Prospettive assistenziali, n. 117, gennaio-marzo 1997

 

 

HO PERSO LA PAROLA

BRUNO FINZI (*)

 

 

È successo all'improvviso: il 1° marzo 1992, domenica. Ero appena stato dichiarato guarito dal mio secondo infarto.del miocardio, autoriz­zato ad uscire il giorno 28 febbraio e il 29 per una breve passeggiata. Dopo aver fatto colazio­ne e ritirati i giornali, mia moglie e io eravamo sdraiati sul letto e leggevamo. Di punto in bianco mi trovai paralizzato ai due arti, superiore e infe­riore di destra e incapace di parlare in modo comprensibile (afasico). Un embolo al cervello mi aveva privato della parola. Sono nato il 15 giugno 1918, avevo quindi 74 anni.

Sono stato colpito una prima volta da infarto miocardico antero-settale nel maggio del 1971, guarito, il 10 febbraio 1992, nuovo infarto settale subepicardico con necrosi e ischemia in sede anterolaterale estesa, sono stato curato e di­chiarato clinicamente guarito. Poi l'embolo.

Mia moglie si rese conto immediatamente del­la gravità della situazione, provvide a chiamare l'ambulanza e pochi minuti dopo ero ricoverato nel mio ex reparto geriatrico all'Ospedale Giusti­nian e affidato alle cure del Primario Marino Pe­ruzza e della sua équipe.

L'ecotomografia cerebrale e la risonanza ma­gnetica mettevano in evidenza che «in sede tem­poro-parietale sinistra è presente una vasta area a limiti abbastanza netti con segnale disomoge­neamente alterato: è ascrivibile a patologia trom­bo-embolitica con probabile anche pregresso in­farcimento emorragico».

Trattato con anticoagulanti e altre terapie atti­ve, la sintomatologia motoria si risolveva in una quindicina di giorni, dopodiché venivo dimesso il 14/4 ma presentavo afasia amnestica con no­tevoli alterazioni della parola, ma soprattutto della scrittura, in particolare sotto dettatura.

II giorno 4 maggio si ripeteva un episodio di emiparesi destra di breve durata di tipo TIA (Transent Ischemic Attack). II controllo della TAC eseguito il giorno stesso, confrontato con quello precedente faceva rilevare netta demarcazione dell'area ipodensa in regione parietale sinistra, attualmente con morfologia ovalare ad asse principale di circa 2 cm: in corrispondenza ac­cenno ad ampliamento degli spazi liquorali tra le circonvoluzioni cerebrali (4/5/1992). In breve tornai a casa.

L'afasico - come è noto - è un soggetto che per una lesione di determinate aree dell'emisfe­ro dominante del cervello (di solito il sinistro per quelli che usano prevalentemente la mano de­stra, del destro per i mancini che rappresentano solo il 4%) non è più capace di servirsi corretta­mente della parola, non riesce a comprendere il linguaggio parlato o scritto e ciò non per perdita dell'intelligenza o dell'udito, della vista o della motilità dei muscoli che prendono parte alla arti­colazione e fonazione o alla scrittura, ma perché non è più in grado di tradurre le sequenze sono­re o grafiche in significati o viceversa. L'afasia è la difficoltà di tradurre il proprio pensiero in co­dice verbale e di decodificare il messaggio ver­bale altrui. L'afasia è una menomazione che ac­centua in modo drammatico l'isolamento del­l'anziano che è proprio della nostra attuale so­cietà anche in seno alla famiglia che a volte lo ri­getta.

Se alla condizione di anziano si aggiunge quella di afasico l'isolamento è totale: il paziente non riesce più a comunicare in alcun modo con le persone che lo attorniano e che assai difficil­mente ne comprendono la situazione.

Purtroppo ancora oggi molto spesso non solo i parenti, ma persino medici e paramedici lo considerano demente. Le persone che assisto­no o avvicinano comunque questi pazienti do­vrebbero avere sempre presente il fatto che in alcune forme di afasia, che costituiscono più del 30% dei casi (v. tabella 1), la comprensione è conservata; si deve quindi evitare di dire cose che possono turbare o recare danno. Questa era la mia situazione e in qualche caso pensai: «Senti che idiozie che dicono questi!».

Gli emisferi cerebrali sono divisi in lobi: tre di questi sono coinvolti nella funzione del linguag­gio: il frontale, il parietale e il temporale. La cor­teccia cerebrale è stata suddivisa da Brodman in aree che sono state numerate ed a cui corri­spondono varie funzioni, come la percezione vi­siva, quella motoria, quella sensitiva, ecc. e quella del linguaggio. La zona pressoché trian­golare che comprende le varie aree del linguag­gio: la parola, la lettura, la comprensione e la scrittura, è illustrata nella figura all'interno della linea tratteggiata. Le lesioni che interessano quest'area possono essere di varia origine (in­farti, emboli, tumori, traumi, malattie degenerati­ve) e danno origine a vari tipi d'afasia, a secon­da delle aree danneggiate. Le grandi lesioni fronto-temporali causano afasia globale con gravi deficit del linguaggio verbale e di com­prensione (questo è il quadro clinico più grave).

La tabella riporta le principali caratteristiche delle afasie in rapporto alla sede della lesione; la diagnosi precisa è necessaria per basare il trattamento di riattivazione, sulla cui tecnica non mi soffermo. Molto importante è valutare con precisione quali sono le capacità residue.

La mia esperienza di anziano geriatra da lun­ghi anni impegnato anche nella riattivazione dell'afasia faceva di me un paziente particolare. II primo servizio di logopedia a Venezia è sorto nel 1963 presso la Casa di Riposo di S. Giovan­ni e Paolo di cui ero direttore ed è stato retto da Marino Peruzza, avendo L.A. Vignolo come con­sulente. Tenuto conto che Vignolo ha comincia­to per primo in Italia (a Milano nel 1960) e che ho creato un altro servizio all'Ospedale Geriatri­co Giustinian, che funziona tuttora, sopravvissu­to all'improvvida chiusura dell'Ospedale, penso che questo dia un certo valore alla mia testimo­nianza.

Non ho mai perso la coscienza, in quel matti­no e nei giorni successivi, assistevo in qualche modo al mio dramma, non potendo comunicare con quelli che mi stavano attorno e si davano da fare per soccorrermi. Allo stesso modo gli arti paralizzati non mi parevano i miei, ma come freddi vegetali appassiti.

La sintomatologia motoria si risolveva in una quindicina di giorni, dopo cura con anticoagu­lanti e altre terapie attive per i vasi e il cuore e provvedimenti di postura.

II trattamento logopedico è stato iniziato dopo una decina di giorni, dopo una serie di test per precisare il tipo dell'afasia. È interessante nota­re come rapidamente ricomparve la capacità di leggere o di comprendere i contenuti delle lettu­re e come questo costituisse per me una grande consolazione.

Le lezioni logopediche continuarono a casa ad opera della logopedista Gina Pessato con cui le avevo iniziate in ospedale.

Ritengo che sia molto importante cominciare molto presto la riabilitazione della parola, assie­me a quella motoria perché si potenziano reci­procamente e vanno condotte di pari passo. Si integrano molto bene soprattutto quando devo­no essere decisi programmi di riabilitazione del­la mano destra, che sono sempre difficili. Nel mio caso - decisamente fortunato - la ripresa motoria spontanea e rapida ha richiesto solo provvedimenti di postura, che sono stati imme­diati.

Ho altre volte criticato l'istituzione di reparti di lungodegenza riabilitativa dove si accolgono i pazienti in seconda istanza, dopo averli lasciati avviare alla cronicità. Ribadisco la necessità e utilità di iniziare la riabilitazione dopo 2-3 giorni dall'ictus, non appena il paziente è uscito dal coma e comunque dallo stato d'incoscienza.

Non ho l'impressione che l'avvento delle RSA (Residenze sanitarie assistenziali) con le prati­che burocratiche relative, il parere della com­missione di valutazione si riunisce una volta la settimana, abbia accorciato le attese (o forse le ha prolungate).

Si ritiene in generale che la riabilitazione dell'anziano abbia meno probabilità di successo di quella dei giovani. Tecnicamente non ci sono grandi differenze rispetto al trattamento degli al­tri adulti. Forse ci vorranno più sedute e più bre­vi perché il vecchio si stanca prima.

Ma i veri problemi sono di motivazione da un lato e di atteggiamento della famiglia dall'altro.

La maggiore difficoltà che si incontra nella riabilitazione degli afasici anziani è quella di su­scitare e mantenere un livello di motivazione sufficiente e corretto. Per motivazione si intende in questo tipo di malati una sufficiente intenzio­ne di comunicare per avviare durevolmente in lui l'intenzione di comunicare; avviare e conclu­dere il processo comunicativo senza che questa tensione sfoci in espressione di disperazione o in un atteggiamento passivo di rinuncia è una grande difficoltà. Anche l'eccesso di motivazio­ne può nuocere, interferendo con la correttezza dell'esecuzione. Ci può anche essere una deci­sa non collaborazione, che è l'espressione dei modo di considerare la malattia come un evento definitivo da cui difficilmente si può risollevare, mentre per il giovane è un incidente capace di essere superato.

Quello dell'atteggiamento dei familiari è un altro punto che mi sembra importante specie negli anziani; già ho accennato alla tendenza all'esclusione e all'isolamento dell'afasico; in questo campo la famiglia si presenta in due mo­di opposti: o tratta il congiunto, specialmente anziano, come un neonato o un demente parlando e comportandosi attorno a lui come se la sua presenza non contasse e fosse sottinteso che non può e non potrà mai più capire nulla e sem­pre dovrà essere dipendente dalle persone "normali"; oppure gli dimostra, per eccessivo af­fetto, tutta l'emozione e la disperazione che la sua inabilità crea in chi gli vuol bene e accentua così lo squilibrio emotivo che è già proprio di questi pazienti.

Se ho riferito questi due problemi è per il loro peso e la loro frequenza.

La presa d'atto da parte di un paziente dell'entità dei suoi difetti verbali, è indispensabi­le nel procedere alla riabilitazione. Ma è un'esperienza traumatizzante.

La possibilità riabilitativa è subordinata a tre condizioni principali: non evolutività della lesio­ne, condizioni intellettive abbastanza integre, prognosi generale sufficientemente buona.

La mia ripresa è stata grandemente facilitata dall'essere in un ambiente a me familiare, ami­chevole, con grande partecipazione da parte di tutti: medici, infermieri, ausiliari e in particolare la logopedista.

La mia fiducia nella guarigione, la volontà di riprendere le mie lezioni all'Università della 38 età e le partecipazioni ai congressi, mie attività rimaste come ragioni di vita, dopo lasciata la professione e le lezioni all'Università di Pavia, dopo i settantacinque anni, assieme alla natura­le tendenza all'ottimismo mi furono di grandissi­mo aiuto nella lotta contro la depressione e la frustrazione. Infine ho avuto fortuna: le tre con­dizioni che ho ricordato erano tutte presenti. L'affetto della famiglia: moglie, figlie, generi, al­lievi, commovente. II miglioramento è continuato: così che il 14 giugno ho potuto leggere una rela­zione al congresso della SIMOG (Società italia­na medici e operatori geriatrici) a Montegrotto anche se con qualche esitazione che conservo tuttora.

Ho continuato a migliorare, ho imparato a par­lare più lentamente, essendomi reso conto che così facendo, riesco ad evitare molti trabocchet­ti in cui sento che sto per cadere.

Così dopo quattro anni la mia battaglia è vinta. Lo scopo di questa mia testimonianza è di at­tirare l'attenzione su un problema che interessa in Italia 150.000 persone adulte, 10.000 in più ogni anno, secondo i dati dell'Associazione ita­liana afasici che ha tenuto il suo Convegno na­zionale ad Arezzo il 9 e 10 novembre 1996. Negli Stati Uniti gli afasici sono un milione.

L'afasico è un disabile a tutti gli effetti, perde totalmente o parzialmente, per un tempo limitato o per sempre, la capacità di comunicare e di esprimersi con conseguenze spesso catastrofi­che. Può perdere la capacità di comprendere il significato delle parole, di trovare il nome di co­se e di persone a lui familiari.

Come ho ricordato, la capacità di comprende­re può essere conservata e quindi il personale addetto e i congiunti devono tenerne conto.

II logopedista ha il compito di intervenire per tempo, il più presto possibile. L'aspetto tecnico riabilitativo deve essere completato dalla massi­ma comprensione e disponibilità, per stimolare un sufficiente livello di motivazione.

Anche i rapporti con la famiglia vanno soste­nuti e stimolati.

Non ci si deve stancare: la ripresa può essere molto lenta e prolungata nel tempo.

A parte il miglioramento spontaneo e il miglio­ramento delle condizioni legate alla malattia di base, l'unica terapia efficace dell'afasia è la lo­gopedia. L'uso di apparecchiature più o meno sofisticate non può mai sostituire il rapporto fra il paziente e il logopedista.

 

 

Tabella 1 - Principali caratteristiche delle afasie.

 

Afasia

Frequenza

Linguaggio

Ripetizione

Comprensione

Scrittura

Lettura

Anosognosia*

 

 

spontaneo

 

 

 

 

 

Globale

20-25%

abolito o

abolita o

compromessa

solo la firma

assente

variabile

 

 

ridotto con

ridotta

 

 

 

 

 

 

parafasie

 

 

 

 

 

 

 

fonemiche

 

 

 

 

 

Wernicke

20%

fluente

compromessa

compromessa

compromessa

compromessa

presente

 

 

 

con parafasie

 

 

 

 

 

 

 

fonemiche

 

 

 

 

Broca

20%

ridotto (con

ridotta con

conservata

firma e copia

comprensione

assente

 

 

disturbi di

disturbi di

 

 

talora

 

 

 

articolazione)

articolazione

 

 

compromessa

 

Conduzione

4%

fluente con

compromessa

conservata

firma e copia

variabile

assente

 

 

parafasie

con parafasie

 

 

 

 

 

 

fonemiche

fonemiche

 

 

 

 

Amnestica

8%

fluente con

conservata

conservata

compromessa

conservata

assente

 

 

anomie

 

 

per le anomie

 

 

Transcorticale

2%

fluente con

conservata

compromessa

compromessa

compromessa

presente

sensoriale

 

parafasie ver­

 

 

 

 

 

 

 

bali e anomie

 

 

 

 

 

Transcorticale

2%

ridotto

conservata

conservata

compromessa

compromessa

assente

motoria

 

 

 

 

 

 

 

Da M.G. Michelotti in "Psicologia e Gerontologia" a cura di M.A. Aveni-Casucci.

Anosognosia = incapacità da parte del malato di riconoscere la suq malattia, sia pure evidente, p.es. una emiplegia.

 

 

 

(1) Primario emerito di geriatria, Presidente onorario della SIMOG, Società italiana medici e operatori geriatrici.

 

 

AREE CORTICALI DEL LINGUAGGIO

(EMISFERO CEREBRALE SINISTRO)

 

 

 

 

 

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