Notiziario
dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie
APPELLO AL GOVERNO SUI
VALORI FONDAMENTALI DELL'ADOZIONE
Nello scorso
numero di Prospettive assistenziali avevamo riportato l'appello urgentissimo
rivolto dall'ANFAA ai Ministri per la solidarietà sociale, di grazia e
giustizia e degli affari esteri «affinché
il Governo modifichi la bozza del disegno di legge di ratifica della
Convenzione de L'Aja per la tutela dei bambini e la cooperazione nell'adozione
internazionale sopprimendo l'art. 37 in quanto:
1)
non è indispensabile per la ratifica della Convenzione;
2) le norme previste interferiscono pesantemente e
senza motivi validi sull'autonomia delle famiglie adottive e connotano il
nucleo adottivo come famiglia di serie B. In particolare le norme suddette non
tengono conto che le radici dei figli adottivi (personalità, concezione della
vita, rispetto di se stessi e degli altri, ecc.) sono interni alla famiglia
adottiva. Ovviamente i genitori adottivi devono informare tempestivamente e
correttamente i bambini che essi sono nati da persone che non potevano tenerli
e che a seguito dell'avvenuta adozione sono diventati i loro figli».
Finora
l'appello è stato sottoscritto da 3.000 persone (figli e genitori adottivi,
operatori, cittadini sensibili).
La
documentazione relativa è stata inviata al Ministro per la solidarietà sociale
Livia Turco. Segnaliamo, inoltre, che hanno espresso valutazioni negative
sull'articolo 37 Francesco Milanese - Tutore pubblico per i minori della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, il Coordinamento regionale per la
tutela dei minori del Friuli-Venezia Giulia, l'Associazione Nova - Nuovi
orizzonti per vivere l'adozione, Pierino Crema - Segretario generale CGIL
Funzione pubblica del Comprensorio di Torino, Maria Teresa Pedrocco Biancardi
- Dirigente del Centro di Venezia per la tutela del bambino e la cura del
disagio familiare.
Riportiamo altre tre significative
prese di posizione.
1. Lettera di un figlio adottivo
Come figlio adottivo desidero esprimere la mia
opinione sulla bozza di proposta di legge predisposta dal Governo per la
ratifica della Convenzione dell'Aja per la tutela dei bambini e la cooperazione
nell'adozione internazionale proponendola a tutti i figli adottivi come stimolo
per la riflessione personale e come lancio di un momento comune di dialogo e
confronto su questo tema. In particolare le mie osservazioni si riferiscono
alle disposizioni che la legge prevede al 5° comma dell'art. 37 riguardo al
diritto dell'adottato di conoscere l'identità dell'uomo e della donna che lo
hanno generato.
Ripenso alla mia esperienza: non sono stato
riconosciuto alla nascita e dopo pochi mesi sono stato accolto dalla mia
famiglia. Nel corso dell'infanzia i miei genitori mi hanno raccontato più volte
la storia del nostro incontro, la loro volontà di amare dei figli, la
necessità da parte mia, di mio fratello e di mia sorella (adottati uno prima e
l'altra dopo di me, nati da genitori biologici diversi dai miei) di avere una
famiglia. Dall'incontro di queste reciproche volontà d'amore è nata la nostra
famiglia. Loro sono i nostri genitori, noi i loro figli. Per questo nel corso
della vita non ho mai cercato di scoprire l'identità di chi mi ha messo al
mondo. Semplicemente non ne ho avuto l'esigenza perché so che mio padre e mia
madre sono coloro che mi hanno adottato. Così quando la gente mi chiede se sono
curioso di sapere chi sia mia "madre" e chi mio "padre"
rispondo sempre che la domanda è formulata male poiché conosco benissimo i
miei genitori, semmai non ho incontrato quelli che sono stati i generatori
biologici della mia esistenza.
L'unica curiosità che possono dimostrare è quella di
sapere se eventualmente chi mi ha generato fosse affetto da malattie che si
possono trasmettere ereditariamente. Nulla di più. In verità si tratta di una
curiosità che ho sempre sentito pochissimo ed ora, che ho quasi trent'anni e
ancora tutti i capelli in testa, mi rendo conto che è nata più dalle domande
degli altri che da una mia esigenza. II richiamo ai capelli non è casuale,
poiché da adolescente temevo di diventare calvo e come è noto la calvizie è una
malattia ereditaria. Se fossi stato seriamente preoccupato delle mie
condizioni di salute avrei benissimo potuto richiedere una mappa genetica del
mio corpo, ma non ne ho mai sentito la necessità. Quello che invece mi
preoccupa molto di più è l'atteggiamento di chi ritiene ancora i vincoli di
sangue una cosa importante. Sopravvalutare i legami biologici è un luogo comune
sorretto dall'ignoranza e dalla scarsa capacità di leggere la vita degli
uomini. Per la scienza e per gli individui dotati di un discreto senso comune
è chiaro ormai da tempo che le influenze date dall'ambiente e dalle relazioni
incidono in modo determinante sullo sviluppo e la creazione del carattere di
una persona, mentre i caratteri ereditari si limitano praticamente a modellare
l'aspetto fisico di questa. Penso che ritenere i legami di sangue
paragonabili a quelli dati dalla vita in comune, dal crescere insieme e
soprattutto dall'amore sia errato e sottenda l'idea che i genitori adottivi e i
loro figli non siano una vera famiglia. Ritengo che questa posizione sia
profondamente sbagliata e che in parte sia alla base della proposta di legge
dell'Aja. Un'ultima considerazione.
Quando ero piccolo, alla televisione aveva un grande
successo un telefilm intitolato Work & Mindy". II protagonista veniva
da un pianeta tecnologicamente molto più avanzato del nostro e alcune volte
raccontava di essere figlio di un alambicco e di un contagocce! Malgrado ciò
era molto più umano di tanti terrestri e la sua strana origine non gli faceva
granché problema. Non tutti sono come Mork, e a qualcuno può nuocere conoscere
l'identità di chi lo ha messo al mondo, invece, al contrario, mai e poi mai ad
alcun figlio adottivo può negarsi il diritto di essere pienamente figlio dei
genitori che lo hanno accolto. II prevedere che l'adottato possa ricercare le
persone che lo hanno generato mi pare più che un aiuto una forma per mettere in
dubbio questo fondamentale diritto.
Per questo penso che l'art. 37 della bozza di legge
per la ratifica della convenzione dell'Aja in materia di adozione debba essere
respinta, poiché insinua una sottile discriminante tra le famiglie biologiche
e quelle adottive; tra figli "naturali" e figli adottivi, come se
questi ultimi fossero in qualche misura "innaturali". Ovviamente
questo è solo un punto di vista, il mio, determinato dalla mia storia
personale. Diverso può essere il giudizio di chi proviene da esperienze
lontane dalla mia, come chi, ad esempio, serba ricordi della propria famiglia
d'origine e di conseguenza può porsi in un'ottica differente. Anche per questo
ritengo che sia utile un incontro tra noi figli adottivi per poter
confrontare esperienze ed opinioni in proposito, e per far sentire finalmente
la nostra voce e le nostre proposte.
20 dicembre 1996
Giovanni Viarengo
2. Lettera di due genitori adottivi
Siamo una coppia di genitori adottivi. Sette anni fa
abbiamo accolto nostro figlio, portatore di handicap fisico e per questo
motivo non riconosciuto alla nascita dai suoi genitori biologici (1).
Nostro figlio, gentile Onorevole, è acondroplasico,
portatore cioè di quella forma di nanismo caratterizzata da gambe e braccia
corte e da una testa un po' troppo grossa, ma è un bimbo bellissimo e molto
affettuoso. Conosce la sua storia di figlio adottivo ed è ormai perfettamente
consapevole della sua diversità, che inizialmente, al primo impatto con i
giudizi non sempre lusinghieri dei "normali", gli ha causato più di
un'angoscia, ma che adesso (per il momento, almeno) sta imparando a vivere con
maggior serenità e a volte persino con un pizzico di autoironia.
Ha soltanto sette anni, ancora; quando ne avrà
qualcuno di più si renderà conto che il motivo per cui chi lo ha generato non
lo ha voluto con sé è proprio quella diversità; nascerà allora in lui il
desiderio di conoscere gli autori di una simile scelta? Non lo sappiamo, ma
crediamo che non sia assolutamente scontato che ciò avvenga perché pensiamo,
soprattutto sulla base di ciò che altri figli adottivi ormai adulti ci hanno
detto e di ciò che sull'argomento abbiamo potuto leggere, che quando nasce
l'insopprimibile esigenza della ricerca dei procreatori (si badi non la
semplice astratta curiosità) vuol dire che qualcosa, nel percorso
dell'adozione, non ha funzionato a dovere.
Ma poniamo pure che nostro figlio senta questa
esigenza: quale significato e soprattutto quale obiettivo potrebbe avere, in
una vicenda simile, la ripresa di un contatto con chi ha allontanato da sé il
proprio nato perché diverso? Quali effetti devastanti sulla personalità di quel
ragazzo dovremmo aspettarci a seguito di un simile incontro?
Chi sono, gentile Ministro, i genitori di questo
bambino, secondo Lei? Qual è la sua famiglia, quella che può farlo crescere e
diventare una persona per quanto possibile serena ed equilibrata?
Se è vero che l'adozione è la ricostruzione da zero,
per un bambino, di una famiglia che non c'è più, a quale scopo far riapparire
quelle ombre, a qualunque età ciò si verifichi? È vero che nel testo del
disegno di legge per la ratifica della Convenzione dell'Aja è previsto che le
informazioni sull'identità dei genitori biologici non vengano trasmesse al
ragazzo in alcuni casi, fra cui l'espresso rifiuto da parte di chi lo
abbandonato, ma pensi a come potrebbe sentirsi nostro figlio il giorno in cui
un giudice gli dicesse: «Non posso dirtelo: loro non hanno voluto che lo sapessi».
Non significherebbe la riapertura della ferita dell'abbandono?
Sappiamo già per certo che un abbandono non si
dimentica; ci si convive, lo si supera con l'aiuto e l'amore della famiglia, ma
non si cancella; a quale scopo si debbono far rivivere simili dolori?
È
vero che l'intero disegno di legge è riferito all'adozione internazionale,
mentre nostro figlio è italiano, ma sappiamo già che esistono dubbi di
legittimità costituzionale circa la disparità di diritti che si verrebbe a
creare fra adottati italiani e stranieri, e la giurisprudenza potrebbe
estendere in modo imprevedibile le conseguenze di un atto legislativo
originariamente pensato per avere portata ben più limitata.
Abbiamo parlato di questa ipotetica norma con alcuni
figli adottivi adulti, nostri amici; una di loro ha commentato: «A che scopo?
Per presentare il conto a chi mi ha generato?». Pensi soltanto, gentile
Ministro, agli effetti destabilizzanti che avrebbe l'ingresso, nella vita di
una famiglia adottiva, di figure e di storie così disturbanti.
Se vogliamo davvero che i figli adottivi crescano
come persone equilibrate, serene, autonome lasciamo - lasciate, gentile
Onorevole - che ciascuna famiglia segua un proprio percorso per accompagnare i
propri figli anche al superamento del lutto dell'abbandono, e lasciate
nell'ombra chi ha scelto di rinunciare al suo ruolo genitoriale, nel rispetto
dei sentimenti di tutti i protagonisti di simili, delicatissime, storie.
10 dicembre 1996
Angela e Maurizio Liberti
Documento di alcuni specialisti
Avendo preso visione del testo dell'art. 37 dello
schema di disegno di legge relativo alla ratifica della Convenzione de L'Aja
in materia di tutela dei minori e di cooperazione in materia di adozione
internazionale, riteniamo necessario portare a sua conoscenza alcune
considerazioni in merito, derivanti dalla nostra approfondita esperienza
professionale in questo settore.
Comma 1: la conservazione dei documenti in luogo
"altro" dalla famiglia costituisce tutela del minore ed è auspicabile
in quanto uguaglia l'adottato internazionale all'adottato italiano. È un
inammissibile errore tecnico, invece, la dicitura "i suoi genitori"
e "la sua famiglia" che vanno modificate in "genitori
biologici" e "famiglia d'origine".
Comma 2: costituisce un riconoscimento del diritto/dovere dei
genitori adottivi per la comunicazione delle origini adottive del figlio.
Questa comunicazione legittima la famiglia adottiva ad essere la vera famiglia
del minore.
Comma 3: i medesimi termini impropri: "sua
famiglia" vanno riscritti come "genitori biologici". Per quanto
concerne le informazioni sanitarie da passare all'adottato e/o ai suoi genitori
adottivi è ovvio che esse, per la tutela del minore (e solo per questa, non per
mera informazione) vanno fornite agli aspiranti genitori adottivi prima
dell'inserimento del bambino a misura preventiva di ogni possibile problema.
Ciò è già peraltro previsto per i minori italiani: infatti l'art. 22, comma 5,
recita: «il Tribunale per i Minorenni deve in ogni caso informare i richiedenti
sui fatti rilevanti, relativi al minore, emersi dalle indagini». Ciò può
significare che chi ha selezionato e preparato i futuri genitori darà loro
tutte quelle informazioni riguardanti la storia personale e familiare del
bambino che possono favorire il positivo inserimento nella famiglia adottiva.
Le informazioni più urgenti sono quelle sanitarie,
sarà però importante sapere anche dove il bambino ha vissuto nei suoi primi
anni: se in ospedale, in istituto o in famiglia e come ha vissuto, se ad
esempio ha subìto traumi o violenze. Ai futuri genitori non serve invece sapere
se la madre del bambino era per esempio prostituta o tossicodipendente in
quanto questa non è una informazione che favorisce l'inserimento dei bambino
nella famiglia, ma può eventualmente generare dei pregiudizi.
Stante quanto detto, tutto l'ultimo paragrafo del
comma, e in particolare la delimitazione di un'età: 16 anni (perché non 18
allora?), risulta superfluo.
Comma 4: il testo definisce in modo chiaro e inconfutabile, a
tutela del minore e a tutela dei genitori biologici, la negatività di
interferenze di comunicazione che non partano dal Tribunale o dai genitori
adottivi.
Comma 5: va cassato, infatti sembra molto pericoloso porre
l'accento sulla identità anagrafica (nome, cognome, indirizzo) dei genitori
biologici poiché ciò che è indispensabile e necessario alla costruzione
dell'identità personale del minore adottato, e suo diritto, sono "le
ragioni del disgiungimento dai genitori biologici".
Infatti questa è la storia dell'adottato, queste sono
le informazioni sulle origini a cui ha diritto. Conoscendole, se le richiede, e
attraverso una comunicazione tutelata e guidata, l'adottato può avere un aiuto
ad elaborare il lutto della definitiva perdita di chi lo ha generato. Nomi,
cognomi e indirizzi, comunicati ufficialmente, sono una falsa risposta al
bisogno delle persone, ed innescano una spirale rivendicativa che non aiuta la
necessaria, seppur complessa elaborazione della perdita. I dati identificatori
appaiono quindi una pericolosa idea magica, falsamente risolutiva, che
allontana il faticoso ma unico e indispensabile cammino per la profonda
riappropriazione della propria storia.
Elena Allegri, psicologa,
psicoterapeuta familiare, assistente sociale, docente di metodologia e tecniche
di servizio sociale, Università di Torino;
Guido Cattabeni, medico psicologo,
primario ospedaliero, responsabile sanitario Ospedale "Corberi"
(Limbiate) di neuropsichiatria infantile;
Stefano Cirillo, psicologo, terapeuta
della famiglia, Centro per il bambino maltrattato e la cura della crisi
familiare di Milano, membro dello staff del nuovo Centro per lo studio della
famiglia di Milano, docente presso l'annesso Scuola di psicoterapia della
famiglia, didatta della Società italiana di ricerca e terapia sistemica;
Marina Farri, psicologa,
psicoterapeuta, USSL n. 8 Moncalieri, coautrice del volume "ll figlio del
desiderio" (Boringhieri), consulente équipe adozioni presso il Tribunale
per i minorenni del Piemonte-Valle d'Aosta;
Laura Gabbana, psicologa e
psicoterapeuta, consigliere e socio fondatore del Coordinamento nazionale comunità
per minori;
Dante Ghezzi, psicologo terapeuta
familiare, Centro per il bambino maltrattato e la cura della crisi familiare di
Milano, didatta della Società di ricerca e terapia sistemica (SIRTS), coautore
del libro "La tutela del minore nell'adozione" (Cortina 1996);
Donatella Guidi, psicologa,
psicoterapeuta, terapeuta familiare, consulente tecnico d'ufficio presso il
Tribunale per i minorenni di Milano, già giudice onorario presso lo stesso
Tribunale, coautrice dei volumi "Guida all'adozione" (Oscar Mondadori),
"E io dov'ero?"; - Tre fiabe per raccontare la nascita adottiva;
"La tutela del minore nella adozione" (Cortina 1996);
Maria Massari, medico specialista in
neuropsichiatria e psicologia, Consulente tecnico del Comune di Torino e del
CEMEA;
Francesco Vadilonga, psicologo,
terapeuta della famiglia, responsabile del Centro terapia dell'adolescenza di
Milano, coautore del Libro "La tutela del minore nella adozione"
(Cortina).
9 dicembre 1996
(1) Si veda l'articolo "Abbiamo
adottato un bambino con un grave handicap", Prospettive assistenziali, n.
113, gennaio-marzo 1996.
www.fondazionepromozionesociale.it