Prospettive assistenziali, n. 117, gennaio-marzo 1997

 

 

Notiziario dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie

 

 

APPELLO AL GOVERNO SUI VALORI FONDAMENTALI DELL'ADOZIONE

 

Nello scorso numero di Prospettive assisten­ziali avevamo riportato l'appello urgentissimo ri­volto dall'ANFAA ai Ministri per la solidarietà so­ciale, di grazia e giustizia e degli affari esteri «af­finché il Governo modifichi la bozza del disegno di legge di ratifica della Convenzione de L'Aja per la tutela dei bambini e la cooperazione nell'adozione internazionale sopprimendo l'art. 37 in quanto:

1) non è indispensabile per la ratifica della Convenzione;

2) le norme previste interferiscono pesante­mente e senza motivi validi sull'autonomia delle famiglie adottive e connotano il nucleo adottivo come famiglia di serie B. In particolare le norme suddette non tengono conto che le radici dei fi­gli adottivi (personalità, concezione della vita, ri­spetto di se stessi e degli altri, ecc.) sono interni alla famiglia adottiva. Ovviamente i genitori adot­tivi devono informare tempestivamente e corret­tamente i bambini che essi sono nati da persone che non potevano tenerli e che a seguito del­l'avvenuta adozione sono diventati i loro figli».

Finora l'appello è stato sottoscritto da 3.000 persone (figli e genitori adottivi, operatori, cittadi­ni sensibili).

La documentazione relativa è stata inviata al Ministro per la solidarietà sociale Livia Turco. Segnaliamo, inoltre, che hanno espresso valu­tazioni negative sull'articolo 37 Francesco Mila­nese - Tutore pubblico per i minori della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, il Coordinamento regionale per la tutela dei minori del Friuli-Vene­zia Giulia, l'Associazione Nova - Nuovi orizzonti per vivere l'adozione, Pierino Crema - Segretario generale CGIL Funzione pubblica del Compren­sorio di Torino, Maria Teresa Pedrocco Biancardi - Dirigente del Centro di Venezia per la tutela del bambino e la cura del disagio familiare.

Riportiamo altre tre significative prese di posi­zione.

 

1. Lettera di un figlio adottivo

Come figlio adottivo desidero esprimere la mia opinione sulla bozza di proposta di legge predisposta dal Governo per la ratifica della Convenzione dell'Aja per la tutela dei bambini e la cooperazione nell'adozione internazionale proponendola a tutti i figli adottivi come stimolo per la riflessione personale e come lancio di un momento comune di dialogo e confronto su questo tema. In particolare le mie osservazioni si riferiscono alle disposizioni che la legge pre­vede al 5° comma dell'art. 37 riguardo al dirit­to dell'adottato di conoscere l'identità dell'uomo e della donna che lo hanno generato.

Ripenso alla mia esperienza: non sono stato riconosciuto alla nascita e dopo pochi mesi so­no stato accolto dalla mia famiglia. Nel corso dell'infanzia i miei genitori mi hanno raccontato più volte la storia del nostro incontro, la loro vo­lontà di amare dei figli, la necessità da parte mia, di mio fratello e di mia sorella (adottati uno prima e l'altra dopo di me, nati da genitori biolo­gici diversi dai miei) di avere una famiglia. Dall'incontro di queste reciproche volontà d'amore è nata la nostra famiglia. Loro sono i nostri genitori, noi i loro figli. Per questo nel cor­so della vita non ho mai cercato di scoprire l'identità di chi mi ha messo al mondo. Sempli­cemente non ne ho avuto l'esigenza perché so che mio padre e mia madre sono coloro che mi hanno adottato. Così quando la gente mi chiede se sono curioso di sapere chi sia mia "madre" e chi mio "padre" rispondo sempre che la doman­da è formulata male poiché conosco benissimo i miei genitori, semmai non ho incontrato quelli che sono stati i generatori biologici della mia esistenza.

L'unica curiosità che possono dimostrare è quella di sapere se eventualmente chi mi ha ge­nerato fosse affetto da malattie che si possono trasmettere ereditariamente. Nulla di più. In veri­tà si tratta di una curiosità che ho sempre senti­to pochissimo ed ora, che ho quasi trent'anni e ancora tutti i capelli in testa, mi rendo conto che è nata più dalle domande degli altri che da una mia esigenza. II richiamo ai capelli non è casua­le, poiché da adolescente temevo di diventare calvo e come è noto la calvizie è una malattia ereditaria. Se fossi stato seriamente preoccupa­to delle mie condizioni di salute avrei benissimo potuto richiedere una mappa genetica del mio corpo, ma non ne ho mai sentito la necessità. Quello che invece mi preoccupa molto di più è l'atteggiamento di chi ritiene ancora i vincoli di sangue una cosa importante. Sopravvalutare i legami biologici è un luogo comune sorretto dall'ignoranza e dalla scarsa capacità di leggere la vita degli uomini. Per la scienza e per gli indi­vidui dotati di un discreto senso comune è chia­ro ormai da tempo che le influenze date dall'am­biente e dalle relazioni incidono in modo deter­minante sullo sviluppo e la creazione del carattere di una persona, mentre i caratteri ereditari si limitano praticamente a modellare l'aspetto fisi­co di questa. Penso che ritenere i legami di san­gue paragonabili a quelli dati dalla vita in comune, dal crescere insieme e soprattutto dall'amore sia errato e sottenda l'idea che i genitori adottivi e i loro figli non siano una vera famiglia. Ritengo che questa posizione sia profondamente sbagliata e che in parte sia alla base della proposta di legge dell'Aja. Un'ultima considerazione.

Quando ero piccolo, alla televisione aveva un grande successo un telefilm intitolato Work & Mindy". II protagonista veniva da un pianeta tec­nologicamente molto più avanzato del nostro e alcune volte raccontava di essere figlio di un alambicco e di un contagocce! Malgrado ciò era molto più umano di tanti terrestri e la sua strana origine non gli faceva granché problema. Non tutti sono come Mork, e a qualcuno può nuocere conoscere l'identità di chi lo ha messo al mon­do, invece, al contrario, mai e poi mai ad alcun figlio adottivo può negarsi il diritto di essere pie­namente figlio dei genitori che lo hanno accolto. II prevedere che l'adottato possa ricercare le persone che lo hanno generato mi pare più che un aiuto una forma per mettere in dubbio questo fondamentale diritto.

Per questo penso che l'art. 37 della bozza di legge per la ratifica della convenzione dell'Aja in materia di adozione debba essere respinta, poi­ché insinua una sottile discriminante tra le fami­glie biologiche e quelle adottive; tra figli "natura­li" e figli adottivi, come se questi ultimi fossero in qualche misura "innaturali". Ovviamente questo è solo un punto di vista, il mio, determinato dalla mia storia personale. Diverso può essere il giu­dizio di chi proviene da esperienze lontane dalla mia, come chi, ad esempio, serba ricordi della propria famiglia d'origine e di conseguenza può porsi in un'ottica differente. Anche per questo ri­tengo che sia utile un incontro tra noi figli adotti­vi per poter confrontare esperienze ed opinioni in proposito, e per far sentire finalmente la no­stra voce e le nostre proposte.

20 dicembre 1996

Giovanni Viarengo

 

2. Lettera di due genitori adottivi

Siamo una coppia di genitori adottivi. Sette anni fa abbiamo accolto nostro figlio, portatore di han­dicap fisico e per questo motivo non riconosciuto alla nascita dai suoi genitori biologici (1).

Nostro figlio, gentile Onorevole, è acondropla­sico, portatore cioè di quella forma di nanismo caratterizzata da gambe e braccia corte e da una testa un po' troppo grossa, ma è un bimbo bel­lissimo e molto affettuoso. Conosce la sua storia di figlio adottivo ed è ormai perfettamente con­sapevole della sua diversità, che inizialmente, al primo impatto con i giudizi non sempre lusin­ghieri dei "normali", gli ha causato più di un'an­goscia, ma che adesso (per il momento, almeno) sta imparando a vivere con maggior serenità e a volte persino con un pizzico di autoironia.

Ha soltanto sette anni, ancora; quando ne avrà qualcuno di più si renderà conto che il mo­tivo per cui chi lo ha generato non lo ha voluto con sé è proprio quella diversità; nascerà allora in lui il desiderio di conoscere gli autori di una simile scelta? Non lo sappiamo, ma crediamo che non sia assolutamente scontato che ciò av­venga perché pensiamo, soprattutto sulla base di ciò che altri figli adottivi ormai adulti ci hanno detto e di ciò che sull'argomento abbiamo potu­to leggere, che quando nasce l'insopprimibile esigenza della ricerca dei procreatori (si badi non la semplice astratta curiosità) vuol dire che qualcosa, nel percorso dell'adozione, non ha funzionato a dovere.

Ma poniamo pure che nostro figlio senta que­sta esigenza: quale significato e soprattutto quale obiettivo potrebbe avere, in una vicenda simile, la ripresa di un contatto con chi ha allon­tanato da sé il proprio nato perché diverso? Quali effetti devastanti sulla personalità di quel ragazzo dovremmo aspettarci a seguito di un si­mile incontro?

Chi sono, gentile Ministro, i genitori di questo bambino, secondo Lei? Qual è la sua famiglia, quella che può farlo crescere e diventare una persona per quanto possibile serena ed equili­brata?

Se è vero che l'adozione è la ricostruzione da zero, per un bambino, di una famiglia che non c'è più, a quale scopo far riapparire quelle om­bre, a qualunque età ciò si verifichi? È vero che nel testo del disegno di legge per la ratifica della Convenzione dell'Aja è previsto che le informa­zioni sull'identità dei genitori biologici non ven­gano trasmesse al ragazzo in alcuni casi, fra cui l'espresso rifiuto da parte di chi lo abbandonato, ma pensi a come potrebbe sentirsi nostro figlio il giorno in cui un giudice gli dicesse: «Non pos­so dirtelo: loro non hanno voluto che lo sapes­si». Non significherebbe la riapertura della ferita dell'abbandono?

Sappiamo già per certo che un abbandono non si dimentica; ci si convive, lo si supera con l'aiuto e l'amore della famiglia, ma non si cancel­la; a quale scopo si debbono far rivivere simili dolori?

È vero che l'intero disegno di legge è riferito all'adozione internazionale, mentre nostro figlio è italiano, ma sappiamo già che esistono dubbi di legittimità costituzionale circa la disparità di diritti che si verrebbe a creare fra adottati ita­liani e stranieri, e la giurisprudenza potrebbe estendere in modo imprevedibile le conseguen­ze di un atto legislativo originariamente pensato per avere portata ben più limitata.

Abbiamo parlato di questa ipotetica norma con alcuni figli adottivi adulti, nostri amici; una di loro ha commentato: «A che scopo? Per presen­tare il conto a chi mi ha generato?». Pensi sol­tanto, gentile Ministro, agli effetti destabilizzanti che avrebbe l'ingresso, nella vita di una famiglia adottiva, di figure e di storie così disturbanti.

Se vogliamo davvero che i figli adottivi cre­scano come persone equilibrate, serene, auto­nome lasciamo - lasciate, gentile Onorevole - che ciascuna famiglia segua un proprio percor­so per accompagnare i propri figli anche al su­peramento del lutto dell'abbandono, e lasciate nell'ombra chi ha scelto di rinunciare al suo ruo­lo genitoriale, nel rispetto dei sentimenti di tutti i protagonisti di simili, delicatissime, storie.

10 dicembre 1996

Angela e Maurizio Liberti

 

Documento di alcuni specialisti

Avendo preso visione del testo dell'art. 37 del­lo schema di disegno di legge relativo alla ratifi­ca della Convenzione de L'Aja in materia di tute­la dei minori e di cooperazione in materia di adozione internazionale, riteniamo necessario portare a sua conoscenza alcune considerazio­ni in merito, derivanti dalla nostra approfondita esperienza professionale in questo settore.

Comma 1: la conservazione dei documenti in luogo "altro" dalla famiglia costituisce tutela del minore ed è auspicabile in quanto uguaglia l'adottato internazionale all'adottato italiano. È un inammissibile errore tecnico, invece, la dici­tura "i suoi genitori" e "la sua famiglia" che van­no modificate in "genitori biologici" e "famiglia d'origine".

Comma 2: costituisce un riconoscimento del diritto/dovere dei genitori adottivi per la comuni­cazione delle origini adottive del figlio. Questa comunicazione legittima la famiglia adottiva ad essere la vera famiglia del minore.

Comma 3: i medesimi termini impropri: "sua famiglia" vanno riscritti come "genitori biologici". Per quanto concerne le informazioni sanitarie da passare all'adottato e/o ai suoi genitori adottivi è ovvio che esse, per la tutela del minore (e solo per questa, non per mera informazione) vanno fornite agli aspiranti genitori adottivi prima dell'inserimento del bambino a misura preventi­va di ogni possibile problema. Ciò è già peraltro previsto per i minori italiani: infatti l'art. 22, com­ma 5, recita: «il Tribunale per i Minorenni deve in ogni caso informare i richiedenti sui fatti rilevan­ti, relativi al minore, emersi dalle indagini». Ciò può significare che chi ha selezionato e prepa­rato i futuri genitori darà loro tutte quelle infor­mazioni riguardanti la storia personale e familia­re del bambino che possono favorire il positivo inserimento nella famiglia adottiva.

Le informazioni più urgenti sono quelle sanita­rie, sarà però importante sapere anche dove il bambino ha vissuto nei suoi primi anni: se in ospedale, in istituto o in famiglia e come ha vis­suto, se ad esempio ha subìto traumi o violenze. Ai futuri genitori non serve invece sapere se la madre del bambino era per esempio prostituta o tossicodipendente in quanto questa non è una informazione che favorisce l'inserimento dei bambino nella famiglia, ma può eventualmente generare dei pregiudizi.

Stante quanto detto, tutto l'ultimo paragrafo del comma, e in particolare la delimitazione di un'età: 16 anni (perché non 18 allora?), risulta superfluo.

Comma 4: il testo definisce in modo chiaro e inconfutabile, a tutela del minore e a tutela dei genitori biologici, la negatività di interferenze di comunicazione che non partano dal Tribunale o dai genitori adottivi.

Comma 5: va cassato, infatti sembra molto pericoloso porre l'accento sulla identità anagra­fica (nome, cognome, indirizzo) dei genitori bio­logici poiché ciò che è indispensabile e neces­sario alla costruzione dell'identità personale del minore adottato, e suo diritto, sono "le ragioni del disgiungimento dai genitori biologici".

Infatti questa è la storia dell'adottato, queste sono le informazioni sulle origini a cui ha diritto. Conoscendole, se le richiede, e attraverso una comunicazione tutelata e guidata, l'adottato può avere un aiuto ad elaborare il lutto della definiti­va perdita di chi lo ha generato. Nomi, cognomi e indirizzi, comunicati ufficialmente, sono una falsa risposta al bisogno delle persone, ed inne­scano una spirale rivendicativa che non aiuta la necessaria, seppur complessa elaborazione della perdita. I dati identificatori appaiono quindi una pericolosa idea magica, falsamente risoluti­va, che allontana il faticoso ma unico e indi­spensabile cammino per la profonda riappro­priazione della propria storia.

 

Elena Allegri, psicologa, psicoterapeuta familiare, assistente sociale, docente di metodologia e tec­niche di servizio sociale, Università di Torino;

Guido Cattabeni, medico psicologo, primario ospedaliero, responsabile sanitario Ospedale "Corberi" (Limbiate) di neuropsichiatria infantile;

Stefano Cirillo, psicologo, terapeuta della fami­glia, Centro per il bambino maltrattato e la cura della crisi familiare di Milano, membro dello staff del nuovo Centro per lo studio della famiglia di Milano, docente presso l'annesso Scuola di psi­coterapia della famiglia, didatta della Società ita­liana di ricerca e terapia sistemica;

Marina Farri, psicologa, psicoterapeuta, USSL n. 8 Moncalieri, coautrice del volume "ll figlio del desiderio" (Boringhieri), consulente équipe ado­zioni presso il Tribunale per i minorenni del Pie­monte-Valle d'Aosta;

Laura Gabbana, psicologa e psicoterapeuta, consigliere e socio fondatore del Coordinamento nazionale comunità per minori;

Dante Ghezzi, psicologo terapeuta familiare, Centro per il bambino maltrattato e la cura della crisi familiare di Milano, didatta della Società di ricerca e terapia sistemica (SIRTS), coautore del libro "La tutela del minore nell'adozione" (Cortina 1996);

Donatella Guidi, psicologa, psicoterapeuta, tera­peuta familiare, consulente tecnico d'ufficio presso il Tribunale per i minorenni di Milano, già giudice onorario presso lo stesso Tribunale, coautrice dei volumi "Guida all'adozione" (Oscar Mondadori), "E io dov'ero?"; - Tre fiabe per rac­contare la nascita adottiva; "La tutela del minore nella adozione" (Cortina 1996);

Maria Massari, medico specialista in neuropsi­chiatria e psicologia, Consulente tecnico del Co­mune di Torino e del CEMEA;

Francesco Vadilonga, psicologo, terapeuta della famiglia, responsabile del Centro terapia dell'adolescenza di Milano, coautore del Libro "La tutela del minore nella adozione" (Cortina).

9 dicembre 1996

 

 

 

(1) Si veda l'articolo "Abbiamo adottato un bambino con un grave handicap", Prospettive assistenziali, n. 113, gen­naio-marzo 1996.

 

 

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