Prospettive assistenziali, n. 117, gennaio-marzo 1997

 

 

Notiziario dell'Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale

 

 

LA CHIUSURA DEGLI EX OSPEDALI PSICHIATRICI

 

La sentenza di assoluzione del Tribunale di Agrigento sui responsabili delle sevizie e delle violenze perpetrate contro i ricoverati negli anni passati e per anni, dell'ex Ospedale psichiatrico locale ci ha lasciato delusi, contrariati e stupiti.

Quale è il livello di coscienza che oggi esiste in Italia sul problema della malattia mentale? Quando leggiamo e vediamo che in alcune si­tuazioni territoriali la popolazione rifiuta l'inse­diamento di una comunità terapeutica di un pic­colo gruppo di "matti" abbiamo timore, in con­nessione con la sentenza di Agrigento, che tan­ta strada ancora deve essere fatta per affermare il diritto di tutti i malati ad essere curati e riabili­tati secondo la loro condizione e le caratteristi­che della loro malattia.

Una strada difficile, perché da secoli "gli alie­nati”, vengono esclusi dalla società, per decenni abbandonati in lager come quelli di Agrigento e se non fino a quel punto, quanto meno totalmen­te emarginati. Oggi abbiamo una legge molto chiara che ha decretato la chiusura degli ex ma­nicomi. I manicomi dal 31 dicembre del '96 de­vono essere stati chiusi. Sarà vero?

Perché questo sia vero riteniamo si debba operare in un certo modo che molte volte come associazioni, abbiamo ripetuto, ma che ci sem­bra dover essere ripuntualizzato, perché ci sono dei segnali che ci lasciano alquanto perplessi.

Abbiamo infatti visitato molti ex O.P., parteci­pato a convegni, letto diversi piani di ristruttura­zioni presentati dalle USL e approvati dalle Re­gioni. Non possiamo dirci totalmente soddisfatti.

Anzitutto non vi è omogeneità nel modo di im­postare il problema. Se è vero che le caratteri­stiche di ciascun ex O.P., inserito in un contesto territoriale specifico, sono diverse, non possono essere diversi o confusi i principi base sui quali definire la chiusura.

 

1. L'analisi della situazione. Sono poche le si­tuazioni che abbiamo esaminato che partono da questo primo dato. Devono essere definite con precisione le condizioni diagnostiche, storiche (da dove provengono) e sociali (rapporti con i famigliari, reddito, ecc.) di ciascun paziente.

 

2. Deve essere definita la responsabilità "sto­rica" dell'ex O.P. e della struttura sanitaria re­sponsabile. In altri termini le persone ricoverate, a volte, non correttamente rispetto alle leggi precedenti la 180/1978 o addirittura anche do­po la 180, devono essere seguite da un'unica struttura responsabile anche dopo la dimissio­ne. Non è accettabile la collocazione "ragionieri­stica" dei pazienti per fare in fretta a liberarsi di loro al più presto perché in questo modo si ridu­cano le spese dell'USL.

 

3. È sbagliato e quindi inaccettabile la collo­cazione in strutture assistenziali di persone con malattia mentale o demenza senile o affette da alcolismo, o handicappate gravi colpite da ma­lattie gravi o da non autosufficienza. Ci siamo resi conto che diversi piani di ristrutturazione di USL prevedono nei confronti dei pazienti ricove­rati negli ex O.P. sistemazioni in strutture sanita­rie di persone propriamente affette da malattie mentali (schizofrenie, psicosi e altro), mentre per tutti gli altri che non sono "matti doc", ven­gono previste strutture assistenziali di vario ge­nere, in particolare case di riposo. Oppure ven­gono istituite RSA all'interno dell'ex O.P. per de­menti senili, o per persone che si reputa impos­sibile dimettere pur affetti da malattia mentale o handicap grave. Ci teniamo a ribadire che tutti i ricoverati in ex O.P. devono rimanere totalmente a carico della sanità, senza passaggi all'assi­stenza più o meno mascherati e le Residenze sanitarie assistenziali sono strutture della sanità direttamente o indirettamente gestite dalle USL (vedi Progetto-obiettivo nazionale "Tutela della salute degli anziani"), che, di contro, non sono strutture per handicappati o per malati mentali.

 

3. La dimissione deve avvenire in questo modo:

a) valutazione diagnostica, terapeutica e so­ciale di ciascun paziente e inserimento dello stesso nel gruppo omogeneo corrispondente (malati psichiatrici, dementi senili, handicappati gravi, alcolisti, altri);

b) dimissione di coloro che sono in grado di esserlo immediatamente perché lo chiedono, perché i parenti lo vogliono, perché sono in gra­do senza fare alcun tipo di preparazione;

c) programma di dimissione per gli altri (che sono la stragrande maggioranza) con un'ade­guata preparazione non senza il loro consenso e il consenso dei loro tutori o parenti. La gran parte dei dimessi - relativamente alla classifica­zione di cui sopra - devono essere collocati in piccole comunità (8-10 persone massimo) nei territori di provenienza, anche con un necessa­rio sforzo di preparazione dei vicini e della co­munità locale in cui vengono inseriti;

d) piuttosto che cambiare il nome e chiamare l'ex O.P. RSA, trattenendo un certo numero di persone nel manicomio, è meglio mantenere co­loro di cui si giudica impossibile la dimissione nel breve e medio periodo adeguando la struttu­ra e formando piccole comunità interne. Questo non esime dal definire in linea di massima il pe­riodo in cui potrà avvenire la dimissione.

 

4. Deve essere chiarito ancora una volta che tutta l'azione di dimissione deve essere fatta con il consenso dei pazienti, dei loro tutori e/o fami­gliari. Questo viene detto chiaramente anche nelle linee guida del Ministero della sanità, ma non viene, nella gran parte dei casi che cono­sciamo, ancora praticato. Inoltre devono essere coinvolti gli organismi di partecipazione su tutto il progetto di riconversione-chiusura (compresi gli aspetti immobiliari). Ad esempio in Lombardia è fatto obbligo di istituire nell'USL dove è pre­sente l'ex O.P. il "Comitato di salute mentale", quale parte del Comitato di partecipazione di cui alla legge regionale 48/88.

 

5. Alcuni problemi difficili:

a) all'interno degli ex O.P. da chiudere vi sono gruppi di persone con handicap più o meno grave. È chiaro che questa precedente colloca­zione era impropria. D'altro canto gli handicap­pati sono persone che devono afferire al com­parto dell'assistenza, devono essere quindi pre­si in carico dai Comuni. Però sia per le loro con­dizioni generali, sia per la loro lunga permanen­za in manicomio, per quanto abbiamo potuto constatare, la gran parte di loro sono malati gra­vi non autosufficienti. In altri termini all'handicap si è aggiunta la malattia. Quindi il loro diritto è quello di essere curati dal servizio sanitario;

b) vi è pure il problema della gestione dei red­diti e dei patrimoni dei pazienti ricoverati negli ex O.P. e quindi dimessi. Secondo la nostra le­gislazione le persone non in grado di intendere e di volere devono avere un tutore, altrimenti ri­schiano di essere privi di qualsiasi diritto. In at­tesa che la legislazione attuale venga riformata occorre che - su diagnosi dei responsabili sa­nitari e/o su richiesta dei parenti o di chiunque altro - venga fatta la richiesta di interdizione per coloro che non sono in grado di intendere e di volere. II giudice tutelare deve poi verificare se il tutore fa il suo dovere e non magari approfitta dell'eventuale patrimonio del suo tutelato;

c) se per diverse ragioni si sono accumulati denari dei pazienti o loro parenti (ad esempio per improprie richieste di rette), occorre che questi denari, al di là delle responsabilità ammi­nistrative e penali di chi ha imposto queste pra­tiche, vengano redistribuiti - secondo noi in mo­do collettivo - ai loro proprietari, magari utiliz­zandoli per investimenti (acquistare le strutture per le comunità);

d) secondo l'attuale legislazione ai malati qua­lunque sia il tipo di malattia e la sua durata non può essere imposta alcuna partecipazione alla spesa. Infatti l'eventuale contribuzione non di­pende dalla collocazione in una struttura assi­stenziale o sanitaria, ma dalla condizione di ma­lattia o di non malattia della persona in questio­ne. Deve pagare la persona assistita e non ma­lata e non deve pagare la persona malata e non assistita. In altri termini non può essere che una persona malata non paghi se ricoverata in ospe­dale e paghi se in casa di riposo. Ciò che biso­gna porre è piuttosto il problema dell'appropria­tezza del ricovero. Si può pensare che se deve essere fatto divieto di porre rette o contributi alle persone ricoverate (o peggio ai loro parenti), si possono concordare rimborsi alla struttura di gestione per attività specifiche da essa propo­ste, con il consenso e la partecipazione dei pa­zienti stessi o dei loro tutori. Naturalmente a condizione che anche chi è totalmente privo di risorse ne possa comunque usufruire.

 

5. II personale. Abbiamo notato che in pochis­simi casi nei piani di ristrutturazione si parla del personale. Siamo convinti che questo è un pro­blema essenziale. Sappiamo peraltro che già il personale degli ex O.P., nella gran parte dei ca­si, è ridotto all'osso. Quindi deve essere chiaro che per fare un lavoro serio è necessario:

a) preparare e riqualificare il personale che deve accompagnare le persone dimesse o in via di dimissione;

b) avere un numero sufficiente di personale secondo gli standard sanitari previsti.

 

6. I problemi dei patrimoni degli ex O.P. La legge prevede che questi siano alienati per pro­durre reddito da impiegare nella riconversione. Si tratta di un'operazione delicata che può dar luogo ad abusi. Certamente gli atti devono esse­re trasparenti. Ma non basta. Occorre che tale alienazione di beni venga fatta con il consenso prima di tutto degli interessati (i degenti degli ex O.P., i famigliari, le associazioni) e che ad essa contribuiscano gli enti locali. In particolare si deve fare in modo che le strutture dismesse o i terreni, molte volte i parchi, siano utilizzati da enti pubblici piuttosto che da privati, anche per conservare il patrimonio architettonico e territo­riale presente.

Ci sentiamo infine di proporre che in ciascun ex O.P. venga istituito, utilizzando una piccola struttura interna, magari se esiste presso la bi­blioteca, un Centro studi sui problemi della salu­te mentale per fare informazione/formazione per tutta la comunità locale.

 

Ernesto Muggia - Presidente UNASAM

 

 

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