LA
DRAMMATICA ESPERIENZA DEL FIGLIO DI UNA ANZIANA MALATA CRONICA NON
AUTOSUFFICIENTE
Da anni segnaliamo ai nostri
lettori le devastanti (anche sul piano economico) conseguenze causate dalla
violazione del diritto degli anziani cronici non autosufficienti alle cure
sanitarie, comprese - occorrendo - quelle praticate presso ospedali e altre
strutture sanitarie.
A1 riguardo riportiamo una
drammatica esperienza, precisando che, se le leggi vigenti venissero
rispettate, le prestazioni occorrenti per la cura dei malati, cronici compresi,
ed i relativi oneri economici sarebbero interamente a carico del Servizio sanitario
nazionale, come è confermato, fra l'altro, dalla sentenza della Corte di
Cassazione n. 10150/1996, riportato sul n. 117 di Prospettive assistenziali.
II sottoscritto unico figlio della defunta A.R. qui
di seguito racconta quanto accaduto dall'anno 1993 ad oggi a sé ed alla sua
famiglia a causa della mancanza di idonei interventi da parte delle
istituzioni.
A.R. viveva sola in Genova, Via Carnia n. 57/4 in un
alloggio affittatole dall'Istituto Emanuele BrignoCe, mentre il figlio abita
con la sua famiglia composta dalla moglie D.S. e dal figlio Paolo in un appartamento
di 4 vani e 1/2 nel quartiere Valtorbella.
II suddetto alloggio è intestato ad A.R. in quanto
trattasi di edilizia convenzionata ed era la sola ad avere i requisiti per
l'acquisto, in quanto la moglie del figlio è intestataria dell'appartamento dei
genitori che lo abitano gratuitamente.
Ciò premesso per debita informazione, si riprende il
racconto: l'interessata ha dei problemi di salute e sovente delle sincopi
causate da ipertensione e pessima circolazione a livello cerebrale; quindi il
figlio decide di accoglierla in casa con sé, anche se manca lo spazio, proprio
per poterla assistere al meglio e seguire la sua salute da vicino.
Prima di lasciare la sua residenza, il 30 luglio
1993, A.R. ha un ictus e resta per molto tempo priva di sensi, tanto è vero che
si dubita di poterla rianimare, tuttavia la corsa all'ospedale Celesia le
salva la vita, ma lascia segni irreversibili sulla sua salute fisica e mentale.
Lì riceve le cure del caso (nella caduta si è spaccata
la fronte e procurata un trauma cranico), dopodiché viene dimessa il 26 agosto
1993 in condizioni, pessime. È completamente allettata, non riconosce neppure i
familiari ed ha continuo bisogno di terapie, accusa anche dolori ed ogni giorno
siamo costretti a chiamare il medico.
Ci rendiamo ben presto conto che malgrado la nostra
buona volontà, è impossibile gestire in famiglia una simile situazione e ci
rivolgiamo all'assistente sociale del CAD, Centro di assistenza domiciliare,
di zona per un aiuto.
Ci richiede tutti i documenti necessari per la domanda
di ricovero con convenzione comunale e la sottopone all'assessorato, ma la
risposta è negativa; superiamo di poco il tetto consentito e la domanda non
può essere accolta; inoltre non ha neppure diritto all'assistenza domiciliare
gratuita in quanto è inserita nel nostro nucleo familiare ed è compito nostro
occuparcene.
Si può però richiedere l'assegno di accompagnamento
(è già stata riconosciuta invalida al 100%, senza alcun riscontro economico
ovviamente) e la stessa assistente sociale inoltra la pratica.
La situazione si aggrava; il medico curante dirada le
visite e ci consiglia di rivolgerci al CAD o a un istituto privato. Rifiuta di
farla ricoverare dicendoci che la tratterrebbero solo alcuni giorni per la fase
acuta e poi la dimetterebbero subito temendo che possa diventare una
lungodegente.
La situazione è drammatica e ritorniamo al CAD. Dopo
alcuni giorni l'assistente sociale viene a visitarla a casa con una dottoressa
e, eccezionalmente, si offre di pagarci una persona per due o tre notti alla
settimana ad assisterla, proprio per permetterci di riposare almeno nelle ore
notturne; però deve trattarsi di una persona di fiducia e si deve produrre un
atto notorio.
Siamo in pieno agosto e non riusciamo a trovare
neppure un parente disponibile, inoltre, pur apprezzando questo aiuto, non
risolve il problema, in quanto, per poter fare spazio ad un'altra persona,
dovremmo uscire di casa noi. E comunque questo aiuto eccezionale sarebbe stato
valido solo sino all'erogazione dell'assegno di accompagnamento.
Non abbiamo trovato nulla e la situazione è rimasta
invariata, mentre le istituzioni erano chiuse per ferie.
II 26 settembre 1993 la nostra congiunta ha una
ricaduta; nuovamente si procura una ferita alla fronte ed un trauma cranico.
La ricoveriamo d'urgenza al Celesia e qui il figlio
viene sottoposto ad una serie di domande imbarazzanti e si polemizza sul fatto
che ha nuovamente la testa rotta e nello stesso punto.
Dopo le prime cure e passati i primi due giorni, l'ospedale
la trasferisce al reparto di neurologia di Sestri Ponente per accertamenti. Lì
ha una grave crisi di aritmia cardiaca; convocano il figlio dicendo che ci sono
poche speranze per la sua vita, tuttavia la trasferiscono in terapia intensiva
e dopo alcuni giorni si riprende fisicamente.
Ritorna al Celesia in cardiologia, sempre in terapia
intensiva, e le sue condizioni fisiche migliorano, mentre peggiorano purtroppo
quelle mentali.
II 14 ottobre 1993 il primario chiama il figlio per
parlare della dimissione della madre, poiché disturba ed il suo problema è
solo mentale. II figlio chiede se la possono trasferire temporaneamente in medicina
sino alla guarigione completa, ma il primario risponde che non c'è posto.
Impone al figlio di portarla a casa. L'infermiera per il cambio del catetere
dovrà essere cercata e pagata dal figlio stesso.
Viene dimessa con il catetere in tasca, sulla sedia a
rotelle poiché non è in grado di camminare e con l'ambulanza!
A questo punto non è proprio possibile riaccoglierla
in casa e per la prima volta prendiamo contatto con la casa di riposo
"Pezzini Rosetta" dove viene immediatamente ricoverata e stacchiamo
il primo assegno di lire 2.200.000.
Le sue condizioni migliorano, ma ha costantemente
bisogno di terapie, di assistenza ed ogni giorno del controllo medico.
In breve diamo fondo al suo piccolo risparmio di lire
4.000.000 e pure ai nostri risparmi (circa 10 milioni accantonati come
liquidazione quando la nuora ha lasciato l'impiego per dedicarsi al figlio).
L'assegno di accompagnamento tarda ad arrivare e
tutti i mesi siamo costretti a pagare all'istituto privato una retta di
2.200.000 più varie spese per un totale di circa L. 2.500.000, contro
un'entrata globale di pari importo formata dallo stipendio del figlio e la
pensione dell'ammalata (L. 900.000 mensili).
Tra mille difficoltà arriviamo sino al gennaio 1994,
ma i soldi sono completamente finiti e richiediamo il primo prestito. Ci
rivolgiamo all'AMT di cui il figlio è dipendente ed otteniamo un prestito di L.
8.000.000, che dobbiamo restituire per un importo mensile di lire 200.000.
Durante questo periodo, approfittando del fatto che
la mamma è accudita in ricovero, ci muoviamo forsennatamente da un ufficio
all'altro e da un'istituzione all'altra per cercare una soluzione al nostro
problema, ma le risposte sono sempre negative; il problema è solo nostro e
l'unica alternativa al ricovero è tenerla in casa con una spesa che la
famiglia non è assolutamente in grado di sostenere.
L'USL ci informa che c'è una possibilità di dimezzare
l'importo con la loro convenzione, a patto che la mamma sia ricoverata presso
uno dei loro istituti convenzionati. Purtroppo però gli importi richiesti sono
altissimi e persino pagando metà importo, superiamo nettamente la cifra che
paghiamo al Pezzini. A fine febbraio portiamo la mamma in un ospizio dell'alta
Valle Polcevera gestito dalle suore, ma ben presto ci chiamano dicendo di
riprendercela poiché è gravemente invalida ed ha bisogno di una costante
assistenza che loro non sono in grado di fornire.
La riportiamo all'istituto Pezzini, il quale per
venirci un po' incontro, abbassa la retta mensile a L. 1.800.000, più le spese
ovviamente.
In questo contesto tutto pesa economicamente; ogni
settimana dobbiamo pure provvedere a rifargli il guardaroba di biancheria
intima che regolarmente sparisce e inoltre c'è la restituzione del prestito: quindi
arranchiamo con vere e proprie acrobazie sino a giugno e appena Paolo termina
la scuola riproviamo a riprenderla in casa con noi.
Resta presso di noi per circa un mese, i problemi
sono tanti, le difficoltà incredibili ed inoltre nessuno può darci una mano, né
gratuitamente, né a pagamento poiché è di nuovo periodo di vacanze.
Infine ha una nuova sincope, il medico dice che
l'ammalata è disidratata, sarebbe necessario farle delle flebo, ma proprio non
vuole ricoverarla in ospedale e siamo costretti a riportarla al Pezzini.
In breve tempo si rende necessario un nuovo prestito.
Ritorniamo all'AMT che ci copcede un secondo prestito di L. 8.000.000 che,
conguagliato al precedente si trasforma in una restituzione di lire 280.000
mensili.
Sollecitiamo l'assegno di accompagnamento e cerchiamo
pure altri ricoveri fuori città; setacciamo il basso Piemonte, ma le condizioni
sono anche peggiori: rette da 3 milioni al mese, o strutture solo per
autosufficienti, oppure non hanno posti e rifiutano persino la domanda.
Ci rivolgiamo pure ad alcuni legali per un parere
sulla situazione sia dell'ammalata che nostra, ma le risposte sono tutte
uguali: «Pagate, dovete pagare, fateveli prestare!». Ci fanno i conti in tasca
e ci consigliano di pagare l'ospizio e le tasse, tralasciando completamente il
fatto che pure noi dobbiamo vivere.
Nessuna considerazione per nostro figlio che è un
minore ed è costretto a vivere di rinunce mentre noi dobbiamo pagare cifre
astronomiche per la nonna. Arriviamo a fatica sino alla fine del 1994 e si
rende necessario un nuovo prestito, questa volta ci rivolgiamo al Banco di
Roma.
Chiediamo 10 milioni, ne vengono concessi 9.600.000
con una restituzione mensile di lire 250.000 sino al 1999.
Accumuliamo così un debito di L. 530.000 al mese più
la retta mensile del ricovero: il nostro disavanzo totale è di circa 1.800.000
al mese.
Ritorniamo al CAD, contattiamo pure lo sportello del
consumatore e viene inviato un sollecito alla Prefettura.
Ci rivolgiamo pure al "Tribunale per il diritto
dell'ammalato": rispondono che una volta fuori dalla struttura
ospedaliera non è più possibile intervenire in alcun modo.
AI limite della sopravvivenza arriviamo sino al 28
maggio 1995 e dopo ripetuti solleciti, finalmente ritiriamo l'assegno di
accompagnamento per una cifra totale di L. 17.412.000.
Li utilizziamo subito per saldare i vecchi debiti
(non certo quelli dell'AMT e del Banco di Roma) e precisamente: arretrati di
amministrazione, I'ICI, il 740, le bollette arretrate e SIP, il mutuo e le
spese di alcuni mesi del ricovero.
Inoltre Paolo necessita di cure dentistiche ed ortodontiche
e di alcune indagini mediche che eravamo stati costretti a rimandare ed in
banca resta ben presto la metà dell'importo arretrati. II rimanente resta
accantonato per pagare la differenza dei mesi futuri.
Questo è un aiuto economico, però c'è sempre da tenere
presente che sia pensione che accompagnamento vengono erogati ogni bimestre,
mentre l'istituto va pagato in anticipo all'inizio di ogni mese e per noi,
fatti i debiti conteggi, dobbiamo vivere in tre con appena un milione al mese.
Siamo al dicembre 1995; il Pezzini ci telefona, è
urgente; la mamma è nuovamente ricaduta, era cianotica e non si riprendeva
più; le hanno praticato respirazione bocca a bocca e massaggio cardiaco anche
sull'ambulanza e ora il medico dell'ospedale Gallino vuole vedere con urgenza
un familiare.
Corriamo lì, al momento sembra avere superato la
crisi, ma le sue condizioni generali peggiorano ulteriormente.
Resta in ospedale nel reparto medicina per 10 giorni,
dopodiché viene dimessa e riaccompagnata in ambulanza all'istituto dove le
vengono praticate ancora delle flebo del costo di L. 75.000 cadauna, che ci
verranno addebitate.
Curiosamente, quando il figlio si presenta per saldare
l'ultima retta e chiede gli vengano defalcati i giorni di ricovero in ospedale,
gli viene risposto che per contratto deve saldarli all'istituto comunque.
Pertanto mentre la mamma era in ospedale, noi pagavamo la retta all'istituto
privato.
Sono i primi giorni del 1996 e noi abbiamo prosciugato
tutti i soldi.
La mamma è gravemente peggiorata e non è pensabile
di riportarla a casa.
Pensiamo così di mettere in vendita la casa dove
abitiamo, con la promessa che appena abbiamo i soldi saldiamo il debito.
II figlio lo propone al titolare dell'istituto
Pezzini il quale accetta l'accordo verbale.
Ci rivolgiamo all'agenzia Principe cui diamo il
mandato e iniziano le visite di numerose persone. Nel frattempo, un collega del
figlio scrive una lettera al sindaco Sansa attraverso il sindacato e lo
stesso, dopo preziosi mesi di silenzio, risponde di rivolgersi al CAD di zona e
di ripresentare la domanda.
Si tenta anche con la sede del CAD di Via Bertani, ma
la risposta è sempre la stessa: negativa.
Siamo ad aprile del 1996; l'istituto Pezzini invia
una lettera dove annuncia un aumento netto di lire 1 milione mensile, il che
equivale a portare la retta a 2.800.000, più le spese.
Non vorremmo accettare, ma è impossibile togliere la
mamma dall'istituto altrimenti lo stesso avvia le pratiche legali. Inoltre,
sfortunatamente, sia il figlio che il nipote necessitano di un ricovero in
ospedale e la situazione dell'ammalata in casa sarebbe insostenibile.
Per fare una parentesi precisiamo che la mamma al
momento ha una grossa ernia con sventramento per la quale il medico
dell'istituto ogni giorno si adopera a farla rientrare manualmente: sottoporla
ad un intervento, sarebbe fatale per lei.
La situazione è sempre più difficile: non riusciamo a
vendere la casa (non è il momento, il mattone non conviene più); la mamma
peggiora, i familiari sono in ospedale ed arriva una lettera dell'avvocato del
Pezzini dove si minaccia il sequestro cautelativo dell'abitazione se non si
paga.
Presi per la gola, ci rivolgiamo ad un'altra agenzia
immobiliare: la "A.&C." di Rivarolo con l'accordo scritto che se
la Principe vende l'immobile entro il 31 luglio '97 a loro nulla dobbiamo.
Lo stesso collega del sindacato si dà da fare e riesce
ad intervenire nuovamente presso I'AMT perché venga aiutato il dipendente in gravi
difficoltà. Si ottiene così un terzo prestito di 15.000.000 che comporta una
restituzione mensile di L. 350.000 sino al 2005.
Nel frattempo scriviamo al Presidente della Provincia
Marta Vincenzi - è una mia ex compagna di scuola - per un aiuto. Solita
risposta, rifate la domanda al CAD. Solita risposta del CAD: negativa.
II 27 luglio 1996 si presenta una coppia disposta ad
acquistare la casa ed il 7 agosto andiamo a firmare il contratto.
La proposta è particolare e le condizioni sono: tutti
i soldi da un lato e chiavi e casa libera dall'altra, abbiamo tempo sino al 31
ottobre 1996. Prendere o lasciare.
Questo accordo non ci piace molto, ma non possiamo
certo permetterci di rifiutarlo; e poi l'agente immobiliare ci consiglia di non
lasciare scappare un'occasione che forse non si ripresenterà presto ed
accettiamo.
Mio padre che abita l'alloggio di Fegino intestato a
me, lo lascia a noi e va a vivere con una compagna; però l'appartamento è
malandato, privo di riscaldamento e ingombro di masserizie.
Con il prestito dell'AMT paghiamo due mesi al Pezzini
e tutte le spese extra dei sei mesi precedenti. Incominciamo i lavori di
ristrutturazione dell'appartamento di Fegino per poterlo abitare.
Per correttezza andiamo a rescindere il contratto con
l'altra agenzia immobiliare la quale, inaspettatamente, reclama un milione per
le spese sostenute. Siamo costretti a pagare poiché il famigerato contratto
della Principe è datato 7 agosto 1996. Nel frattempo l'avvocato di Pezzini ci
comunica che vuole essere presente al rogito per poter prendersi subito il
dovuto del suo cliente.
Arriviamo così al momento del rogito e con una scusa
il compratore rimanda l'appuntamento. Anche il secondo ed il terzo appuntamento
vanno deserti.
Le scuse sono credibili al momento; la grossa cifra
di cui dispone è vincolata e la banca tarda a fare l'assegno; è costretto a
chiedere un prestito per darci un acconto, ecc. Siamo sempre più inquieti: da
un lato il trasloco mezzo pronto, dall'altro i lavori che vanno avanti con le
relative spese, l'istituto che aspetta il denaro, la mamma che dovrebbe trovare
una sistemazione non così onerosa, l'avvocato che minaccia e il compratore che
ci tiene sul filo del rasoio.
Nel frattempo avevamo presentato comunque la domanda
all'Istituto Brignole che è convenzionato
con l'USL (metà importo a carico dell'USL e metà a
nostro carico): però la lista d'attesa è molto lunga. Per quanto riguarda la
vendita, si scopre che l'acquirente è un pluri-protestato, un disonesto che
vive di truffe e pure la sua compagna (non è la moglie) che ha firmato il
contratto; ha l'abitudine di emettere assegni a vuoto, sono negativamente
conosciuti nel mondo informatico delle banche e pure diffidati dall'emettere
nuovi assegni.
Con l'agente immobiliare andiamo dall'avvocato del
Pezzini portando la documentazione e chiedendo un consiglio, oltreché una
proroga del sequestro.
Ci fa scrivere una lettera di richiesta danni che il
mancato acquirente dovrebbe firmare, ma che naturalmente non firmerà, e ci
promette di aspettare sino a fine gennaio 1997 per il sequestro.
In questo contesto veniamo contattati dal Brignole
per il ricovero della mamma; si deve però pagare subito un deposito cauzionale
di L. 1.890.000 più la retta di pari importo anticipata.
Noi non abbiamo più questa disponibilità, 'inoltre se
togliamo la mamma dall'istituto Pezzini, questi dà il via all'azione legale;
siamo costretti a temporizzare e perdiamo così il prezioso posto in
graduatoria.
Ci rivolgiamo a banche diverse, anche con l'aiuto
dell'agente immobiliare, ma nessuno è disposto a prestarci più di 20 0 30 milioni (solo al Pezzini ne dobbiamo circa 30).
Infine ci suggerisce di accendere un'ipoteca sul mio alloggio di Fegino. Per
stabilire l'importo, è necessaria una perizia che costa Lire 475.000.
Siamo nuovamente costretti ad accettare, ma la cosa
non ci piace, rischiamo di ritrovarci senza abitazione e di gonfiare
ulteriormente i nostri debiti.
Questa ipoteca non conviene affatto e non ci resta
che svenderlo, rimettendoci i soldi dei lavori fatti. Con la prima caparra di
20 milioni diamo subito un acconto alla casa di riposo; un po' servono per l'idraulico
ed il rimanente per le nostre spese arretrate (bollette, amministrazione,
mutuo ed altro).
Per chiudere definitivamente il debito con il
Pezzini, riprendiamo la mamma in casa e ribussiamo alle porte del CAD per un
aiuto. L'assistente sociale nel frattempo aveva ripresentato domanda per noi,
essendo venuto a conoscenza della gravità della situazione; aveva pure
promesso, in via del tutto eccezionale, un aiuto massiccio a domicilio. Ma
siamo prossimi alle festività natalizie e non troviamo nessuno sino dopo la
prima metà di gennaio! L'ammalata è in uno stato pietoso, non si regge in
piedi, la si deve sollevare e farle tutto e sta pure male, ma i medici non ci
sono e le guardie mediche fanno quello che possono e ci consigliano di farla
ricoverare.
Proviamo a rivolgerci alla Caritas e all'UDI e, pur
trovando degli ascoltatori comprensibili, non scaturisce nulla. Ci viene
fornito il numero telefonico di un centro di volontariato che dovrebbe operare
in zona, ma quando lo contattiamo ci rispondono che le prestazioni vanno
pagate o dal CAD o dal privato che ne fa richiesta.
Ritelefoniamo al Brignole, poiché dovremmo pure
sbrigare tutti i passi per la questione della casa e le pratiche per l'ammalata
e non possiamo neppure uscire di casa lasciandola sola.
Fortunatamente il Brignole accetta la domanda a suo
tempo presentata e a fine gennaio 1997 la mamma viene ricoverata. Purtroppo il
17 marzo 1997 ha un blocco intestinale, viene portata all'ospedale Galliera
dove tentano un intervento disperato, ma dopo una settimana muore.
Pochi giorni dopo arriva la risposta negativa del
Comune, la sua domanda non può essere accolta. L'assistente sociale ci aveva
già informato una settimana prima dicendo che la risposta si articolava così:
«l'anziana è titolare della pensione più l'accompagnamento, la differenza la
può tranquillamente pagare il figlio» e quindi la richiesta viene respinta.
In conclusione, abbiamo sostenuto spese per ricoveri
per un totale di Lire 91.710.000, richiesto prestiti per 41.000.000 che
diventano 56.000.000 con gli interessi. Inoltre abbiamo dovuto versare per la
mancata vendita lire 24.635.000.
Sommando tutto abbiamo pagato (in parte stiamo ancora
pagando) lire 172.345.000 contro una pensione + accompagnamento di lire
69.450.000. La differenza interamente a nostro carico è di L. 102.895.000.
www.fondazionepromozionesociale.it