Notiziario dell'Unione nazionale
delle associazioni per la salute mentale
INDAGINE
PARLAMENTARE SULLA CHIUSURA DEGLI OSPEDALI PSICHIATRICI
Dopo un'ampia e approfondita indagine conoscitiva, la Commissione Affari sociali
della Camera dei Deputati in data 16 luglio 1997 ha approvato un documento
conclusivo, predisposto dall'On. Giuseppe Lumia, di cui riportiamo le parti
salienti.
I piani regionali
(...) L'analisi dei piani
regionali dimostra alcune pericolose linee di tendenza, da modificare con
urgenza:
- i progetti di dismissione dei
singoli istituti non sempre prevedono tempi certi per la definitiva chiusura
degli ospedali psichiatrici, circostanza che rende particolarmente ardua
l'attività di controllo e di monitoraggio (...);
- i progetti di dismissione dei
singoli istituti prevedono sovente il riutilizzo delle aree ex ospedali psichiatrici
per la realizzazione di discutibili strutture alternative, nonostante gli
elevati costi connessi alla ristrutturazione degli immobili e soprattutto in
contrasto con gli indirizzi legislativi adottati in questa materia. Tale
pratica consente, peraltro in aperta violazione della legge n. 180, nuove
ammissioni all'interno degli ospedali psichiatrici.
La situazione attuale degli
ospedali psichiatrici
I dati relativi agli istituti
II processo di chiusura degli
ospedali psichiatrici riguarda, secondo i dati forniti dal Ministero della
sanità, 62 istituti pubblici e 14 istituti privati, per un totale di 20.291
posti letto, di cui 12.951 pubblici e 7.340 privati.
Risulterebbero, secondo i dati
fomiti dal Ministero, già chiusi gli ospedali psichiatrici di Reggio Calabria
(1992), Arezzo, Collegno-Grugliasco, S. Ambrogio di Valpolicella (VR), Rovigo
(1994), Sacile (PN), Noventa Vicentina, Monselice (PD), Oderzo (TV) (1995),
Feltre (BL), Treviso, Valdobbiadene, Perugia, Gorizia, Udine, Roncati (BO),
Lolli (Imola) (1996). Tali dati risultano, tuttavia, contraddetti dai piani
trasmessi dalle regioni o dalle dichiarazioni rese dai loro rappresentanti
nelle audizioni che fanno riferimento a istituti considerati chiusi. In non
pochi casi è stata, difatti, deliberata una chiusura formale, di tipo burocratico-amministrativo,
con la conseguente trasformazione dei "degenti" in
"ospiti". Si tratta, evidentemente, di una modalità che la
Commissione non può accettare o condividere.
Gli istituti ancora aperti sono
diventati strutture fatiscenti, spesso collocati in parchi stupendi.
Internamente è stata mantenuta la classica suddivisione
ospedaliero-manicomiale per padiglioni, al cui interno mancano spazi
personalizzati e servizi igienici adeguati.
Gli istituti, inoltre, hanno
vissuto in una situazione di forte isolamento rispetto ai Centri di
salute mentale, ai servizi sociali dei Comuni, alla vita culturale, sociale e
produttiva del territorio. Non sono mancate, certamente, alcune positive
iniziative in questo senso, che, tuttavia, hanno mantenuto carattere episodico
e di improvvisazione.
I dati relativi ai degenti
Un primo dato che è emerso con
drammatica evidenza è la mancanza di dati certi, dettagliati e uniformi su
ciò che è realmente avvenuto negli ospedali psichiatrici a decorrere dalla
riforma del 1980 e sul destino che hanno avuto in sorte i degenti che hanno
lasciato i manicomi a partire da quell'anno. Il Parlamento dovrebbe chiedersi e
chiedere alla società che tipo di vita hanno condotto le migliaia di persone
vissute dentro le strutture manicomiali, dove sono andate a finire i degenti,
che sono stati dimessi, quale assistenza hanno ricevuto, in che modo sono stati
aiutati ad inserirsi nella società, quanti sono morti e per quali cause, quanti
ancora sopravvivono. Allo scopo di rispondere a qualcuno di questi quesiti, la
Commissione ha richiesto alle Regioni l'analisi storica dei dati relativi ai
degenti a decorrere dal 1980, specificando il numero dei degenti dimessi, le
cause di dimissione e quelle di morte: le Regioni, tuttavia, hanno in larga
parte eluso tali quesiti e anche quando hanno risposto non hanno saputo
fornire indicazioni certe. Mai, infatti, sono state fatte serie verifiche
sulla sorte dei pazienti dimessi dagli ospedali psichiatrici.
Appare comunque fuori dubbio che
solo in pochi casi si è saputo assicurare un adeguato e personalizzato
percorso di reinserimento e che la maggior parte delle persone hanno vissuto la
propria dimissione in situazioni di classica improvvisazione e di tragico
abbandono. La storia della chiusura degli ospedali psichiatrici ha bisogno
ancora di essere scritta, pienamente con pacatezza ed al di fuori delle pur
straordinarie passioni che hanno animato la stagione della legge 180.
La Commissione avverte la
necessità che il Parlamento sia messo nelle condizioni di poter valutare il
percorso compiuto e da compiere partendo da una ferma consapevolezza: era ed è
necessario chiudere, ma con maggiore progettualità e attenzione alle strutture
alternative ed al sostegno da fornire alle persone coinvolte e alle loro
famiglie.
I soli dati complessivi, quelli
forniti dal Ministero della sanità, indicano in 80 mila il numero dei pazienti
che hanno lasciato gli ospedali psichiatrici dopo il 1980: un terzo di questi
sono deceduti, gli altri sono stati inseriti in comunità terapeutiche o
riabilitative, in RSA, in istituzioni geriatriche o, ancora, in strutture
private.
Secondo i dati forniti dal
Ministero della sanità i pazienti attualmente ricoverati negli istituti sono
17.078, di cui 11.892 preso le strutture pubbliche e 5.186 presso strutture
private. Si tratta di dati ritenuti attendibili dai componenti
dell'Osservatorio per la tutela della salute mentale istituito presso il
Ministero, mentre alcuni intervenuti nel corso delle audizioni hanno sostenuto
che il processo di chiusura riguarda circa 22.000 persone. Vi è quindi un
problema urgente nel censimento stesso del numero dei degenti aggravato dal
fatto che la trasformazione dei "pazienti" in "ospiti"
incide sulla determinazione del numero dei degenti effettivi: allo scopo di
evitare distorsioni eccessive dei dati reali si potrebbe procedere alla rilevazione
dei dati su base decentrata.
Molte persone hanno vissuto fino
a pochi giorni fa dentro gli ospedali psichiatrici, in condizioni per lo più
spaventose, con un'organizzazione sanitaria quasi sempre orientata alla
semplice custodia e quasi mai alla riabilitazione ed al reinserimento. Dalle
stesse visite effettuate negli ex ospedali psichiatrici, dislocati nel nostro
Paese, si è potuto constatare la drammatica condizione dei malati ancora
ricoverati.
Le persone non ricevono cure
adeguate: si fa solo un uso ripetuto (ed in molti casi smodato) di psicofarmaci.
Non c'è un'assistenza personalizzata: i degenti si alzano la mattina presto,
spesso non hanno indumenti propri, ma indossano casacche anonime e scarpe di
misura diverse dalla propria. La giornata scorre senza attività organizzate,
senza alcuna iniziativa alla socializzazione e scorre via in ambienti del
tutto privi di qualsiasi stimolo, visivo, uditivo, tattile, ecc. Quando è stata
trovata una struttura più pulita, o almeno meno fatiscente, si è potuta
comunque riscontrare una logica, un'impostazione, sempre molto
"istituzionalizzante", tutta tesa a separare i degenti dalla
"normalità" e a farli vivere una giornata vuota, senza senso, che
scorre nell'incuria più totale e di frequente nella sporcizia.
Le persone ricoverate sono spesso
lasciate in una totale promiscuità. Convivono insieme persone con età diversa,
ma soprattutto in condizioni diverse: anziani, portatori di handicap, disagiati
psichici gravissimi, gravi e persone leggermente disturbate.
II personale infermieristico è
stato per lo più selezionato e reclutato senza alcuna formazione professionale
specifica e - al di là di casi eccezionali - ha subito anch'esso un lento
percorso di istituzionalizzazione e di totale demotivazione al lavoro. II
personale medico ha subito via via lo stesso percorso adeguandosi al degrado
di una struttura sanitaria non programmata per curare né per riabilitare, ma
per "mantenere in vita" e custodire.
Le Aziende sanitarie e le
Regioni si sono sostanzialmente disinteressate degli ex ospedali psichiatrici:
non si sono preoccupate dei costi-benefici e di preparare seri programmi di
chiusura. Naturalmente bisogna differenziare molto l'analisi per ciò che
riguarda il passato e riconoscere che diverse Regioni ed
USL hanno fatto responsabilmente la propria parte in termini di innovazione e
di reale cambiamento. Comunque, nelle Regioni in cui esistono gli ex ospedali
psichiatrici analizzate dalla Commissione, è possibile riscontrare quasi
ovunque responsabilità gravissime e ritardi ingiustificabili.
Storicamente, il Ministero della
sanità da sempre non si è contraddistinto con un ruolo positivo, anzi ha
riprodotto tutti i vizi riscontrati nelle Regioni e nelle Aziende sanitarie.
Non ha svolto azioni di indirizzo, di controllo, di monitoraggio né di
tutoraggio in favore di una reale chiusura dei manicomi.
II progetto obiettivo 1994-1996
è stato quasi completamente disatteso. L'Osservatorio per la salute mentale
non è stato messo nelle condizioni di fare bene la propria parte e comunque è
arrivato in ritardo rispetto all'attuazione della positiva legislazione
disposta dalla finanziaria del 1994 e del 1997.
In conclusione il giudizio è
evidentemente negativo. Gli ospedali psichiatrici ancora aperti non possono
essere assolti e chi li ha tenuti in vita con le descritte modalità ha delle
gravissime responsabilità di cui farsi carico.
Probabilmente non poteva andare
diversamente poiché il manicomio, proprio per come è stato strutturato,
produce inevitabilmente degrado in quanto non è adatto a svolgere quelle
funzioni di cura, riabilitazione e reinserimento sociale. Certamente lo
sguardo dovrebbe essere anche allargato per cogliere i limiti di una società
che ha rimosso il problema dei malati di mente o ha addirittura ostacolato gli
straordinari percorsi, che pure a volte ci sono stati, di tipo terapeutico e
sociale.
Bisogna chiedersi quanti
magistrati hanno fatto il proprio dovere per smascherare la violazione dei
diritti umani oltre ai più elementari diritti di cittadinanza; quante imprese
si sono arricchite per fornire beni e servizi del tutto privi dei necessari
requisiti di qualità; quante speculazioni si sono celate dietro le diagnosi
fatte a persone prive di qualsiasi malattia mentale, ricoverate per decenni in
manicomio (...).
Conclusioni
La Commissione ha dovuto prendere atto che il processo di
chiusura è stato appena avviato e presenta numerose ambiguità e ha maturato il
convincimento che esistono alcuni pericoli da evitare assolutamente.
In
particolare è necessario evitare di:
- "scaricare" le persone che vivono ancora
dentro gli ex ospedali psichiatrici al loro destino (o scaricarli alle
famiglie, quando ci sono), per dimostrare formalmente la chiusura dei manicomi
prescindendo da percorsi personalizzati e reali di cura, riabilitazione e
reinserimento;
- adeguarsi alle "false chiusure". In molti ex
ospedali psichiatrici è in atto un processo di ristrutturazione che
vuole semplicemente rimodernare i vecchi padiglioni e mantenere in questi
contesti i vecchi degenti. In qualche caso si vuole addirittura paradossalmente
aprire ai nuovi ricoveri attraverso le cosiddette comunità riabilitative;
-
utilizzare sempre le stesse strutture e le aree manicomiali per fare RSA per i
degenti anziani e per i portatori di handicap degli ex ospedali psichiatrici,
anche al di là della regolamentazione prevista dalle linee guida del Ministero
della sanità. Anche in questo caso si commetterebbe un tragico errore che non
modificherebbe sostanzialmente la condizione di vita di queste persone;
-avviare
percorsi di chiusura senza preparare adeguatamente il trasferimento in
strutture alternative. È necessario prestare molta attenzione a non ricreare
dei "piccoli manicomi" in luoghi diversi dagli ex ospedali
psichiatrici, ma altrettanto istituzionalizzati;
- scaricare
i degenti degli ex ospedali psichiatrici in strutture private che non hanno
alcun requisito alternativo agli ospedali psichiatrici. Questa scorciatoia
viene spesso utilizzata pur di chiudere formalmente gli ex ospedali
psichiatrici, oppure, cosa ancor più grave, per garantire interessi locali che
mirano a trasformare l'evento chiusura in un giro di affari;
-
utilizzare a fini speculativi il patrimonio degli ex ospedali psichiatrici oppure abbandonarli a se stessi
senza trarne quel reddito che è necessario per essere reinvestito nel settore
della salute mentale;
-
favorire la tragica contrapposizione fra gli interessi
degli attuali ricoverati negli ex ospedali psichiatrici, che si riverseranno
nelle scarse e deboli strutture territoriali alternative, e la nuova utenza,
oggi molto vasta e con poche opportunità di cura e di riabilitazione (...).
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