Prospettive assistenziali, n. 119, luglio-settembre 1997

 

 

LA LEGGE-QUADRO SULL'HANDICAP: DOPO CINQUE ANNI DALL'APPROVAZIONE RESTA UNA SCATOLA VUOTA

 

 

Fin dall'approvazione della legge 5 febbraio 1992 n. 104 "Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale ed i diritti delle persone handicappate, ne avevamo messo in rilievo le vistose carenze, scriven­do quanto segue (1):

 

1. Le norme non esplicitano in modo inequivocabi­le i diritti degli handicappati, salvo l'enunciazione di quelli all'educazione e all'istruzione nelle sezioni e classi comuni (art. 12);

2. non vengono sanciti nuovi diritti sostanziali rispetto a quelli già previsti dalle altre leggi in vigore; 3. la legge non prevede procedure specifiche per rendere i servizi direttamente esigibili; essi possono essere attuati o non essere istituiti, senza alcuna possibilità di intervento o di ricorso degli handicappa­ti e dei loro familiari nei confronti della pubblica ammi­nistrazione;

4. le prestazioni riguardano indifferentemente tutti gli handicappati, senza che di volta in volta venga fatto riferimento alla piena, ridotta o nulla autonomia, con il rischio di un inutile assistenzialismo;

5. non vi sono adeguamenti o modifiche alla legge 482/1968 sul collocamento obbligatorio al lavoro, nonostante che la Corte costituzionale - con la sen­tenza n. 50 del 1990 - abbia per l'ennesima volta rivolto «un pressante invito a che il Parlamento possa sollecitamente apprestare una completa normativa in tema di avviamento al lavoro dei soggetti invalidi»;

6. è prevista l'erogazione di fondi a enti, associa­zioni, cooperative che non sono tenute ad assumere handicappati, essendo solamente richiesto che «svolgano attività idonee a favorire l'inserimento e l'integrazione lavorativa di persone handicappate»;

7. fra le forme di "integrazione lavorativa" (art. 18) sono inclusi i centri di lavoro guidato e cioè i vecchi, sorpassati e deleteri «laboratori protetti» nessun stru­mento concreto viene invece assicurato per l'effettivo inserimento nei posti di lavoro normali e per incenti­varne la realizzazione;

8. nulla è stabilito per l'aggregazione dei Comuni con poche decine o poche centinaia di abitanti, che da soli non sono in grado di istituire i servizi previsti dalla legge;

9. non essendo sancito il diritto degli handicappati a numerosi servizi (ad esempio, la frequenza dei cen­tri diumi per coloro che, a causa delle loro condizioni intellettive e/o fisiche, non sono in grado di svolgere alcuna attività lavorativa), le norme sulla astensione facoltativa dal lavoro dei loro familiari (art. 33) rischia­no di essere usate dalle Amministrazioni (Comuni, USL) per addossare ai congiunti compiti e funzioni che competono ai servizi;

10. la copertura finanziaria è fortemente inadeguata ai veti bisogni (vengono stanziati 120 miliardi di lire per il 1992 e 150 miliardi a partire dal 1993, per un totale di 270 miliardi e non di 420 miliardi come è stato comunicato dal Ministro degli affari sociali alle Agenzie di stampa e successivamente mai corretto); ma l'aspetto ancora più grave è che le "condizioni" imposte dalla Commissione Bilancio della Camera dei deputati hanno stravolto radicalmente il significa­to di molti articoli-chiave, col risultato di non sancire più diritti inalienabili, ma di concedere "per favore" ciò che invece va garantito per diritto;

11. non vengono affrontati i temi dell'interdizione e della inabilitazione, nonostante che le norme in vigo­re non rispondano più alle esigenze delle persone handicappate prive di autonomia e che - da anni - eminenti giuristi abbiano formulato significative pro­poste di modifica.

Sono trascorsi cinque anni ed ormai è noto a tutti, anche a coloro che avevano criticato il nostro giudi­zio negativo (2) che la legge 104/1992, salvo alcuni aspetti marginali (agevolazioni fiscali, permessi lavo­rativi, ecc.) è una vera e propria presa in giro per i soggetti interessati, i loro congiunti e le organizzazio­ni che operano per l'affermazione delle esigenze e dei diritti delle persone con handicap.

 

La relazione del Governo sulla legge quadro

In data 15 aprile 1997, il Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha reso nota la "Relazione sui dati relativi allo stato di attuazione delle politiche per l'handicap in Italia, non­ché sugli indirizzi che saranno seguiti (legge 5 feb­braio 1992 n. 104, art. 41, comma 8), relativa all'an­no 1996".

Significativa l'affermazione del Ministro Livia Turco che riconosce «la necessità di un'ampia e approfon­dita analisi per valutare i risultati conseguiti (che non vengono indicati, n.d.r.), ma ancor più per compren­dere quali siano state in questo periodo le motivazio­ni principali che ne hanno limitato la sua piena attua­zione».

Aggiunge il Ministro che «si impone oggi una rifles­sione più attenta anche al fine di offrire nuove propo­ste per ridefinire le politiche per l'handicap nel nostro paese».

Zeppa di affermazioni del tutto infondate è la pre­sentazione predisposta dai funzionari del Diparti­mento per gli affari sociali. Citiamo alcune perle:

- La legge 104/1992 «ha segnato una profonda inversione di tendenza rispetto agli interventi legisla­tivi del passato»;

- «Sono state poste le basi per la costruzione di una rete di risposte organiche, atte a coinvolgere tutte le istituzioni e le opportunità territoriali al fine di garantire alla persona disabile l'esercizio dei diritti di cittadinanza e la piena partecipazione alla vita socia­le»;

- «La legge-quadro 5 febbraio 1992 n. 104 rappre­senta tuttora un punto di riferimento normativo e di orientamento culturale per continuare a migliorare lo stato delle politiche sociali per l'handicap nel nostro paese»;

- «Nel corso di questi anni da parte delle diverse Amministrazioni dello Stato, sia centrali che locali, si è riscontrato un costante impegno nel concretizzare i principi sanciti dalla legge 104/1992».

Quest'ultima affermazione è inesatta per il sempli­ce fatto che non hanno nemmeno risposto alla richie­sta di dati sull'attuazione della legge quadro sull'han­dicap i Ministeri dei trasporti e della navigazione, dei lavori pubblici, del bilancio e della programmazione economica, dell'ambiente, delle risorse agricole e forestali, nonché le Regioni Puglia, Sardegna, Sicilia e Valle d'Aosta, e la Provincia autonoma di Trento.

D'altra parte, con le notizie trasmesse dalle altre Regioni e dalla Provincia autonoma di Bolzano, è assolutamente impossibile valutare la situazione attuale dei servizi e la loro evoluzione rispetto agli anni precedenti.

O il Dipartimento per gli affari sociali fornirà per il 1997 elementi utilizzabili per verificare quali siano state le prestazioni effettuate e la loro efficacia, oppu­re è preferibile evitare ogni perdita di tempo e di denaro per raccogliere, stampare e diffondere dati inservibili.

 

Una pubblicazione del Dipartimento per gli affari sociali

Anche la recente pubblicazione (finita di stampare nel dicembre 1996), curata da Danilo Massi "Handicap e legislazione: i diritti in gioco" edita dal Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, tenta invano di coprire le visto­se carenze della legge 104/1992.

Forse è per questo motivo che l'Autore, nella elen­cazione delle leggi approvate in passato, non cita il regio decreto 19 novembre 1889 n. 6535, il quale imponeva ai Comuni di intervenire nei confronti delle persone «inabili a qualsiasi lavoro proficuo che (...) per insanabili difetti fisici o intellettuali non possono procacciarsi il modo di sussistenza».

Si tratta di una norma tuttora in vigore che può essere utilizzata da qualsiasi cittadino per ottenere il ricovero in una struttura assistenziale di un soggetto handicappato privo di sostegno familiare e di autono­mia (3).

L'Autore non ricorda nemmeno che il r.d. 3 marzo 1934 n. 383, Testo unico della legge comunale e pro­vinciale, prevedeva come obbligatorie:

a) per i Comuni (art. 91) le spese relative al «man­tenimento degli inabili al lavoro»;

b) per le Province (art. 144) gli oneri concernenti l'assistenza «dei ciechi e dei sordomuti poveri riedu­cabili».

Ricordiamo quanto sopra per contestare le affer­mazioni contenute nel volume del Dipartimento per gli affari sociali secondo cui «è soltanto nell'immedia­to primo dopoguerra che lo Stato, per la prima volta, interviene con specifici provvedimenti diretti a sog­getti portatori di handicap».

È, invece, vero che i diritti esigibili sanciti nel 1934 sono stati volutamente soppressi nel 1978/9 con l'a­brogazione dell'obbligatorietà delle spese assisten­ziali dei Comuni e delle Province (4) e che non sono stati richiamati (e adeguati alle nuove esigenze) i r.d. prima citati 6535/1889 e 77/1931.

Dunque, mentre in altri settori (attività prescolasti­che e scolastiche, non creazione ed eliminazione delle barriere architettoniche, ecc.) sono stati com­piuti negli ultimi anni notevoli passi in avanti, nel campo dell'assistenza sociale (e cioè delle persone più deboli e sovente incapaci di autodifendersi, vi è stato sul piano dei diritti concreti un arretramento.

 

Conclusione

È inaccettabile che Ministri, Parlamentari (5), Amministratori e Tecnici continuino a sostenere che i 22 "possono" contenuti nella legge 104/1992 potreb­bero anche essere interpretati come "devono".

Se si rispettano i diritti delle persone con handicap ed il buon senso dei cittadini, occorre che la legge suddetta sia profondamente riscritta dal Parlamento stabilendo - finalmente - diritti esigibili per il soddi­sfacimento delle esigenze fondamentali dei soggetti handicappati, e in primo luogo, di quelli non autosuf­ficienti.

 

 

 

(1) Cfr. l'editoriale del n. 97, gennaio-marzo 1992 di Prospettive assistenziali, "La legge-quadro sull'handicap: una scatola vuota". Si veda, inoltre, l'articolo "Analisi sintetica della legge-quadro sull"handicap".

(2) Ad esempio, Salvatore Nocera nel secondo rapporto "Le frontiere del sociale" edito dalla Fondazione Zancan nel 1997, riconosce - finalmente - che «l'esigibilità dei diritti proclamati (nella legge 104/1992, n.d.r.) è rimessa alla discrezionalità politi­ca delle Regioni, che avrebbero dovuto approvare le leggi appli­cative dei principi della legge quadro». Da notare che finora nes­suna Regione ha approvato, a seguito della legge 10411992, norme che riconoscano diritti esigibili per le persone handicappa­te.

(3) L'intervento assistenziale può essere ottenuto anche trami­te l'autorità di pubblica sicurezza. Infatti il vigente art. 154 del r.d. 18 giugno 1931 n. 77, richiamandosi alla disposizione prima cita­ta, recita al comma 2: «Le persone riconosciute dalla Autorità di pubblica sicurezza inabili a qualsiasi lavoro proficuo e che non abbiano mezzi di sussistenza né parenti tenuti per legge agli ali­menti e in condizioni di poterli prestare sono proposte dal Prefetto, quando non sia possibile provvedere con la pubblica beneficenza, al Ministero dell'interno per il ricovero in un istituto di assistenza o beneficenza del luogo di altro Comune». AI riguardo si vedano le note di M. Dogliotti "Gli enti pubblici non possono pretendere contributi economici dai parenti tenuti agli alimenti di persone assistite", Prospettive assistenziali, n. 87, luglio-settembre 1989; l'articolo "Facciamo il punto sui contributi economici indebitamente richiesti dagli enti pubblici ai parenti degli assistiti maggiorenni", Ibidem„ n. 116, ottobre-dicembre 1996 e la sentenza del Tribunale si Verona, Ibidem, n. 117, gen­naio-marzo 1997.

(4) Cfr. l'art. 7 del decreto legge 10 novembre 1978 n. 702, convertito nella legge 8 gennaio 1979 n. 3.

(5) Ad esempio, l'On. Luigi Giacco, nell'articolo «La "104" cin­que anni dopo», pubblicato su "Punto di vista"„ 1 ° trimestre 1997, dopo aver affermato che «la legge quadro n. 104 è all'avanguar­dia», propone che vengano approvate dalla Conferenza perma­nente Stato-Regioni «linee-guida perla realizzazione obbligatoria da parte degli enti locali dei servizi d'aiuto alle persone disabili e delle strutture indicate in particolare all'art. 8, lettera i) e I) comu­nità alloggio, case famiglia, residenze protette, centri riabilitativi diurni, nonché all'art. 10, comma 1, per le persone con handicap in situazione di gravità», dimenticando (volutamente?) che per ottenere l'obbligatorietà di una disposizione è assolutamente necessaria l'approvazione di una legge.

 

 

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