Prospettive assistenziali, n. 119, luglio-settembre 1997

 

 

VOLONTARIATO DEI DIRITTI: LINEE GUIDA PER L'ATTIVITÀ DELL'ULCES

 

 

Tra i soci e il consiglio direttivo dell'ULCES si è svol­to in questi ultimi mesi un interessante dibattito, sti­molato da un documento della sezione di Ivrea, che ha posto sostanzialmente una domanda di fondo, che possiamo così riassumere: "Ha senso la nostra attività di volontariato? E se sì, sono sempre validi gli obiettivi e gli strumenti che ci siamo dati fin qui?". La domanda è stata vivacemente approfondita nel corso del consiglio direttivo tenutosi a Torino il 18 gennaio 1997 e da parte della maggioranza dei con­siglieri intervenuti è stato confermato che non solo ha senso, ma è anche tuttora valida la strategia adottata dall'ULCES, benché sia sempre più difficile stare dalla parte di chi non conta nulla. A questo proposito era stato messo a disposizione dei consi­glieri - come contributo al dibattito - l'articolo di Antonio Gambino (1) che con argomentazioni arti­colate dimostra come il sistema democratico, in cui viviamo, da tempo abbia rinunciato ad assicurare la partecipazione di tutti i cittadini, per diventare quello che esclude invece una fetta di popolazione. Gambino definisce questo fenomeno come "la democrazia dei 7/8", e la chiama così perché la sua essenza sta nel fatto che tutti gli aspiranti uomini politici, al momento di formulare i loro programmi decidono di abbandonare al proprio destino il setto­re marginale più basso della cittadinanza (vale a dire quel 12-15 per cento che in tutti i paesi occi­dentali costituisce la "underclass", e le cui esigenze, se fossero davvero prese in considerazione, si dimostrerebbero "incompatibili" con le richieste degli altri settori sociali, per concentrare la loro attenzione unicamente sulla maggioranza di coloro che già "hanno" o che sperano di "avere".

È evidente che si tratta di un gruppo di persone che, come giustamente evidenzia Gambino, non è appetibile, in quanto estraneo alla competizione elettorale. Secondo la nostra analisi, in Italia questo si è da tempo tradotto con l'esclusione sociale negli istituti di assistenza o con altre forme di emargina­zione (vedi ad esempio i barboni) di chi non sta al passo con le esigenze di efficienza e profitto. Viene ricordato a questo proposito, che proprio grazie alle battaglie condotte per la conquista del diritto all'inte­grazione scolastica degli handicappati, alla famiglia per i minori in situazione di abbandono e, più in generale, al diritto alla casa, al lavoro, ai trasporti... sono usciti dal circuito assistenziale più di 240 mila minori (di cui 50.000 adottati), che erano ricoverati negli istituti di assistenza. Nello stesso tempo gli handicappati e gli anziani autosufficienti che ricevo­no adeguati servizi a domicilio, restano a casa pro­pria il più a lungo possibile.

Dal 1985, per effetto del decreto amministrativo del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 ago­sto, si è invece aggravata la situazione delle perso­ne malate croniche non autosufficienti, che il settore sanitario (ospedali, case di cura, istituti di riabilita­zione...) ha deciso di espellere perché ritenuti ingua­ribili e, perciò, bisognosi di "sola assistenza" e non di cure mediche, anche se in evidente contrasto con il diritto alle cure senza limiti di tempo sancito inve­ce dalle leggi nazionali tuttora in vigore, per tutti i malati, cronici non autosufficienti compresi.

La stessa cosa oggi accade, nell'indifferenza generale, per i ricoverati degli ospedali psichiatrici, chiusi per legge il 31 dicembre 1996.

In realtà, nella grande maggioranza dei casi, si tratta di un semplice cambio di targa: da ospedale psichiatrico si assume la dizione di RSA (residenza sanitaria assistenziale) con le seguenti conseguen­ze per i pazienti: improvvisamente non sono più malati, ma solo più "anziani non autosufficienti"; per­dono il diritto ad essere curati come pazienti psi­chiatrici: in compenso - per il niente di cura che avranno - devono pagare per il loro ricovero.

Proprio perché ci troviamo in una società in cui governano i più forti, vi è un calo della tensione poli­tica ideale e, soprattutto, in questi ultimi tempi, è in continua discussione la riforma del "Welfare State": sarebbe quanto mai illusorio ritenere che i gruppi che stanno meglio accettino di rinunciare ai loro pri­vilegi per migliorare le condizioni di vita di chi non può che subire le decisioni degli altri non essendo in grado di difendersi da solo.

 

Difendere chi non può difendersi

Di fatto la scelta dell'ULCES è sempre stata quel­la di privilegiare questa parte della popolazione, individuando chi non è in grado di difendersi e di protestare, perché si trova in condizioni personali, sociali o sanitarie che lo rendono non autosufficien­te e dipendente dall'intervento/aiuto di altri. Per que­ste ragioni si è scelto di operare per i minori in situa­zione di abbandono o con famiglie problematiche, per gli handicappati con particolare riguardo a chi ha un handicap intellettivo, per gli anziani malati croni­ci e non più autosufficienti.

L'ULCES ritiene di dover continuare a stare dalla parte di chi è ancora più dimenticato perché non atti­ra l'attenzione/preoccupazione della collettività, pro­prio perché non crea disagio e non si fa sentire.

Certamente dall'inizio (1965) ad oggi alcune cose per fortuna sono cambiate. A mano a mano che si sono conquistati nuovi diritti e si è allargato il nume­ro delle persone e dei gruppi sociali che si interes­sano di queste tre tipologie, I'ULCES ha scelto di intervenire sulle fasce più deboli che emergevano all'interno di questi stessi tre gruppi sociali. Pensiamo, ad esempio, nel campo dei minori, al numero delle associazioni che vi operano o agli stessi interessati che hanno acquisito capacità di autodifesa, come gli handicappati fisici.

 

Tra solidarietà e diritti

Vi sono molteplici gruppi di volontariato che si adoperano nei confronti di persone o nuclei in diffi­coltà con uno scopo che possiamo definire consola­torio o di supplenza a carenze delle istituzioni.

Schematicamente possiamo parlare di volontaria­to della solidarietà, il cui limite però si evidenzia nel fatto che non interviene - se non assai raramente - per combattere le cause sociali ed economiche che determinano o favoriscono difficoltà, emarginazione, o per ottenere che vi sia la sicurezza di un diritto certo per la persona che si trova in difficoltà, che non può certo contare solo sull'eventuale presenza di volontari o di servizi attivati dal volontariato.

Da sempre I'ULCES ha cercato di valorizzare il volontariato del singolo (affidamento, vicinato, aiuto a domicilio), o dell'associazione che promuoveva servizi alternativi (ad esempio comunità alloggio) e ha cercato l'alleanza e la collaborazione- poche per la verità quelle ottenute - con quanti alle azioni di aiuto alla persona hanno saputo coniugare le inizia­tive necessarie per promuovere l'affermazione dei diritti delle persone coinvolte (vedi l'ultimo docu­mento siglato con il Gruppo Abele, le Associazioni DIAPSI e Lotta contro la malattia mentale, Barto­lomeo & C., la Consulta per le persone in difficoltà).

Tuttavia, I'ULCES sin dall'inizio della sua attività ha scelto di non intervenire direttamente nell'assi­stenza personale caso per caso, né di gestire diret­tamente servizi, ma di essere promotore della loro realizzazione (vedi ad esempio il servizio di ospeda­lizzazione a domicilio, la creazione dell'Associa­zione di volontariato a domicilio, ecc.)

L'ULCES ha scelto anche di intervenire sui casi singoli (vedi la consulenza fornita ai parenti di anzia­ni cronici non autosufficienti), ma per promuovere l'affermazione in generale dei diritti per tutte le per­sone che ne sono coinvolte.

 

I diritti: solo lo Stato li può garantire

L'ULCES continua a ritenere che sia prioritario battersi per ottenere il riconoscimento dei diritti delle persone, attraverso le leggi, impegnandosi per farle rispettare da parte degli enti pubblici che sono tenu­ti a provvedervi o di modificarle se non sono ade­guate.

È attraverso l'emanazione di leggi (vedi ad esem­pio quella sull'adozione) o il rispetto di quelle esi­stenti (è il caso della situazione degli anziani cronici non autosufficienti che si riesce a far curare in strut­ture sanitarie avvalendosi proprio delle leggi nazio­nali) che si è potuto e si può assicurare alle persone le risposte ai loro bisogni. Continuiamo, invece, ad adoperarci per la modifica, ad esempio, della legge 482 del 1968 per il collocamento al lavoro degli han­dicappati.

Non è necessariamente l'ente locale pubblico a dover gestire i servizi: la pratica della convenzione tra pubblico e privato per la gestione delle attività (in particolare da parte delle cooperative) o la diffusio­ne del servizio di affidamento familiare a scopo edu­cativo (che punta addirittura al coinvolgimento delle singole persone), testimoniano la possibilità dell'in­tegrazione pubblico/privato.

L'ULCES ribadisce però che il finanziamento e la programmazione dei servizi (ed il loro controllo) sono precisi compiti dell'Ente locale. Regione, Comuni o Consorzi dei Comuni devono prevedere i servizi in misura sufficiente al fabbisogno per evita­re che le persone debbano ricorrere al ricovero, spe­cie in istituto.

 

L'azione rivendicativa

L'azione del volontariato dei diritti è prevalente­mente rivendicativa. Come abbiamo visto, si tratta di assumere la difesa di "una minoranza che non conta": è ovvio che con la sola persuasione è impos­sibile pensare di ottenere da parte di chi conta il rispetto degli interessi di chi non è elettoralmente appetibile e non può farsi sentire.

D'altra parte, a conferma che le strategie fin qui adottate dall'ULCES premiano, ci sono i risultati ottenuti nei settori sui quali ci siamo impegnati.

a) Minori - Innanzitutto prendiamo in esame il dato importantissimo che riguarda i minori ricoverati negli istituti di assistenza che sono passati dai 300 mila del 1960 ai 40 mila attuali. Inoltre I'ULCES, unita­mente all'ANFAA con la quale ha finora condiviso tutte le battaglie, ha ottenuto:

- un capovolgimento di mentalità, per cui oggi il ricovero in istituto è da tutti riconosciuto come dan­noso per la persona;

- l'estensione dell'adozione, compresa quella internazionale, al punto che il rapporto attuale è di ben 15-20 famiglie disponibili per ogni bambino adottabile;

- la diffusione dell'affidamento familiare a scopo educativo;

- l'adozione e l'affidamento anche di minori malati o con gravi handicap;

- la creazione di comunità alloggio e case-famiglia.

b) Handicappati intellettivi e fisici con limitata auto­nomia - L'ULCES, unitamente al CSA - Coordi­namento sanità e assistenza fra i movimenti di base di Torino, ha ottenuto:

- l'assunzione di più di 300 handicappati intelletti­vi e di oltre 40 handicappati fisici con ridotta capa­cità lavorativa, per la sola città di Torino, in posti di lavoro pubblici e privati;

- l'istituzione dei corsi prelavorativi di formazione professionale per handicappati intellettivi;

- l'apertura di centri diurni assistenziali per handi­cappati intellettivi, non inseribili al lavoro per la gra­vità delle loro condizioni, aperti cinque giorni alla settimana e per circa 7 ore al giorno;

- la creazione di comunità alloggio e di conviven­ze guidate, in alternativa al ricovero in istituto;

- il servizio taxi per chi non deambula;

- la messa a disposizione di alloggi accessibili.

c) Anziani cronici non autosufficienti - Con l'azione svolta dal Comitato per la difesa dei diritti degli assi­stiti, di cui I'ULCES è promotore e primo sostenito­re, si sono raggiunti i seguenti obiettivi:

- si sono impedite le dimissioni di più di duemila anziani cronici non autosufficienti da ospedali o altre strutture sanitarie;

- è stato istituito il servizio di ospedalizzazione a domicilio che finora ha curato gratuitamente a casa loro più di 2.000 persone;

- è stato aperto a Torino il primo centro diurno sanitario per malati di Alzheimer;

- si è ottenuta la gestione sanitaria (e non assi­stenziale con supporto sanitario) della RSA di Via Braccini a Torino;

- sono aumentati i posti di riabilitazione e lungo­degenza convenzionati.

d) La scuola dei diritti "Daniela Sessano" - L'UL­CES ha promosso "La scuola dei diritti Daniela Sessano" per mettere a disposizione di altri l'espe­rienza maturata come volontariato dei diritti.

La Scuola ha avuto un buon successo e conti­nuiamo ad essere interpellati anche fuori regione con richieste di formazione per operatori di Aziende USL o enti locali, oltre che per volontari, associazio­ni e insegnanti della scuola.

Nell'ambito della "Scuola dei diritti" e unitamente all'UTIM (Unione per la tutela degli insufficienti men­tali) si sono affrontati altri tre temi importanti:

- l'ingiusta pretesa di contributi da parte degli enti locali ai parenti degli assistiti maggiorenni;

- il diritto alla frequenza gratuita dei centri diurni per gli handicappati intellettivi con un reddito inferio­re al minimo vitale;

- la facoltà di avviare gratuitamente la pratica di interdizione e inabilitazione.

Su questi punti l'azione di difesa del caso singolo, di denuncia pubblica (manifestazioni, volantinag­gi...), di coinvolgimento di personalità del settore (giuristi come Rescigno e Dogliotti), di forze politiche (Parlamentari, Consiglieri regionali, provinciali e comunali), ha portato anche altre associazioni a condividere la nostra posizione.

Ultimamente le nostre posizioni sono state soste­nute dal Difensore civico della Regione Piemonte e confermate dalla sentenza del Tribunale di Verona per quanto riguarda la richiesta illecita da parte degli enti pubblici di contributi ai parenti degli assistiti; di recente, è da segnalare il pronunciamento della Corte di Cassazione che ha ribadito la competenza

del servizio sanitario per la cura delle persone mala­te croniche non autosufficienti.

e) L'alibi delle risorse che mancano - Nelle tratta­tive portate avanti dall'ULCES e dal CSA, gli ammi­nistratori non osano più ricorrere all'alibi della man­canza di risorse per giustificare, ad esempio, la carenza di servizi assistenziali per gli handicappati, perché non hanno argomenti validi da opporre a, quelli sostenuti dall'ULCES e dal CSA che hanno impostato la rivendicazione sulle seguenti richieste: 1) la lotta all'evasione fiscale;

2) l'individuazione dei beni, oltre che del reddito, per stabilire la quota di partecipazione degli utenti ai servizi (ad esempio per la frequenza degli asili nido, per il pagamento della mensa scolastica...);

3) la valorizzazione dell'immenso patrimonio delle IPAB e suo utilizzo ai fini assistenziali;

4) l'imputazione dei costi sostenuti dai Comuni alle Aziende USL per il ricovero in strutture assistenziali degli anziani malati cronici non autosufficienti impro­priamente a carico del bilancio assistenziale dei Comuni stessi, quale fase d'avvio del trasferimento della gestione al settore sanitario.

 

Piste di lavoro

L'obiettivo da privilegiare è la difesa del diritto alla cura delle persone inguaribili.

Tutta la legislazione vigente conferma questo dirit­to e lo comprova il fatto che, con una semplice rac­comandata, è possibile impedire le dimissioni dagli ospedali dei pazienti malati cronici non autosuffi­cienti che non possono essere curati a domicilio.

Interessa gli anziani, le persone colpite da AIDS, i soggetti con patologie degenerative, i malati di can­cro, i pazienti psichiatrici, ecc.

Per tutti questi malati spesso si pratica, nei fatti, l'eutanasia da abbandono. Fuori dalla tutela del ser­vizio sanitario perdono ogni diritto alla cura e sono sottoposti al pagamento di ricoveri in strutture ina­deguate (vedi ad esempio le pensioni abusive...) dove muoiono spesso in condizioni disumane.

Per questo come ULCES dobbiamo concentrare le nostre azioni prioritariamente sulla richiesta di:

- servizi di cure domiciliari in tutte le USL, che assicurino la presenza di medici e infermieri almeno nell'arco delle 8-10 ore al giorno e tutti i giorni della settimana, festivi compresi (2);

- almeno un centro diurno sanitario per malati di Alzheimer in ogni Azienda USL;

- la cura in ospedale (o in altre strutture sanitarie) quando non vi sono altre alternative;

- la gestione sanitaria (con l'intervento di medici, specialisti, infermieri e personale ausiliario in nume­ro adeguato) delle RSA, residenze sanitarie assi­stenziali per anziani malati non autosufficienti.

 

Le alleanze

L'azione dell'ULCES, come emerge anche da quanto esposto in precedenza, è sempre stata caratterizzata dalla ricerca di alleanze con le asso­ciazioni e le forze culturali e sociali che potevano essere coinvolte.

Un cammino non semplice, ma sul quale è neces­sario convogliare il massimo impegno. Un primo decisivo passo è il recente accordo siglato, su que­sto tema, con l'Ordine dei medici della Provincia di Torino, che è già stato sottoscritto dal Collegio degli infermieri e dall'Associazione dei riabilitatori, aumentando così la forza contrattuale nei confronti dell'Assessorato alla sanità della Regione.

Continua quindi l'esigenza di proseguire nell'azio­ne culturale, attraverso la predisposizione di conve­gni e seminari, con la consapevolezza che l'effetto mass-media, soprattutto per quanto concerne la televisione, riduce notevolmente il nostro potere di incisione immediata.

Vi è, altresì, la necessità di diffondere gli abbona­menti a "Prospettive assistenziali" e a "Controcittà" e di incrementare le vendite di libri editi da Rosenberg & Sellier e dall'UTET Libreria.

C'è anche la necessità di individuare, ad esempio, "personaggi" che accettino di diventare testimoni delle nostre iniziative, non per raccolte bene­fiche/caritatevoli (vedi Telethon per tutte!), ma come promotori di diritti.

Contestualmente, ciascuno nella propria realtà, può sollecitare alleanze tra le parti sociali della comunità in cui vive, per coinvolgere e ricondurre ad una battaglia comune, oltre che sul tema del diritto alla cura dei malati cronici non autosufficienti, anche sui seguenti punti:

1) impedire che le RSA diventino il contenitore di tutte le persone più deboli che hanno perso ogni diritto e non hanno certo capacità per opporsi. Le RSA rischiano di essere in pratica la riproposizione moderna del vecchio istituto/ghetto, sempre conve­niente sul piano economico. Per impedire che ciò accada dobbiamo in questo momento:

- contrastare l'abbandono dei malati inguaribili (ma sempre curabili) da parte del settore sanitario; - chiedere comunità alloggio (con non più di 8-10 persone) per quanti non possono restare al proprio domicilio. Le comunità per malati di AIDS o psichia­trici devono essere gestite dalla sanità, mentre la conduzione di quelle per i minori in situazioni fami­liari problematiche e per gli handicappati che non possono continuare a vivere in famiglia e non sono in grado di gestirsi nelle convivenze protette compo­ste da 2-3 soggetti, spetta all'assistenza;

2) difendere il diritto al lavoro degli handicappati intellettivi. Vi è il serio rischio che, a fronte della con­giuntura e della messa in discussione dei diritti

acquisiti per tutti i lavoratori, si torni a pensare che sia impossibile garantire posti di lavoro in normali aziende e si accetti - come è purtroppo già accadu­to a Treviso - che sia la cooperativa l'unico sbocco di lavoro. Vi sono ingenti incentivi erogati dalla Comunità europea, dallo Stato e dalle Regioni per favorire le classi lavoratrici più a rischio.

Un occhio vigile, ed anche una rivendicazione pre­cisa, sono indispensabili per pretendere che una parte delle risorse sia destinata per promuovere posti di lavoro in tutte le realtà produttive (artigiana­to, commercio, piccole imprese...) per handicappati intellettivi e fisici con limitata autonomia, nel rispetto del diritto al lavoro previsto dalla legge 482/1968. Difendere il diritto al lavoro per chi può raggiungere una capacità lavorativa comporta importanti riper­cussioni:

- in campo scolastico, perché conferma la validità dell'integrazione scolastica anche dopo la scuola dell'obbligo e rinforza il diritto alla formazione pro­fessionale e prelavorativa, soprattutto per gli handi­cappati intellettivi;

- impedisce che finiscano nel settore assistenzia­le persone che possono invece inserirsi a pieno tito­lo nella società, così che le risorse del settore assi­stenziale possano essere utilizzate per le persone che sono in situazione di gravità, per le quali l'emer­genza è oggi costituita dal mancato diritto ad avere centri diurni e comunità alloggio.

3) rilanciare con I'ANFAA il diritto alla famiglia (d'origine, adottiva o affidataria) dei minori handi­cappati o malati e grandicelli, ancora in istituto.

Su tutti e tre i fronti (difesa del diritto alla cura, dife­sa del diritto al lavoro e difesa del diritto alla fami­glia), I'ULCES da tempo opera anche a livello nazio­nale insieme ad altre associazioni e gruppi di volon­tariato, e in particolare con:

- il Coordinamento nazionale del volontariato dei diritti;

- il Gruppo di lavoro sull'handicap per la riforma della legge 482/1968;

- il Gruppo di lavoro sull'handicap per la proposta di piattaforma di modifica alla legge 104/92 su cen­tri diurni e comunità alloggio per handicappati;

- il Coordinamento "Dalla parte dei bambini" per l'attuazione della legge 184/83.

Per ottenere il riconoscimento delle leggi esistenti (anziani, minori) o la loro modifica (handicappati) non abbiamo mai pensato di poter agire da soli.

In un paese democratico le decisioni assunte da chi amministra e governa sono sempre l'espressio­ne di un vasto movimento.

II ruolo dell'ULCES continua ad essere quello di promozione presso altri gruppi sociali delle istanze delle persone che hanno scelto di rappresentare, al fine di ottenere l'appoggio del maggior numero di partiti, sindacati, associazioni, circoli culturali, per­sonaggi della cultura, per il rispetto delle leggi che già sanciscono diritti e per l'approvazione di norme valide per il riconoscimento delle esigenze fonda­mentali della fascia più debole della popolazione.

 

 

 

(1)  A. Gambino, Il ritorno della disuguaglianza, II Mulino, n. 4, luglio-agosto 1995.

(2) È indispensabile arrivare a un'integrazione tra il servizio di ospedalizzazione a domicilio e l'assistenza domiciliare integrata per evitare spreco di personale, specie infermieristico e, nel con­tempo, diffondere un servizio valido.

 

 

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