Su "Specchio nero" di Prospettive
assistenziali del n. 111, luglio-settembre 1995, avevamo stigmatizzato
l'appoggio dato dall'UNEBA, Unione nazionale istituzioni e iniziative di
assistenza sociale, ai villaggi SOS, che, secondo la stessa UNEBA «si
prendono cura dei bambini in stato di abbandono o di grave precarietà
familiare».
AI riguardo scrivevamo: «Ma come si fa, nel 1995, a sostenere una struttura che, alla prova
dei fatti, non è altro che una forma un po' meno arcaica dei tradizionali,
deleteri istituti di ricovero assistenziale?». Inoltre ponevamo la seguente
domanda: «Perché I'UNEBA non promuove e sostiene, in alternativa ai villaggi
SOS, l’adozione dei minori in stato di abbandono e, in particolare, di quelli
grandicelli o colpiti da handicap o da malattie, e l'affidamento familiare a
scopo educativo dei fanciulli in situazione di grave precarietà familiare?».
II nostro intervento era motivato anche, se non
soprattutto, dal fatto che gran parte dei 35-40 mila minori ricoverati lo è in
strutture gestite da organizzazioni laiche e religiose aderenti all'UNEBA.
Le nostre considerazioni hanno scatenato le ire del
Prof. Ivo Pini, Consigliere nazionale dell'UNEBA, che nell'articolo
"Villaggi SOS e adozioni di minori" apparso su "Nuova Proposta", n. 6, giugno 1996, sostiene che Prospettive assistenziali ha espresso «la sua aprioristica ostilità verso i
villaggi SOS, senza soffermarsi o contestare in alcun modo le loro reali
caratteristiche, finalità, funzionamento, ecc., ma limitandosi a definirli
"antiquati" (!) e socialmente superati (!!)».
Definendo "antiquati e superati" i villaggi
SOS, noi non pensavamo che fosse necessario ricordare al Prof. Pini e
all'UNEBA le migliaia di ricerche scientifiche condotte negli ultimi 50 anni
nei vari paesi del mondo, fra le quali ricordiamo lo studio effettuato dal
Prof. John Bowlby per conto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, ricerche
che hanno dimostrato in modo incontrovertibile i nefasti e spesso irreparabili
effetti causati dalla carenza di cure familiari e del conseguente ricovero in
istituto di assistenza. Queste deleterie conseguenze si verificano anche nelle
strutture organizzate nei cosiddetti gruppifamiglia, come lo sono i villaggi
SOS.
Ricordiamo, inoltre, che nel n. 15, luglio-settembre
1971 (e cioè 25 anni fa) di Prospettive
assistenziali avevamo riportato quanto aveva scritto sul n. 107,
maggio-giugno 1964 di "Informations" Mulock Houwer, allora
Segretario generale dell'Union Internationale de Protection de I'Enfance,
organizzazione avente voto consultivo presso le Nazioni Unite: «Ciò che mi colpisce nella lettura delle pubblicazioni dei villaggi SOS è il
modo di scrivere e cioè una propaganda che idealizza Gmeiner e che non fa mai
riferimento ai problemi reali dei villaggi: viene infatti ripetuto soprattutto
che tutto va benissimo, che queste istituzioni sono la formula più economica e
migliore delle altre. Tutto ciò è
favorito da immagini meravigliose piene di sole e di cielo blu. È certamente
un eccellente materiale per convincere l'uomo della strada che tutto ciò è il
risultato della sua quota di poche lire versata ogni mese ai villaggi SOS. In
realtà coloro che lavorano in istituzioni per minori sono confrontati con
problemi che li portano a una critica personale costruttiva, ma ciò non esiste
nelle pubblicazioni SOS. In effetti queste pubblicazioni non fanno mai alcun
accenno alla lotta che molte persone conducono nel campo delle istituzioni per
migliorare la politica ed i programmi ( ..). Dovunque vi è una considerevole
necessità di asili nido, di scuole materne, elementari e superiori. In
conclusione i villaggi SOS comprovano le carenze esistenti nella protezione
dell'infanzia, carenze di cui siamo coscienti e, anche se essi attirano
l'attenzione dei pubblico su di esse (fatto che può essere un aspetto positivo), i villaggi SOS non rappresentano una
soluzione. Essi non apportano certamente nulla di rivoluzionario e non hanno
pertanto innovato per niente nel campo della protezione all'infanzia».
E più avanti l'Autore pone in rilievo l'inaccettabile
funzione attuale dell'iniziativa di Gmeiner affermando: «I villaggi SOS
rappresentano una sfida su una più vasta scala. Infatti essi attaccano
l'affidamento familiare il cui valore è considerato incerto».
A nostro avviso, i villaggi SOS sono
un attacco non solo all'affidamento familiare dei minori con gravi difficoltà
familiari, ma anche all'adozione di fanciulli in condizione di totale abbandono
materiale e morale (1).
La difesa dei villaggi SOS da parte
dell'UNEBA ci preoccupa molto, tenuto anche conto che il Prof. Pini,
nell'articolo in oggetto, prendendo lucciole per lanterne, scrive che «gli insoddisfacenti risultati della legge
sull'adozione sono da tempo motivo di profondo rammarico per l'Associazione
delle famiglie adottive e affidatarie, sostenitrice di "Prospettive
assistenziali"» (2) aggiungendo
che «la delusione per la spesso inutile
attesa di poter adottare qualche bambino ben può spiegare la ripetuta e spesso
irragionevole messa in stato di accusa degli istituti e delle stesse
"case-famiglia" ; che accolgono minori in stato di abbandono o di
pericolo».
Ma non sanno il Prof. Pini e I'UNEBA che i minori in
stato di abbandono devono essere obbligatoriamente segnalati all'autorità
giudiziaria dagli istituti in cui sono ricoverati e che in base all'art. 70
della legge 4 maggio 1983 n. 184 «i
rappresentanti degli istituti pubblici o privati che omettono di trasmettere
semestralmente al giudice tutelare l'elenco di tutti i minori ricoverati o
assistiti ovvero forniscono informazioni inesatte circa i rapporti familiari
concernenti i medesimi, sono puniti con la pena della reclusione fino a un anno
o con la multa fino a lire 2.000.000»?
Del tutto strumentale è, poi, l'affermazione di Pini
secondo cui vi sarebbero «pur sempre dei
casi (ad esempio i nuclei di fratellini e sorelline che, per non separarli,
vengono affidati ai villaggi SOS) per i quali l'adozione, almeno in prima
istanza, non è possibile». Infatti, in questi casi, si pub procedere o
all'affidamento educativo a famiglie o persone che si impegnano a mantenere i
rapporti fra i bambini, oppure procedere al loro accoglimento temporaneo presso
una comunità alloggio.
L'internamento degli zingarelli
Vivissime preoccupazioni sono sorte in noi collegando
il sostegno dell'UNEBA ai villaggi SOS con un altro articolo di Ivo Pini,
quello pubblicato sul n. 2, febbraio 1996, di "Nuova Proposta ".
Dopo aver affermato che «in alcune grandi città, e particolarmente a Roma, sta montando il
senso di fastidio, e addirittura di ostilità, verso i piccoli nomadi che
praticano il vagabondaggio e il borseggio come attività quotidiana», il
Prof. Pini asserisce quanto segue:
«Checché se ne dica, appare arduo sperare di "recuperare" questa microdevianza
giovanile, obbligando gli "zingare/li" alla frequenza scolastica o
diffidando i loro genitori dal lasciarli liberi di circolare per la città».
Pertanto, «non
potendosi - secondo Ivo Pini - ricorrere alla drastica misura dell'espulsione delle
famiglie nomadi (verso quale destinazione, poi?...)», il Consigliere
nazionale dell'UNEBA sostiene che
«convenga collocare quei piccoli "irregolari" in istituzioni
minorili adatte; le prospettive vanno dal vero e proprio "ricovero"
in istituti di recupero al loro affidamento a comunità più idonee a casi
difficili e anomali, come le "case-famiglia "».
Forse perché questi utenti sono poco numerosi, il
Prof. Pini ritiene di «escludere la
soluzione di destinare piccole case-famiglie soltanto agli zingarelli».
Ignorando le leggi vigenti (3), Ivo Pini sostiene
addirittura che «non si può aspettare che
un così complesso e delicato problema sociale, gravido di rischi e di incognite
per l'avvenire, venga affrontato e risolto dall'autorità costituita e dai servizi
pubblici» e propone di «chiamare a raccolta opere del "privato
sociale" e gruppi di impegno ecclesiale».
(1) Cfr. il citato n. 15, luglio-settembre 1971, di
Prospettive assistenziali. Si
vedano, inoltre, i numeri 55, luglio-settembre 1981 e 93, gennaio-marzo 1991.
(2) Come sanno bene i lettori di Prospettive assistenziali, I'ANFAA
continua a sostenere la validità dell'adozione, grazie alla quale sono stati
inseriti in famiglia oltre 60 mila minori già ricoverati in istituto e vi è
stata una drastica riduzione dei fanciulli istituzionalizzati: dai 300 mila
del 1962 agli attuali 35-40 mila.
(3) Com'è noto anche ai non esperti,
la legge 184/1983 stabilisce all'art. 1 che «il
minore ha diritto di essere educato dalla propria famiglia» e che «il minore che sia temporaneamente privo di
un ambiente familiare idoneo può essere affidato ad un'altra famiglia,
possibilmente con figli minori, o ad una persona singola, o ad una comunità di
tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento, l'educazione e
l'istruzione». La stessa legge 184/1983 stabilisce il diritto all'adozione
dei fanciulli in situazione di abbandono materiale e morale da parte dei
genitori e dei parenti tenuti a provvedervi.
www.fondazionepromozionesociale.it