IL SISTEMA DEI SERVIZI ALLA PERSONA: TRE PROPOSTE DI LEGGE
Sulla base di un testo (relazione e articolato) predisposto
dalla Fondazione Zancan e dalla Caritas italiana, sono stati presentati alla
Camera dei deputati le proposte di legge n. 2743 (On. Lucà e altri) e n. 2752
(On. Jervolino Russo e altri) e al Senato il disegno di legge n. 2062 (Sen.
Salvato) (1).
Nonostante il titolo "Legge quadro sul sistema
dei servizi alla persona", i tre progetti non riguardano l'insieme delle
attività rivolte ai cittadini, ma solamente, come è precisato dall'art. 4, i
servizi di assistenza sociale e sanitaria.
Ne sono pertanto esclusi tutti i settori (istruzione,
abitazione, lavoro, previdenza, trasporti, cultura, ecc.) che concorrono, se
adeguatamente organizzati, a «rimuovere
gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà
e I'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione
politica, economica e sociale del Paese», come stabilisce la seconda parte
dell'art. 3 della nostra Costituzione.
Per una corretta reimpostazione dei servizi alla
persona (e - aggiungiamo noi - ai nuclei familiari, comunque essi siano
costituiti), occorrerebbe assumere come prioritario un obiettivo, a nostro
avviso ineludibile: individuare gli organi di governo in grado di gestire tutte
le attività la cui programmazione e organizzazione devono essere assicurate a
contatto il più diretto possibile con la popolazione.
Sarebbe pertanto necessario riprendere in considerazione
la proposta dell'unità locale dei servizi sanitari e assistenziali avanzata
negli anni 70 dalla Fondazione Zancan e rielaborata dal CSA, Coordinamento
sanità e assistenza fra i movimenti di base, nel progetto dell'unità locale di
tutti i servizi di base (2).
Ricordiamo, ancora una volta, che in base al censimento
della popolazione del 1991, la situazione demografica dei Comuni italiani è la
seguente:
• con meno di 500 abitanti |
n. 804 |
• da 501 a 2.000 abitanti |
n. 3.910 |
• da 2.001 a 5.000
abitanti |
n. 1.185 |
• da 5.001 a 10.000
abitanti |
n. 1.166 |
• da 10.001 a 20.000
abitanti |
n. 581 |
• da 20.001 a 50.000
abitanti |
n. 317 |
• da 50.001 a 100.000
abitanti |
n. 87 |
• da 100.001 a 500.000
abitanti _ |
n. 44 |
• con oltre 500.001
abitanti |
n. 6 |
Totale Comuni italiani |
n. 8.100 |
Dunque, la stragrande maggioranza dei Comuni italiani
non è in grado di svolgere autonomamente le funzioni più rilevanti per i
cittadini: sanità, urbanistica, diritto allo studio, assistenza, ecc.
Per la sanità, la conseguenza della inidoneità dei
Comuni è stata la loro espropriazione, praticamente totale, dalla
programmazione e dalla gestione dei servizi.
La rifondazione dei Comuni, diretta a renderli in
grado di rispondere alle esigenze fondamentali della popolazione è, a nostro
avviso, la strada obbligata per un federalismo effettivo e la valorizzazione
concreta delle autonomie locali (3).
Certo, si tratta di un obiettivo difficile da raggiungere,
a causa della visione ancora molto limitata di politici e amministratori, anche
se indiscutibili sarebbero per lo Stato i vantaggi economici e per i cittadini
la maggior efficacia ed efficienza degli interventi.
A questo riguardo, non si comprende per quali motivi
i Comuni più importanti e, in primo luogo, quelli metropolitani, non
rivendichino la competenza in materia sanitaria. Se essi sono in grado di assicurare
ai cittadini i servizi relativi all'urbanistica, ai trasporti, all'abitazione,
all'assistenza, ecc., è evidente che l'attribuzione delle funzioni sanitarie,
non potrebbe che avere risvolti positivi (4).
Alcune considerazioni sulle
proposte n. 2743 e 2752/Camera e 2062/Senato
Mentre è pienamente condivisibile la finalità delle
tre proposte di legge di riportare ad un unico soggetto (il Comune singolo o associato) la titolarità dei servizi sanitari
e assistenziali, è preoccupante che esse non stabiliscano alcun diritto
esigibile da parte dei cittadini. Addirittura non vengono nemmeno confermati i
diritti sanciti dalle leggi vigenti, mettendo in pericolo le conquiste
raggiunte dopo decenni e decenni di difficili lotte.
Diritti solo enunciati
Infatti il secondo comma
dell'art. 2 stabilisce solamente che il Piano nazionale dei servizi alla persona,
le Regioni, i Comuni (5) e le Province di Trento e Bolzano «hanno l'obbligo di realizzare un organico sistema
di servizi per rendere concretamente esigibili i diritti, sia sollecitando le
responsabilità personali, sia promuovendo le solidarietà familiari e
comunitarie, sia organizzando i servizi e prevedendo risorse adeguate sul
piano programmatorio, professionale e gestionale».
Si tratta - com'è evidente - di
una mera enunciazione che, nel caso d'inadempienza da parte degli enti
pubblici, non attribuisce al cittadino alcuna possibilità di ottenere
l'attuazione dei diritti negati.
In definitiva, si tratta di una
dichiarazione analoga all'art. 5 della legge quadro sull'handicap 5 febbraio
1992 n. 104 (6), le cui positive affermazioni di principio non hanno trovato -
e sono passati più di cinque anni dalla sua entrata in vigore - alcun riscontro
nelle prestazioni effettuate salvo alcuni aspetti particolari (7).
Servizi non obbligatori
Va, inoltre, segnalato che i
servizi previsti dal citato art. 2 da un lato non devono essere obbligatoriamente
istituiti e d'altro canto nel caso, a nostro avviso assai improbabile, in cui
venissero creati dovrebbero essere realizzati tenendo conto delle risorse
disponibili. Dunque i Comuni hanno, ancora una volta, il pretesto della
mancanza di mezzi per giustificare la loro inattività.
Si tenga, invece, presente che in
materia di obbligo scolastico, lo Stato ed i Comuni devono provveder in base
alle esigenze degli allievi e non possono non rispettare il diritto allo studio
con le carenze di personale o di finanziamenti.
A sua volta l'art. 31 demanda
alle leggi delle Regioni e delle Province autonome il compito di prevedere: «a) le forme e i tempi per l'attuazione
dei servizi essenziali; b) le modalità attraverso cui il cittadino può esigere
la costituzione dei servizi e l'erogazione delle prestazioni previste dalla
normativa regionale; c) le sanzioni per le eventuali inadempienze dei
responsabili e degli operatori», senza però stabilire alcuna scadenza obbligatoria.
Molto preoccupante è altresì
l'art. 33 concernente l'attività e il controllo da parte dello Stato, essendo
stabilito quanto segue: «In caso di
mancata approvazione dei piani regionali dei servizi alla persona entro i
termini fissati dal Piano nazionale di cui all'art. 25, la Regione o la
Provincia autonoma interessata è sollecitata ad approvare il rispettivo piano nel
termine di quattro mesi. Decorso inutilmente tale termine, è sospesa
l'erogazione della quota del fondo nazionale di cui all'art. 26 fino
all'avvenuta approvazione».
Dunque, nel caso di inattività delle Regioni e delle
Province autonome, lo Stato non versa più alcun finanziamento ai suddetti enti,
con la conseguenza che i cittadini restano senza servizi per un periodo di
tempo indeterminato (anche anni). Si pensi agli effetti negativi che potrebbe
avere questa norma, se approvata, nel campo della sanità e dell'assistenza.
L'art. 34 non garantisce alcun diritto. Infatti il
previsto Servizio per la garanzia dei diritti sociali del cittadino non ha,
né può avere, alcun potere coercitivo nei confronti di Regioni, Comuni,
Province e USL inadempienti.
Anche le eventuali azioni giudiziarie sono destinate
a non sortire effetti, in quanto la magistratura non può imporre prestazioni
non stabilite dalla legge.
Contributi economici richiesti agli utenti dei
servizi sanitari e assistenziali e ai loro congiunti
Mentre non sono definiti diritti esigibili per i
cittadini, l'art. 27 stabilisce che «i
cittadini utenti e le loro famiglie sono chiamati a contribuire alle spese di
funzionamento dei servizi istituiti». Quest'obbligo riguarda - lo
ricordiamo - sia le attività assistenziali che quelle sanitarie. Si tratta, in
sostanza, del ripristino delle norme già contenute nella legge 3 dicembre
1931 n. 1580 "Nuove norme per la rivalsa delle spese di spedalità e
manicomiali", abrogata dalle leggi 180 e 833 del 1978.
Prestazioni assistenziali anche a favore di
benestanti
Inoltre è allarmante, a nostro avviso, che, mentre le
prestazioni assistenziali sono ancora molto lontane dall'assicurare condizioni
minimamente accettabili di vita alle persone ed ai nuclei familiari totalmente
o gravemente privi dei mezzi necessari, nella proposta in oggetto si stabilisca
che «sono titolari del diritto ad usufruire del sistema dei servizi (comprendente
anche quelli assistenziali, n.d.r.) tutti i cittadini».
Da parte nostra, continuiamo a ritenere, come abbiamo
precisato nell'editoriale del n. 117 di Prospettive assistenziali, che, mentre
a tutti i cittadini devono essere garantite, a seconda dei casi gratuitamente
o a pagamento, la sanità, la casa, la scuola, la formazione professionale e le
altre risorse sociali (8), l'assistenza deve essere fornita solo alle persone
in difficoltà, come stabilisce giustamente il 1° comma dell'art. 38 della
Costituzione che recita: «Ogni cittadino
inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all'assistenza sociale» (9).
AI riguardo è inquietante sia l'affermazione contenuta
nella relazione secondo cui «non è
opportuna l'approvazione di una legge quadro sull'assistenza», sia la
mancata citazione del sopra riportato 1° comma dell'art. 38 della Costituzione
che è - com'è noto - la legge fondamentale del nostro paese.
(1) Le tre iniziative sono
praticamente identiche. In questo numero riportiamo integralmente la relazione
e l'articolato dei primo progetto, il n. 2743.
(2) La proposta di legge
"Riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali e costituzione
delle unità locali di tutti i servizi" presentata con iniziativa popolare
al Consiglio regionale piemontese il 21 luglio 1978 stabiliva che «al fine di evitare una gestione della
sanità e dell'assistenza separata dagli altri servizi», la Regione Piemonte
doveva riordinare e delegare ai Comuni singoli e associati «le funzioni inerenti le attività gestibili a
livello delle unità locali di tutti i servizi riguardanti le seguenti materie:
assetto del territorio, urbanistica, assistenza
scolastica, istruzione artigiana e professionale, musei e biblioteche, agricoltura e foreste, artigianato,
lavori pubblici, turismo e industria alberghiera, viabilità, acquedotti, tranvie e linee
automobilistiche, navigazione e porti lacuali, fiere e mercati, acque minerali
e termali, cave e torbiere, protezione della fauna». (Cfr. Prospettive assistenziali, n. 43,
luglio-settembre 1978).
(3) Cfr. "Senza futuro i Comuni
piccoli", in Prospettive assistenziali,
n. 118, aprile-giugno 1997. II Presidente della Camera dei deputati,Luciano
Violante, invece, ritiene che uno dei problemi di fondo del federalismo sia
quello di «dare voce ai 7.500 piccoli
Comuni, che altrimenti rischiano di
non avere un collegamento diretto con il centro» (cfr. La Stampa del 10 agosto 1997). Sarebbe
interessante sapere quali funzioni l'On. Violante intende assegnare ai piccoli
Comuni in modo che essi possano rispondere adeguatamente alle esigenze dei
cittadini.
(4) Com'è evidente, i Comuni singoli
e associati potrebbero provvedere alla conduzione dei servizi sanitari (e delle
altre attività) sia direttamente, sia tramite apposite aziende. In ogni caso
dovrebbero gestire in proprio le competenze relative alla programmazione e al
controllo.
(5) Si osservi che, per essere esigibile il diritto deve essere
sancito da una legge; pertanto i Comuni non hanno alcuna competenza in merito.
Inoltre, il Piano nazionale dei servizi alla persona, non essendo varato a
seguito dell'approvazione di una legge, non ha alcun potere d'imporre obblighi
agli enti pubblici e privati. AI riguardo, non dovrebbe essere dimenticata
l'esperienza della totale disapplicazione del DPR 1 ° aprile 1994 "Approvazione del Piano sanitario
nazionale per il triennio 19941996" in cui era stabilito quanto segue: «Gli anziani ammalati, compresi quelli
colpiti da cronicità e da non autosufficienza, devono essere curati senza
limiti di durata nelle sedi più opportune».
(6) «Art. 5 (Principi
generali per i diritti della persona handicappata)
«La rimozione delle cause invalidanti, la promozione dell'autonomia e
la realizzazione dell'integrazione sociale sono perseguite attraverso i
seguenti obiettivi:
a) sviluppare la ricerca scientifica, genetica, biomedica, psicopedagogica,
sociale e tecnologica anche mediante programmi finalizzati concordati con
istituzioni pubbliche e private, in particolare con le sedi universitarie, con
il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), con i servizi sanitari e sociali,
considerando la persona handicappata e la sua famiglia, se coinvolti, soggetti
partecipi e consapevoli della ricerca;
b) assicurare la prevenzione, la diagnosi e la terapia prenatale e
precoce delle minorazioni e la ricerca sistematica delle loro cause;
c) garantire l'intervento tempestivo dei servizi terapeutici e riabilitativi,
che assicuri il recupero consentito dalle conoscenze scientifiche e dalle
tecniche attualmente disponibii, il mantenimento della persona handicappata
nell'ambiente familiare e sociale, la sua integrazione e partecipazione alla
vita sociale;
d) assicurare alla famiglia della persona handicappata un'informazione
di carattere sanitario e sociale per facilitare la comprensione dell'evento,
anche in relazione alle possibilità di recupero e di integrazione della persona
handicappata nella società;
e) assicurare nella scelta e nell'attuazione degli interventi
socio-sanitari la collaborazione della famiglia, della comunità e della persona
handicappata, attivandone le potenziali capacità;
f) assicurare la
prevenzione primaria e secondaria in tutte le
fasi di maturazione e di sviluppo del bambino e del soggetto minore per
evitare o constatare tempestivamente l'insorgenza della minorazione o per
ridurre e superare i danni della minorazione sopraggiunta;
g) attuare il decentramento territoriale dei servizi e degli interventi
rivolti alla prevenzione, al sostegno e al recupero della persona
handicappata, assicurando il coordinamento e l'integrazione con gli altri
servizi territoriali sulla base degli accordi di programma di cui all'art. 27
della legge 8 giugno 1990, n. 142;
h) garantire alla persona handicappata e alla famiglia adeguato
sostegno psicologico e psicopedagogico, servizi di aiuto personale o
familiare, strumenti e sussidi tecnici, prevedendo, nei casi strettamente
necessari e per il periodo indispensabile, interventi economici integrativi
per il raggiungimento degli obiettivi di cui al presente articolo;
i) promuovere, anche attraverso l'apporto di enti e di associazioni,
iniziative permanenti di informazione e di partecipazione della popolazione,
per la prevenzione e per la cura degli handicap, la riabilitazione e l'inserimento
sociale di chi ne è colpito;
I) garantire il diritto
alla scelta dei servizi ritenuti più idonei anche al di fuori della
circoscrizione territoriale;
m) promuovere il superamento di ogni forma di emarginazione e di
esclusione sociale anche mediante I'attivazione dei servizi previsti dalla
presente legge».
(7) Si veda, ad esempio, l'art. 33
della legge 104/1992 sulle agevolazioni concesse alle lavoratrici madri ed ai
lavoratori padri di minori con handicap in situazione di gravità che sancisce
veri e propri diritti indicando i soggetti beneficiari e quelli obbligati, il
contenuto degli aiuti concessi, la loro natura e durata.
(8) Com'è ovvio il
lavoro costituisce la base essenziale per l'autonomia delle persone e dei
nuclei familiari.
(9) L'indicazione “Inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi
necessari per vivere" dovrebbe ovviamente essere interpretata con
coscienza e umanità.
www.fondazionepromozionesociale.it