Prospettive assistenziali, n. 118, aprile-giugno 1997

 

 

PRIME ESPERIENZE DEL CENTRO DIURNO PER MALATI DI ALZHEIMER

PIETRO LANDRA (*)

 

 

Sono finalmente iniziati e procedono spediti i lavori per la ristrutturazione dell'ex scuola ma­terna di Via Schio, messa a disposizione dall'As­sessorato all'assistenza del Comuni di Torino, che ospiterà il centro diurno per dementi, attual­mente ubicato in due locali dell'ospedale Luigi Einaudi (1). È notizia recente l'apertura di un al­tro centro presso l'azienda USL 5 collocato nella Certosa Reale, a Collegno (2).

Qualcosa si sta muovendo nel panorama della sanità piemontese, anche se la strada da per­correre, affinché bisogni e diritti di questi pa­zienti siano riconosciuti e soddisfatti, è ancora lunga e irta di ostacoli.

Ci pare il momento di fare alcune riflessioni sul ruolo dei centri diurni per dementi e di offrire un resoconto dei primi tre anni di attività del centro diurno dell'ospedale Luigi Einaudi dell'Azienda USL 4.

Occorre innanzitutto chiarire l’equivoco per cui si potrebbe contrapporre il centro diurno per dementi alla cura domiciliare. All'opposto il cen­tro diurno è una struttura che permette al pa­ziente di continuare a vivere nella propria casa; di più, ha la pretesa legittima, se bene organiz­zato, di essere un "prolungamento" della sua casa. Può sorgere la domanda: "Perché allonta­nare questi soggetti dal domicilio per sette ore al giorno e radunarli in una struttura?". Vi sono buoni motivi:

- il paziente, come tutti sappiamo, non può essere lasciato solo nemmeno per pochi istanti e i care-giver (3) ci chiedono di essere sollevati almeno per qualche ora al giorno: sarebbe og­gettivamente dispendioso mandare al domicilio di ogni paziente un operatore, quando in un centro diurno il rapporto può essere di un ope­ratore ogni 4 o 5 pazienti;

- l’accedere al centro può essere per il pa­ziente un momento di stimolazione, l'occasione per sperimentare dei contatti positivi;

- il centro diurno pub essere luogo di riabilita­zione.

In sintesi, gli obiettivi di un centro diurno pos­sono essere così schematizzati:

- nei confronti dei pazienti:

- tentare un recupero alla funzionalità e all'au­tonomia, soprattutto se la loro perdita è recente; - offrire un migliore controllo dei problemi comportamentali;

- effettuare un periodico controllo delle tera­pie psicofarmacologiche onde individuare la do­se minima efficace;

- nei confronti dei familiari:

- offrire un sostegno psicologico ai fini di di­minuire i livelli d'ansia e ritardare o evitare l'isti­tuzionalizzazione;

- fornire una consulenza circa le esigenze dei toro congiunti al fine di dotarli degli strumenti necessari per la gestione del malato e per favo­rire interventi adeguati anche nei casi di emer­genza.

II centro diurno per dementi è previsto nel progetto-obiettivo "Tutela della salute dell'anzia­no" per il quinquennio 1990-1995, tra i servizi specialistici semi-residenziali. Tale previsione è confermata dal DPR 1° marzo 1994, "Approva­zione del piano sanitario nazionale per il triennio 1994-96".

Dal punto di vista spaziale e architettonico, il centro diurno dovrebbe essere una struttura ampia, senza barriere e pericoli, al piano terra e con possibilità di accesso a spazi esterni, ove il paziente pub girovagare, magari toccare fiori e sperimentare la sensazione di essere dentro a qualcosa che lo circonda e lo protegge. L'ideale sarebbe il chiostro: un porticato con un giardino al centro. II centro diurno è anche una struttura che organizza e integra l'intervento di varie figu­re: l'infermiere, l'educatore, l'assistente sociale, il medico, il volontario, il terapista della riabilita­zione, lo psicologo.

Non ultima, nel centro diurno, possiamo trova­re una dimensione etica: tutti gli individui devo­no essere trattati come agenti autonomi; le per­sone con diminuita autonomia hanno il diritto a una particolare protezione. II paziente demente è l'emblema della perdita dell'autonomia ed il centro diurno è una risposta forte a questo dirit­to di protezione.

II centro diurno ha inoltre costi economici di gestione decisamente inferiori a strutture a ca­rattere residenziale.

Occorre che sia presente, anche se minima, una "rete familiare" (o di altro tipo: qualche me­se or sono è stata accolta presso il nostro cen­tro diurno una donna senza parenti, in cui la "re­te" è rappresentata da vicini di casa).

È necessario che il paziente conservi una cer­ta competenza motoria (deve camminare, alme­no con aiuto) e una competenza comunicativa e relazionale. Non deve esistere una aggressività marcata (per non fare correre rischi agli altri pa­zienti). AI proposito, la nostra esperienza è che la gestione degli uomini è spesso assai più pro­blematica di quella delle donne.

È fondamentale che il centro diurno non sia un contenitore isolato, ma bensì una struttura saldamente collegata con gli altri servizi geriatri­ci (cure domiciliari, reparto, ospedale di giorno, ambulatorio, residenza sanitaria assistenziale, unità di valutazione geriatrica), secondo un mo­dello operativo che privilegi i bisogni del pazien­te (che possono variare nel tempo).

Essendo il centro diurno destinato a malati, pare ovvio (per certuni non è così) che la sua gestione sia a carico della sanità.

Per una corretta gestione si ritiene opportuno non superare la presenza di 20-25 soggetti. L'orario di apertura pub essere di 5 0 6 giorni alfa settimana per almeno 8-10 ore al dì.

Occorre non tralasciare un'osservazione im­portante: nella cura del paziente demente non si pub improvvisare, vi sono cose da fare e da dire e altre assolutamente da evitare. Vanno previsti corsi di formazione, ma non è sufficiente: occor­re una selezione degli operatori in base a effetti­ve attitudini e non, come in genere capita, a op­portunità personali. Se l'operatore (medico, in­fermiere, ecc.) non ha risolto certi suoi problemi "controtrasferali" può manifestare angoscia, freddezza o pietismi insulsi. II paziente demente ha invece bisogno di una relazione serena, cal­da, autentica.

II centro diurno dell'ospedale Luigi Einaudi ospita solo 6 pazienti al giorno, non coirunica direttamente su di una area verde, è sito in un locale adiacente all'ospedale di giorno per cui le sue attività interferiscono, a volte negativamen­te, con quelle dell'ospedale di giorno e vicever­sa. È quindi ben lontano dagli standard che ab­biano sopra elencato. Tuttavia siamo convinti di avere operato correttamente ad iniziare, il 1° marzo 1994, questa esperienza; per chi frequen­ta dibattiti e conferenze su ogni questione che ri­guarda i vecchi non è difficile notare un fatto stra­no: le cose giuste vengono dette; a parte sfuma­ture, si è quasi sempre tutti d'accordo sulla bontà di una data scelta, magari vengono anche elaborati progetti più o meno ambiziosi e accura­ti... e poi questi progetti non decollano.

II centro diurno della nostra azienda è invece decollato, a tutt'oggi ha curato 38 pazienti, ci ha permesso, anche attraverso alcuni errori (non c'erano modelli da imitare) di acquisire una cer­ta esperienza, è stato un punto di partenza per spingere sulla ristrutturazione dell'adiacente scuola materna, che ospiterà 25 pazienti.

Chi lavora nel centro ha acquisito professio­nalità; il Comune di Torino ci ha fornito il contri­buto dì una cooperativa di educatori che inter­viene per 12 ore alla settimana; in più vi è la pre­ziosa presenza dei volontari dell'AVO; di recente è stato attivato un servizio di trasporto dalla ca­sa al centro e viceversa.

Non ci dilunghiamo nelle attività del centro, li­mitandoci a rimarcare che la filosofia di base è quella di praticare interventi personalizzati per ogni paziente e che tutto avvenga in un'atmo­sfera terapeutica. Si usa il poco materiale a no­stra disposizione: carta, colori, vecchie cassette musicali, lana, ecc. Si cambiano i pannoloni e si controllano periodicamente le condizioni fisiche dei pazienti. Abbiamo avuto finora un'utenza ca­ratterizzata da soggetti molto scaduti come con­dizioni mentali, basti pensare che il MMS (test comunemente usato per valutare il deteriora­mento mentale) medio è di 11/30.

I soggetti accolti sono stati 13 uomini e 25 donne di età compresa tra i 59 e i 93 anni. L'in­serimento avviene su segnalazione o del medico di famiglia o dei servizi sociali, negli ultimi mesi la prerogativa sta per essere assunta dall'Unità valutativa geriatrica.

La maggior parte dei parenti riferisce che il malato, dopo qualche tempo che frequenta il centro, è relativamente più tranquillo. In genere i tranquillanti sono ridotti se non aboliti.

II nostro obiettivo è di contenere l'ansia e l'agitazione del malato con mezzi non farmaco­logici, ad esempio ascoltandolo; assecondan­dolo sino ad un certo punto, distraendolo con attività varie. Non equivochiamo: non è certo l'ambiente familiare a causare certi sintomi; è però innegabile che a volte si creino circoli vi­ziosi in cui l'esasperazione del congiunto au­menta l'agitazione del malato.

I pazienti, quasi tutti, vengono volentieri al centro, ognuno vivendolo in modo diverso, ognuno con la sua personalità: non è vero che i dementi si assomigliano, è l'ambiente attorno a loro che li omologa e li appiattisce.

Nel nostro centro diurno si è formato sponta­neamente un gruppo di lavoro che periodicamen­te si ritrova per escogitare nuove strategie, per in­tegrare le proprie professionalità, per interrogarsi sul fenomeno demenza. Del gruppo fanno parte l'infermiere, il volontario, l'assistente sociale, l'animatore, lo psicologo, il geriatra. Secondo noi, per rendere il lavoro proficuo, occorre osservare i malati, ascoltarli, interpretare i loro bisogni.

È da questo gruppo che è nata la proposta di "far uscire" i pazienti per un'escursione in un parco non lontano da Torino; al rientro dalla gita le pazienti erano "caricate", sorridenti; alla do­manda su cosa avevano visto e fatto... niente se non confabulazioni serene, senza ansia.

Se l'obiettivo è di ridare la memoria, di pro­muovere una riorganizzazione cognitiva, con questi pazienti la delusione è quasi assicurata; non così se l'obiettivo è di favorire la presenza di "relazioni buone". II sapere affettivo, caratte­rizzato dalla capacità di identificare un clima re­lazionale e di ricordarsene, dura molto più a lun­go del sapere intellettuale.

Concludendo, pensiamo che un servizio sani­tario pubblico, con un lavoro di raccordo e coordinato con altre realtà istituzionali e non (volontariato, famiglia, servizi sociali) possa ac­quistare una valenza di qualità che risponde al diritto alle cure e ai bisogni più intimi dei pazienti e delle loro famiglie.

 

 

 

 

(*) Medico geriatra, Ospedale Luigi Einaudi, Torino, Azienda U31. 4.

(1) Cfr. «Deliberato il primo centro diurno sanitario per f malati di Alzheimer", in Prospettive assistenziali, n. 106, aprile-giugno 1994.

(2) In occasione dell'inaugurazione del centro diurno «Oasi" di Collegno, avvenuta il 13 febbraio 1997 sono state fornito le seguenti notizie:

«Finalità: l'apertura di un centro specializzato nella cura delle patologie legate alla presenza del morbo di Alzheimer rappresenta una risposta qualificata, da parte di questa Azienda, per quanti direttamente interessati de tali temati­che. I prob4*mi che ne derivano interessano soprattutto le famiglie, obbligate, per le caratteristiche proprie di questa malattia, a dover garantire la loro costante presenza du­rante l'intero arco della giornata.

«Tale iniziativa, che costituisce la prima esperienza svi­luppata, in provincia, all'interno di una Azienda territoriale, nasce pertanto nella prospettiva di promuovere forme di assistenza alternative al ricovero, scelta spesso obbligata, ed i cui costi economici sono notevolmente ridotti grazie all’operatività di queste strutture.

«Insediato nel Distretto di Collegno, il centro ! aperto a tutti i residenti sul territorio della Azienda regionale USL 5, tuttavia, nella prospettiva di incontrare la esigenze di quan­ti abitanti in prossimità dell'Alta Valle, si è prevista l'oppor­tunità di sviluppare almeno un'altra esperienza analoga nel distretto di Susa.

«Alla costituzione del centro ha collaborato il CISAP di Collegno (Consorzio intercomunale dei servizi alla perso­na) offrendo la disponibilità di proprio personale dipen­dente, con oneri a carico del bilancio sanitario.

«Sede: Via Martiri XXX Aprile, 30 - Collegno presso i lo­cali situati al 1° piano del padiglione 6 dell'ex Ospedale psichiatrico di Collegno.

«Apertura: dal lunedì al venerdì - dalle ore 8.00 alle 16.00.

«Trasporto: per quanti non in grado di accedere diretta­mente al centro, con il semplice aiuto dei propri familiari, l'Azienda sta predisponendo un proprio servizio di trasporto.

«Struttura: all'interno della struttura si è lavorato al fine di ricreare un ambiente che richiami quello domestico. L'area a disposizione 8 stata divisa in tre camere, di cui una da utilizzare per l'eventuale riposo pomeridiano degli ospiti, una adibita a sala soggiorno ed una stanza per lo svolgimento delle attività ludico-riabilitative.

«Posti disponibili: 12 di cui, alla data odierna, 6 risultano occupati.

«Organizzazione della giornata: l'organizzazione della giornata si svolge secondo il seguente schema:

8-9                 gli utenti accedono al centro

9-9.30            breve colazione (tra le 8.30 - 9.30 esecuzione prestazioni infermieristiche)

9.30-11.30     atelier per le attività occupazionali/riabilitative 11.30-12.00 preparazione per il pasto

12-13             pranzo

13-15.30        atelier per le attività occupazionali/riabilitative

15.30-16        preparazione all'uscita

La partecipazione alle diverse attività occupazionali/riabilitative è programmata a livello individuale.

«Personale: la responsabilità sanitaria del Centro è affi­data ad un medico specialista neurologo al quale si affian­cano, in funzione dei vari momenti della giornata:

- un assistente sociale cui 8 affidata la responsabilità di coordinamento ed organizzazione del centro

- un infermiere professionale

- tre assistenti domiciliari e dei servizi tutelari (ADEST) - un operatore per le attività risocializzanti/riabilitative - volontari appartenenti ad associazioni di volontariato presenti in zona

- un tecnico per la riabilitazione (part-time).

È inoltre prevista la presenza di obiettori di coscienza.

«Obiettivi: 1. rallentare e contenere l'evoluzione della malattia preservando le capacità residue, soprattutto in termini di autonomia personale; 2. migliorare la qualità del­la vita del malato e della sua famiglia; 3. evitare, o quanto­meno far slittare, la necessità di dover far ricorso al ricove­ro in istituto».

(3) II care-giver è la persona (in genere un familiare) che volontariamente si assume la responsabilità del proprio congiunto.

 

 

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