Specchio nero
IL MANICOMIO LAGER DI
AGRIGENTO: ASSOLUZIONI SCONCERTANTI
Dopo venti anni di denunce e di inchieste, l'ex
direttore sanitario e un ex primario del manicomio-lager di Agrigento sono
stati assolti dall'accusa di plurimo omicidio colposo e di abbandono di
persone incapaci.
II pubblico ministero, al termine di una documentata
requisitoria durata più di tre ore, aveva chiesto la condanna dei due dirigenti
rispettivamente a 8 ed a 6 anni di reclusione.
Le condizioni disumane dell'ex ospedale psichiatrico
erano state denunciate negli anni '70 da un primario della stessa struttura.
Erano seguiti vari esposti fra cui quello di un sacerdote.
Nonostante
la gravità dei fatti denunciati nessuno era intervenuto!
Secondo il perito, Prof. Luigi Cancrini, noto
psichiatra, almeno 16 degenti sarebbero morti di tubercolosi perché non curati
e costretti a vivere in reparti assolutamente inidonei, addirittura con
finestre senza vetri, spesso nudi e sovente immersi negli escrementi.
Fra i ricoverati una ragazzina di 14 anni, la cui
unica "colpa" era quella di essere una handicappata intellettiva,
deceduta all'età di 21 anni senza mai essere uscita dal manicomio.
Non si è trattato dell'unico ricovero del tutto
ingiustificato. Nell'intervista rilasciata a l'Unità del 19 gennaio 1997, il
Prof. Cancrini dichiara: «Ricordo una donna che è stata ospite ad Agrigento
per trent'anni, e che era stata ricoverata semplicemente perché sua madre e sua
sorella erano lì; è stata chiusa in quell'inferno dopo essere stata respinta
dal marito. I casi di mogli non più volute, o ragazzi che nell'ambito della
famiglia contadina non erano più produttivi e che venivano piazzati lì
dentro, sono tanti. Perché l'ospedale era un punto d'arrivo per tutta una serie
di devianze».
Commentando la sentenza di assoluzione, Gad Lerner su
La Stampa del 2 febbraio 1997 scrive:
«Lo sapevano tutti, a partire dai giudici
che ieri si sono autoassolti dopo avere insabbiato denunce su denunce a
partire dal 1977. Lo sapevano ben prima del mio articolo sull’“Espresso"
del 1988, accompagnato dalle fotografie inequivocabili di Franco Zecchin,
dall'iniziativa parlamentare del senatore Franco Corleone, dal generoso
impegno di Maurizio Costanzo. Basti dire quanto tempo c'è voluto dall'avvio
dell'inchiesta per arrivare al rinvio a giudizio: quattro anni. E poi un anno
ancora per la celebrazione della prima udienza nel 1993, e altri quattro anni
per trascinare un processo che nessuno tra i potenti di Agrigento voleva fino
allo scandaloso esito odierno».
GLI STIPENDI DA FAME DI
ALCUNE COOPERATIVE SOCIALI
Vi sono cooperative, anche quelle denominate
"sociali", che non assumono il personale occorrente, ma solo
soci-lavoratori. In questi casi lo stipendio non è vincolato dai contratti
collettivi di lavoro. A volte viene corrisposto addirittura in una misura
inferiore al 50%.
Ne derivano non soltanto condizioni incivili di
sfruttamento del personale, ma anche negative conseguenze per l'utenza (ad
esempio i minori delle comunità alloggio) stante l'altissimo (e giustificato) turn-over.
AI riguardo pubblichiamo la lettera apparsa su
"La Stampa" del 7 dicembre 1996: «Il
mio convivente ed io lavoriamo presso una cooperativa sociale, perché
considerati "disagiati" con uno stipendio ai limiti della sopravvivenza:
ogni nostra ora lavorativa viene retribuita un terzo di ciò che la cooperativa
percepisce per il nostro operato. Riusciamo a stento ad arrivare alla fine del
mese. A parte tutto ciò i dirigenti di alcune cooperative (fra i quali anche ex
tossicodipendenti) fanno eseguire lavori presso le loro abitazioni pagando non
di tasca loro come sarebbe giusto, ma detraendo I'importo dal fondo cassa e,
di conseguenza, dalle tasche dei soci stessi. Alcune cooperative invece di
facilitare il reinserimento nella società di chi ha deciso di cambiare vita, lo
sfruttano e non lo tutelano. Ma perché nessuno interviene?
«Perché
dobbiamo essere considerati per sempre disagiati, a rischio, ex e cose di
questo genere? Eppure i nostri sforzi per uscire dalla spirale della droga sono
stati enormi. Questo mi spaventa perché a 40 anni, dopo quasi 20 anni vissuti
ai margini della società, desidero crearmi una vita normale, da persona, non da
ex».
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