Prospettive assistenziali, n. 119, luglio-settembre 1997

 

 

Notiziario dell'Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale

 

 

INDAGINE PARLAMENTARE SULLA CHIUSURA DEGLI OSPEDALI PSICHIATRICI

 

Dopo un'ampia e approfondita indagine conosciti­va, la Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati in data 16 luglio 1997 ha approvato un docu­mento conclusivo, predisposto dall'On. Giuseppe Lumia, di cui riportiamo le parti salienti.

 

I piani regionali

(...) L'analisi dei piani regionali dimostra alcune pericolose linee di tendenza, da modificare con urgenza:

- i progetti di dismissione dei singoli istituti non sempre prevedono tempi certi per la definitiva chiu­sura degli ospedali psichiatrici, circostanza che rende particolarmente ardua l'attività di controllo e di moni­toraggio (...);

- i progetti di dismissione dei singoli istituti preve­dono sovente il riutilizzo delle aree ex ospedali psi­chiatrici per la realizzazione di discutibili strutture alternative, nonostante gli elevati costi connessi alla ristrutturazione degli immobili e soprattutto in contra­sto con gli indirizzi legislativi adottati in questa mate­ria. Tale pratica consente, peraltro in aperta violazio­ne della legge n. 180, nuove ammissioni all'interno degli ospedali psichiatrici.

 

La situazione attuale degli ospedali psichiatrici

I dati relativi agli istituti

II processo di chiusura degli ospedali psichiatrici riguarda, secondo i dati forniti dal Ministero della sanità, 62 istituti pubblici e 14 istituti privati, per un totale di 20.291 posti letto, di cui 12.951 pubblici e 7.340 privati.

Risulterebbero, secondo i dati fomiti dal Ministero, già chiusi gli ospedali psichiatrici di Reggio Calabria (1992), Arezzo, Collegno-Grugliasco, S. Ambrogio di Valpolicella (VR), Rovigo (1994), Sacile (PN), Noventa Vicentina, Monselice (PD), Oderzo (TV) (1995), Feltre (BL), Treviso, Valdobbiadene, Perugia, Gorizia, Udine, Roncati (BO), Lolli (Imola) (1996). Tali dati risultano, tuttavia, contraddetti dai piani trasmes­si dalle regioni o dalle dichiarazioni rese dai loro rap­presentanti nelle audizioni che fanno riferimento a istituti considerati chiusi. In non pochi casi è stata, difatti, deliberata una chiusura formale, di tipo buro­cratico-amministrativo, con la conseguente trasfor­mazione dei "degenti" in "ospiti". Si tratta, evidente­mente, di una modalità che la Commissione non può accettare o condividere.

Gli istituti ancora aperti sono diventati strutture fati­scenti, spesso collocati in parchi stupendi. Internamente è stata mantenuta la classica suddivi­sione ospedaliero-manicomiale per padiglioni, al cui interno mancano spazi personalizzati e servizi igieni­ci adeguati.

Gli istituti, inoltre, hanno vissuto in una situazione di forte isolamento rispetto ai Centri di salute mentale, ai servizi sociali dei Comuni, alla vita culturale, sociale e produttiva del territorio. Non sono mancate, certa­mente, alcune positive iniziative in questo senso, che, tuttavia, hanno mantenuto carattere episodico e di improvvisazione.

I dati relativi ai degenti

Un primo dato che è emerso con drammatica evi­denza è la mancanza di dati certi, dettagliati e unifor­mi su ciò che è realmente avvenuto negli ospedali psichiatrici a decorrere dalla riforma del 1980 e sul destino che hanno avuto in sorte i degenti che hanno lasciato i manicomi a partire da quell'anno. Il Parlamento dovrebbe chiedersi e chiedere alla società che tipo di vita hanno condotto le migliaia di persone vissute dentro le strutture manicomiali, dove sono andate a finire i degenti, che sono stati dimessi, quale assistenza hanno ricevuto, in che modo sono stati aiutati ad inserirsi nella società, quanti sono morti e per quali cause, quanti ancora sopravvivono. Allo scopo di rispondere a qualcuno di questi quesiti, la Commissione ha richiesto alle Regioni l'analisi sto­rica dei dati relativi ai degenti a decorrere dal 1980, specificando il numero dei degenti dimessi, le cause di dimissione e quelle di morte: le Regioni, tuttavia, hanno in larga parte eluso tali quesiti e anche quan­do hanno risposto non hanno saputo fornire indica­zioni certe. Mai, infatti, sono state fatte serie verifiche sulla sorte dei pazienti dimessi dagli ospedali psichia­trici.

Appare comunque fuori dubbio che solo in pochi casi si è saputo assicurare un adeguato e personaliz­zato percorso di reinserimento e che la maggior parte delle persone hanno vissuto la propria dimissione in situazioni di classica improvvisazione e di tragico abbandono. La storia della chiusura degli ospedali psichiatrici ha bisogno ancora di essere scritta, pie­namente con pacatezza ed al di fuori delle pur straor­dinarie passioni che hanno animato la stagione della legge 180.

La Commissione avverte la necessità che il Parlamento sia messo nelle condizioni di poter valu­tare il percorso compiuto e da compiere partendo da una ferma consapevolezza: era ed è necessario chiu­dere, ma con maggiore progettualità e attenzione alle strutture alternative ed al sostegno da fornire alle per­sone coinvolte e alle loro famiglie.

I soli dati complessivi, quelli forniti dal Ministero della sanità, indicano in 80 mila il numero dei pazien­ti che hanno lasciato gli ospedali psichiatrici dopo il 1980: un terzo di questi sono deceduti, gli altri sono stati inseriti in comunità terapeutiche o riabilitative, in RSA, in istituzioni geriatriche o, ancora, in strutture private.

Secondo i dati forniti dal Ministero della sanità i pazienti attualmente ricoverati negli istituti sono 17.078, di cui 11.892 preso le strutture pubbliche e 5.186 presso strutture private. Si tratta di dati ritenuti attendibili dai componenti dell'Osservatorio per la tutela della salute mentale istituito presso il Ministero, mentre alcuni intervenuti nel corso delle audizioni hanno sostenuto che il processo di chiusura riguarda circa 22.000 persone. Vi è quindi un problema urgen­te nel censimento stesso del numero dei degenti aggravato dal fatto che la trasformazione dei "pazien­ti" in "ospiti" incide sulla determinazione del numero dei degenti effettivi: allo scopo di evitare distorsioni eccessive dei dati reali si potrebbe procedere alla rile­vazione dei dati su base decentrata.

Molte persone hanno vissuto fino a pochi giorni fa dentro gli ospedali psichiatrici, in condizioni per lo più spaventose, con un'organizzazione sanitaria quasi sempre orientata alla semplice custodia e quasi mai alla riabilitazione ed al reinserimento. Dalle stesse visite effettuate negli ex ospedali psichiatrici, disloca­ti nel nostro Paese, si è potuto constatare la dram­matica condizione dei malati ancora ricoverati.

Le persone non ricevono cure adeguate: si fa solo un uso ripetuto (ed in molti casi smodato) di psicofar­maci. Non c'è un'assistenza personalizzata: i degenti si alzano la mattina presto, spesso non hanno indu­menti propri, ma indossano casacche anonime e scarpe di misura diverse dalla propria. La giornata scorre senza attività organizzate, senza alcuna inizia­tiva alla socializzazione e scorre via in ambienti del tutto privi di qualsiasi stimolo, visivo, uditivo, tattile, ecc. Quando è stata trovata una struttura più pulita, o almeno meno fatiscente, si è potuta comunque riscontrare una logica, un'impostazione, sempre molto "istituzionalizzante", tutta tesa a separare i degenti dalla "normalità" e a farli vivere una giornata vuota, senza senso, che scorre nell'incuria più totale e di frequente nella sporcizia.

Le persone ricoverate sono spesso lasciate in una totale promiscuità. Convivono insieme persone con età diversa, ma soprattutto in condizioni diverse: anziani, portatori di handicap, disagiati psichici gra­vissimi, gravi e persone leggermente disturbate.

II personale infermieristico è stato per lo più sele­zionato e reclutato senza alcuna formazione profes­sionale specifica e - al di là di casi eccezionali - ha subito anch'esso un lento percorso di istituzionalizza­zione e di totale demotivazione al lavoro. II personale medico ha subito via via lo stesso percorso adeguan­dosi al degrado di una struttura sanitaria non pro­grammata per curare né per riabilitare, ma per "man­tenere in vita" e custodire.

Le Aziende sanitarie e le Regioni si sono sostan­zialmente disinteressate degli ex ospedali psichiatrici: non si sono preoccupate dei costi-benefici e di pre­parare seri programmi di chiusura. Naturalmente bisogna differenziare molto l'analisi per ciò che

riguarda il passato e riconoscere che diverse Regioni ed USL hanno fatto responsabilmente la propria parte in termini di innovazione e di reale cambiamen­to. Comunque, nelle Regioni in cui esistono gli ex ospedali psichiatrici analizzate dalla Commissione, è possibile riscontrare quasi ovunque responsabilità gravissime e ritardi ingiustificabili.

Storicamente, il Ministero della sanità da sempre non si è contraddistinto con un ruolo positivo, anzi ha riprodotto tutti i vizi riscontrati nelle Regioni e nelle Aziende sanitarie. Non ha svolto azioni di indirizzo, di controllo, di monitoraggio né di tutoraggio in favore di una reale chiusura dei manicomi.

II progetto obiettivo 1994-1996 è stato quasi com­pletamente disatteso. L'Osservatorio per la salute mentale non è stato messo nelle condizioni di fare bene la propria parte e comunque è arrivato in ritardo rispetto all'attuazione della positiva legislazione disposta dalla finanziaria del 1994 e del 1997.

In conclusione il giudizio è evidentemente negativo. Gli ospedali psichiatrici ancora aperti non possono essere assolti e chi li ha tenuti in vita con le descritte modalità ha delle gravissime responsabilità di cui farsi carico.

Probabilmente non poteva andare diversamente poiché il manicomio, proprio per come è stato struttu­rato, produce inevitabilmente degrado in quanto non è adatto a svolgere quelle funzioni di cura, riabilita­zione e reinserimento sociale. Certamente lo sguardo dovrebbe essere anche allargato per cogliere i limiti di una società che ha rimosso il problema dei malati di mente o ha addirittura ostacolato gli straordinari per­corsi, che pure a volte ci sono stati, di tipo terapeuti­co e sociale.

Bisogna chiedersi quanti magistrati hanno fatto il proprio dovere per smascherare la violazione dei dirit­ti umani oltre ai più elementari diritti di cittadinanza; quante imprese si sono arricchite per fornire beni e servizi del tutto privi dei necessari requisiti di qualità; quante speculazioni si sono celate dietro le diagnosi fatte a persone prive di qualsiasi malattia mentale, ricoverate per decenni in manicomio (...).

 

 

Conclusioni

 

La Commissione ha dovuto prendere atto che il processo di chiusura è stato appena avviato e pre­senta numerose ambiguità e ha maturato il convinci­mento che esistono alcuni pericoli da evitare assolu­tamente.

In particolare è necessario evitare di:

- "scaricare" le persone che vivono ancora dentro gli ex ospedali psichiatrici al loro destino (o scaricarli alle famiglie, quando ci sono), per dimostrare formal­mente la chiusura dei manicomi prescindendo da per­corsi personalizzati e reali di cura, riabilitazione e reinserimento;

- adeguarsi alle "false chiusure". In molti ex ospe­dali psichiatrici è in atto un processo di ristrutturazio­ne che vuole semplicemente rimodernare i vecchi padiglioni e mantenere in questi contesti i vecchi degenti. In qualche caso si vuole addirittura parados­salmente aprire ai nuovi ricoveri attraverso le cosid­dette comunità riabilitative;

- utilizzare sempre le stesse strutture e le aree manicomiali per fare RSA per i degenti anziani e per i portatori di handicap degli ex ospedali psichiatrici, anche al di là della regolamentazione prevista dalle linee guida del Ministero della sanità. Anche in questo caso si commetterebbe un tragico errore che non modificherebbe sostanzialmente la condizione di vita di queste persone;

-avviare percorsi di chiusura senza preparare ade­guatamente il trasferimento in strutture alternative. È necessario prestare molta attenzione a non ricreare dei "piccoli manicomi" in luoghi diversi dagli ex ospe­dali psichiatrici, ma altrettanto istituzionalizzati;

- scaricare i degenti degli ex ospedali psichiatrici in strutture private che non hanno alcun requisito alter­nativo agli ospedali psichiatrici. Questa scorciatoia viene spesso utilizzata pur di chiudere formalmente gli ex ospedali psichiatrici, oppure, cosa ancor più grave, per garantire interessi locali che mirano a tra­sformare l'evento chiusura in un giro di affari;

- utilizzare a fini speculativi il patrimonio degli ex ospedali psichiatrici oppure abbandonarli a se stessi senza trarne quel reddito che è necessario per esse­re reinvestito nel settore della salute mentale;

-          favorire la tragica contrapposizione fra gli interes­si degli attuali ricoverati negli ex ospedali psichiatrici, che si riverseranno nelle scarse e deboli strutture ter­ritoriali alternative, e la nuova utenza, oggi molto vasta e con poche opportunità di cura e di riabilitazio­ne (...).

 

 

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