Notiziario dell'Unione nazionale delle associazioni
per la salute mentale
LA CHIUSURA DEGLI EX
OSPEDALI PSICHIATRICI
La sentenza di assoluzione del Tribunale di Agrigento
sui responsabili delle sevizie e delle violenze perpetrate contro i ricoverati
negli anni passati e per anni, dell'ex Ospedale psichiatrico locale ci ha
lasciato delusi, contrariati e stupiti.
Quale è il livello di coscienza che oggi esiste in
Italia sul problema della malattia mentale? Quando leggiamo e vediamo che in
alcune situazioni territoriali la popolazione rifiuta l'insediamento di una
comunità terapeutica di un piccolo gruppo di "matti" abbiamo timore,
in connessione con la sentenza di Agrigento, che tanta strada ancora deve
essere fatta per affermare il diritto di tutti i malati ad essere curati e
riabilitati secondo la loro condizione e le caratteristiche della loro
malattia.
Una strada difficile, perché da secoli "gli alienati”, vengono esclusi
dalla società, per decenni abbandonati in lager come quelli di Agrigento e se
non fino a quel punto, quanto meno totalmente emarginati. Oggi abbiamo una
legge molto chiara che ha decretato la chiusura degli ex manicomi. I manicomi
dal 31 dicembre del '96 devono essere stati chiusi. Sarà vero?
Perché questo sia vero riteniamo si debba operare in
un certo modo che molte volte come associazioni, abbiamo ripetuto, ma che ci
sembra dover essere ripuntualizzato, perché ci sono dei segnali che ci
lasciano alquanto perplessi.
Abbiamo infatti visitato molti ex O.P., partecipato
a convegni, letto diversi piani di ristrutturazioni presentati dalle USL e
approvati dalle Regioni. Non possiamo dirci totalmente soddisfatti.
Anzitutto non vi è omogeneità nel modo di impostare
il problema. Se è vero che le caratteristiche di ciascun ex O.P., inserito in
un contesto territoriale specifico, sono diverse, non possono essere diversi o
confusi i principi base sui quali definire la chiusura.
1. L'analisi
della situazione. Sono poche le situazioni che abbiamo esaminato che
partono da questo primo dato. Devono essere definite con precisione le
condizioni diagnostiche, storiche (da dove provengono) e sociali (rapporti con
i famigliari, reddito, ecc.) di ciascun paziente.
2. Deve essere
definita la responsabilità "storica" dell'ex O.P. e della struttura
sanitaria responsabile. In altri termini le persone ricoverate, a volte,
non correttamente rispetto alle leggi precedenti la 180/1978 o addirittura
anche dopo la 180, devono essere seguite da un'unica struttura responsabile
anche dopo la dimissione. Non è accettabile la collocazione "ragionieristica"
dei pazienti per fare in fretta a liberarsi di loro al più presto perché in
questo modo si riducano le spese dell'USL.
3. È sbagliato
e quindi inaccettabile la collocazione in strutture assistenziali di
persone con malattia mentale o demenza senile o affette da alcolismo, o
handicappate gravi colpite da malattie gravi o da non autosufficienza. Ci
siamo resi conto che diversi piani di ristrutturazione di USL prevedono nei
confronti dei pazienti ricoverati negli ex O.P. sistemazioni in strutture
sanitarie di persone propriamente affette da malattie mentali (schizofrenie,
psicosi e altro), mentre per tutti gli altri che non sono "matti doc", vengono previste strutture assistenziali di
vario genere, in particolare case di riposo. Oppure vengono istituite RSA
all'interno dell'ex O.P. per dementi senili, o per persone che si reputa impossibile
dimettere pur affetti da malattia mentale o handicap grave. Ci teniamo a
ribadire che tutti i ricoverati in ex O.P. devono rimanere totalmente a carico
della sanità, senza passaggi all'assistenza più o meno mascherati e le
Residenze sanitarie assistenziali sono strutture della sanità direttamente o
indirettamente gestite dalle USL (vedi Progetto-obiettivo nazionale
"Tutela della salute degli anziani"), che, di contro, non sono
strutture per handicappati o per malati mentali.
3. La dimissione deve avvenire in questo
modo:
a) valutazione diagnostica, terapeutica e sociale di
ciascun paziente e inserimento dello stesso nel gruppo omogeneo corrispondente
(malati psichiatrici, dementi senili, handicappati gravi, alcolisti, altri);
b) dimissione di coloro che sono in grado di esserlo
immediatamente perché lo chiedono, perché i parenti lo vogliono, perché sono in
grado senza fare alcun tipo di preparazione;
c) programma di dimissione per gli altri (che sono la
stragrande maggioranza) con un'adeguata preparazione non senza il loro
consenso e il consenso dei loro tutori o parenti. La gran parte dei dimessi -
relativamente alla classificazione di cui sopra - devono essere collocati in
piccole comunità (8-10 persone massimo) nei territori di provenienza, anche con
un necessario sforzo di preparazione dei vicini e della comunità locale in
cui vengono inseriti;
d) piuttosto che cambiare il nome e chiamare l'ex
O.P. RSA, trattenendo un certo numero di persone nel manicomio, è meglio
mantenere coloro di cui si giudica impossibile la dimissione nel breve e medio
periodo adeguando la struttura e formando piccole comunità interne. Questo non
esime dal definire in linea di massima il periodo in cui potrà avvenire la
dimissione.
4. Deve essere
chiarito ancora una volta che tutta l'azione di dimissione deve essere
fatta con il consenso dei pazienti, dei loro tutori e/o famigliari. Questo
viene detto chiaramente anche nelle linee guida del Ministero della sanità, ma
non viene, nella gran parte dei casi che conosciamo, ancora praticato. Inoltre
devono essere coinvolti gli organismi di partecipazione su tutto il progetto di
riconversione-chiusura (compresi gli aspetti immobiliari). Ad esempio in
Lombardia è fatto obbligo di istituire nell'USL dove è presente l'ex O.P. il
"Comitato di salute mentale", quale parte del Comitato di
partecipazione di cui alla legge regionale 48/88.
5. Alcuni problemi difficili:
a) all'interno degli ex O.P. da chiudere vi sono
gruppi di persone con handicap più o meno grave. È chiaro che questa precedente
collocazione era impropria. D'altro canto gli handicappati sono persone che
devono afferire al comparto dell'assistenza, devono essere quindi presi in
carico dai Comuni. Però sia per le loro condizioni generali, sia per la loro
lunga permanenza in manicomio, per quanto abbiamo potuto constatare, la gran
parte di loro sono malati gravi non autosufficienti. In altri termini
all'handicap si è aggiunta la malattia. Quindi il loro diritto è quello di
essere curati dal servizio sanitario;
b) vi è pure il problema della gestione dei redditi
e dei patrimoni dei pazienti ricoverati negli ex O.P. e quindi dimessi. Secondo
la nostra legislazione le persone non in grado di intendere e di volere devono
avere un tutore, altrimenti rischiano di essere privi di qualsiasi diritto. In
attesa che la legislazione attuale venga riformata occorre che - su diagnosi
dei responsabili sanitari e/o su richiesta dei parenti o di chiunque altro -
venga fatta la richiesta di interdizione per coloro che non sono in grado di
intendere e di volere. II giudice tutelare deve poi verificare se il tutore fa
il suo dovere e non magari approfitta dell'eventuale patrimonio del suo
tutelato;
c) se per diverse ragioni si sono accumulati denari
dei pazienti o loro parenti (ad esempio per improprie richieste di rette),
occorre che questi denari, al di là delle responsabilità amministrative e
penali di chi ha imposto queste pratiche, vengano redistribuiti - secondo noi
in modo collettivo - ai loro proprietari, magari utilizzandoli per
investimenti (acquistare le strutture per le comunità);
d) secondo l'attuale legislazione ai malati qualunque
sia il tipo di malattia e la sua durata non può essere imposta alcuna
partecipazione alla spesa. Infatti l'eventuale contribuzione non dipende dalla
collocazione in una struttura assistenziale o sanitaria, ma dalla condizione
di malattia o di non malattia della persona in questione. Deve pagare la
persona assistita e non malata e non deve pagare la persona malata e non
assistita. In altri termini non può essere che una persona malata non paghi se
ricoverata in ospedale e paghi se in casa di riposo. Ciò che bisogna porre è
piuttosto il problema dell'appropriatezza del ricovero. Si può pensare che se
deve essere fatto divieto di porre rette o contributi alle persone ricoverate
(o peggio ai loro parenti), si possono concordare rimborsi alla struttura di
gestione per attività specifiche da essa proposte, con il consenso e la
partecipazione dei pazienti stessi o dei loro tutori. Naturalmente a
condizione che anche chi è totalmente privo di risorse ne possa comunque
usufruire.
5. II
personale. Abbiamo notato che in pochissimi casi nei piani di
ristrutturazione si parla del personale. Siamo convinti che questo è un problema
essenziale. Sappiamo peraltro che già il personale degli ex O.P., nella gran
parte dei casi, è ridotto all'osso. Quindi deve essere chiaro che per fare un
lavoro serio è necessario:
a) preparare e riqualificare il personale che deve
accompagnare le persone dimesse o in via di dimissione;
b)
avere un numero sufficiente di personale secondo gli standard sanitari
previsti.
6. I problemi
dei patrimoni degli ex O.P. La legge prevede che questi siano alienati per
produrre reddito da impiegare nella riconversione. Si tratta di un'operazione
delicata che può dar luogo ad abusi. Certamente gli atti devono essere
trasparenti. Ma non basta. Occorre che tale alienazione di beni venga fatta con
il consenso prima di tutto degli interessati (i degenti degli ex O.P., i famigliari,
le associazioni) e che ad essa contribuiscano gli enti locali. In particolare
si deve fare in modo che le strutture dismesse o i terreni, molte volte i
parchi, siano utilizzati da enti pubblici piuttosto che da privati, anche per
conservare il patrimonio architettonico e territoriale presente.
Ci sentiamo infine di proporre che in ciascun ex O.P.
venga istituito, utilizzando una piccola struttura interna, magari se esiste
presso la biblioteca, un Centro studi sui problemi della salute mentale per
fare informazione/formazione per tutta la comunità locale.
Ernesto Muggia - Presidente UNASAM
www.fondazionepromozionesociale.it