LA CORTE
DI CASSAZIONE CONFERMA IL DIRITTO DEI MALATI CRONICI ALLE CURE SANITARIE
La prima
Sezione civile della Corte di Cassazione ha emesso in data 16 gennaio 1996 (il
deposito in Cancelleria è avvenuto il 20 novembre 1996) la sentenza n.
10150/96 che riportiamo integralmente.
ll
provvedimento è estremamente importante in quanto conferma le posizioni
sostenute fin dal 1978 da
Prospettive assistenziali (1).
Infatti, viene stabilito che:
1. le leggi
vigenti riconoscono ai cittadini il diritto soggettivo (e pertanto esigibile)
in materia di prestazioni sanitarie e di attività a rilievo sanitario, mentre
gli stessi cittadini hanno solo un interesse legittimo (e quindi con ampi
spazi di discrezionalità per la pubblica amministrazione) per quanto concerne
gli interventi socio-assistenziali;
2. le cure sanitarie devono essere
fornite sia ai malati acuti che a quelli cronici;
3. essendo
un atto amministrativo, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
dell'8 agosto 1985 non ha alcun valore normativo;
4. si deve
far riferimento alle prestazioni socioassistenziali esclusivamente quando «sia
prestata soltanto una attività di sorveglianza o di assistenza non
sanitaria».
Testo della sentenza n. 10150/96
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione I civile,
composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati: Dott. Mario Corda - Presidente, Dott.
Giancarlo Bibolini - Consigliere, Dott. Antonio Catalano - Consigliere, Dott.
Giuseppe Salmè - Consigliere Relatore, Dott. Luigi Macioce, Consigliere, ha
pronunciato la seguente sentenza sul ricorso proposto
da
Istituto
medico psico-pedagogico e Casa di riposo "Costante Gris",
elettivamente domiciliato in Roma, Via Alessandria 130, presso lo studio
dell'avv. Vitaliano Lorenzoni che lo rappresenta e difende per procura a
margine del ricorso, unitamente all'avv. Alberto Borella, ricorrente
contro
Amministrazione
provinciale di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Quattro Novembre
119/A, presso l'Avvocatura della Provincia, rappresentata e difesa dagli aw.ti
Antonio Fancellu e Anna Pia Marcotullio, per procura in calce al controricorso,
controricorrenti
avverso
la sentenza n. 834 della
Corte d'appello di Roma del 29 marzo 1994.
Sentita la relazione della causa svolta alla pubblica
udienza del 16 gennaio 1996 dal consigliere relatore dott. Giuseppe Salmè;
sentiti i difensori, avv. Loria per il ricorrente, che ha
chiesto l'accoglimento del ricorso e l'avv. Fancellu per la resistente, che ha
chiesto il rigetto del ricorso;
sentito il p.m., in persona del sost. proc. gen. dott. Giovanni Lo Cascio che
ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 1° settembre 1986
l'istituto medico psico-pedagogico Costante Gris ha chiesto la condanna della
Provincia di Roma al pagamento, ex art. 6 della legge n. 36 del 1904, della
somma di L. 153.367.330 per rette di degenza di M.W.S., minorato psichico nato
a Roma, a decorrere dal 1971. La Provincia ha eccepito il difetto di
giurisdizione e la mancanza di legittimazione passiva. II Tribunale di Roma,
con sentenza 21 novembre 1990, respinta l'eccezione di giurisdizione, ha
rigettato la domanda.
La decisione è stata confermata dalla Corte d'appello
di Roma la quale ha rilevato che, con la legge 118 del 1971 l'assistenza degli
invalidi civili, categoria nella quale sono compresi i minorati psichici, è
stata posta a carico del Ministero della sanità e, con la legge 833 del 1978,
è stata trasferita alle USL. L'obbligo del Ministero, ha inoltre osservato la
Corte territoriale, non è subordinato al preventivo convenzionamento con gli
istituti assistenziali, mentre quello delle USL è condizionato al rilievo
sanitario della attività assistenziale. Poiché dagli atti risultava che
l'assistito era stato costantemente sottoposto a trattamento sanitario, con la
somministrazione di farmaci diretti a controllare le crisi di aggressività, e
che doveva escludersi la possibilità remota di recupero sociale, onde la
necessità del trattamento sanitario doveva ritenersi permanente, la Corte ha
concluso affermando che l'obbligo di pagare te rette gravava sul Ministero
della sanità dal 1971 al 1978 e sulla USL competente per territorio, a
decorrere dal 1978.
Avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma
ricorre per cassazione l'istituto medico psico-pedagogico Costante Gris, sulla
base di un unico motivo illustrato con memoria. Resiste con controricorso la
Provincia di Roma.
Motivi della decisione
II ricorrente deduce violazione e falsa applicazione
delle leggi n. 118 del 1971 e n. 833 del 1978, dell'art. 72 del r.d. n. 36 del
1904 e omesso esame del d.p.c.m. 8 agosto 1985. Poiché la sentenza impugnata
riconosce che il trattamento sanitario praticato all'assistito di cui si
tratta non comporta alcuna possibilità di recupero sociale dell'infermo,
sostiene il ricorrente, mancherebbero i presupposti per imputare alla USL
l'onere economico della degenza. Infatti, ai sensi dell'art. 6 del d.p.c.m. 8
agosto 1985, sono attività socio-assistenziali di rilievo sanitario, rientranti
nella competenza delle USL, le prestazioni dirette «alla cura e al recupero
fisico-psichico dei malati mentali, ai sensi dell'art. 64 della legge 23
dicembre 1978, n. 833, purché le predette prestazioni siano integrate con
quelle dei servizi psichiatrici territoriali». Nella specie mancherebbero i
requisiti della possibilità di recupero e della integrazione delle prestazioni
a favore dell'assistito con quelle dei servizi psichiatrici territoriali.
L'attività del ricorrente sarebbe in realtà diretta soltanto alla cura e
sorveglianza dell'infermo e per tale motivo esulerebbe dalle competenze delle
USL.
Né potrebbe sussistere la competenza del Ministero
della sanità per il periodo anteriore al 1978, in quanto non erano state
avviate le procedure previste dagli artt. 6 e 7 della legge 118 del 1971, al
cui perfezionamento la legge stessa subordina l'assunzione degli oneri
economici dell'assistenza psichiatrica da parte del predetto Ministero.
II
ricorso non è fondato.
Iniziando l'esame dall'ultimo profilo, relativo alla
legittimazione del Ministero della sanità, per il periodo 1971/1978, non ha
pregio la tesi secondo la quale l'assunzione degli oneri economici
dell'assistenza psichiatrica da parte di detta amministrazione sia subordinata
al positivo accertamento delle condizioni di minorazione da parte delle
apposite commissioni sanitarie provinciali, ai sensi dell'art. 6 della legge
118/71. Infatti detta legge, dopo aver disciplinato negli artt. da 3 a 5 le
modalità di erogazione dell'assistenza sanitaria agli invalidi civili
(categoria nella quale pacificamente, ai sensi del 2° comma dell'art. 2,
rientrano i soggetti affetti da patologie psichiatriche, che comportino la riduzione
permanente della capacità lavorativa non inferiore ad un terzo), al successivo
art. 6 dispone che «ai fini dei benefici previsti dalla presente legge»
l'accertamento delle condizioni di minorazione deve essere effettuato dalle
competenti commissioni provinciali. Tali benefici sono quelli disciplinati
dagli artt. 12 e seguenti e cioè le pensioni e gli assegni di inabilità, gli
assegni di accompagnamento, le indennità di frequenza ai corsi di
addestramento, qualificazione e riqualificazione professionale, i congedi
straordinari per cure, il trasporto scolastico, l'esenzione dalle tasse
scolastiche e universitarie. La legge non prevede invece alcun accertamento
della condizione di invalidità per l'erogazione dell'assistenza in genere di
cui all'art. 3. Né tale assistenza è solo quella di natura sanitaria, perché
l'ultimo comma della citata disposizione prevede espressamente che l'assistenza
sia erogata mediante convenzioni con centri medico-sociali che siano in grado
di offrire adeguate prestazioni educative, medico-psicologiche e di servizio
sociale.
Quanto alla legittimazione delle USL,
per il periodo successivo al 1978, il dato rilevante per la soluzione della
controversia non è costituito, come pretenderebbe il ricorrente, dal solo
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 agosto 1985, che, tra
l'altro non ha valore normativo, avendo (come risulta dalla intestazione e dal
preambolo) esclusivamente una funzione (amministrativa) di indirizzo e
coordinamento delle attività amministrative regionali e delle Province
autonome, in materia sanitaria. Procedendo alla ricognizione sistematica della
disciplina legislativa questa Corte ha di recente (sent. 1003/93) rilevato che
accanto alle prestazioni sanitarie di cui agli art. 1 e 75, 1 ° comma della
legge 833/78, l'art. 30 della legge 730/83 ha disciplinato anche le attività
di tipo socio-assistenziale, che possono essere delegate alle USL (le quali, in
relazione a queste prestazioni delegate sono tenute a tenere una apposita
contabilità separata) e l'attività di rilievo sanitario connessa con quella
socio-assistenziale, che invece, ai sensi dell'art. 51 della legge 833/78,
sono a carico direttamente del servizio sanitario nazionale. L'art. 1 del
citato decreto presidenziale 8 agosto 1985, definisce le attività di rilievo
sanitario connesse con quelle socio-assistenziali (di cui all'art. 30 della
legge 730/83) come «le attività che richiedono personale e tipologie di
intervento propri dei servizi socio-assistenziali, purché siano dirette
immediatamente e in via prevalente alla tutela della salute del cittadino e si
estrinsechino in interventi a sostegno dell'attività sanitaria di prevenzione,
cura e/o riabilitazione fisica e psichica del medesimo. In assenza dei quali
l'attività sanitaria non può svolgersi o
produrre effetti». II successivo art. 6 dello stesso decreto, avente ad oggetto
l'individuazione dei ricoveri in strutture protette, comunque denominate,
rientranti nel concetto di attività socio-assistenziale di rilievo sanitario,
non può quindi essere letto in maniera avulsa dall'art. 1, che, integrando
direttamente l'art. 30 della legge 730/83 con le nozioni necessarie per una
uniforme applicazione, detta la definizione generale di «attività di rilievo
sanitario». Per tale ragione le differenze lessicali che si rinvengono in detto
art. 6, in mancanza dell'individuazione di precise o plausibili ragioni che le
giustifichino, debbono ritenersi prive di una qualche rilevanza, specialmente
se da esse possano derivare ingiustificate disparità di trattamento alle varie
categorie di soggetti bisognosi, tenendo presente che le prestazioni sanitarie,
al pari di quelle di rilievo sanitario sono oggetto di un diritto soggettivo,
a differenza di quelle socio-assistenziali alle quali l'utente ha solo un
interesse legittimo (sent. 1003/93). Pertanto quando l'art. 6 dispone che i
ricoveri si considerano attività di rilievo sanitario se le prestazioni in
essi erogati sono dirette, in via esclusiva e prevalente: a) in caso di
handicappati e disabili, alla riabilitazione o alla rieducazione funzionale; b)
in caso di malati mentali, alla cura e al recupero fisico-psichico; c) in caso
di tossicodipendenti, alla cura e/o al recupero e d) nel caso di anziani, alla
cura degli stati morbosi non curabili a domicilio, non sembra introdurre, attraverso
l'uso della congiunzione "e" che unisce i termini "cura" e
"recupero" dei malati mentali, invece della congiunzione
"o" che unisce gli stessi termini, riferiti ai tossicodipendenti, la
distinzione tra malati mentali acuti e malati mentali cronici, al fine di
escludere l'attività di cura dei secondi da quelle considerate di rilievo
sanitario. Di una tale distinzione infatti non c'è traccia
nella legge, che
prende in considerazione l'attività di cura, indipendentemente dal tipo di malattia
(acuta o cronica) alla quale è diretta e pertanto se la disposizione dell'atto
di indirizzo e coordinamento avesse introdotto tale differenza sarebbe
certamente contra legem e come tale disapplicabile dal
giudice ordinario. In realtà, riguardo ai malati mentali cronici, come ha già
affermato questa Corte (sent. 1003/93) si deve solo accertare se in loro
favore, oltre alle prestazioni socio-assistenziali, siano erogate prestazioni
sanitarie, ovvero sia prestata soltanto una attività di sorveglianza o di
assistenza non sanitaria. Solo in questo secondo caso l'attività si potrà
considerare di natura socio-assistenziale, e pertanto estranea al servizio
sanitario, mentre nel primo si tratterà di prestazioni di rilievo sanitario di
competenza del servizio sanitario nazionale.
Poiché, con accertamento di fatto incensurabile in questa sede, la
Corte territoriale ha accertato che nella specie al soggetto ricoverato,
affetto da malattia psichica cronica, venivano erogate prestazioni sanitarie
(somministrazione continua di farmaci diretti a controllare le crisi di
aggressività), nessun dubbio può sorgere sulla qualificazione del ricovero di
cui si tratta come attività socio-assistenziale di rilievo sanitario di competenza
delle USL.
II ricorso deve essere quindi rigettato con condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
la Corte rigetta
il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che
si liquidano in L. 137.350, oltre a L. 6.000.000 per onorari.
Così deciso in Roma il 16
gennaio 1996, nella Camera di consiglio della prima Sezione civile.
(1) Cfr. "Gli anziani definiti cronici vengono calpestati nei loro
diritti", Prospettive assistenziali, n. 44, ottobre-dicembre 1978.
www.fondazionepromozionesociale.it