Prospettive assistenziali, n. 117, gennaio-marzo 1997

 

 

Specchio nero

 

 

IL MANICOMIO LAGER DI AGRIGENTO: ASSOLUZIONI SCONCERTANTI

 

Dopo venti anni di denunce e di inchieste, l'ex direttore sanitario e un ex primario del manico­mio-lager di Agrigento sono stati assolti dall'ac­cusa di plurimo omicidio colposo e di abbando­no di persone incapaci.

II pubblico ministero, al termine di una docu­mentata requisitoria durata più di tre ore, aveva chiesto la condanna dei due dirigenti rispettiva­mente a 8 ed a 6 anni di reclusione.

Le condizioni disumane dell'ex ospedale psi­chiatrico erano state denunciate negli anni '70 da un primario della stessa struttura. Erano se­guiti vari esposti fra cui quello di un sacerdote.

Nonostante la gravità dei fatti denunciati nes­suno era intervenuto!

Secondo il perito, Prof. Luigi Cancrini, noto psichiatra, almeno 16 degenti sarebbero morti di tubercolosi perché non curati e costretti a vi­vere in reparti assolutamente inidonei, addirittu­ra con finestre senza vetri, spesso nudi e soven­te immersi negli escrementi.

Fra i ricoverati una ragazzina di 14 anni, la cui unica "colpa" era quella di essere una handi­cappata intellettiva, deceduta all'età di 21 anni senza mai essere uscita dal manicomio.

Non si è trattato dell'unico ricovero del tutto ingiustificato. Nell'intervista rilasciata a l'Unità del 19 gennaio 1997, il Prof. Cancrini dichiara: «Ricordo una donna che è stata ospite ad Agri­gento per trent'anni, e che era stata ricoverata semplicemente perché sua madre e sua sorella erano lì; è stata chiusa in quell'inferno dopo es­sere stata respinta dal marito. I casi di mogli non più volute, o ragazzi che nell'ambito della fami­glia contadina non erano più produttivi e che ve­nivano piazzati lì dentro, sono tanti. Perché l'ospedale era un punto d'arrivo per tutta una se­rie di devianze».

Commentando la sentenza di assoluzione, Gad Lerner su La Stampa del 2 febbraio 1997 scrive: «Lo sapevano tutti, a partire dai giudici che ieri si sono autoassolti dopo avere insabbia­to denunce su denunce a partire dal 1977. Lo sa­pevano ben prima del mio articolo sull’“Espres­so" del 1988, accompagnato dalle fotografie ine­quivocabili di Franco Zecchin, dall'iniziativa par­lamentare del senatore Franco Corleone, dal ge­neroso impegno di Maurizio Costanzo. Basti dire quanto tempo c'è voluto dall'avvio dell'inchiesta per arrivare al rinvio a giudizio: quattro anni. E poi un anno ancora per la celebrazione della pri­ma udienza nel 1993, e altri quattro anni per tra­scinare un processo che nessuno tra i potenti di Agrigento voleva fino allo scandaloso esito odierno».

 

 

GLI STIPENDI DA FAME DI ALCUNE COOPERATIVE SOCIALI

 

Vi sono cooperative, anche quelle denominate "sociali", che non assumono il personale occor­rente, ma solo soci-lavoratori. In questi casi lo stipendio non è vincolato dai contratti collettivi di lavoro. A volte viene corrisposto addirittura in una misura inferiore al 50%.

Ne derivano non soltanto condizioni incivili di sfruttamento del personale, ma anche negative conseguenze per l'utenza (ad esempio i minori delle comunità alloggio) stante l'altissimo (e giu­stificato) turn-over.

AI riguardo pubblichiamo la lettera apparsa su "La Stampa" del 7 dicembre 1996: «Il mio convi­vente ed io lavoriamo presso una cooperativa so­ciale, perché considerati "disagiati" con uno sti­pendio ai limiti della sopravvivenza: ogni nostra ora lavorativa viene retribuita un terzo di ciò che la cooperativa percepisce per il nostro operato. Riusciamo a stento ad arrivare alla fine del mese. A parte tutto ciò i dirigenti di alcune cooperative (fra i quali anche ex tossicodipendenti) fanno eseguire lavori presso le loro abitazioni pagando non di tasca loro come sarebbe giusto, ma de­traendo I'importo dal fondo cassa e, di conse­guenza, dalle tasche dei soci stessi. Alcune coo­perative invece di facilitare il reinserimento nella società di chi ha deciso di cambiare vita, lo sfrut­tano e non lo tutelano. Ma perché nessuno inter­viene?

«Perché dobbiamo essere considerati per sempre disagiati, a rischio, ex e cose di questo genere? Eppure i nostri sforzi per uscire dalla spirale della droga sono stati enormi. Questo mi spaventa perché a 40 anni, dopo quasi 20 anni vissuti ai margini della società, desidero crearmi una vita normale, da persona, non da ex».

 

 

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