Editoriale
SERVE
ANCORA LA LEGGE DI RIFORMA DELL'ASSISTENZA SOCIALE?
Sul n. 116 bis abbiamo riportato le relazioni ed i
testi dei disegni e delle proposte di legge presentate nel corso di questa
legislatura (1).
Ricordiamo, inoltre, che nel programma dell'Ulivo
era prevista l'approvazione «di una legge
quadro di riforma socio-assistenziale» con la seguente precisazione: «Si tratta di una legge che fissa i principi
generali, nel rispetto del forte decentramento delle funzioni».
1. Situazione attuale del settore assistenziale
1.1 Se si escludono gli emolumenti economici a
carattere continuativo, la situazione attuale può essere così riassunta:
- assenza di linee di indirizzo al punto che, secondo
alcuni, le prestazioni assistenziali dovrebbero essere fornite a tutti i
cittadini indipendentemente dai loro redditi e beni, mentre altri ritengono
che gli interventi debbano essere garantiti esclusivamente alle persone e ai
nuclei familiari in condizioni di bisogno;
- la legislazione vigente, salvo alcune norme
precedenti l'approvazione della Costituzione repubblicana (2), si ispira
ancora al concetto discrezionale della beneficenza. Dal 1948 ad oggi non è
stato riconosciuto alcun nuovo diritto esigibile;
- pure in presenza di obblighi sanciti da leggi del
secolo scorso, moltissimi Comuni non hanno ancora istituito i servizi
richiesti;
- la stragrande maggioranza delle funzioni svolte - e
dei finanziamenti utilizzati - riguardano soggetti illegalmente espulsi dalla
competenza del Servizio sanitario nazionale ed altrettanto illegalmente
ricoverati in strutture assistenziali. II settore dell'assistenza sociale è,
dunque, lo strumento che coopera attivamente per la negazione del diritto alle
cure sanitarie dei giovani, degli adulti e degli anziani cronici non autosufficienti
(colpiti da AIDS, da neoplasie, dementi, ecc.) e dei pazienti psichiatrici
gravi, diritto che dovrebbe essere attuato nelle forme previste per tutti i
cittadini malati. II problema è ancora più allarmante tenuto conto che vi sono
Regioni, ad esempio il Lazio con la legge 1° settembre 1993 n. 41) che hanno
deciso di inserire nelle RSA, residenze sanitarie assistenziali, non solo
giovani, adulti e anziani cronici non autosufficienti, ma anche soggetti
psichiatrici, handicappati fisici, intellettivi e sensoriali, nonché persone
totalmente o parzialmente autonome;
- numerose sono le attività svolte impropriamente
dall'assistenza, ad esempio asili nido, soggiorni di vacanza, trasporto di
persone con handicap, attività che comportano l'esborso ingiustificato di
somme consistenti da parte del settore assistenziale;
- mancano quasi ovunque piani di utilizzo del
patrimonio delle IPAB, istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, il
cui valore è stimato in 50 mila miliardi di lire (cfr. "IPAB Oggi",
n. 6, ottobre-dicembre 1996) e delle ex IPAB i cui beni sono stati regalati ai
privati ai sensi della sconcertante sentenza n. 396/1988 della Corte
costituzionale (3) oppure trasferiti ai Comuni. In tutte e tre le suddette
situazioni i beni ed i relativi redditi, in base alle leggi vigenti, devono
essere destinati ad attività assistenziali;
- quasi tutte le USL che gestiscono attività
assistenziali, molti Comuni singoli e associati, Comunità montane e Province
pretendono contributi economici (complessivamente alcuni miliardi all'anno)
dai parenti di assistiti maggiorenni, pur non essendo in vigore leggi che lo
consentano. A volte questi contributi sono estorti con varie forme di ricatto
(4).
1.2 Per quanto
riguarda gli emolumenti economici a carattere continuativo (assegno e pensione
sociale, integrazione al minimo delle pensioni INPS), è scandaloso che queste
misure di "assistenza ai bisognosi" vengano erogate anche a coloro
che posseggono beni immobili (alloggi, negozi, terreni, ecc.) di qualsiasi
entità.
Inoltre sono inaccettabili gli attuali parametri
reddituali in base ai quali la pensione sociale viene erogata anche quando il
coniuge convivente dispone di un reddito non superiore a L. 22.310.775 annue;
l'integrazione al minimo delle pensioni INPS è addirittura concessa alle persone
singole che hanno redditi personali annui di importo fino a L. 17.820.000
mentre quelli dell'interessato e del coniuge possono addirittura ammontare a
36 milioni 400 mila lire.
2. I principi essenziali per una valida riforma
dell'assistenza
Elenchiamo quali sono, a nostro avviso, i principi
essenziali da rispettare affinché la riforma dell'assistenza risponda
effettivamente alle esigenze della fascia più debole della popolazione.
2.1 Le norme costituzionali
Per una valida riforma del sistema assistenziale,
occorre in primo luogo rispettare la Costituzione, non solo perché si tratta
della legge fondamentale dello Stato, ma per il fatto che la norma dell'art. 38
della Costituzione «Ogni cittadino inabile
al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento
e all'assistenza sociale» risponde pienamente ad un evidente principio
etico-sociale: la collettività non deve aiutare chi non ne ha la necessità.
Pertanto le prestazioni assistenziali dovrebbero essere fornite esclusivamente
alle persone e ai nuclei familiari che si trovano nelle condizioni
sottospecificate:
1) inabilità al lavoro proficuo o impossibilità di
svolgerlo in quanto in età inferiore ai 16 anni (limite che dovrebbe essere
opportunamente elevato) o perché usciti dal ciclo produttivo (pensionati) o
per qualsiasi altro motivo;
2) privi (i soggetti stessi, i loro coniugi conviventi
ed i genitori se si tratta di minorenni) dei mezzi economici occorrenti per
vivere.
2.2 Privilegi da eliminare
Sia allo scopo di destinare le risorse disponibili
solo alle persone e ai nuclei familiari veramente in difficoltà, sia per
incontrovertibili motivazioni di equità, dovrebbero al più presto essere
eliminati gli attuali privilegi clientelari concernenti l'erogazione di
emolumenti economici a carattere continuativo (pensioni e assegni sociali,
integrazioni al minimo delle pensioni, ecc.) o di natura transitoria (ad
esempio sussidi di enti locali) a coloro che dispongono di patrimoni
immobiliari o mobiliari.
Inoltre dovrebbe essere resa obbligatoria (se del
caso mediante autocertificazione) la dichiarazione di tutti i redditi,
compresi quelli di cui non è obbligatoria la denuncia al fisco (5).
Per gli stessi motivi, le prestazioni assistenziali,
ad esempio quelle concernenti l'aiuto domestico, dovrebbero essere fornite
esclusivamente a coloro che non sono in grado di ricorrere al settore privato
non avendo sufficienti risorse economiche.
Le consistenti somme risparmiate dovrebbero essere
utilizzate per elevare il livello degli emolumenti economici destinati alle
persone e ai nuclei familiari in situazione di bisogno.
3. Le risorse sociali (non assistenziali) sono
indispensabili per tutti i cittadini
Mentre le prestazioni assistenziali, come abbiamo
visto, devono essere fornite solo alle persone inabili al lavoro e sprovviste
dei mezzi necessari per vivere, tutti i cittadini, nessuno escluso, per
sviluppare le proprie potenzialità, e quindi per raggiungere il migliore inserimento
possibile nella vita comunitaria, devono poter utilizzare l'insieme delle
risorse messe a disposizione dalla società: sanità, istruzione, cultura,
lavoro, ecc.
Si tratta di una constatazione talmente ovvia da non
richiedere alcun commento. Si ricorda solo, per sottolineare gli stretti
rapporti fra istruzione, professione svolta e salute, i dati INSEE (Economia e statistica, 1994) secondo
cui la speranza di vita a 35 anni è di 43,2 per i professori, 42,3 per gli
ingegneri, 41,4 per i dirigenti, 39,6 per i quadri intermedi, 37,5 per i
salariati agricoli, 36 per il personale di servizio e 34,3 per i manovali. La
differenza massima è di ben 8,9 anni di vita!
4. La prevenzione del bisogno assistenziale
L'esperienza
dimostra che l'utenza del settore assistenziale è costituita soprattutto da:
-
disoccupati e sottoccupati;
-
ex lavoratori con pensioni insufficienti;
- ragazzi respinti dalla scuola a
causa della selettività della scuola stessa;
- famiglie e persone prive di un'abitazione adeguata
e che non sono in grado di pagare gli affitti richiesti dal libero mercato;
- persone, soprattutto anziane, che, definite malate
croniche e non autosufficienti, non sono ammesse a fruire dei servizi sanitari
predisposti per gli altri soggetti malati;
-
invalidi che gli enti pubblici e le aziende private rifiutano di assumere;
- minori in stato di abbandono o con famiglie aventi
difficoltà economiche (disoccupati o sottoccupati) o abitative o di altra
natura.
Com'è evidente, l'assistenza ha scarsissimi mezzi e strumenti
per svolgere azioni dirette ad eliminare le cause che provocano le suddette richieste
di assistenza.
Ne consegue che la prevenzione del bisogno non può
essere una funzione primaria del settore assistenziale, ma spetta, a seconda
delle circostanze, ai settori del lavoro, delle pensioni, della sanità, della
casa, della scuola, dei trasporti, ecc.
L'organizzazione assistenziale ha, tuttavia,
l'importantissimo compito di individuare non solo gli effetti dell'emarginazione, ma anche le cause e di promuovere
presso i comparti del lavoro, delle pensioni, della sanità, della casa, della
scuola, ecc., i cambiamenti occorrenti per l'eliminazione o almeno per la
riduzione dei fattori che provocano difficoltà e disagio.
5. Mai solo assistenza
Per aiutare veramente le persone in difficoltà a
raggiungere tutta l'autonomia possibile, è assolutamente necessario che le
prestazioni assistenziali siano fornite in modo da assicurare la massima
autonomia dei soggetti e nello stesso tempo da promuovere il corretto utilizzo
delle risorse sociali (sanità, casa, scuola, formazione professionale, ecc.).
Si tratta di un obiettivo diametralmente opposto a
quello che attualmente viene perseguito in molte situazioni. Numerosi sono,
infatti, i servizi assistenziali che svolgono funzioni non di loro pertinenza:
- sostituendosi alla sanità nella cura degli ammalati
cronici non autosufficienti, e, ultimamente, anche dei pazienti psichiatrici;
- svolgendo servizi di trasporto per le persone che
non possono utilizzare i mezzi pubblici a causa della presenza di barriere
architettoniche;
- fornendo prestazioni di dopo-scuola (oggi chiamate
da alcuni attività di assistenza educativa territoriale) ai minori che non
assolvono l'obbligo scolastico;
- istituendo forme, spesso raffazzonate, di
preparazione professionale degli handicappati che dovrebbero invece frequentare
gli appositi servizi gestiti dal settore istruzione;
- ricercando posti di lavoro per i disabili, spesso
senza nemmeno coinvolgere i competenti uffici e assessorati preposti
all'occupazione.
Ad esempio, se si agisce sulla base degli obiettivi
sopra enunciati (massima autonomia possibile dei soggetti assistiti e corretto
utilizzo delle risorse sociali), al termine della scuola dell'obbligo, gli
interventi nei confronti degli handicappati intellettivi non devono essere
orientati esclusivamente alla creazione di centri diurni, anche se questo
servizio è estremamente utile per la socializzazione dei soggetti e, fornendo
un concreto aiuto ai congiunti, costituisce una valida alternativa al ricovero
in istituto. Occorre, altresì, intervenire presso il settore pubblico e privato
della formazione professionale per ottenere che presso le normali strutture
della stessa formazione professionale siano istituiti corsi prelavorativi, come
ha fatto il Comune di Torino su iniziativa del CSA - Coordinamento sanità e
assistenza tra i movimenti di base. È così possibile - e l'esperienza lo
dimostra - realizzare una preparazione al lavoro dei soggetti handicappati
intellettivi lievi e medi, riservando i centri diurni a coloro che, a causa
della gravità delle loro condizioni, non sono in grado di svolgere alcuna
attività lavorativa proficua (6).
Grazie alle iniziative suddette e alle sollecitazioni
avanzate nei confronti delle aziende private e pubbliche, nella città di Torino
vi sono più di 300 handicappati intellettivi che vivono con il proprio lavoro e
che sono usciti dal circuito assistenziale o che necessitano solo di alcune
prestazioni marginali di supporto.
Analoghe considerazioni valgono per tutte le attività
concernenti i soggetti in difficoltà. Se si opera per l'attivazione delle
persone e dei nuclei familiari, occorre sempre che le prestazioni assistenziali
mobilitino le necessarie iniziative della sanità, della casa, della scuola,
dei trasporti e le altre risorse sociali.
A volte 8 anche necessario sollecitare la disponibilità
delle famiglie: è il caso degli affidatari e, per i minori grandicelli o
handicappati o malati, degli aspiranti adottanti.
Mentre, a prima vista, può sembrare positiva
l'estensione dell'ambito di operatività dei servizi assistenziali, è invece
assai negativa la sottrazione di competenze agli altri settori (sanità,
scuola, lavoro, ecc.), sottrazione che di fatto favorisce il disinteresse dei
settori stessi e consolida l'emarginazione delle persone in difficoltà.
Ad esempio, la sottrazione dei compiti curativi
riguardanti gli anziani cronici non autosufficienti, attuata dall'assistenza
nei confronti della sanità, ha determinato il rifiuto da parte degli ospedali
di garantire i necessari interventi nei casi di riacutizzazione delle
patologie esistenti o di insorgenza di nuove malattie. Infatti - caso emblematico
- dall'Istituto di riposo per la vecchiaia, gestito direttamente dal Comune di
Torino, non vengono trasferiti i malati anche gravi, compresi addirittura
quelli colpiti da infarto, in quanto gli ospedali non forniscono più le
necessarie garanzie per le cure. A questo proposito è significativo che i
nosocomi, anche altamente specializzati, non si preoccupino nemmeno di prevenire
le piaghe da decubito.
Un'altra grave conseguenza riguarda il rifiuto di un
ospedale nella cintura di Torino di ammettere una signora demente senile,
colpita anche da tubercolosi, in quanto definita "cronica non
autosufficiente". La paziente è stata quindi costretta a rientrare a casa
della figlia nonostante il reale pericolo di contagiare i propri nipotini.
Infine, si ricorda che l'intervento assistenziale non
dovrebbe mai essere totalizzante, come avviene ancora negli istituti di
ricovero a carattere di internato, in cui i soggetti vivono senza frequentare
sistematicamente i servizi esterni. In questi casi vi è un'esclusione
programmata del soggetto dal contesto sociale.
6. Gli utenti impropri e illegali dell'assistenza
Estremamente esteso è il numero dei cittadini che
vengono assistiti per motivi assolutamente impropri, e in certi casi,
illegittimi.
Sono soggetti che, se potessero usufruire di adeguate
risorse sociali, non subirebbero l'umiliazione di essere costretti a
richiedere sussidi e altri aiuti che, come abbiamo visto, la Costituzione
prevede giustamente solo per le persone inabili al lavoro e prive di
sufficienti mezzi economici per vivere.
Una situazione molto diffusa è quella degli individui
usciti dal ciclo produttivo che, dopo anni e anni di lavoro, ricevono pensioni
da fame.
In sintesi possiamo affermare che sono soggetti
impropri dell'assistenza tutte le persone ed i nuclei familiari a cui non sono
state o non vengono messe a disposizione in modo adeguato le risorse sociali,
risorse che - come abbiamo visto - sono indispensabili per il miglior inserimento
possibile di ciascuno di noi nella vita comunitaria.
Si tratta dei disoccupati, dei sottoccupati, dei
lavoratori che ricevono salari inferiori ai minimi contrattuali, degli invalidi
nei cui confronti non è stata fatta rispettare la legge 482/1968 sul collocamento
obbligatorio: l'importo mensile della loro pensione è di L. 390.600 alla data
del 1° gennaio 1997, somma che non consente nemmeno la sopravvivenza.
Un altro esempio di assistenza impropria è costituito
dalle persone (soprattutto anziane) che, non essendo in grado di pagare gli
affitti richiesti dai libero mercato, sono ricoverate in istituti di
assistenza. Un intervento non solo improprio, ma gravemente lesivo della
dignità delle persone coinvolte e, inoltre, molto oneroso per il settore
pubblico (7).
Inoltre, come abbiamo già rilevato, è impropria la
competenza del settore assistenziale in materia di asili nido. Da un lato essi
non sono - giustamente - istituiti solo per bambini di famiglie con bassi
redditi; d'altro canto è ormai universalmente riconosciuto il loro ruolo
educativo-formativo, soprattutto nei confronti di fanciulli di età superiore
ai 12-18 mesi.
Inoltre, dovrebbe essere tenuta presente la necessità
di unificare gli asili nido e le scuole materne o almeno di integrarli per
quanto riguarda le strutture, il personale, gli orari, ecc.
In sostanza, gli asili nido dovrebbero far parte -
come avviene già presso le amministrazioni più sensibili - del settore
dell'istruzione, settore che in alcuni Comuni ha assunto le funzioni e la
denominazione di assessorato al sistema educativo.
Certamente illegittima è la competenza dell'assistenza
nei confronti degli anziani cronici non autosufficienti. Non solo, come è stato
affermato in precedenza, la gestione di questa materia è enormemente onerosa
per i Comuni, ma ciò comporta anche la negazione del diritto della persona
inguaribile alle cure sanitarie.
La situazione si è ulteriormente aggravata in quanto
la sanità cerca in tutti i modi di scaricare sull'assistenza gli interventi nei
confronti degli adulti e dei giovani malati gravissimi. È del settembre 1995
l'allucinante notizia del tentativo compiuto dall'Ospedale San Paolo di Savona
di ottenere l'allontanamento dal reparto di rianimazione di due giovani: uno
di 23 anni, l'altro di 29.
Inoltre, in molte zone del nostro Paese la sanità ha
provveduto alla chiusura dei manicomi o alla riduzione dei ricoverati scaricandoli
sull'assistenza, in particolare inviandoli in case di riposo e in RSA gestite
direttamente dai Comuni o convenzionate.
7. I soggetti da assistere e le priorità d'intervento
Purtroppo vi sono persone che non riescono a
raggiungere l'autonomia personale e sociale, o perché non hanno beneficiato
durante l'età evolutiva dell'indispensabile supporto familiare, o non hanno
potuto o non possono - per varie condizioni di incapacità - utilizzare le
risorse sociali.
Certamente un'adeguata prevenzione può ridurre - e in misura significativa
- il numero dei soggetti che, per poter vivere (o, più precisamente, per poter
sopravvivere) sono costretti a ricorrere all'assistenza.
Si tratta, ad esempio, dei minori in condizioni di
totale abbandono materiale e morale a cui occorre fornire il sostegno
necessario fino al loro inserimento presso idonee famiglie adottive. Analoga
situazione è quella dei fanciulli con difficoltà familiari, per i quali è
indispensabile assicurare le necessarie prestazioni di aiuto economico e
sociale alle famiglie d'origine e - occorrendo - provvedere all'affidamento a
scopo educativo.
Altri soggetti da assistere - come è noto - sono gli
handicappati intellettivi. Va, invece, precisato che la stragrande maggioranza
dei disabili fisici e sensoriali, se può beneficiare
in modo corretto e tempestivo delle prestazioni sanitarie, scolastiche,
abitative, ecc., non ha la necessità di interventi assistenziali, ad esclusione
degli emolumenti economici continuativi.
Infine, vi sono le persone senza fissa dimora, quelle
dedite alla prostituzione nel caso vogliano uscirne, i minori segnalati
dall'autorità giudiziaria.
Nei confronti dei soggetti assistiti, gli interventi
dovrebbero essere forniti da un lato assumendo come priorità le prestazioni
che assicurano maggiore libertà alle persone (è evidente che un sussidio
economico è di gran lunga meno condizionante del ricovero in istituto) e
dall'altro lato - come è già stato esposto in precedenza - mobilitando tutte le
risorse sociali (sanità, casa, ecc.) indispensabili perché il soggetto e il suo
nucleo familiare raggiungano il massimo livello possibile d'autonomia.
Partendo dal principio testé enunciato e fermo restando quanto stabilito
dal 1° comma dell'art. 38 della Costituzione, l'ordine di priorità delle attività
del settore dell'assistenza sociale dovrebbe essere il seguente:
- informazione ai cittadini e alle
forze sociali in merito ai problemi generali e specifici dell'assistenza,
dell'emarginazione e dell'esclusione sociale;
- azione promozionale nei confronti
degli uffici preposti al lavoro, alla sanità, all'assistenza, alla cultura,
allo sport, ecc. al fine di
promuovere l'erogazione tempestiva e corretta delle prestazioni dovute;
- attività dirette a fornire ai singoli e ai nuclei
familiari la consulenza e il sostegno necessari per il superamento delle
situazioni di disagio;
- assistenza alle gestanti e alle madri nubili e
coniugate in difficoltà, comprese le attività rivolte a garantire il segreto
del parto alle donne che non intendono riconoscere i propri nati;
- aiuti economici continuativi e straordinari alle
persone e ai nuclei le cui entrate siano inferiori al minimo vitale (8);
- assistenza domestica (pulizia dell'alloggio,
acquisto derrate alimentari, accompagnamenti, ecc.) per le persone parzialmente
non autosufficienti non in grado di ottenere le suddette prestazioni con
propri mezzi economici;
- inserimenti presso famiglie, persone e comunità
alloggio dei minori, degli adulti e degli anziani incapaci di una vita
autonoma, purché la non autosufficienza non sia dovuta a motivi sanitari (9);
- istituzione di centri diurni per gli handicappati
intellettivi ultraquindicenni non inseribili nel lavoro a causa delle gravi
limitazioni della loro autonomia;
-
ricovero presso istituti fino al loro completo superamento.
Ovviamente, per una adeguata organizzazione dei
servizi, è indispensabile una approfondita analisi qualitativa e quantitativa
dei bisogni e la programmazione degli interventi da attuare.
Altri
compiti del settore assistenziale riguardano:
- l'autorizzazione preventiva a funzionare delle
strutture pubbliche e private di ricovero per minori, anziani, handicappati;
- la vigilanza sulle istituzioni pubbliche e private
di assistenza, con particolare riguardo alle IPAB, comprese quelle
privatizzate;
- i rapporti con l'autorità giudiziaria in materia di
interdizione, inabilitazione, tutela e curatela, ad esclusione dei soggetti di
competenza sanitaria;
- gli interventi nei confronti dei minorenni soggetti
a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili;
- le prestazioni di protezione sociale nei confronti
delle persone dedite alla prostituzione e nei riguardi dei soggetti senza fissa
dimora.
8. II fuorviante problema dell'integrazione sanitario/sociale
Da quanto esposto in precedenza, risulta fuorviante il
problema dell'integrazione sanitario/sociale. In effetti, le proposte finora
avanzate riguardano l'integrazione tra il sanitario (prestazioni dovute a
tutti i cittadini) e l'assistenziale (interventi rivolti esclusivamente agli
inabili al lavoro sprovvisti dei mezzi necessari per vivere e quindi ad una
esigua minoranza della popolazione).
La prima negativa conseguenza della cosiddetta
integrazione fra la sanità e l'assistenza è la messa a disposizione delle
persone e dei nuclei familiari benestanti dei servizi di assistenza sociale
domestica. Un'altra conseguenza è stata ed è la negazione nei confronti di 500
mila anziani cronici non autosufficienti e di 20-30 mila malati psichiatrici
del diritto alle cure sanitarie nelle forme previste dalle leggi vigenti per
tutti i cittadini malati.
Dal
diritto esigibile alla sanità, si è passati alla discrezionalità
dell'assistenza.
La questione dell'integrazione è stata ed è, a nostro
avviso, mal posta. Infatti tutti i settori (dalla sanità alla scuola, dalla
casa ai trasporti, dalla cultura al tempo libero, ecc.) devono acquisire al
loro interno - e quindi direttamente - tutte le valenze sociali, relazionali,
umanizzanti, indispensabili per rispondere compiutamente alle esigenze di
tutti i soggetti, compresi quelli più deboli. II rispetto della dignità delle
persone e la qualità delle prestazioni riguardano tutti i settori e non solo la
sanità e l'assistenza.
Come la scuola non può essere un lezionificio e un
esamificio, che delega gli aspetti sociali ad altri, così la sanità non può
essere un diagnostificio e un curificio privo di umanità e socialità.
Dunque, nessuna integrazione, ma - il che è molto più
difficile da raggiungere - assunzione diretta della componente sociale da parte
di tutti i settori di intervento e quindi anche di tutti gli operatori addetti
alla sanità, alla casa, alla scuola, ai trasporti, ecc.
Ovviamente, è indispensabile che ciascun servizio non
solo garantisca ai cittadini le prestazioni di sua competenza specifica, ma
stabilisca anche rapporti collaborativi con tutti gli altri uffici al fine di
rispondere alle esigenze, spesso molteplici, dei cittadini (10).
9. Organi di governo
Per una effettiva collaborazione dei vari settori di
intervento sociale, è necessario che siano creati organi di governo locale in
grado di rispondere alle necessità della popolazione.
Questi organi devono essere il più vicino possibile
ai cittadini. Rispondono a questa esigenza i Comuni.
Quando la loro dimensione demografica è troppo
ridotta, e quindi inidonea a garantire I'intera rete dei servizi
indispensabili, allora si dovrebbe ricorrere alla loro associazione (consorzi,
comunità montane, ecc.).
10. Analisi dei disegni e delle proposte di legge
presentati al Parlamento
10.1 Proposte
di legge n. 1 (Senato) e n. 2625 (Camera dei Deputati)
Come abbiamo scritto sul n.109, gennaio-marzo 1995,
il disegno di legge n. 1 presentato al Senato con iniziativa popolare dai
Sindacati dei pensionati CGIL, CISL e UIL (il cui testo è identico alla
proposta di legge della Camera dei Deputati n. 2625 degli On. Guerzoni e
Ruzzante) dimostra una gravissima arretratezza culturale in materia. Infatti,
all'assistenza viene addirittura assegnato il compito di «rimuovere gli ostacoli d'ordine economico e sociale, che, limitando
di fatto la libertà e I'eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Mentre l'assistenza dovrebbe
garantire tutto (salute, istruzione, abitazione, lavoro, ecc.) a tutti i
cittadini (11), compresi quindi anche i benestanti, i Sindacati dei pensionati
CGIL, CISL e UIL e gli On.li Guerzoni e Ruzzante ignorano
completamente la priorità delle prestazioni domiciliari per i bambini, gli handicappati e gli anziani in difficoltà.
Totalmente trascurate sono, altresì, le esigenze dei minori, degli
handicappati adulti e degli anziani ricoverati in istituto.
Esclusi gli emolumenti economici a carattere
continuativo, alle persone in situazione di bisogno non è riconosciuto alcun
diritto esigibile.
Infine, il disegno di legge n. 1 e la proposta n.
2625 attribuiscono agli enti pubblici la possibilità di pretendere contributi
economici dai familiari degli assistiti, con la conseguenza, fra l'altro, che
i Comuni e loro Consorzi, le Comunità montane, le Province e le USL sarebbero
obbligati a segnalare a tutti i congiunti (compresi quelli residenti
all'estero) delle persone e dei nuclei familiari che si rivolgono
all'assistenza la loro situazione di bisogno sociale e/o economico, violando
così la riservatezza e la dignità di coloro che sono in difficoltà.
10.2 Proposte di legge n. 354 (Camera dei Deputati) e n. 236 (Senato)
Un'analisi
approfondita della proposta di legge n. 354 dell'On. Signorino (e quindi anche
dell'identico testo presentato al Senato con il n. 236 dal Sen. Petrucci) è
stata riportata nel n. 116, ottobre-dicembre 1996 di Prospettive assistenziali.
In
sintesi le osservazioni principali sono le seguenti:
a) non è previsto alcun diritto concretamente
esigibile da parte delle persone e dei nuclei familiari in difficoltà;
b)
non sono nemmeno confermati i diritti sanciti nel secolo scorso dalla legge
6535/1889;
c) non è abrogata la norma vigente (regio decreto
773/1931) che affida alla pubblica sicurezza il ricovero urgente in istituti
di assistenza;
d) non è disposto il trasferimento ai Comuni delle
funzioni assegnate dalle leggi attuali alle Province, conservando in tal modo
l'odiosa separazione delle competenze concernenti i minori nati nel
matrimonio (prevalentemente assegnate ai Comuni) e dei compiti relativi a
quelli nati fuori del matrimonio (quasi tutti affidati alle Province);
e) non è prevista alcuna nuova regolamentazione per
le IPAB, Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, il cui patrimonio,
come abbiamo già segnalato, è valutato dalla rivista IPAB Oggi (n. 6, 1996) in
50 mila miliardi, e per le ex IPAB trasferite ai Comuni o regalate ai privati;
f) non contiene alcun riferimento alla legge 184/1983
che disciplina l'adozione e l'affidamento familiare a scopo educativo e che
affida compiti di rilevante importanza al settore assistenziale;
g) sopprime la competenza esclusiva del Servizio
sanitario nazionale per quanto concerne la cura dei malati cronici non
autosufficienti giovani, adulti e anziani;
h)
impone il pagamento di contributi economici ai parenti degli assistiti
maggiorenni;
i) stabilisce che i sussidi relativi al minimo vitale
possono essere corrisposti anche a coloro che sono proprietari di beni mobili e
immobili di qualsiasi entità;
I) crea un'organizzazione diretta al controllo
sociale delle persone e dei nuclei familiari in difficoltà.
10.3 Proposta di legge n. 1832 (Camera dei Deputati)
La proposta di legge n. 1832 presentata dall'On.
Lumia ha, in primo luogo, il merito di affermare in modo esplicito che il
diritto all'assistenza riguarda esclusivamente «i cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per
vivere», come sancito dalla Costituzione.
In secondo luogo, precisa i criteri in base ai quali
i soggetti possono essere considerati inabili al lavoro: età inferiore ai 16 o
superiore ai 65 anni oppure di età compresa fra i 16 e i 65 anni, purché non in
grado di svolgere una attività lavorativa.
Pienamente condivisibile la norma secondo cui
l'assegno di mantenimento è erogato nella misura corrispondente all'importo
annuale stabilito con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri,
dedotte le risorse economiche del soggetto interessato.
Detto assegno è previsto per le persone in tutto o
in parte prive dei mezzi necessari per vivere. AI riguardo, sarebbe
preferibile un'integrazione della norma in modo da escludere dalla concessione
dell'assegno di mantenimento coloro che posseggono beni immobili e mobili.
Molto positiva la possibilità di ricorso alla magistratura
ordinaria (art. 11) da parte dei cittadini che, dopo aver presentato domanda di
assistenza, non ricevono gli interventi previsti dalla proposta di legge. È
stabilito che nel ricorso «possono essere
richiesti anche i danni per la ritardata erogazione».
Perplessità suscitano, invece, le norme concernenti
l'erogazione dei servizi assistenziali a titolo oneroso, non essendo precisato
che debba essere addebitata una somma corrispondente al costo reale sostenuto
dall'ente pubblico. Ciò al fine di evitare abusi e favoritismi. Discutibili
anche le disposizioni seguenti:
- la residenza socio-sanitaria per anziani è
equiparata ai gruppi affidamento, case alloggio e comunità di accoglienza (art.
10, punto 4), mentre, a nostro avviso, le prime sono strutture sanitarie per
persone malate, e le altre sono servizi residenziali per soggetti autosufficienti
in tutto o in parte;
- il punto 5 dell'art. 10, il quale, stabilendo che
laddove possibile le strutture residenziali (gruppi appartamento, case
alloggio, comunità d'accoglienza e residenze socio-sanitarie) «debbono avere organizzazione polifunzionale
in modo da accogliere, nello stesso tempo, una molteplicità di tipi di ospiti e
di servizi», favorisce la creazione di veri e propri ghetti di ricovero
promiscuo per anziani, adulti, giovani e addirittura bambini, siano essi
malati o sani.
Per quanto riguarda le IPAB, i cui patrimoni, come
abbiamo già scritto, ammontano a 50 mila miliardi, la proposta di legge
presentata dall'On. Lumia prevede una massiccia privatizzazione, che consiste
nel regalare le proprietà immobiliari e mobiliari a soggetti di cui nel testo
non sono nemmeno indicate le caratteristiche.
Infine, avanziamo dubbi sulle ULASS (Unità locali per
l'assistenza sanitaria e sociale) in quanto dalla nomina degli amministratori e
dei direttori sono totalmente esclusi i Consigli comunali.
10.4 Proposta di legge n. 2378 (Camera dei Deputati)
La proposta di legge n. 2378 presentata dall'On.
Calderoli sancisce all'art. 1 che tutti i cittadini hanno diritto di accesso ai
servizi sociali sia a titolo gratuito che oneroso, ma non contiene norme che
consentano l'individuazione degli interventi da erogare.
Infatti, mentre l'art. 2 stabilisce che «il sistema dei servizi sociali è costituito
dall'insieme di risorse, attività, prestazioni e strutture che, organizzate
in un sistema integrato, sono finalizzate a garantire il pieno sviluppo degli
individui e delle comunità, prevenendo, riducendo ed eliminando le cause che
ostacolano il loro inserimento nella società», negli articoli successivi
non vi è alcuna indicazione in merito alle attività e alle prestazioni che
devono essere fornite.
Estremamente generici sono, altresì, l'articolo 5 che
avrebbe dovuto, da quanto risulta dal titolo, indicare le «prestazioni generali del sistema dei servizi sociali» (12),
l'articolo 7 riguardante i «servizi
sociali di base» (13) e l'articolo 8 concernente i «servizi sociali
specialistici» (14). Infine, sono assolutamente insufficienti per una legge
quadro le generiche indicazioni degli articoli 11 e 12. Infatti, agli organi
provinciali è attribuita «la realizzazione
delle seguenti funzioni:
«a) regolamentare l'organizzazione dei
propri servizi in materia di servizi sociali;
«b)
pianificare i servizi sociali del proprio ambito territoriale in accordo con
la pianificazione generale fissata dal governo regionale;
«c)
l'istituzione, il mantenimento e la gestione dei servizi sociali specializzati,
la cui organizzazione non è riservata dalla presente legge alla regione o al
comune, incluse la convenzione e l'appoggio alle iniziative che in tale
materia siano promossi;
«d) lo
studio e la determinazione dei bisogni rilevabili all'interno del proprio
territorio e la programmazione delle risorse necessarie per soddisfarli;
«e)
l'assistenza tecnica e la consulenza agli enti locali, nonché all'iniziativa
privata in materia di servizi sociali;
«f) la
promozione di centri e servizi sociali privati nell'ambito territoriale di
propria competenza;
«g) la
promozione della partecipazione degli enti locali, nonché delle persone utenti
e professionali, nella gestione e sviluppo dei servizi sociali nell'ambito di
competenza;
«h)
l'autorizzazione e la omologazione di servizi, centri e stabilimenti situati
nel proprio ambito territoriale;
«i)
I'istituzione e l'amministrazione dei registro provinciale di autorizzazione e
omologazione. Una copia delle autorizzazioni e omologazioni emesse deve essere
inviata al registro generale della regione;
«I)
I'amministrazione di statistiche aggiornate dei bisogni e servizi in materia di
servizi sociali, nell'ambito del proprio territorio, tenuto conto dl quanto
disposto all'articolo 10, comma 1, lettera g)».
A loro volta i Comuni,
singoli o associati, sono tenuti a prestare i seguenti servizi:
«a) istituzione di un servizio sociale
di base;
«b) nei comuni con popolazione
superiore a 5.000 abitanti ed inferiore a 20.000 abitanti sono istituiti,
all'interno del servizio sociale di base, i servizi di assistenza domiciliare e
di appoggio e sostegno familiare;
«c) nei
comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti sono istituiti, all'interno
dei servizi di cui alle lettere a) e b), centri diurni e servizi di
accoglienza».
Nella relazione della proposta di legge n. 2378 si
afferma che in materia di servizi sociali «il
contesto giuridico statale è tuttora definito sulla base del decreto del
Presidente della Repubblica n. 616 del 1977». II suddetto decreto, però,
sotto la voce "Servizi sociali" comprende la polizia urbana e
rurale, la beneficenza pubblica, l'assistenza sanitaria e ospedaliera,
l'istruzione artigiana e professionale, l'assistenza scolastica, i musei e le
biblioteche di enti locali. Chiediamo, pertanto, all'On. Calderoli: «A tutte queste materie si rivolge la sua
proposta di legge?».
10.5 Proposta di legge n. 2431 (Camera dei Deputati)
La proposta di legge n. 2431 presentata dall'On.
Polenta (15) stabilisce all'art. 3 che, pur avendo diritto tutti i cittadini «a fruire dei servizi sociali senza
distinzione di sesso, razza, convinzioni ideologiche e religiose», sia «fatta salva la priorità per i soggetti che
si trovano in condizioni di bisogno», condizione che è determinata dalla
presenza di almeno una delle seguenti situazioni:
«a)
insufficienza del reddito familiare del nucleo di appartenenza, quando non vi
siano altri soggetti tenuti a provvedere;
«b) incapacità totale o parziale del
soggetto che sia privo di nucleo familiare;
«c)
sottoposizione di un soggetto a provvedimenti dell'autorità giudiziaria che
rendono necessarie prestazioni socio-assistenziali;
«d) periodo di emarginazione grave di
uno 0 più componenti del nucleo familiare».
I suddetti criteri non sembrano essere adeguati alle
esigenze delle persone e dei nuclei familiari in difficoltà. Ad esempio, non
saranno più predisposti centri diurni per gli handicappati intellettivi che,
terminata la scuola dell'obbligo, non sono in grado di proseguire gli studi a
causa della gravità delle foro condizioni, tenuto conto che questa esigenza
non è evidenziata da nessuna delle situazioni prima elencate? Inoltre, i
criteri sopra riportati possono essere interpretati nel senso di obbligare i
congiunti delle persone in difficoltà a farsi carico di tutti i problemi,
compresi quelli assistenziali?
Per i motivi già esposti in questo articolo, non
condividiamo affatto la norma secondo cui (art. 3, comma 4) «può essere chiesto agli utenti e alle
persone tenute al mantenimento e alla corresponsione degli alimenti il
concorso al costo di determinate prestazioni in relazione alle loro condizioni
economiche, tenendo conto della situazione locale e della rilevanza sociale
dei servizi, secondo i criteri stabiliti con legge regionale».
Positiva è, invece, l'attribuzione di tutte le funzioni
assistenziali ai Comuni singoli o associati (art. 8), comprese quelle svolte
attualmente dalle Province. AI riguardo, sarebbe utile che alle stesse non
venissero affidati compiti in materia di localizzazione dei presidi
socio-assistenziali e di concorso alla elaborazione del piano regionale dei
servizi di assistenza sia al fine di semplificare le procedure, sia allo scopo
di riconoscere concretamente ai Comuni la loro piena responsabilità in
materia.
Per quanto concerne le competenze riservate allo
Stato, occorrerebbe valutare se sia positivo per gli utenti che «gli interventi socio-assistenziali
prestati ad appartenenti alle Forze armate, all'Arma dei Carabinieri, alla
Polizia di Stato e al Corpo nazionale dei Vigili del fuoco e ai loro familiari»
siano forniti «da enti e organizzazioni
appositamente istituiti». Secondo noi, questa norma è negativa in quanto
gli assistiti rischiano di ottenere solamente prestazioni economiche e di
ricovero, essendo praticamente impossibile per i suddetti organismi istituire
servizi territoriali per l'aiuto sociale alle famiglie d'origine, l'affidamento
familiare di minori a scopo educativo, l'assistenza domiciliare e le forme
alternative all'istituzionalizzazione dei minori, degli handicappati, degli
anziani e delle altre persone in difficoltà.
11. Conclusioni
I contenuti delle proposte di legge prese in esame,
anche quelle più vicine alle esigenze delle persone e dei nuclei familiari in
difficoltà, non risolvono i problemi di fondo in quanto:
- ad esclusione, in certi casi, degli emolumenti
economici, non stabiliscono diritti concretamente esigibili;
- non confermano la competenza del Servizio sanitario
nazionale per quanto riguarda le cure degli anziani colpiti da malattie
inguaribili e da non autosufficienza, cure che, in base alle leggi vigenti,
devono essere fornite con le stesse modalità degli interventi praticati agli
altri pazienti aventi analoghe patologie. Sottolineiamo, ancora una volta, che
la proposta di legge n. 354 presentata dall'On. Signorino ha, invece, il
compito di dirottare i vecchi malati dalla sanità all'assistenza, facendo
venir meno - fra l'altro - i diritti acquisiti e creando una pericolosissima ed
ingiustificata frattura fra i malati acuti e quelli cronici;
- sono previste norme per consentire agli enti
pubblici di pretendere contributi economici dai parenti di assistiti
maggiorenni, obbligando, ad esempio, i genitori di handicappati intellettivi,
che volontariamente e a costo di gravosi sacrifici tengono a casa i loro figli
handicappati privi di autonomia, a corrispondere rette, magari salate, per la
frequenza di centri diurni. La possibilità di far intervenire i parenti - lo ripetiamo
- rende necessario far conoscere a tutti i congiunti, compresi quelli residenti
all'estero, le difficoltà finanziarie e sociali degli interessati e dei loro
familiari più diretti (genitori, figli, coniugi, ecc.), ledendo in tal modo la
dignità e la riservatezza delle persone e dei nuclei familiari che per poter
vivere sono costrette a ricorrere all'assistenza. AI riguardo, precisiamo che
riteniamo, invece, giusto che gli assistiti provvedano non solo con i loro
redditi, ma anche con i loro beni al pagamento dei servizi usufruiti;
- non è previsto il trasferimento ai settori
competenti delle funzioni che non riguardano l'assistenza: asili nido, scuole
materne, soggiorni di vacanza, trasporto di persone con handicap e, come
abbiamo scritto più volte, anziani e adulti malati cronici non autosufficienti.
Ribadiamo, infine, l'esigenza che le risorse vengano
utilizzate, comprese le proprietà delle IPAB e delle ex IPAB e degli enti
disciolti, per consentire una esistenza accettabile alla parte più debole della
popolazione, evitando ogni sovvenzione e ogni servizio gratuito o a pagamento
parziale a favore di coloro che sono in grado di provvedere alle loro esigenze
sia con i redditi sia con i beni mobiliari e immobiliari posseduti.
(1) Alla data del 31 gennaio 1997
risultavano presentati e stampati:
a) al Senato i disegni di legge:
- n. 1 "Legge
di riordino dell'assistenza sociale. Istituzione di un assegno sociale per i
soggetti anziani e di un assegno di inabilità", presentato con iniziativa
popolare dai Sindacati dei pensionati CGIL, CISL e UIL nella scorsa legislatura
in data 27 ottobre 1994 e ripresentato d'ufficio all'inizio della corrente
legislatura;
- n. 263 presentato
dal Sen. Petrucci e altri Parlamentari il 10 maggio 1996, identico anche nel
titolo alla proposta di legge n. 354 della Camera dei deputati;
b) alla Camera dei deputati le proposte di
legge:
- n. 354
"Interventi di sostegno sociale per la prevenzione delle condizioni di
disagio e povertà, per la promozione di pari opportunità e di un sistema di
diritti di cittadinanza" presentata il 9 maggio 1996 dall'On. Signorino e
da altri Parlamentari;
- n. 1832
"Norme in materia di assistenza e di servizi sociali, nonché di interventi
a favore del singolo, della famiglia e del nucleo familiare", presentata
il 10 luglio 1996 dall'On. Lumia e da altri Parlamentari;
- n. 2378 "Disciplina del servizio
sociale nazionale", presentata il 1° ottobre 1996 dall'On.
Calderoli;
- n. 2431
"Legge quadro sull'assistenza e sui servizi sociali", presentata I'8
ottobre 1996 dall'On. Polenta e da altri Parlamentari;
- n. 2625,
presentata dagli On.li Guerzoni e Ruzzante
il 4 novembre 1996, identica anche nel titolo al disegno di legge n. 1 del
Senato.
(2) Ricordiamo, in particolare:
- il regio decreto 19 novembre 1889 n. 6535
in base al quale «i Comuni sono tenuti ad
intervenire nei confronti delle persone inabili a qualsiasi lavoro proficuo
che (...) per insanabili difetti fisici o intellettuali non possono procacciarsi
il modo di sussistenza»;
- l'art. 154 del r.d. 18 giugno 1931 n. 77 che, richiamandosi
alla sopra citata legge 6535/1889, recita: «Le
persone riconosciute dall'autorità locale di pubblica sicurezza inabili a
qualsiasi lavoro proficuo e che non abbiano mezzi di sussistenza, né parenti
tenuti per legge agli alimenti e in condizioni di poterli prestare, sono
proposte ( ..) per il ricovero in un istituto di assistenza o beneficenza del
luogo o di altro Comune»;
- il r.d. 3 marzo 1934, n. 383, testo unico
della legge comunale e provinciale in cui erano previste come obbligatorie: a)
per i Comuni (art. 91) le spese relative al «mantenimento
degli inabili al lavoro»;
b) per le Province
(art. 144) gli oneri concernenti l'assistenza «degli infanti illegittimi, abbandonati od esposti all'abbandono» e
«dei ciechi e dei sordomuti poveri rieducabili,
in quanto non vi provvedono i consorzi od altre istituzioni autonome». Da
osservare che l'obbligatorietà delle spese assistenziali di cui sopra è stata
abrogata con il decreto legge 10 novembre 1978 n. 702 (art. 7), convertito
nella legge 8 gennaio 1979 n. 3;
- ai sensi del r.d.
8 maggio 1927 n. 798 e 29 dicembre 1927 n. 2822 le Province erano e sono tenute
a prestare assistenza anche alle gestanti e madri, e ai minori nati fuori dal
matrimonio, riconosciuti dalla sola madre, purché al momento della prima
richiesta di assistenza non abbiano ancora compiuto il 6° anno di età. Le
Province devono, inoltre, fornire, ai sensi delle suddette disposizioni, le prestazioni
necessarie per garantire il segreto del parto alle donne che non intendono
riconoscere i propri nati.
(3) Cfr. Massimo Dogliotti, "La
riforma dell'assistenza... della Corte costituzionale", Prospettive
assistenziali, n. 84, ottobre-dicembre 1988.
(4) Cfr. "Facciamo il punto sui
contributi economici indebitamente richiesti dagli enti pubblici agli
assistiti maggiorenni", Prospettive assistenziali, n. 116, ottobre-dicembre
1996.
(5) Si potrebbe prevedere
l'erogazione di prestiti a persone prive di redditi e proprietarie
dell'appartamento in cui vivono, previa stipula di accordi che sanciscano la
restituzione delle somme e dei relativi interessi nel caso in cui la
situazione di difficoltà venga superata o al momento della successione.
(6) L'esperienza è descritta nei volumi:
M.G. Breda - M. Rago, Formare per
l'autonomia. Strumenti per la preparazione professionale degli handicappati
intellettivi, Rosenberg & Sellier, Torino, 1991; E. De Rienzo - C.
Saccoccio - M.G. Breda, Il lavoro
conquistato. Storie di inserimento di handicappati intellettivi in aziende
pubbliche e private, Rosenberg & Sellier, Torino, 1991.
(7) Mentre gli anziani dovrebbero
vivere con la pensione minima di L. 685.400, la retta mensile di ricovero in
case di riposo è di circa L. 3.000.000 al mese. Quando il ricoverato non è in
grado di corrispondere l'intera retta, la differenza è a carico del Comune.
Come vedremo, gli Enti pubblici non possono pretendere contributi economici dai
parenti, compresi quelli tenuti agli alimenti, di assistiti maggiorenni.
(8) Nei casi di disoccupazione, i
contributi economici dovrebbero essere erogati dagli assessorati comunali al
lavoro, i quali possono scegliere in alternativa a questa forma d'intervento,
quelle più consone, quali l'aggiornamento e la riqualificazione professionale,
i cantieri di lavoro, ecc.
I sussidi e le erogazioni a carattere continuativo
potrebbero essere sottratti al settore assistenziale e assegnate ad un nuovo
comparto che potrebbe essere denominato della "Sicurezza sociale".
(9) Qualora la non autosufficienza
sia causata da patologie in atto o da esiti di malattie, la competenza ad
intervenire - come è stabilito dalle leggi vigenti - non è dell'assistenza,
ma del Servizio sanitario nazionale.
(10) In un prossimo articolo
approfondiremo il problema della integrazione dei servizi sanitari, sociali e
assistenziali anche alla luce della trentacinquennale attività svolta
dall'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, dall'Unione per la
lotta contro l'emarginazione sociale e dal Coordinamento sanità e assistenza
fra i movimenti di base.
(11) L'art. 2 del disegno di legge n.
1 e della proposta n. 2625 sancisce che hanno diritto alle prestazioni di assistenza
sociale tutti i cittadini italiani e quelli dei Paesi appartenenti all'Unione europea
residenti in Italia.
(12) L'art. 5 è così redatto:
«1. Il sistema dei servizi sociali è integrato con le seguenti
prestazioni senza pregiudizio alcuno per quelle che potranno essere stabilite
in sede successiva alla data di entrata in vigore della presente legge:
a) l'informazione, la
valorizzazione e l'orientamento di tutta la cittadinanza in materia dei suoi
diritti sociali;
b) la prestazione di servizi o programmi di convivenza, mediante
l'attuazione di aiuto al domicilio della persona interessata o mediante la
prestazione in abitazioni alternative;
c) l'intervento per l'inserimento sociale, con attenzione prioritaria
alla prevenzione ed eliminazione delle cause di emarginazione mediante
programmi adeguati ed individualizzati per le persone ed i gruppi sociali in
situazione di rischio;
d) l'intervento per la
promozione della solidarietà e della partecipazione».
(13) L'art. 7 stabilisce quanto segue:
«1. Il servizio sociale di base è l'unità basilare del sistema dei
servizi sociali. È diretto, senza discriminazione, a tutta la popolazione; la
sua struttura ed ubicazione rispondono alle necessità rilevate sulla base dei
criteri di decentramento, flessibilità e vicinanza ai cittadini.
«2. I servizi sociali di base costituiscono unità polivalenti di attuazione
che hanno come obiettivo primario lo sviluppo dell'azione comunitaria,
coordinando e gestendo, nella loro area di competenza, l'accesso alle diverse
istanze dei servizi sociali e, attraverso la cooperazione con questi, con
altre aree del benessere sociale.
«3. Sono funzioni delle
unità dei servizi sociali di base: a) la costituzione di centri di
informazione, consulenza e gestione dei diritti e delle risorse sociali;
b) l'elaborazione delle
informazioni secondo criteri di razionalizzazione, omogeneizzazione e
sistematizzazione;
c) la consulenza e
l'assistenza di base nei lavori di pianificazione e razionalizzazione per
l'uso efficace delle risorse sociali, nel proprio ambito territoriale;
d) la gestione delle
pratiche inerenti alle prestazioni economiche corrispondenti;
e) lo sviluppo di programmi di intervento orientati ad equilibrare le
risorse ed i mezzi che facilitano l'inserimento di persone e famiglie
socialmente emarginate;
f) la realizzazione di programmi di sensibilizzazione sulle necessità
sociali esistenti e di sollecitazione della partecipazione sociale allo
sviluppo della vita di comunità;
g) ogni altra funzione
loro attribuita».
(14) L'art. 8 prevede:
«1. I servizi sociali specializzati costituiscono il livello di
attenzione specifica per la programmazione, l'attuazione e la gestione degli
interventi che non sono attribuiti ai servizi sociali di base di cui
all'articolo 7.
«2. Sono funzioni dei
servizi sociali specializzati.
a) gestire ed
equilibrare i centri di servizio che operano per collettività specifiche;
b) fornire prestazioni tecniche a quelle persone che, trovandosi in
grave difficoltà, non sono in grado di accedere ai sistemi ordinari di
protezione sociale;
c) allocare le risorse destinate a
normalizzare le condizioni di vita della collettività ad alto rischio di
marginalità. «3. L'accesso ai servizi sociali specializzati si realizza previo
esame e gestione del servizio sociale di base corrispondente».
(15) La proposta di legge n. 2431 è
in molte parti identica alla n. 246 presentata il 12 luglio 1987 alla Camera
dei Deputati dall'On. Franco Foschi e da altri parlamentari DC.
www.fondazionepromozionesociale.it