Notiziario dell'Unione per la
lotta contro l'emarginazione sociale
LA REGIONE VALLE D'AOSTA ED I COMUNI DI BOLOGNA E TORINO PRETENDONO DI AUMENTARE I CONTRIBUTI ILLEGALMENTE RICHIESTI AGLI ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI ED AI LORO CONGIUNTI
Le Regioni, con la complicità del
Ministro della sanità e dei Comuni, continuano a considerare non malati gli
anziani cronici non autosufficienti, escludendoli dalla competenza del
Servizio sanitario nazionale.
Non contenti di danneggiare 1
milione di persone negando loro il diritto alle cure sanitarie senza limiti di
durata previsto - come abbiamo scritto mille volte -dalle leggi vigenti, la cui
validità è confermata dalla sentenza n. 10150/1996 della Corte di Cassazione
(1), hanno avviato una forte offensiva per colpire, anche sul piano economico,
i malati ed i loro congiunti.
La Regione Valle d'Aosta ha
elevato l'importo della retta di ricovero dal minimo di due milioni al mese
fino a tre milioni e mezzo (2). Se il vecchio malato che - lo ricordiamo - in
base alle norme in vigore non dovrebbe pagare una lira per il ricovero in
struttura sanitaria (3) non ha i mezzi sufficienti per coprire la retta, devono
intervenire i congiunti.
A sua volta Flavio Delbono,
Assessore al bilancio del Comune di Bologna, città simbolo della sinistra
italiana, ha proposto di rivalersi sui beni dell'anziano (case di proprietà,
Bot, ecc.) entrando nell'asse ereditario per recuperare le somme anticipate
dall'ente locale (4).
La spesa del Comune di Bologna,
che se rispettasse le leggi vigenti non dovrebbe spendere una lira nei
confronti degli anziani ammalati, è di circa 17 miliardi all'anno.
Sulla stessa linea il nuovo
Assessore all'assistenza del Comune di Torino, Stefano Lepri che, ripetendo
quanto sostenuto a Bologna, intende «rivalersi sull'eredità del nonno (5) attingendo dai
Bot in banca o prelevando una quota della casa di proprietà» (6).
La presa di posizione del
Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti (7)
AI Sindaco, agli Assessori al
bilancio e ai servizi sociali e ai Capi Gruppo del Consiglio comunale di
Torino, il Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti ha indirizzato
in data 19 agosto 1997 la seguente lettera (8):
«In merito
all'articolo "Il Comune tra gli eredi del nonno" pubblicato su
"`La Stampa" del 19 c.m., questo Coordinamento, che funziona
ininterrottamente dal 1970, osserva quanto segue:
«1. se
l'anziano in tutto o in parte autosufficiente (o altro soggetto) si rivolge al
Comune per essere assistito (ad esempio mediante ricovero in casa di riposo), è
ovvio che deve contribuire con i propri redditi ed i propri beni. Anzi, poiché
l'assistenza, ai sensi del 1 ° comma dell'art. 38 della Costituzione, può
essere fornita dall'ente pubblico esclusivamente alle persone inabili al
lavoro e prive dei mezzi necessari per vivere, i Comuni dovrebbero stabilire
livelli economici al di sopra dei quali non forniscono più assistenza o la
forniscono solamente se la spesa relativa è totalmente rimborsata dal soggetto.
Per quanto riguarda la rivalsa sui patrimoni dell'assistito va segnalato che
il Comune di Torino, nonostante i ripetuti solleciti di questo Comitato, non
ha mai dato attuazione alla propria delibera del 14 marzo 1979 in cui era
previsto che "specifici accordi verranno stabiliti fra il Comune e
l'assistito che possegga beni immobili o mobili registrati, il cui valore
copra in tutto o in parte !e spese. Le finalità di tali accordi sono:
«a)
garantire all'assistito la proprietà degli immobili o mobili registrati, la
cui alienazione non è ritenuta opportuna dall'assistito stesso;
b) garantire
al Comune il recupero delle somme sostenute dal Comune stesso, prevedendone
anche la rivalutazione al momento in cui avverrà il rimborso».
«2. Ben
diversa è la situazione dei cosiddetti anziani non autosufficienti, in realtà
anziani colpiti da malattie croniche (demenza senile, ictus, infarto, cancro,
ecc.) in modo così grave da determinare anche situazioni di totale dipendenza
da terzi. In questi casi, l'intervento del Comune è certamente indebito, in quanto,
in base alle leggi vigenti (692/1955, 132/1968, 386/1974, 833/1978, la cui
validità è stata confermata fra l'altro dalla sentenza della Corte di
Cassazione n. 10150/1996), la cura, sia essa domiciliare, ambulatoriale o
residenziale, è di competenza del Servizio sanitario nazionale e non dei
Comuni. Purtroppo, molte Regioni, compreso il Piemonte, con la complicità dei
Comuni, hanno trasferito gli interventi dal settore sanitario (caratterizzato
dalla presenza di diritti esigibili da parte dei cittadini e dalla gratuità
delle prestazioni, salvo ticket) al comparto dell'assistenza sociale (ancora
impostato sulla discrezionalità ad intervenire degli enti competenti).
In questo
modo, violando le leggi esistenti ed il semplice buon senso, viene negata nei
fatti la presenza di malattie nei vecchi malati cronici non autosufficienti.
Se i Comuni
agissero rispettando le leggi e fossero veramente preoccupati delle esigenze e
dei diritti degli anziani malati cronici non autosufficienti (domani lo
potranno essere gli amministratori e gli operatori che oggi negano tali
esigenze e diritti!) agirebbero affinché il Servizio sanitario nazionale assuma
le competenze spettantegli per legge e non caricherebbero sui bilanci comunali
oneri che non competono, oneri ingiustificati che per il Comune di Torino sono
di circa 20 miliardi all'anno.
Pur non
prevedendo le leggi vigenti che le cure residenziali (ad esempio presso RSA)
comportino il pagamento di quote da parte dell'utenza, questo Coordinamento non
si oppone alla imposizione da parte delle Regioni e delle USL di contributi a
carico degli anziani cronici non autosufficienti ricoverati, a condizione che
le strutture sanitarie forniscano tutte
le prestazioni necessarie (ad esempio
anche I'imboccamento e l'accompagnamento) e si tenga conto degli eventuali
impegni economici a carico dell'interessato (pagamento mutui, obblighi nei
confronti del coniuge, dei figli e dei terzi, ecc.).
«3. In base
alle leggi vigenti i Comuni e gli altri enti pubblici non possono pretendere
contributi economici dai parenti di assistiti maggiorenni.
Quanto sopra è confermato:
- dal parere del Ministero dell'interno
del 27.12.1993, prot. 12287170,
- dalle
note della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 15 aprile 1994, prot.
DASl4390/1/H1795, del 20 ottobre 1995, prot. DASl13811/1/Hl795 e del 29 luglio
1997, prot. DASl247/ULl1/H1795;
- dalla
risposta fornita dall'Assessore all'assistenza della Regione Piemonte in data
7 marzo 1996; - dalla sentenza della 11 Sezione civile del Tribunale di Verona del 16 marzo
1996 in cui è precisato che, come prevedono l'art. 433 e seguenti del codice
civile, gli alimenti possono essere richiesti ai parenti esclusivamente dai
congiunti interessati (o dal loro tutore) e non da altre persone e nemmeno dagli
enti pubblici di assistenza e che, contrariamente a quanto ha affermato il
Prof. Claudio Dal Piaz su "La Stampa" del 19 c.m. "non si può
parlare di ingiustificato arricchimento per il parente tenuto agli alimenti,
finché questi non siano richiesti dal beneficiario e quindi sorto l'obbligo di
pagamento".
«Questo
Comitato spera che, finalmente, la nuova Amministrazione comunale rispetti le
leggi vigenti e la citata deliberazione del 14 marzo 1979».
(1) La sentenza è riportata integralmente sul n. 117,
gennaiomarzo 1997, di Prospettive
assistenziali.
(2) Cfr. La Stampa del 12 agosto 1997.
(3) Com'è noto, nelle strutture
sanitarie non è prevista nessuna quota a carico dell'utente, nemmeno quella
cosiddetta alberghiera.
(4) Cfr. La Stampa del 14 agosto 1997.
(5) Se si rispettasse veramente la
dignità degli anziani, non verrebbero mai usati gli appellativi
"nonno", "vecchietto", e simili. Da notare che recentemente
(cfr. l'Unità del 17 agosto 1997) la quinta Sezione della Corte di Cassazione
ha stabilito che definire una signora "donnina" costituisce il reato
di ingiuria.
(6) Cfr. La Stampa del 19 agosto 1997.
(7) Si veda, altresì, l'articolo
"Facciamo il punto sui contributi economici indebitamente richiesti dagli
enti pubblici ai parenti degli assistiti maggiorenni", in Prospettive assistenziali, n. 116,
ottobre-dicembre 1996.
(8) Analoga lettera è stata inviata
in data 18 agosto 1997 dallo stesso Comitato al Sindaco, agli Assessori al
bilancio e all'assistenza e ai Capi Gruppo del Consiglio comunale di Bologna.
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