPPATI

 

 

 

È sconcertante l'iniziativa legislativa presen­tata alla Camera dei deputati in data 23 maggio 1996 dal parlamentare dell'Ulivo Di Capua. Infat­ti, essa è diretta a ristabilire il monopolio delle associazioni storiche che operano nel settore handicappati. La proposta di legge n. 1166 pre­vede quanto segue: «L'Associazione nazionale mutilati e invalidi civili, l'Unione italiana dei ciechi, l'Ente nazionale protezione ed assistenza sordo­muti, l'Unione nazionale mutilati e invalidi del la­voro, sono considerati enti di interesse naziona­le. Essi svolgono i compiti di cui alle leggi 21 agosto 1950, n. 698, 21 marzo 1958, n. 335, e 23 aprile 1965, n. 458, e ai decreti legislativi del Ca­po provvisorio dello Stato 24 giugno 1,947, n. 650, e 26 settembre 1947, n. 1047, sotto la vigi­lanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, e sono consultati in merito alla presentazione di provvedimenti legislativi riguardanti la categoria dei disabili».

In sostanza, le suddette organizzazioni do­vrebbero essere le sole che assumono la rap­presentanza di tutti gli handicappati, magari con lo scopo di raggiungere gli obiettivi individuati nel 1970 e non realizzati a causa della fortissima opposizione dei movimenti di base.

Ricordiamo che in quel periodo la commissio­ne permanente costituita, fra gli altri, dai presi­denti dell'Unione nazionale mutilati per servizio, dell'Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro e della libera Associazione mutilati e in­validi civili, aveva sostenuto che «la generalità dei cittadini invalidi costituisce nel suo comples­so un insieme nettamente distinto del popolo ita­liano».

Pertanto, la suddetta commissione aveva de­dotto la necessità di «una radicale e completa ri­forma di struttura nel settore degli invalidi che, prescindendo dalla causa invalidante, sia attuata differenziando chiaramente i cittadini portatori di invalidità permanenti dai cittadini sani o inciden­talmente malati».

Di conseguenza veniva richiesta «la delega dello Stato ad un unico ente di diritto pubblico di ogni azione di pubblico intervento, e quindi dell'istruzione e addestramento professionale degli invalidi, e del loro collocamento al lavoro, dell'assistenza sanitaria limitatamente agli esiti dell'invalidità permanente, di quella sociale, mo­rale e giuridica e della cura e di ogni altra provvi­denza che possa essere rivolta».

L'amministrazione di questo ente di diritto pubblico doveva «essere espressione diretta ed esclusiva delle Associazioni di categoria» (1). Anche l'Unione italiana ciechi ha più volte ten­tato di costituire strutture speciali. Ricordiamo, ad esempio, la presentazione al Senato da parte del Sen. Covello, avvenuta il 21 novembre 1987, del disegno di legge n. 666 diretto alla creazione di enti regionali di diritto pubblico per i ciechi. Fra l'altro, si deve all'Unione italiana ciechi il ritrasferimento delle competenze assistenziali alle Province, competenze che giustamente era­no state unificate nei Comuni singoli o associati dalla legge 142/1990 sulle autonomie locali. Ne è derivato e ne deriva, in particolare, il ri­pristino dell'odiosa separazione dell'assistenza ai minori nati nel matrimonio (spettante ai Co­muni) e gli interventi rivolti ai fanciulli nati fuori del matrimonio (esercitati dalle Province).

 

Un monopolio poliziesco

L'On. Di Capua non si è limitato a proporre la concessione di ampissimi (anche se assoluta­mente ingiustificati) poteri all'Associazione na­zionale mutilati e invalidi civili, all'Unione italiana ciechi, all'Ente nazionale protezione ed assi­stenza sordomuti, all'Unione nazionale mutilati per servizio e all'Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro.

Infatti, con la proposta di legge n. 1167 pre­sentata alla Camera dei Deputati il 23 maggio 1996 vorrebbe addirittura che «per il controllo dell'attività svolta dalle associazioni di volontaria­to e dagli altri organismi associativi di promozio­ne sociale che, oltre alle prescritte quote asso­ciative, provvedano alla raccolta di ulteriori fondi da destinare all'assistenza degli invalidi», sia co­stituita una commissione permanente composta da un magistrato della Corte dei conti, con fun­zioni di presidente, e da un rappresentante di ciascuna delle organizzazioni prima elencate.

 

Gravi accuse all'ANMIC

Sul n. 6, 15 settembre 1996 del mensile "L'Unione e la Voce dei mutilati e invalidi civili", organo della LIMIC (Lega italiana mutilati e inva­lidi civili) è stato pubblicato quanto segue: «È ora di dire basta agli ingiusti privilegi di cui gode l'ANMIC, Associazione nazionale mutilati e invali­di civili. E soprattutto è ora di dire basta al fatto che questa associazione abbia accesso a dei do­cumenti di cui non può più (per legge) prendere visione. Ci riferiamo agli elenchi, in possesso di ogni USL, degli invalidi civili, riconosciuti tali dalle apposite commissioni. Ebbene è stata in passato prassi costante di rilasciare all'ANMIC questi elenchi: ebbene questa pratica è arbitraria e "contra legem"».

Pesanti le accuse: «Che scopo ha l'ANMIC di venire a conoscenza del nome delle persone ri­conosciute invalide? Semplice: soldi, solo soldi, nient'altro che soldi. L'ANMIC, avvalendosi di un nome noto in tutt'Italia (..) bussa alla casa di tutti quelli il cui nome è in elenco (anche di quelli la cui pratica è stata seguita da altre associazioni e patronati) cercando di convincerli ad associarsi all'ANMIC. E il prendere la tessera costa caro: da 50 mila lire in su».

 

Una interrogazione

Riportiamo integralmente l'interrogazione n:-k, 4-04470, presentata alla Camera dei Deputati dall'On. Novelli in data 22 ottobre 1996 «ai Mi­nistri dell'interno e delle finanze, per sapere:

se, allo scopo di evitare il riconoscimento di nuovi falsi invalidi, non intendano valutare l'op­portunità di adottare le seguenti misure: 1) esa­me delle condizioni della persona che richiede l'invalidità da parte del servizio di medicina lega­le dell'USL di residenza, in modo di avere ele­menti oggettivi a disposizione; 2) accertamento dell'identità del soggetto quando è sottoposto ad esami medici al fine di evitare, che gli,,esami stessi vengano fatti a nome degli interessati mentre sono compiuti su soggetti diversi dagli in­teressati stessi; 3) presentazione obbligatoria da parte dei richiedenti di una autocertificazione at­testante le eventuali residenze e domiciliazioni assunte negli ultimi anni, anche al fine di accerta­re se vi sono trasferimenti in materia, determi­nati dalla presenza di commissioni particolar­mente benevoli;

se non si ritenga illegittima la procedura in ba­se alla quale molte USL segnalano alle associa­zioni degli handicappati i nominativi dei cittadini che hanno presentato domanda di invalidità. Di conseguenza, le suddette associazioni contatta­no gli interessati e, facendo leva sul fatto che nelle commissioni preposte all'accertamento hanno un loro rappresentante, svolgono attività di proselitismo;

quali siano i motivi in base ai quali sarebbe stato stipulato un accordo fra il Ministro dell'in­terno e I'Anmic, Associazione nazionale mutilati e invalidi civili, in base al quale per ciascun asso­ciato che ha sottoscritto la delega, il ministero verserebbe all'Anmic ogni anno la quota associa­tiva di lire 49.999, trattenuta dalla pensione d'in­validità e, al riguardo, se tale procedura, che ri­guarda solo l'Anmic e non le altre organizzazioni di invalidi civili, sia corretta e non comporti oneri ingiustificabili per lo Stato;

quali notizie intenda fornire in merito all'intesa sottoscritta in data 21 giugno 1993 dal Governo con i presidenti dell'Anmic, dell'Unione italiana ciechi e dell'Ente nazionale sordomuti, in base al­la quale alle suddette organizzazioni sarebbe stata riconosciuta una competenza per l'istruzio­ne delle pratiche relative alle pensioni di invalidi­tà;

nel caso tale intesa fosse ancora in atto, se non intendono riesaminarla».

 

 

(1) Cfr. "Tentativi per la definitiva esclusione sociale de­gli handicappati", in Prospettive assistenziali, n. 11/12, lu­glio-dicembre 1970 e il volume di Maria Grazia Breda e Francesco Santanera, Handicap: oltre la legge quadro - Ri­flessioni e proposte, UTET Libreria, Torino, 1995.

 

 

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