Prospettive assistenziali, n. 119, luglio-settembre 1997

 

 

IL SISTEMA DEI SERVIZI ALLA PERSONA: TRE PROPOSTE DI LEGGE

 

 

Sulla base di un testo (relazione e articolato) pre­disposto dalla Fondazione Zancan e dalla Caritas italiana, sono stati presentati alla Camera dei depu­tati le proposte di legge n. 2743 (On. Lucà e altri) e n. 2752 (On. Jervolino Russo e altri) e al Senato il disegno di legge n. 2062 (Sen. Salvato) (1).

Nonostante il titolo "Legge quadro sul sistema dei servizi alla persona", i tre progetti non riguardano l'insieme delle attività rivolte ai cittadini, ma sola­mente, come è precisato dall'art. 4, i servizi di assi­stenza sociale e sanitaria.

Ne sono pertanto esclusi tutti i settori (istruzione, abitazione, lavoro, previdenza, trasporti, cultura, ecc.) che concorrono, se adeguatamente organizza­ti, a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e I'egua­glianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economi­ca e sociale del Paese», come stabilisce la seconda parte dell'art. 3 della nostra Costituzione.

Per una corretta reimpostazione dei servizi alla persona (e - aggiungiamo noi - ai nuclei familiari, comunque essi siano costituiti), occorrerebbe assu­mere come prioritario un obiettivo, a nostro avviso ineludibile: individuare gli organi di governo in grado di gestire tutte le attività la cui programmazione e organizzazione devono essere assicurate a contatto il più diretto possibile con la popolazione.

Sarebbe pertanto necessario riprendere in consi­derazione la proposta dell'unità locale dei servizi sanitari e assistenziali avanzata negli anni 70 dalla Fondazione Zancan e rielaborata dal CSA, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, nel progetto dell'unità locale di tutti i servizi di base (2).

Ricordiamo, ancora una volta, che in base al cen­simento della popolazione del 1991, la situazione demografica dei Comuni italiani è la seguente:

 

• con meno di 500 abitanti

n. 804

• da 501 a 2.000 abitanti

n. 3.910

• da 2.001 a 5.000 abitanti

n. 1.185

• da 5.001 a 10.000 abitanti

n. 1.166

• da 10.001 a 20.000 abitanti

n. 581

• da 20.001 a 50.000 abitanti

n. 317

• da 50.001 a 100.000 abitanti

n. 87

• da 100.001 a 500.000 abitanti

_

n. 44

• con oltre 500.001 abitanti

n. 6

Totale Comuni italiani

n. 8.100

 

Dunque, la stragrande maggioranza dei Comuni italiani non è in grado di svolgere autonomamente le funzioni più rilevanti per i cittadini: sanità, urbanisti­ca, diritto allo studio, assistenza, ecc.

Per la sanità, la conseguenza della inidoneità dei Comuni è stata la loro espropriazione, praticamente totale, dalla programmazione e dalla gestione dei servizi.

La rifondazione dei Comuni, diretta a renderli in grado di rispondere alle esigenze fondamentali della popolazione è, a nostro avviso, la strada obbligata per un federalismo effettivo e la valorizzazione con­creta delle autonomie locali (3).

Certo, si tratta di un obiettivo difficile da raggiun­gere, a causa della visione ancora molto limitata di politici e amministratori, anche se indiscutibili sareb­bero per lo Stato i vantaggi economici e per i cittadi­ni la maggior efficacia ed efficienza degli interventi.

A questo riguardo, non si comprende per quali motivi i Comuni più importanti e, in primo luogo, quelli metropolitani, non rivendichino la competenza in materia sanitaria. Se essi sono in grado di assi­curare ai cittadini i servizi relativi all'urbanistica, ai trasporti, all'abitazione, all'assistenza, ecc., è evi­dente che l'attribuzione delle funzioni sanitarie, non potrebbe che avere risvolti positivi (4).

Alcune considerazioni sulle proposte n. 2743 e 2752/Camera e 2062/Senato

Mentre è pienamente condivisibile la finalità delle tre proposte di legge di riportare ad un unico sog­getto (il Comune singolo o associato) la titolarità dei servizi sanitari e assistenziali, è preoccupante che esse non stabiliscano alcun diritto esigibile da parte dei cittadini. Addirittura non vengono nemmeno con­fermati i diritti sanciti dalle leggi vigenti, mettendo in pericolo le conquiste raggiunte dopo decenni e decenni di difficili lotte.

 

Diritti solo enunciati

Infatti il secondo comma dell'art. 2 stabilisce sola­mente che il Piano nazionale dei servizi alla perso­na, le Regioni, i Comuni (5) e le Province di Trento e Bolzano «hanno l'obbligo di realizzare un organi­co sistema di servizi per rendere concretamente esi­gibili i diritti, sia sollecitando le responsabilità perso­nali, sia promuovendo le solidarietà familiari e comunitarie, sia organizzando i servizi e preveden­do risorse adeguate sul piano programmatorio, pro­fessionale e gestionale».

Si tratta - com'è evidente - di una mera enuncia­zione che, nel caso d'inadempienza da parte degli enti pubblici, non attribuisce al cittadino alcuna pos­sibilità di ottenere l'attuazione dei diritti negati.

In definitiva, si tratta di una dichiarazione analoga all'art. 5 della legge quadro sull'handicap 5 febbraio 1992 n. 104 (6), le cui positive affermazioni di prin­cipio non hanno trovato - e sono passati più di cin­que anni dalla sua entrata in vigore - alcun riscon­tro nelle prestazioni effettuate salvo alcuni aspetti particolari (7).

 

Servizi non obbligatori

Va, inoltre, segnalato che i servizi previsti dal cita­to art. 2 da un lato non devono essere obbligatoria­mente istituiti e d'altro canto nel caso, a nostro avvi­so assai improbabile, in cui venissero creati dovreb­bero essere realizzati tenendo conto delle risorse disponibili. Dunque i Comuni hanno, ancora una volta, il pretesto della mancanza di mezzi per giusti­ficare la loro inattività.

Si tenga, invece, presente che in materia di obbli­go scolastico, lo Stato ed i Comuni devono provve­der in base alle esigenze degli allievi e non possono non rispettare il diritto allo studio con le carenze di personale o di finanziamenti.

A sua volta l'art. 31 demanda alle leggi delle Regioni e delle Province autonome il compito di pre­vedere: «a) le forme e i tempi per l'attuazione dei servizi essenziali; b) le modalità attraverso cui il cit­tadino può esigere la costituzione dei servizi e l'ero­gazione delle prestazioni previste dalla normativa regionale; c) le sanzioni per le eventuali inadem­pienze dei responsabili e degli operatori», senza però stabilire alcuna scadenza obbligatoria.

Molto preoccupante è altresì l'art. 33 concernente l'attività e il controllo da parte dello Stato, essendo stabilito quanto segue: «In caso di mancata appro­vazione dei piani regionali dei servizi alla persona entro i termini fissati dal Piano nazionale di cui all'art. 25, la Regione o la Provincia autonoma inte­ressata è sollecitata ad approvare il rispettivo piano nel termine di quattro mesi. Decorso inutilmente tale termine, è sospesa l'erogazione della quota del fondo nazionale di cui all'art. 26 fino all'avvenuta approvazione».

Dunque, nel caso di inattività delle Regioni e delle Province autonome, lo Stato non versa più alcun finanziamento ai suddetti enti, con la conseguenza che i cittadini restano senza servizi per un periodo di tempo indeterminato (anche anni). Si pensi agli effetti negativi che potrebbe avere questa norma, se approvata, nel campo della sanità e dell'assistenza.

L'art. 34 non garantisce alcun diritto. Infatti il pre­visto Servizio per la garanzia dei diritti sociali del cit­tadino non ha, né può avere, alcun potere coercitivo nei confronti di Regioni, Comuni, Province e USL inadempienti.

Anche le eventuali azioni giudiziarie sono destina­te a non sortire effetti, in quanto la magistratura non può imporre prestazioni non stabilite dalla legge.

 

Contributi economici richiesti agli utenti dei servizi sanitari e assistenziali e ai loro congiunti

Mentre non sono definiti diritti esigibili per i cittadi­ni, l'art. 27 stabilisce che «i cittadini utenti e le loro famiglie sono chiamati a contribuire alle spese di funzionamento dei servizi istituiti». Quest'obbligo riguarda - lo ricordiamo - sia le attività assistenziali che quelle sanitarie. Si tratta, in sostanza, del ripri­stino delle norme già contenute nella legge 3 dicem­bre 1931 n. 1580 "Nuove norme per la rivalsa delle spese di spedalità e manicomiali", abrogata dalle leggi 180 e 833 del 1978.

 

Prestazioni assistenziali anche a favore di benestanti

Inoltre è allarmante, a nostro avviso, che, mentre le prestazioni assistenziali sono ancora molto lonta­ne dall'assicurare condizioni minimamente accetta­bili di vita alle persone ed ai nuclei familiari total­mente o gravemente privi dei mezzi necessari, nella proposta in oggetto si stabilisca che «sono titolari del diritto ad usufruire del sistema dei servizi (com­prendente anche quelli assistenziali, n.d.r.) tutti i cit­tadini».

Da parte nostra, continuiamo a ritenere, come abbiamo precisato nell'editoriale del n. 117 di Prospettive assistenziali, che, mentre a tutti i cittadi­ni devono essere garantite, a seconda dei casi gra­tuitamente o a pagamento, la sanità, la casa, la scuola, la formazione professionale e le altre risorse sociali (8), l'assistenza deve essere fornita solo alle persone in difficoltà, come stabilisce giustamente il 1° comma dell'art. 38 della Costituzione che recita: «Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al manteni­mento e all'assistenza sociale» (9).

AI riguardo è inquietante sia l'affermazione conte­nuta nella relazione secondo cui «non è opportuna l'approvazione di una legge quadro sull'assistenza», sia la mancata citazione del sopra riportato 1° comma dell'art. 38 della Costituzione che è - com'è noto - la legge fondamentale del nostro paese.

 

 

 

 

(1) Le tre iniziative sono praticamente identiche. In questo numero riportiamo integralmente la relazione e l'articolato dei primo progetto, il n. 2743.

(2) La proposta di legge "Riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali e costituzione delle unità locali di tutti i servizi" pre­sentata con iniziativa popolare al Consiglio regionale piemontese il 21 luglio 1978 stabiliva che «al fine di evitare una gestione della sanità e dell'assistenza separata dagli altri servizi», la Regione Piemonte doveva riordinare e delegare ai Comuni singoli e asso­ciati «le funzioni inerenti le attività gestibili a livello delle unità locali di tutti i servizi riguardanti le seguenti materie: assetto del territorio, urbanistica, assistenza scolastica, istruzione artigiana e professionale, musei e biblioteche, agricoltura e foreste, artigia­nato, lavori pubblici, turismo e industria alberghiera, viabilità, acquedotti, tranvie e linee automobilistiche, navigazione e porti lacuali, fiere e mercati, acque minerali e termali, cave e torbiere, protezione della fauna». (Cfr. Prospettive assistenziali, n. 43, luglio-settembre 1978).

(3) Cfr. "Senza futuro i Comuni piccoli", in Prospettive assi­stenziali, n. 118, aprile-giugno 1997. II Presidente della Camera dei deputati,Luciano Violante, invece, ritiene che uno dei proble­mi di fondo del federalismo sia quello di «dare voce ai 7.500 pic­coli Comuni, che altrimenti rischiano di non avere un collega­mento diretto con il centro» (cfr. La Stampa del 10 agosto 1997). Sarebbe interessante sapere quali funzioni l'On. Violante intende assegnare ai piccoli Comuni in modo che essi possano rispon­dere adeguatamente alle esigenze dei cittadini.

(4) Com'è evidente, i Comuni singoli e associati potrebbero provvedere alla conduzione dei servizi sanitari (e delle altre atti­vità) sia direttamente, sia tramite apposite aziende. In ogni caso dovrebbero gestire in proprio le competenze relative alla pro­grammazione e al controllo.

 (5) Si osservi che, per essere esigibile il diritto deve essere sancito da una legge; pertanto i Comuni non hanno alcuna com­petenza in merito. Inoltre, il Piano nazionale dei servizi alla per­sona, non essendo varato a seguito dell'approvazione di una legge, non ha alcun potere d'imporre obblighi agli enti pubblici e privati. AI riguardo, non dovrebbe essere dimenticata l'esperien­za della totale disapplicazione del DPR 1 ° aprile 1994 "Approvazione del Piano sanitario nazionale per il triennio 1994­1996" in cui era stabilito quanto segue: «Gli anziani amma­lati, compresi quelli colpiti da cronicità e da non autosufficienza, devono essere curati senza limiti di durata nelle sedi più oppor­tune».

(6) «Art. 5 (Principi generali per i diritti della persona handi­cappata)

«La rimozione delle cause invalidanti, la promozione dell'auto­nomia e la realizzazione dell'integrazione sociale sono persegui­te attraverso i seguenti obiettivi:

a) sviluppare la ricerca scientifica, genetica, biomedica, psico­pedagogica, sociale e tecnologica anche mediante programmi finalizzati concordati con istituzioni pubbliche e private, in parti­colare con le sedi universitarie, con il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), con i servizi sanitari e sociali, considerando la per­sona handicappata e la sua famiglia, se coinvolti, soggetti parte­cipi e consapevoli della ricerca;

b) assicurare la prevenzione, la diagnosi e la terapia prenatale e precoce delle minorazioni e la ricerca sistematica delle loro cause;

c) garantire l'intervento tempestivo dei servizi terapeutici e ria­bilitativi, che assicuri il recupero consentito dalle conoscenze scientifiche e dalle tecniche attualmente disponibii, il manteni­mento della persona handicappata nell'ambiente familiare e sociale, la sua integrazione e partecipazione alla vita sociale;

d) assicurare alla famiglia della persona handicappata un'infor­mazione di carattere sanitario e sociale per facilitare la compren­sione dell'evento, anche in relazione alle possibilità di recupero e di integrazione della persona handicappata nella società;

e) assicurare nella scelta e nell'attuazione degli interventi socio-sanitari la collaborazione della famiglia, della comunità e della persona handicappata, attivandone le potenziali capacità;

f) assicurare la prevenzione primaria e secondaria in tutte le

fasi di maturazione e di sviluppo del bambino e del soggetto minore per evitare o constatare tempestivamente l'insorgenza della minorazione o per ridurre e superare i danni della minora­zione sopraggiunta;

g) attuare il decentramento territoriale dei servizi e degli inter­venti rivolti alla prevenzione, al sostegno e al recupero della per­sona handicappata, assicurando il coordinamento e l'integrazio­ne con gli altri servizi territoriali sulla base degli accordi di pro­gramma di cui all'art. 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142;

h) garantire alla persona handicappata e alla famiglia adegua­to sostegno psicologico e psicopedagogico, servizi di aiuto per­sonale o familiare, strumenti e sussidi tecnici, prevedendo, nei casi strettamente necessari e per il periodo indispensabile, inter­venti economici integrativi per il raggiungimento degli obiettivi di cui al presente articolo;

i) promuovere, anche attraverso l'apporto di enti e di associa­zioni, iniziative permanenti di informazione e di partecipazione della popolazione, per la prevenzione e per la cura degli handi­cap, la riabilitazione e l'inserimento sociale di chi ne è colpito;

I) garantire il diritto alla scelta dei servizi ritenuti più idonei anche al di fuori della circoscrizione territoriale;

m) promuovere il superamento di ogni forma di emarginazione e di esclusione sociale anche mediante I'attivazione dei servizi previsti dalla presente legge».

(7) Si veda, ad esempio, l'art. 33 della legge 104/1992 sulle agevolazioni concesse alle lavoratrici madri ed ai lavoratori padri di minori con handicap in situazione di gravità che sancisce veri e propri diritti indicando i soggetti beneficiari e quelli obbligati, il contenuto degli aiuti concessi, la loro natura e durata.

 (8) Com'è ovvio il lavoro costituisce la base essenziale per l'autonomia delle persone e dei nuclei familiari.

(9) L'indicazione “Inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi neces­sari per vivere" dovrebbe ovviamente essere interpretata con coscienza e umanità.

 

 

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