Prospettive assistenziali, n. 117, gennaio-marzo 1997

 

 

Editoriale

 

SERVE ANCORA LA LEGGE DI RIFORMA DELL'ASSISTENZA SOCIALE?

 

 

Sul n. 116 bis abbiamo riportato le relazioni ed i testi dei disegni e delle proposte di legge presentate nel corso di questa legislatura (1).

Ricordiamo, inoltre, che nel programma del­l'Ulivo era prevista l'approvazione «di una legge quadro di riforma socio-assistenziale» con la se­guente precisazione: «Si tratta di una legge che fissa i principi generali, nel rispetto del forte de­centramento delle funzioni».

 

1. Situazione attuale del settore assistenziale

1.1 Se si escludono gli emolumenti econo­mici a carattere continuativo, la situazione attuale può essere così riassunta:

- assenza di linee di indirizzo al punto che, secondo alcuni, le prestazioni assistenziali do­vrebbero essere fornite a tutti i cittadini indipen­dentemente dai loro redditi e beni, mentre altri ritengono che gli interventi debbano essere ga­rantiti esclusivamente alle persone e ai nuclei familiari in condizioni di bisogno;

- la legislazione vigente, salvo alcune norme precedenti l'approvazione della Costituzione re­pubblicana (2), si ispira ancora al concetto di­screzionale della beneficenza. Dal 1948 ad oggi non è stato riconosciuto alcun nuovo diritto esi­gibile;

- pure in presenza di obblighi sanciti da leggi del secolo scorso, moltissimi Comuni non hanno ancora istituito i servizi richiesti;

- la stragrande maggioranza delle funzioni svolte - e dei finanziamenti utilizzati - riguardano soggetti illegalmente espulsi dalla competen­za del Servizio sanitario nazionale ed altrettanto illegalmente ricoverati in strutture assistenziali. II settore dell'assistenza sociale è, dunque, lo strumento che coopera attivamente per la nega­zione del diritto alle cure sanitarie dei giovani, degli adulti e degli anziani cronici non autosuffi­cienti (colpiti da AIDS, da neoplasie, dementi, ecc.) e dei pazienti psichiatrici gravi, diritto che dovrebbe essere attuato nelle forme previste per tutti i cittadini malati. II problema è ancora più allarmante tenuto conto che vi sono Regioni, ad esempio il Lazio con la legge 1° settembre 1993 n. 41) che hanno deciso di inserire nelle RSA, residenze sanitarie assistenziali, non solo giovani, adulti e anziani cronici non autosuffi­cienti, ma anche soggetti psichiatrici, handicappati fisici, intellettivi e sensoriali, nonché persone totalmente o parzialmente autonome;

- numerose sono le attività svolte impropria­mente dall'assistenza, ad esempio asili nido, soggiorni di vacanza, trasporto di persone con handicap, attività che comportano l'esborso in­giustificato di somme consistenti da parte del settore assistenziale;

- mancano quasi ovunque piani di utilizzo del patrimonio delle IPAB, istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, il cui valore è stimato in 50 mila miliardi di lire (cfr. "IPAB Oggi", n. 6, ottobre-dicembre 1996) e delle ex IPAB i cui be­ni sono stati regalati ai privati ai sensi della sconcertante sentenza n. 396/1988 della Corte costituzionale (3) oppure trasferiti ai Comuni. In tutte e tre le suddette situazioni i beni ed i relativi redditi, in base alle leggi vigenti, devono essere destinati ad attività assistenziali;

- quasi tutte le USL che gestiscono attività assistenziali, molti Comuni singoli e associati, Comunità montane e Province pretendono con­tributi economici (complessivamente alcuni mi­liardi all'anno) dai parenti di assistiti maggiorenni, pur non essendo in vigore leggi che lo con­sentano. A volte questi contributi sono estorti con varie forme di ricatto (4).

1.2   Per quanto riguarda gli emolumenti eco­nomici a carattere continuativo (assegno e pen­sione sociale, integrazione al minimo delle pen­sioni INPS), è scandaloso che queste misure di "assistenza ai bisognosi" vengano erogate an­che a coloro che posseggono beni immobili (al­loggi, negozi, terreni, ecc.) di qualsiasi entità.

Inoltre sono inaccettabili gli attuali parametri reddituali in base ai quali la pensione sociale viene erogata anche quando il coniuge convi­vente dispone di un reddito non superiore a L. 22.310.775 annue; l'integrazione al minimo delle pensioni INPS è addirittura concessa alle perso­ne singole che hanno redditi personali annui di importo fino a L. 17.820.000 mentre quelli dell'interessato e del coniuge possono addirittu­ra ammontare a 36 milioni 400 mila lire.

 

2. I principi essenziali per una valida riforma dell'assistenza

Elenchiamo quali sono, a nostro avviso, i principi essenziali da rispettare affinché la riforma dell'assistenza risponda effettivamente alle esigenze della fascia più debole della popola­zione.

2.1 Le norme costituzionali

Per una valida riforma del sistema assisten­ziale, occorre in primo luogo rispettare la Costi­tuzione, non solo perché si tratta della legge fondamentale dello Stato, ma per il fatto che la norma dell'art. 38 della Costituzione «Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale» risponde pienamente ad un evidente principio etico-sociale: la collettività non deve aiutare chi non ne ha la necessità. Pertanto le prestazioni assistenziali dovrebbero essere fornite esclusivamente alle persone e ai nuclei familiari che si trovano nelle condizioni sottospecificate:

1) inabilità al lavoro proficuo o impossibilità di svolgerlo in quanto in età inferiore ai 16 anni (li­mite che dovrebbe essere opportunamente ele­vato) o perché usciti dal ciclo produttivo (pen­sionati) o per qualsiasi altro motivo;

2) privi (i soggetti stessi, i loro coniugi convi­venti ed i genitori se si tratta di minorenni) dei mezzi economici occorrenti per vivere.

 

2.2 Privilegi da eliminare

Sia allo scopo di destinare le risorse disponi­bili solo alle persone e ai nuclei familiari vera­mente in difficoltà, sia per incontrovertibili moti­vazioni di equità, dovrebbero al più presto esse­re eliminati gli attuali privilegi clientelari concer­nenti l'erogazione di emolumenti economici a carattere continuativo (pensioni e assegni so­ciali, integrazioni al minimo delle pensioni, ecc.) o di natura transitoria (ad esempio sussidi di en­ti locali) a coloro che dispongono di patrimoni immobiliari o mobiliari.

Inoltre dovrebbe essere resa obbligatoria (se del caso mediante autocertificazione) la dichia­razione di tutti i redditi, compresi quelli di cui non è obbligatoria la denuncia al fisco (5).

Per gli stessi motivi, le prestazioni assistenzia­li, ad esempio quelle concernenti l'aiuto dome­stico, dovrebbero essere fornite esclusivamente a coloro che non sono in grado di ricorrere al settore privato non avendo sufficienti risorse economiche.

Le consistenti somme risparmiate dovrebbero essere utilizzate per elevare il livello degli emo­lumenti economici destinati alle persone e ai nu­clei familiari in situazione di bisogno.

 

3. Le risorse sociali (non assistenziali) sono indispensabili per tutti i cittadini

Mentre le prestazioni assistenziali, come ab­biamo visto, devono essere fornite solo alle per­sone inabili al lavoro e sprovviste dei mezzi ne­cessari per vivere, tutti i cittadini, nessuno escluso, per sviluppare le proprie potenzialità, e quindi per raggiungere il migliore inserimento possibile nella vita comunitaria, devono poter utilizzare l'insieme delle risorse messe a dispo­sizione dalla società: sanità, istruzione, cultura, lavoro, ecc.

Si tratta di una constatazione talmente ovvia da non richiedere alcun commento. Si ricorda solo, per sottolineare gli stretti rapporti fra istru­zione, professione svolta e salute, i dati INSEE (Economia e statistica, 1994) secondo cui la speranza di vita a 35 anni è di 43,2 per i profes­sori, 42,3 per gli ingegneri, 41,4 per i dirigenti, 39,6 per i quadri intermedi, 37,5 per i salariati agricoli, 36 per il personale di servizio e 34,3 per i manovali. La differenza massima è di ben 8,9 anni di vita!

 

4. La prevenzione del bisogno assistenziale

L'esperienza dimostra che l'utenza del settore assistenziale è costituita soprattutto da:

- disoccupati e sottoccupati;

- ex lavoratori con pensioni insufficienti;
    - ragazzi respinti dalla scuola a causa della selettività della scuola stessa;

- famiglie e persone prive di un'abitazione adeguata e che non sono in grado di pagare gli affitti richiesti dal libero mercato;

- persone, soprattutto anziane, che, definite malate croniche e non autosufficienti, non sono ammesse a fruire dei servizi sanitari predisposti per gli altri soggetti malati;

- invalidi che gli enti pubblici e le aziende private rifiutano di assumere;

- minori in stato di abbandono o con famiglie aventi difficoltà economiche (disoccupati o sot­toccupati) o abitative o di altra natura.

Com'è evidente, l'assistenza ha scarsissimi mezzi e strumenti per svolgere azioni dirette ad eliminare le cause che provocano le suddette richieste di assistenza.

Ne consegue che la prevenzione del bisogno non può essere una funzione primaria del setto­re assistenziale, ma spetta, a seconda delle circostanze, ai settori del lavoro, delle pensioni, della sanità, della casa, della scuola, dei trasporti, ecc.

L'organizzazione assistenziale ha, tuttavia, l'importantissimo compito di individuare non so­lo gli effetti dell'emarginazione, ma anche le cause e di promuovere presso i comparti del la­voro, delle pensioni, della sanità, della casa, della scuola, ecc., i cambiamenti occorrenti per l'eliminazione o almeno per la riduzione dei fat­tori che provocano difficoltà e disagio.

 

5. Mai solo assistenza

Per aiutare veramente le persone in difficoltà a raggiungere tutta l'autonomia possibile, è as­solutamente necessario che le prestazioni assistenziali siano fornite in modo da assicurare la massima autonomia dei soggetti e nello stesso tempo da promuovere il corretto utilizzo delle risorse sociali (sanità, casa, scuola, formazione professionale, ecc.).

Si tratta di un obiettivo diametralmente oppo­sto a quello che attualmente viene perseguito in molte situazioni. Numerosi sono, infatti, i servizi assistenziali che svolgono funzioni non di loro pertinenza:

- sostituendosi alla sanità nella cura degli ammalati cronici non autosufficienti, e, ultima­mente, anche dei pazienti psichiatrici;

- svolgendo servizi di trasporto per le perso­ne che non possono utilizzare i mezzi pubblici a causa della presenza di barriere architettoni­che;

- fornendo prestazioni di dopo-scuola (oggi chiamate da alcuni attività di assistenza educati­va territoriale) ai minori che non assolvono l'ob­bligo scolastico;

- istituendo forme, spesso raffazzonate, di preparazione professionale degli handicappati che dovrebbero invece frequentare gli appositi servizi gestiti dal settore istruzione;

- ricercando posti di lavoro per i disabili, spes­so senza nemmeno coinvolgere i competenti uffi­ci e assessorati preposti all'occupazione.

Ad esempio, se si agisce sulla base degli obiettivi sopra enunciati (massima autonomia possibile dei soggetti assistiti e corretto utilizzo delle risorse sociali), al termine della scuola dell'obbligo, gli interventi nei confronti degli handicappati intellettivi non devono essere orientati esclusivamente alla creazione di centri diurni, anche se questo servizio è estremamente utile per la socializzazione dei soggetti e, for­nendo un concreto aiuto ai congiunti, costitui­sce una valida alternativa al ricovero in istituto. Occorre, altresì, intervenire presso il settore pubblico e privato della formazione professiona­le per ottenere che presso le normali strutture della stessa formazione professionale siano istituiti corsi prelavorativi, come ha fatto il Co­mune di Torino su iniziativa del CSA - Coordina­mento sanità e assistenza tra i movimenti di ba­se. È così possibile - e l'esperienza lo dimostra - realizzare una preparazione al lavoro dei soggetti handicappati intellettivi lievi e medi, riser­vando i centri diurni a coloro che, a causa della gravità delle loro condizioni, non sono in grado di svolgere alcuna attività lavorativa proficua (6).

Grazie alle iniziative suddette e alle sollecita­zioni avanzate nei confronti delle aziende private e pubbliche, nella città di Torino vi sono più di 300 handicappati intellettivi che vivono con il proprio lavoro e che sono usciti dal circuito as­sistenziale o che necessitano solo di alcune prestazioni marginali di supporto.

Analoghe considerazioni valgono per tutte le attività concernenti i soggetti in difficoltà. Se si opera per l'attivazione delle persone e dei nuclei familiari, occorre sempre che le prestazioni as­sistenziali mobilitino le necessarie iniziative del­la sanità, della casa, della scuola, dei trasporti e le altre risorse sociali.

A volte 8 anche necessario sollecitare la di­sponibilità delle famiglie: è il caso degli affidatari e, per i minori grandicelli o handicappati o mala­ti, degli aspiranti adottanti.

Mentre, a prima vista, può sembrare positiva l'estensione dell'ambito di operatività dei servizi assistenziali, è invece assai negativa la sottra­zione di competenze agli altri settori (sanità, scuola, lavoro, ecc.), sottrazione che di fatto fa­vorisce il disinteresse dei settori stessi e conso­lida l'emarginazione delle persone in difficoltà.

Ad esempio, la sottrazione dei compiti curativi riguardanti gli anziani cronici non autosufficienti, attuata dall'assistenza nei confronti della sanità, ha determinato il rifiuto da parte degli ospedali di garantire i necessari interventi nei casi di ria­cutizzazione delle patologie esistenti o di insor­genza di nuove malattie. Infatti - caso emblema­tico - dall'Istituto di riposo per la vecchiaia, ge­stito direttamente dal Comune di Torino, non vengono trasferiti i malati anche gravi, compresi addirittura quelli colpiti da infarto, in quanto gli ospedali non forniscono più le necessarie ga­ranzie per le cure. A questo proposito è signifi­cativo che i nosocomi, anche altamente specia­lizzati, non si preoccupino nemmeno di preveni­re le piaghe da decubito.

Un'altra grave conseguenza riguarda il rifiuto di un ospedale nella cintura di Torino di ammet­tere una signora demente senile, colpita anche da tubercolosi, in quanto definita "cronica non autosufficiente". La paziente è stata quindi costretta a rientrare a casa della figlia nono­stante il reale pericolo di contagiare i propri nipotini.

Infine, si ricorda che l'intervento assistenziale non dovrebbe mai essere totalizzante, come av­viene ancora negli istituti di ricovero a carattere di internato, in cui i soggetti vivono senza fre­quentare sistematicamente i servizi esterni. In questi casi vi è un'esclusione programmata del soggetto dal contesto sociale.

 

6. Gli utenti impropri e illegali dell'assistenza

Estremamente esteso è il numero dei cittadini che vengono assistiti per motivi assolutamente impropri, e in certi casi, illegittimi.

Sono soggetti che, se potessero usufruire di adeguate risorse sociali, non subirebbero l'umi­liazione di essere costretti a richiedere sussidi e altri aiuti che, come abbiamo visto, la Costituzio­ne prevede giustamente solo per le persone inabili al lavoro e prive di sufficienti mezzi eco­nomici per vivere.

Una situazione molto diffusa è quella degli individui usciti dal ciclo produttivo che, dopo anni e anni di lavoro, ricevono pensioni da fame.

In sintesi possiamo affermare che sono sog­getti impropri dell'assistenza tutte le persone ed i nuclei familiari a cui non sono state o non vengono messe a disposizione in modo adeguato le risorse sociali, risorse che - come abbiamo vi­sto - sono indispensabili per il miglior inseri­mento possibile di ciascuno di noi nella vita comunitaria.

Si tratta dei disoccupati, dei sottoccupati, dei lavoratori che ricevono salari inferiori ai minimi contrattuali, degli invalidi nei cui confronti non è stata fatta rispettare la legge 482/1968 sul col­locamento obbligatorio: l'importo mensile della loro pensione è di L. 390.600 alla data del 1° gennaio 1997, somma che non consente nem­meno la sopravvivenza.

Un altro esempio di assistenza impropria è costituito dalle persone (soprattutto anziane) che, non essendo in grado di pagare gli affitti ri­chiesti dai libero mercato, sono ricoverate in istituti di assistenza. Un intervento non solo im­proprio, ma gravemente lesivo della dignità delle persone coinvolte e, inoltre, molto oneroso per il settore pubblico (7).

Inoltre, come abbiamo già rilevato, è impropria la competenza del settore assistenziale in mate­ria di asili nido. Da un lato essi non sono - giu­stamente - istituiti solo per bambini di famiglie con bassi redditi; d'altro canto è ormai univer­salmente riconosciuto il loro ruolo educativo-­formativo, soprattutto nei confronti di fanciulli di età superiore ai 12-18 mesi.

Inoltre, dovrebbe essere tenuta presente la necessità di unificare gli asili nido e le scuole materne o almeno di integrarli per quanto ri­guarda le strutture, il personale, gli orari, ecc.

In sostanza, gli asili nido dovrebbero far parte - come avviene già presso le amministrazioni più sensibili - del settore dell'istruzione, settore che in alcuni Comuni ha assunto le funzioni e la denominazione di assessorato al sistema edu­cativo.

Certamente illegittima è la competenza del­l'assistenza nei confronti degli anziani cronici non autosufficienti. Non solo, come è stato affer­mato in precedenza, la gestione di questa mate­ria è enormemente onerosa per i Comuni, ma ciò comporta anche la negazione del diritto del­la persona inguaribile alle cure sanitarie.

La situazione si è ulteriormente aggravata in quanto la sanità cerca in tutti i modi di scaricare sull'assistenza gli interventi nei confronti degli adulti e dei giovani malati gravissimi. È del set­tembre 1995 l'allucinante notizia del tentativo compiuto dall'Ospedale San Paolo di Savona di ottenere l'allontanamento dal reparto di rianima­zione di due giovani: uno di 23 anni, l'altro di 29.

Inoltre, in molte zone del nostro Paese la sani­tà ha provveduto alla chiusura dei manicomi o alla riduzione dei ricoverati scaricandoli sull'as­sistenza, in particolare inviandoli in case di ripo­so e in RSA gestite direttamente dai Comuni o convenzionate.

 

7. I soggetti da assistere e le priorità d'intervento

Purtroppo vi sono persone che non riescono a raggiungere l'autonomia personale e sociale, o perché non hanno beneficiato durante l'età evolutiva dell'indispensabile supporto familiare, o non hanno potuto o non possono - per varie condizioni di incapacità - utilizzare le risorse sociali.

Certamente un'adeguata prevenzione può ri­durre - e in misura significativa - il numero dei soggetti che, per poter vivere (o, più precisa­mente, per poter sopravvivere) sono costretti a ricorrere all'assistenza.

Si tratta, ad esempio, dei minori in condizioni di totale abbandono materiale e morale a cui oc­corre fornire il sostegno necessario fino al loro inserimento presso idonee famiglie adottive. Analoga situazione è quella dei fanciulli con difficoltà familiari, per i quali è indispensabile assicurare le necessarie prestazioni di aiuto economico e sociale alle famiglie d'origine e - occorrendo - provvedere all'affidamento a sco­po educativo.

Altri soggetti da assistere - come è noto - so­no gli handicappati intellettivi. Va, invece, precisato che la stragrande maggioranza dei disabili fisici e sensoriali, se può beneficiare in modo corretto e tempestivo delle prestazioni sanitarie, scolastiche, abitative, ecc., non ha la necessità di interventi assistenziali, ad esclusione degli emolumenti economici continuativi.

Infine, vi sono le persone senza fissa dimora, quelle dedite alla prostituzione nel caso voglia­no uscirne, i minori segnalati dall'autorità giudi­ziaria.

Nei confronti dei soggetti assistiti, gli interven­ti dovrebbero essere forniti da un lato assumen­do come priorità le prestazioni che assicurano maggiore libertà alle persone (è evidente che un sussidio economico è di gran lunga meno con­dizionante del ricovero in istituto) e dall'altro lato - come è già stato esposto in precedenza - mobilitando tutte le risorse sociali (sanità, casa, ecc.) indispensabili perché il soggetto e il suo nucleo familiare raggiungano il massimo livello possibile d'autonomia.

Partendo dal principio testé enunciato e fermo restando quanto stabilito dal 1° comma dell'art. 38 della Costituzione, l'ordine di priorità delle at­tività del settore dell'assistenza sociale dovreb­be essere il seguente:

- informazione ai cittadini e alle forze sociali in merito ai problemi generali e specifici dell'as­sistenza, dell'emarginazione e dell'esclusione sociale;

- azione promozionale nei confronti degli uffi­ci preposti al lavoro, alla sanità, all'assistenza, alla cultura, allo sport, ecc. al fine di promuovere l'erogazione tempestiva e corretta delle presta­zioni dovute;

- attività dirette a fornire ai singoli e ai nuclei familiari la consulenza e il sostegno necessari per il superamento delle situazioni di disagio;

- assistenza alle gestanti e alle madri nubili e coniugate in difficoltà, comprese le attività rivol­te a garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i propri nati;

- aiuti economici continuativi e straordinari alle persone e ai nuclei le cui entrate siano infe­riori al minimo vitale (8);

- assistenza domestica (pulizia dell'alloggio, acquisto derrate alimentari, accompagnamenti, ecc.) per le persone parzialmente non autosuffi­cienti non in grado di ottenere le suddette pre­stazioni con propri mezzi economici;

- inserimenti presso famiglie, persone e co­munità alloggio dei minori, degli adulti e degli anziani incapaci di una vita autonoma, purché la non autosufficienza non sia dovuta a motivi sanitari (9);

- istituzione di centri diurni per gli handicap­pati intellettivi ultraquindicenni non inseribili nel lavoro a causa delle gravi limitazioni della loro autonomia;

- ricovero presso istituti fino al loro completo superamento.

Ovviamente, per una adeguata organizzazione dei servizi, è indispensabile una approfondita analisi qualitativa e quantitativa dei bisogni e la programmazione degli interventi da attuare.

Altri compiti del settore assistenziale riguar­dano:

- l'autorizzazione preventiva a funzionare del­le strutture pubbliche e private di ricovero per minori, anziani, handicappati;

- la vigilanza sulle istituzioni pubbliche e pri­vate di assistenza, con particolare riguardo alle IPAB, comprese quelle privatizzate;

- i rapporti con l'autorità giudiziaria in materia di interdizione, inabilitazione, tutela e curatela, ad esclusione dei soggetti di competenza sani­taria;

- gli interventi nei confronti dei minorenni soggetti a provvedimenti delle autorità giudizia­rie minorili;

- le prestazioni di protezione sociale nei con­fronti delle persone dedite alla prostituzione e nei riguardi dei soggetti senza fissa dimora.

 

8. II fuorviante problema dell'integrazione sanitario/sociale

Da quanto esposto in precedenza, risulta fuorviante il problema dell'integrazione sanita­rio/sociale. In effetti, le proposte finora avanzate riguardano l'integrazione tra il sanitario (presta­zioni dovute a tutti i cittadini) e l'assistenziale (interventi rivolti esclusivamente agli inabili al la­voro sprovvisti dei mezzi necessari per vivere e quindi ad una esigua minoranza della popola­zione).

La prima negativa conseguenza della cosid­detta integrazione fra la sanità e l'assistenza è la messa a disposizione delle persone e dei nuclei familiari benestanti dei servizi di assistenza so­ciale domestica. Un'altra conseguenza è stata ed è la negazione nei confronti di 500 mila an­ziani cronici non autosufficienti e di 20-30 mila malati psichiatrici del diritto alle cure sanitarie nelle forme previste dalle leggi vigenti per tutti i cittadini malati.

Dal diritto esigibile alla sanità, si è passati alla discrezionalità dell'assistenza.

La questione dell'integrazione è stata ed è, a nostro avviso, mal posta. Infatti tutti i settori (dal­la sanità alla scuola, dalla casa ai trasporti, dalla cultura al tempo libero, ecc.) devono acquisire al loro interno - e quindi direttamente - tutte le valenze sociali, relazionali, umanizzanti, indi­spensabili per rispondere compiutamente alle esigenze di tutti i soggetti, compresi quelli più deboli. II rispetto della dignità delle persone e la qualità delle prestazioni riguardano tutti i settori e non solo la sanità e l'assistenza.

Come la scuola non può essere un lezionificio e un esamificio, che delega gli aspetti sociali ad altri, così la sanità non può essere un diagnosti­ficio e un curificio privo di umanità e socialità.

Dunque, nessuna integrazione, ma - il che è molto più difficile da raggiungere - assunzione diretta della componente sociale da parte di tutti i settori di intervento e quindi anche di tutti gli operatori addetti alla sanità, alla casa, alla scuo­la, ai trasporti, ecc.

Ovviamente, è indispensabile che ciascun servizio non solo garantisca ai cittadini le pre­stazioni di sua competenza specifica, ma stabili­sca anche rapporti collaborativi con tutti gli altri uffici al fine di rispondere alle esigenze, spesso molteplici, dei cittadini (10).

 

9. Organi di governo

Per una effettiva collaborazione dei vari settori di intervento sociale, è necessario che siano creati organi di governo locale in grado di ri­spondere alle necessità della popolazione.

Questi organi devono essere il più vicino pos­sibile ai cittadini. Rispondono a questa esigenza i Comuni.

Quando la loro dimensione demografica è troppo ridotta, e quindi inidonea a garantire I'intera rete dei servizi indispensabili, allora si do­vrebbe ricorrere alla loro associazione (consor­zi, comunità montane, ecc.).

 

10. Analisi dei disegni e delle proposte di legge presentati al Parlamento

10.1      Proposte di legge n. 1 (Senato) e n. 2625 (Camera dei Deputati)

Come abbiamo scritto sul n.109, gennaio-mar­zo 1995, il disegno di legge n. 1 presentato al Se­nato con iniziativa popolare dai Sindacati dei pensionati CGIL, CISL e UIL (il cui testo è identico alla proposta di legge della Camera dei Deputati n. 2625 degli On. Guerzoni e Ruzzante) dimostra una gravissima arretratezza culturale in materia. Infatti, all'assistenza viene addirittura assegnato il compito di «rimuovere gli ostacoli d'ordine eco­nomico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e I'eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Mentre l'assistenza dovrebbe garantire tutto (salute, istruzione, abitazione, lavoro, ecc.) a tutti i cittadini (11), compresi quindi anche i benestanti, i Sindacati dei pensionati CGIL, CISL e UIL e gli On.li Guerzoni e Ruzzante ignorano completamente la priorità delle prestazioni do­miciliari per i bambini, gli handicappati e gli an­ziani in difficoltà. Totalmente trascurate sono, al­tresì, le esigenze dei minori, degli handicappati adulti e degli anziani ricoverati in istituto.

Esclusi gli emolumenti economici a carattere continuativo, alle persone in situazione di biso­gno non è riconosciuto alcun diritto esigibile.

Infine, il disegno di legge n. 1 e la proposta n. 2625 attribuiscono agli enti pubblici la possibili­tà di pretendere contributi economici dai familiari degli assistiti, con la conseguenza, fra l'al­tro, che i Comuni e loro Consorzi, le Comunità montane, le Province e le USL sarebbero obbli­gati a segnalare a tutti i congiunti (compresi quelli residenti all'estero) delle persone e dei nuclei familiari che si rivolgono all'assistenza la loro situazione di bisogno sociale e/o economi­co, violando così la riservatezza e la dignità di coloro che sono in difficoltà.

10.2 Proposte di legge n. 354 (Camera dei Deputati) e n. 236 (Senato)

Un'analisi approfondita della proposta di leg­ge n. 354 dell'On. Signorino (e quindi anche del­l'identico testo presentato al Senato con il n. 236 dal Sen. Petrucci) è stata riportata nel n. 116, ottobre-dicembre 1996 di Prospettive assi­stenziali.

In sintesi le osservazioni principali sono le se­guenti:

a) non è previsto alcun diritto concretamente esigibile da parte delle persone e dei nuclei fa­miliari in difficoltà;

b) non sono nemmeno confermati i diritti san­citi nel secolo scorso dalla legge 6535/1889;

c) non è abrogata la norma vigente (regio de­creto 773/1931) che affida alla pubblica sicu­rezza il ricovero urgente in istituti di assistenza;

d) non è disposto il trasferimento ai Comuni delle funzioni assegnate dalle leggi attuali alle Province, conservando in tal modo l'odiosa se­parazione delle competenze concernenti i mino­ri nati nel matrimonio (prevalentemente asse­gnate ai Comuni) e dei compiti relativi a quelli nati fuori del matrimonio (quasi tutti affidati alle Province);

e) non è prevista alcuna nuova regolamenta­zione per le IPAB, Istituzioni pubbliche di assi­stenza e beneficenza, il cui patrimonio, come abbiamo già segnalato, è valutato dalla rivista IPAB Oggi (n. 6, 1996) in 50 mila miliardi, e per le ex IPAB trasferite ai Comuni o regalate ai privati;

f) non contiene alcun riferimento alla legge 184/1983 che disciplina l'adozione e l'affida­mento familiare a scopo educativo e che affida compiti di rilevante importanza al settore assi­stenziale;

g) sopprime la competenza esclusiva del Ser­vizio sanitario nazionale per quanto concerne la cura dei malati cronici non autosufficienti giova­ni, adulti e anziani;

h) impone il pagamento di contributi economi­ci ai parenti degli assistiti maggiorenni;

i) stabilisce che i sussidi relativi al minimo vitale possono essere corrisposti anche a coloro che sono proprietari di beni mobili e immobili di qualsiasi entità;

I) crea un'organizzazione diretta al controllo sociale delle persone e dei nuclei familiari in dif­ficoltà.

 

10.3 Proposta di legge n. 1832 (Camera dei Deputati)

La proposta di legge n. 1832 presentata dall'On. Lumia ha, in primo luogo, il merito di af­fermare in modo esplicito che il diritto all'assi­stenza riguarda esclusivamente «i cittadini inabi­li al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vi­vere», come sancito dalla Costituzione.

In secondo luogo, precisa i criteri in base ai quali i soggetti possono essere considerati ina­bili al lavoro: età inferiore ai 16 o superiore ai 65 anni oppure di età compresa fra i 16 e i 65 anni, purché non in grado di svolgere una attività lavorativa.

Pienamente condivisibile la norma secondo cui l'assegno di mantenimento è erogato nella misura corrispondente all'importo annuale stabilito con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, dedotte le risorse economiche del soggetto interessato.

Detto assegno è previsto per le persone in tutto o in parte prive dei mezzi necessari per vive­re. AI riguardo, sarebbe preferibile un'integrazione della norma in modo da escludere dalla concessione dell'assegno di mantenimento co­loro che posseggono beni immobili e mobili.

Molto positiva la possibilità di ricorso alla magistratura ordinaria (art. 11) da parte dei cittadini che, dopo aver presentato domanda di assistenza, non ricevono gli interventi previsti dalla proposta di legge. È stabilito che nel ricorso «possono essere richiesti anche i danni per la ri­tardata erogazione».

Perplessità suscitano, invece, le norme con­cernenti l'erogazione dei servizi assistenziali a titolo oneroso, non essendo precisato che deb­ba essere addebitata una somma corrisponden­te al costo reale sostenuto dall'ente pubblico. Ciò al fine di evitare abusi e favoritismi. Discutibili anche le disposizioni seguenti:

- la residenza socio-sanitaria per anziani è equiparata ai gruppi affidamento, case alloggio e comunità di accoglienza (art. 10, punto 4), mentre, a nostro avviso, le prime sono strutture sanitarie per persone malate, e le altre sono servizi residenziali per soggetti autosufficienti in tutto o in parte;

- il punto 5 dell'art. 10, il quale, stabilendo che laddove possibile le strutture residenziali (gruppi appartamento, case alloggio, comunità d'accoglienza e residenze socio-sanitarie) «debbono avere organizzazione polifunzionale in modo da accogliere, nello stesso tempo, una molteplicità di tipi di ospiti e di servizi», favorisce la creazione di veri e propri ghetti di ricovero promiscuo per anziani, adulti, giovani e addirit­tura bambini, siano essi malati o sani.

Per quanto riguarda le IPAB, i cui patrimoni, come abbiamo già scritto, ammontano a 50 mila miliardi, la proposta di legge presentata dall'On. Lumia prevede una massiccia privatizzazione, che consiste nel regalare le proprietà immobilia­ri e mobiliari a soggetti di cui nel testo non sono nemmeno indicate le caratteristiche.

Infine, avanziamo dubbi sulle ULASS (Unità locali per l'assistenza sanitaria e sociale) in quanto dalla nomina degli amministratori e dei direttori sono totalmente esclusi i Consigli co­munali.

 

10.4 Proposta di legge n. 2378 (Camera dei Deputati)

La proposta di legge n. 2378 presentata dall'On. Calderoli sancisce all'art. 1 che tutti i cittadini hanno diritto di accesso ai servizi so­ciali sia a titolo gratuito che oneroso, ma non contiene norme che consentano l'individuazione degli interventi da erogare.

Infatti, mentre l'art. 2 stabilisce che «il sistema dei servizi sociali è costituito dall'insieme di risor­se, attività, prestazioni e strutture che, organizza­te in un sistema integrato, sono finalizzate a ga­rantire il pieno sviluppo degli individui e delle co­munità, prevenendo, riducendo ed eliminando le cause che ostacolano il loro inserimento nella società», negli articoli successivi non vi è alcuna indicazione in merito alle attività e alle prestazio­ni che devono essere fornite.

Estremamente generici sono, altresì, l'articolo 5 che avrebbe dovuto, da quanto risulta dal tito­lo, indicare le «prestazioni generali del sistema dei servizi sociali» (12), l'articolo 7 riguardante i «servizi sociali di base» (13) e l'articolo 8 concernente i «servizi sociali specialistici» (14). Infine, sono assolutamente insufficienti per una legge quadro le generiche indicazioni degli articoli 11 e 12. Infatti, agli organi provinciali è attribuita «la realizzazione delle seguenti funzio­ni:

«a) regolamentare l'organizzazione dei propri servizi in materia di servizi sociali;

«b) pianificare i servizi sociali del proprio ambi­to territoriale in accordo con la pianificazione generale fissata dal governo regionale;

«c) l'istituzione, il mantenimento e la gestione dei servizi sociali specializzati, la cui organizza­zione non è riservata dalla presente legge alla re­gione o al comune, incluse la convenzione e l'ap­poggio alle iniziative che in tale materia siano promossi;

«d) lo studio e la determinazione dei bisogni rilevabili all'interno del proprio territorio e la pro­grammazione delle risorse necessarie per soddi­sfarli;

«e) l'assistenza tecnica e la consulenza agli enti locali, nonché all'iniziativa privata in materia di servizi sociali;

«f) la promozione di centri e servizi sociali privati nell'ambito territoriale di propria competenza;

«g) la promozione della partecipazione degli enti locali, nonché delle persone utenti e profes­sionali, nella gestione e sviluppo dei servizi so­ciali nell'ambito di competenza;

«h) l'autorizzazione e la omologazione di servi­zi, centri e stabilimenti situati nel proprio ambito territoriale;

«i) I'istituzione e l'amministrazione dei registro provinciale di autorizzazione e omologazione. Una copia delle autorizzazioni e omologazioni emesse deve essere inviata al registro generale della regione;

«I) I'amministrazione di statistiche aggiornate dei bisogni e servizi in materia di servizi sociali, nell'ambito del proprio territorio, tenuto conto dl quanto disposto all'articolo 10, comma 1, lette­ra g)».

A loro volta i Comuni, singoli o associati, sono tenuti a prestare i seguenti servizi:

«a) istituzione di un servizio sociale di base;

«b) nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti ed inferiore a 20.000 abitanti sono istituiti, all'interno del servizio sociale di base, i servizi di assistenza domiciliare e di appoggio e sostegno familiare;

«c) nei comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti sono istituiti, all'interno dei servizi di cui alle lettere a) e b), centri diurni e servizi di accoglienza».

Nella relazione della proposta di legge n. 2378 si afferma che in materia di servizi sociali «il contesto giuridico statale è tuttora definito sulla base del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977». II suddetto decreto, però, sotto la voce "Servizi sociali" comprende la polizia ur­bana e rurale, la beneficenza pubblica, l'assi­stenza sanitaria e ospedaliera, l'istruzione arti­giana e professionale, l'assistenza scolastica, i musei e le biblioteche di enti locali. Chiediamo, pertanto, all'On. Calderoli: «A tutte queste mate­rie si rivolge la sua proposta di legge?».

 

10.5 Proposta di legge n. 2431 (Camera dei Deputati)

La proposta di legge n. 2431 presentata dal­l'On. Polenta (15) stabilisce all'art. 3 che, pur avendo diritto tutti i cittadini «a fruire dei servizi sociali senza distinzione di sesso, razza, convin­zioni ideologiche e religiose», sia «fatta salva la priorità per i soggetti che si trovano in condizioni di bisogno», condizione che è determinata dalla presenza di almeno una delle seguenti situazio­ni:

«a) insufficienza del reddito familiare del nu­cleo di appartenenza, quando non vi siano altri soggetti tenuti a provvedere;

«b) incapacità totale o parziale del soggetto che sia privo di nucleo familiare;

«c) sottoposizione di un soggetto a provvedi­menti dell'autorità giudiziaria che rendono ne­cessarie prestazioni socio-assistenziali;

«d) periodo di emarginazione grave di uno 0 più componenti del nucleo familiare».

I suddetti criteri non sembrano essere ade­guati alle esigenze delle persone e dei nuclei fa­miliari in difficoltà. Ad esempio, non saranno più predisposti centri diurni per gli handicappati in­tellettivi che, terminata la scuola dell'obbligo, non sono in grado di proseguire gli studi a cau­sa della gravità delle foro condizioni, tenuto con­to che questa esigenza non è evidenziata da nessuna delle situazioni prima elencate? Inoltre, i criteri sopra riportati possono essere interpre­tati nel senso di obbligare i congiunti delle per­sone in difficoltà a farsi carico di tutti i problemi, compresi quelli assistenziali?

Per i motivi già esposti in questo articolo, non condividiamo affatto la norma secondo cui (art. 3, comma 4) «può essere chiesto agli utenti e al­le persone tenute al mantenimento e alla corre­sponsione degli alimenti il concorso al costo di determinate prestazioni in relazione alle loro condizioni economiche, tenendo conto della si­tuazione locale e della rilevanza sociale dei servi­zi, secondo i criteri stabiliti con legge regionale».

Positiva è, invece, l'attribuzione di tutte le fun­zioni assistenziali ai Comuni singoli o associati (art. 8), comprese quelle svolte attualmente dalle Province. AI riguardo, sarebbe utile che alle stesse non venissero affidati compiti in materia di localizzazione dei presidi socio-assistenziali e di concorso alla elaborazione del piano regiona­le dei servizi di assistenza sia al fine di semplifi­care le procedure, sia allo scopo di riconoscere concretamente ai Comuni la loro piena respon­sabilità in materia.

Per quanto concerne le competenze riservate allo Stato, occorrerebbe valutare se sia positivo per gli utenti che «gli interventi socio-assisten­ziali prestati ad appartenenti alle Forze armate, all'Arma dei Carabinieri, alla Polizia di Stato e al Corpo nazionale dei Vigili del fuoco e ai loro fa­miliari» siano forniti «da enti e organizzazioni ap­positamente istituiti». Secondo noi, questa nor­ma è negativa in quanto gli assistiti rischiano di ottenere solamente prestazioni economiche e di ricovero, essendo praticamente impossibile per i suddetti organismi istituire servizi territoriali per l'aiuto sociale alle famiglie d'origine, l'affida­mento familiare di minori a scopo educativo, l'assistenza domiciliare e le forme alternative all'istituzionalizzazione dei minori, degli handi­cappati, degli anziani e delle altre persone in dif­ficoltà.

 

11. Conclusioni

I contenuti delle proposte di legge prese in esame, anche quelle più vicine alle esigenze delle persone e dei nuclei familiari in difficoltà, non risolvono i problemi di fondo in quanto:

- ad esclusione, in certi casi, degli emolu­menti economici, non stabiliscono diritti concre­tamente esigibili;

- non confermano la competenza del Servizio sanitario nazionale per quanto riguarda le cure degli anziani colpiti da malattie inguaribili e da non autosufficienza, cure che, in base alle leggi vigenti, devono essere fornite con le stesse mo­dalità degli interventi praticati agli altri pazienti aventi analoghe patologie. Sottolineiamo, anco­ra una volta, che la proposta di legge n. 354 pre­sentata dall'On. Signorino ha, invece, il compito di dirottare i vecchi malati dalla sanità all'assi­stenza, facendo venir meno - fra l'altro - i diritti acquisiti e creando una pericolosissima ed in­giustificata frattura fra i malati acuti e quelli cronici;

- sono previste norme per consentire agli enti pubblici di pretendere contributi economici dai parenti di assistiti maggiorenni, obbligando, ad esempio, i genitori di handicappati intellettivi, che volontariamente e a costo di gravosi sacrifi­ci tengono a casa i loro figli handicappati privi di autonomia, a corrispondere rette, magari salate, per la frequenza di centri diurni. La possibilità di far intervenire i parenti - lo ripetiamo - rende necessario far conoscere a tutti i congiunti, compresi quelli residenti all'estero, le difficoltà finanziarie e sociali degli interessati e dei loro familiari più diretti (genitori, figli, coniugi, ecc.), ledendo in tal modo la dignità e la riservatezza delle persone e dei nuclei familiari che per poter vivere sono costrette a ricorrere all'assistenza. AI riguardo, precisiamo che riteniamo, invece, giusto che gli assistiti provvedano non solo con i loro redditi, ma anche con i loro beni al paga­mento dei servizi usufruiti;

- non è previsto il trasferimento ai settori competenti delle funzioni che non riguardano l'assistenza: asili nido, scuole materne, soggior­ni di vacanza, trasporto di persone con handicap e, come abbiamo scritto più volte, anziani e adulti malati cronici non autosufficienti.

Ribadiamo, infine, l'esigenza che le risorse vengano utilizzate, comprese le proprietà delle IPAB e delle ex IPAB e degli enti disciolti, per consentire una esistenza accettabile alla parte più debole della popolazione, evitando ogni sovvenzione e ogni servizio gratuito o a pagamento parziale a favore di coloro che sono in grado di provvedere alle loro esigenze sia con i redditi sia con i beni mobiliari e immobiliari posseduti.

 

 

 

(1) Alla data del 31 gennaio 1997 risultavano presentati e stampati:

a) al Senato i disegni di legge:

- n. 1 "Legge di riordino dell'assistenza sociale. Istitu­zione di un assegno sociale per i soggetti anziani e di un assegno di inabilità", presentato con iniziativa popolare dai Sindacati dei pensionati CGIL, CISL e UIL nella scorsa le­gislatura in data 27 ottobre 1994 e ripresentato d'ufficio all'inizio della corrente legislatura;

- n. 263 presentato dal Sen. Petrucci e altri Parlamentari il 10 maggio 1996, identico anche nel titolo alla proposta di legge n. 354 della Camera dei deputati;

b) alla Camera dei deputati le proposte di legge:

- n. 354 "Interventi di sostegno sociale per la preven­zione delle condizioni di disagio e povertà, per la promo­zione di pari opportunità e di un sistema di diritti di cittadi­nanza" presentata il 9 maggio 1996 dall'On. Signorino e da altri Parlamentari;

- n. 1832 "Norme in materia di assistenza e di servizi sociali, nonché di interventi a favore del singolo, della fa­miglia e del nucleo familiare", presentata il 10 luglio 1996 dall'On. Lumia e da altri Parlamentari;

- n. 2378 "Disciplina del servizio sociale nazionale", presentata il 1° ottobre 1996 dall'On. Calderoli;

- n. 2431 "Legge quadro sull'assistenza e sui servizi so­ciali", presentata I'8 ottobre 1996 dall'On. Polenta e da altri Parlamentari;

- n. 2625, presentata dagli On.li Guerzoni e Ruzzante il 4 novembre 1996, identica anche nel titolo al disegno di leg­ge n. 1 del Senato.

(2) Ricordiamo, in particolare:

- il regio decreto 19 novembre 1889 n. 6535 in base al quale «i Comuni sono tenuti ad intervenire nei confronti del­le persone inabili a qualsiasi lavoro proficuo che (...) per insanabili difetti fisici o intellettuali non possono procacciar­si il modo di sussistenza»;

- l'art. 154 del r.d. 18 giugno 1931 n. 77 che, richiaman­dosi alla sopra citata legge 6535/1889, recita: «Le persone riconosciute dall'autorità locale di pubblica sicurezza inabili a qualsiasi lavoro proficuo e che non abbiano mezzi di sus­sistenza, né parenti tenuti per legge agli alimenti e in condi­zioni di poterli prestare, sono proposte ( ..) per il ricovero in un istituto di assistenza o beneficenza del luogo o di altro Comune»;

- il r.d. 3 marzo 1934, n. 383, testo unico della legge co­munale e provinciale in cui erano previste come obbligatorie: a) per i Comuni (art. 91) le spese relative al «manteni­mento degli inabili al lavoro»;

b) per le Province (art. 144) gli oneri concernenti l'assi­stenza «degli infanti illegittimi, abbandonati od esposti all'abbandono» e «dei ciechi e dei sordomuti poveri riedu­cabili, in quanto non vi provvedono i consorzi od altre istitu­zioni autonome». Da osservare che l'obbligatorietà delle spese assistenziali di cui sopra è stata abrogata con il de­creto legge 10 novembre 1978 n. 702 (art. 7), convertito nella legge 8 gennaio 1979 n. 3;

- ai sensi del r.d. 8 maggio 1927 n. 798 e 29 dicembre 1927 n. 2822 le Province erano e sono tenute a prestare assistenza anche alle gestanti e madri, e ai minori nati fuori dal matrimonio, riconosciuti dalla sola madre, purché al momento della prima richiesta di assistenza non abbiano ancora compiuto il 6° anno di età. Le Province devono, inoltre, fornire, ai sensi delle suddette disposizioni, le pre­stazioni necessarie per garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i propri nati.

(3) Cfr. Massimo Dogliotti, "La riforma dell'assistenza... della Corte costituzionale", Prospettive assistenziali, n. 84, ottobre-dicembre 1988.

(4) Cfr. "Facciamo il punto sui contributi economici in­debitamente richiesti dagli enti pubblici agli assistiti mag­giorenni", Prospettive assistenziali, n. 116, ottobre-dicem­bre 1996.

(5) Si potrebbe prevedere l'erogazione di prestiti a per­sone prive di redditi e proprietarie dell'appartamento in cui vivono, previa stipula di accordi che sanciscano la restitu­zione delle somme e dei relativi interessi nel caso in cui la situazione di difficoltà venga superata o al momento della successione.

(6) L'esperienza è descritta nei volumi: M.G. Breda - M. Rago, Formare per l'autonomia. Strumenti per la prepara­zione professionale degli handicappati intellettivi, Rosen­berg & Sellier, Torino, 1991; E. De Rienzo - C. Saccoccio - M.G. Breda, Il lavoro conquistato. Storie di inserimento di handicappati intellettivi in aziende pubbliche e private, Ro­senberg & Sellier, Torino, 1991.

(7) Mentre gli anziani dovrebbero vivere con la pensione minima di L. 685.400, la retta mensile di ricovero in case di riposo è di circa L. 3.000.000 al mese. Quando il ricoverato non è in grado di corrispondere l'intera retta, la differenza è a carico del Comune. Come vedremo, gli Enti pubblici non possono pretendere contributi economici dai parenti, compresi quelli tenuti agli alimenti, di assistiti maggiorenni.

(8) Nei casi di disoccupazione, i contributi economici dovrebbero essere erogati dagli assessorati comunali al lavoro, i quali possono scegliere in alternativa a questa for­ma d'intervento, quelle più consone, quali l'aggiornamento e la riqualificazione professionale, i cantieri di lavoro, ecc.

I sussidi e le erogazioni a carattere continuativo potrebbero essere sottratti al settore assistenziale e assegnate ad un nuovo comparto che potrebbe essere denominato della "Sicurezza sociale".

(9) Qualora la non autosufficienza sia causata da pato­logie in atto o da esiti di malattie, la competenza ad interve­nire - come è stabilito dalle leggi vigenti - non è dell'assi­stenza, ma del Servizio sanitario nazionale.

(10) In un prossimo articolo approfondiremo il problema della integrazione dei servizi sanitari, sociali e assistenziali anche alla luce della trentacinquennale attività svolta dall'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, dall'Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale e dal Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base.

(11) L'art. 2 del disegno di legge n. 1 e della proposta n. 2625 sancisce che hanno diritto alle prestazioni di assi­stenza sociale tutti i cittadini italiani e quelli dei Paesi ap­partenenti all'Unione europea residenti in Italia.

(12) L'art. 5 è così redatto:

«1. Il sistema dei servizi sociali è integrato con le seguen­ti prestazioni senza pregiudizio alcuno per quelle che po­tranno essere stabilite in sede successiva alla data di entra­ta in vigore della presente legge:

a) l'informazione, la valorizzazione e l'orientamento di tutta la cittadinanza in materia dei suoi diritti sociali;

b) la prestazione di servizi o programmi di convivenza, mediante l'attuazione di aiuto al domicilio della persona in­teressata o mediante la prestazione in abitazioni alternative;

c) l'intervento per l'inserimento sociale, con attenzione prioritaria alla prevenzione ed eliminazione delle cause di emarginazione mediante programmi adeguati ed individua­lizzati per le persone ed i gruppi sociali in situazione di ri­schio;

d) l'intervento per la promozione della solidarietà e della partecipazione».

(13) L'art. 7 stabilisce quanto segue:

«1. Il servizio sociale di base è l'unità basilare del sistema dei servizi sociali. È diretto, senza discriminazione, a tutta la popolazione; la sua struttura ed ubicazione rispondono alle necessità rilevate sulla base dei criteri di decentramento, flessibilità e vicinanza ai cittadini.

«2. I servizi sociali di base costituiscono unità polivalenti di attuazione che hanno come obiettivo primario lo sviluppo dell'azione comunitaria, coordinando e gestendo, nella loro area di competenza, l'accesso alle diverse istanze dei servi­zi sociali e, attraverso la cooperazione con questi, con altre aree del benessere sociale.

«3. Sono funzioni delle unità dei servizi sociali di base: a) la costituzione di centri di informazione, consulenza e gestione dei diritti e delle risorse sociali;

b) l'elaborazione delle informazioni secondo criteri di ra­zionalizzazione, omogeneizzazione e sistematizzazione;

c) la consulenza e l'assistenza di base nei lavori di piani­ficazione e razionalizzazione per l'uso efficace delle risorse sociali, nel proprio ambito territoriale;

d) la gestione delle pratiche inerenti alle prestazioni eco­nomiche corrispondenti;

e) lo sviluppo di programmi di intervento orientati ad equilibrare le risorse ed i mezzi che facilitano l'inserimento di persone e famiglie socialmente emarginate;

f) la realizzazione di programmi di sensibilizzazione sulle necessità sociali esistenti e di sollecitazione della parteci­pazione sociale allo sviluppo della vita di comunità;

g) ogni altra funzione loro attribuita».

(14) L'art. 8 prevede:

«1. I servizi sociali specializzati costituiscono il livello di attenzione specifica per la programmazione, l'attuazione e la gestione degli interventi che non sono attribuiti ai servizi sociali di base di cui all'articolo 7.

«2. Sono funzioni dei servizi sociali specializzati.

a) gestire ed equilibrare i centri di servizio che operano per collettività specifiche;

b) fornire prestazioni tecniche a quelle persone che, tro­vandosi in grave difficoltà, non sono in grado di accedere ai sistemi ordinari di protezione sociale;

c) allocare le risorse destinate a normalizzare le condi­zioni di vita della collettività ad alto rischio di marginalità. «3. L'accesso ai servizi sociali specializzati si realizza previo esame e gestione del servizio sociale di base corri­spondente».

(15) La proposta di legge n. 2431 è in molte parti identi­ca alla n. 246 presentata il 12 luglio 1987 alla Camera dei Deputati dall'On. Franco Foschi e da altri parlamentari DC.

 

 

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