VOLONTARIATO DEI DIRITTI: LINEE GUIDA PER L'ATTIVITÀ DELL'ULCES
Tra
i soci e il consiglio direttivo dell'ULCES si è svolto in questi ultimi mesi
un interessante dibattito, stimolato da un documento della sezione di Ivrea,
che ha posto sostanzialmente una domanda di fondo, che possiamo così
riassumere: "Ha senso la nostra attività di volontariato? E se sì, sono
sempre validi gli obiettivi e gli strumenti che ci siamo dati fin qui?".
La domanda è stata vivacemente approfondita nel corso del consiglio direttivo
tenutosi a Torino il 18 gennaio 1997 e da parte della maggioranza dei consiglieri
intervenuti è stato confermato che non solo ha senso, ma è anche tuttora valida
la strategia adottata dall'ULCES, benché sia sempre più difficile stare dalla
parte di chi non conta nulla. A questo proposito era stato messo a disposizione
dei consiglieri - come contributo al dibattito - l'articolo di Antonio Gambino
(1) che con argomentazioni articolate dimostra come il sistema democratico, in
cui viviamo, da tempo abbia rinunciato ad assicurare la partecipazione di tutti
i cittadini, per diventare quello che esclude invece una fetta di popolazione.
Gambino definisce questo fenomeno come "la democrazia dei 7/8", e la
chiama così perché la sua essenza sta nel fatto che tutti gli aspiranti uomini
politici, al momento di formulare i loro programmi decidono di abbandonare al
proprio destino il settore marginale più basso della cittadinanza (vale a dire
quel 12-15 per cento che in tutti i paesi occidentali costituisce la "underclass",
e le cui esigenze, se fossero davvero prese in considerazione, si
dimostrerebbero "incompatibili" con le richieste degli altri settori
sociali, per concentrare la loro attenzione unicamente sulla maggioranza di
coloro che già "hanno" o che sperano di "avere".
È
evidente che si tratta di un gruppo di persone che, come giustamente evidenzia
Gambino, non è appetibile, in quanto estraneo alla competizione elettorale.
Secondo la nostra analisi, in Italia questo si è da tempo tradotto con
l'esclusione sociale negli istituti di assistenza o con altre forme di emarginazione
(vedi ad esempio i barboni) di chi non sta al passo con le esigenze di
efficienza e profitto. Viene ricordato a questo proposito, che proprio grazie
alle battaglie condotte per la conquista del diritto all'integrazione
scolastica degli handicappati, alla famiglia per i minori in situazione di
abbandono e, più in generale, al diritto alla casa, al lavoro, ai trasporti...
sono usciti dal circuito assistenziale più di 240 mila minori (di cui 50.000
adottati), che erano ricoverati negli istituti di assistenza. Nello stesso
tempo gli handicappati e gli anziani autosufficienti che ricevono adeguati
servizi a domicilio, restano a casa propria il più a lungo possibile.
Dal
1985, per effetto del decreto amministrativo del Presidente del Consiglio dei
Ministri dell'8 agosto, si è invece aggravata la situazione delle persone
malate croniche non autosufficienti, che il settore sanitario (ospedali, case
di cura, istituti di riabilitazione...) ha deciso di espellere perché ritenuti
inguaribili e, perciò, bisognosi di "sola assistenza" e non di cure
mediche, anche se in evidente contrasto con il diritto alle cure senza limiti
di tempo sancito invece dalle leggi nazionali tuttora in vigore, per tutti i
malati, cronici non autosufficienti compresi.
La
stessa cosa oggi accade, nell'indifferenza generale, per i ricoverati degli
ospedali psichiatrici, chiusi per legge il 31 dicembre 1996.
In
realtà, nella grande maggioranza dei casi, si tratta di un semplice cambio di
targa: da ospedale psichiatrico si assume la dizione di RSA (residenza
sanitaria assistenziale) con le seguenti conseguenze per i pazienti:
improvvisamente non sono più malati, ma solo più "anziani non
autosufficienti"; perdono il diritto ad essere curati come pazienti psichiatrici:
in compenso - per il niente di cura che avranno - devono pagare per il loro
ricovero.
Proprio
perché ci troviamo in una società in cui governano i più forti, vi è un calo
della tensione politica ideale e, soprattutto, in questi ultimi tempi, è in
continua discussione la riforma del "Welfare State": sarebbe
quanto mai illusorio ritenere che i gruppi che stanno meglio accettino di
rinunciare ai loro privilegi per migliorare le condizioni di vita di chi non può
che subire le decisioni degli altri non essendo in grado di difendersi da solo.
Difendere chi non può difendersi
Di
fatto la scelta dell'ULCES è sempre stata quella di privilegiare questa parte
della popolazione, individuando chi non è in grado di difendersi e di
protestare, perché si trova in condizioni personali, sociali o sanitarie che lo
rendono non autosufficiente e dipendente dall'intervento/aiuto di altri. Per
queste ragioni si è scelto di operare per i minori in situazione di abbandono
o con famiglie problematiche, per gli handicappati con particolare riguardo a
chi ha un handicap intellettivo, per gli anziani malati cronici e non più
autosufficienti.
L'ULCES
ritiene di dover continuare a stare dalla parte di chi è ancora più dimenticato
perché non attira l'attenzione/preoccupazione della collettività, proprio
perché non crea disagio e non si fa sentire.
Certamente
dall'inizio (1965) ad oggi alcune cose per fortuna sono cambiate. A mano a mano
che si sono conquistati nuovi diritti e si è allargato il numero delle persone
e dei gruppi sociali che si interessano di queste tre tipologie, I'ULCES ha
scelto di intervenire sulle fasce più deboli che emergevano all'interno di
questi stessi tre gruppi sociali. Pensiamo, ad esempio, nel campo dei minori,
al numero delle associazioni che vi operano o agli stessi interessati che hanno
acquisito capacità di autodifesa, come gli handicappati fisici.
Tra solidarietà e diritti
Vi
sono molteplici gruppi di volontariato che si adoperano nei confronti di persone
o nuclei in difficoltà con uno scopo che possiamo definire consolatorio o di
supplenza a carenze delle istituzioni.
Schematicamente
possiamo parlare di volontariato della solidarietà, il cui limite però si
evidenzia nel fatto che non interviene - se non assai raramente - per
combattere le cause sociali ed economiche che determinano o favoriscono
difficoltà, emarginazione, o per ottenere che vi sia la sicurezza di un diritto
certo per la persona che si trova in difficoltà, che non può certo contare solo
sull'eventuale presenza di volontari o di servizi attivati dal volontariato.
Da
sempre I'ULCES ha cercato di
valorizzare il volontariato del singolo (affidamento, vicinato, aiuto a
domicilio), o dell'associazione che promuoveva servizi alternativi (ad esempio
comunità alloggio) e ha cercato l'alleanza e la collaborazione- poche per la
verità quelle ottenute - con quanti alle azioni di aiuto alla persona hanno
saputo coniugare le iniziative necessarie per promuovere l'affermazione dei
diritti delle persone coinvolte (vedi l'ultimo documento siglato con il Gruppo
Abele, le Associazioni DIAPSI e Lotta contro la malattia mentale, Bartolomeo
& C., la Consulta per le persone in difficoltà).
Tuttavia,
I'ULCES sin dall'inizio della sua attività ha scelto di non intervenire
direttamente nell'assistenza personale caso per caso, né di gestire direttamente
servizi, ma di essere promotore della loro realizzazione (vedi ad esempio il
servizio di ospedalizzazione a domicilio, la creazione dell'Associazione di
volontariato a domicilio, ecc.)
L'ULCES
ha scelto anche di intervenire sui casi singoli (vedi la consulenza fornita ai
parenti di anziani cronici non autosufficienti), ma per promuovere
l'affermazione in generale dei diritti per tutte le persone che ne sono
coinvolte.
I diritti: solo lo Stato li può garantire
L'ULCES
continua a ritenere che sia prioritario battersi per ottenere il riconoscimento
dei diritti delle persone, attraverso le leggi, impegnandosi per farle
rispettare da parte degli enti pubblici che sono tenuti a provvedervi o di
modificarle se non sono adeguate.
È
attraverso l'emanazione di leggi (vedi ad esempio quella sull'adozione) o il
rispetto di quelle esistenti (è il caso della situazione degli anziani cronici
non autosufficienti che si riesce a far curare in strutture sanitarie
avvalendosi proprio delle leggi nazionali) che si è potuto e si può assicurare
alle persone le risposte ai loro bisogni. Continuiamo, invece, ad adoperarci
per la modifica, ad esempio, della legge 482 del 1968 per il collocamento al
lavoro degli handicappati.
Non
è necessariamente l'ente locale pubblico a dover gestire i servizi: la pratica
della convenzione tra pubblico e privato per la gestione delle attività (in
particolare da parte delle cooperative) o la diffusione del servizio di
affidamento familiare a scopo educativo (che punta addirittura al
coinvolgimento delle singole persone), testimoniano la possibilità dell'integrazione
pubblico/privato.
L'ULCES
ribadisce però che il finanziamento e la programmazione dei servizi (ed il loro
controllo) sono precisi compiti dell'Ente locale. Regione, Comuni o Consorzi
dei Comuni devono prevedere i servizi in misura sufficiente al fabbisogno per
evitare che le persone debbano ricorrere al ricovero, specie in istituto.
L'azione rivendicativa
L'azione
del volontariato dei diritti è prevalentemente rivendicativa. Come abbiamo
visto, si tratta di assumere la difesa di "una minoranza che non
conta": è ovvio che con la sola persuasione è impossibile pensare di
ottenere da parte di chi conta il rispetto degli interessi di chi non è
elettoralmente appetibile e non può farsi sentire.
D'altra
parte, a conferma che le strategie fin qui adottate dall'ULCES premiano, ci
sono i risultati ottenuti nei settori sui quali ci siamo impegnati.
a)
Minori - Innanzitutto prendiamo in
esame il dato importantissimo che riguarda i minori ricoverati negli istituti
di assistenza che sono passati dai 300 mila del 1960 ai 40 mila attuali.
Inoltre I'ULCES, unitamente all'ANFAA con la quale ha finora condiviso tutte
le battaglie, ha ottenuto:
-
un capovolgimento di mentalità, per cui oggi il ricovero in istituto è da tutti
riconosciuto come dannoso per la persona;
-
l'estensione dell'adozione, compresa quella internazionale, al punto che il rapporto
attuale è di ben 15-20 famiglie disponibili per ogni bambino adottabile;
- la diffusione
dell'affidamento familiare a scopo educativo;
- l'adozione e l'affidamento
anche di minori malati o con gravi handicap;
- la creazione di comunità
alloggio e case-famiglia.
b)
Handicappati intellettivi e fisici con
limitata autonomia - L'ULCES, unitamente al CSA - Coordinamento sanità e
assistenza fra i movimenti di base di Torino, ha ottenuto:
-
l'assunzione di più di 300 handicappati intellettivi e di oltre 40
handicappati fisici con ridotta capacità lavorativa, per la sola città di
Torino, in posti di lavoro pubblici e privati;
- l'istituzione dei corsi
prelavorativi di formazione professionale per handicappati intellettivi;
-
l'apertura di centri diurni assistenziali per handicappati intellettivi, non
inseribili al lavoro per la gravità delle loro condizioni, aperti cinque
giorni alla settimana e per circa 7 ore al giorno;
- la creazione di comunità
alloggio e di convivenze guidate, in alternativa al ricovero in istituto;
- il servizio taxi per chi
non deambula;
- la messa a disposizione di
alloggi accessibili.
c) Anziani cronici non autosufficienti
- Con l'azione svolta dal Comitato
per la difesa dei diritti degli assistiti, di cui I'ULCES è promotore e primo
sostenitore, si sono raggiunti i seguenti obiettivi:
-
si sono impedite le dimissioni di più di duemila anziani cronici non
autosufficienti da ospedali o altre strutture sanitarie;
-
è stato istituito il servizio di ospedalizzazione a domicilio che finora ha
curato gratuitamente a casa loro più di 2.000 persone;
- è stato aperto a Torino il
primo centro diurno sanitario per malati di Alzheimer;
-
si è ottenuta la gestione sanitaria (e non assistenziale con supporto
sanitario) della RSA di Via Braccini a Torino;
- sono aumentati i posti di
riabilitazione e lungodegenza convenzionati.
d)
La scuola dei diritti "Daniela
Sessano" - L'ULCES ha promosso "La scuola dei diritti Daniela
Sessano" per mettere a disposizione di altri l'esperienza maturata come
volontariato dei diritti.
La
Scuola ha avuto un buon successo e continuiamo ad essere interpellati anche
fuori regione con richieste di formazione per operatori di Aziende USL o enti
locali, oltre che per volontari, associazioni e insegnanti della scuola.
Nell'ambito
della "Scuola dei diritti" e unitamente all'UTIM (Unione per la
tutela degli insufficienti mentali) si sono affrontati altri tre temi
importanti:
- l'ingiusta pretesa di
contributi da parte degli enti locali ai parenti degli assistiti maggiorenni;
-
il diritto alla frequenza gratuita dei centri diurni per gli handicappati
intellettivi con un reddito inferiore al minimo vitale;
- la facoltà di avviare
gratuitamente la pratica di interdizione e inabilitazione.
Su
questi punti l'azione di difesa del caso singolo, di denuncia pubblica
(manifestazioni, volantinaggi...), di coinvolgimento di personalità del
settore (giuristi come Rescigno e Dogliotti), di forze politiche (Parlamentari,
Consiglieri regionali, provinciali e comunali), ha portato anche altre
associazioni a condividere la nostra posizione.
Ultimamente
le nostre posizioni sono state sostenute dal Difensore civico della Regione
Piemonte e confermate dalla sentenza del Tribunale di Verona per quanto
riguarda la richiesta illecita da parte degli enti pubblici di contributi ai
parenti degli assistiti; di recente, è da segnalare il pronunciamento della
Corte di Cassazione che ha ribadito la competenza
del servizio sanitario per
la cura delle persone malate croniche non autosufficienti.
e) L'alibi delle risorse che mancano - Nelle trattative portate
avanti dall'ULCES e dal CSA, gli amministratori non osano più ricorrere
all'alibi della mancanza di risorse per giustificare, ad esempio, la carenza
di servizi assistenziali per gli handicappati, perché non hanno argomenti
validi da opporre a, quelli sostenuti dall'ULCES e dal CSA che hanno impostato
la rivendicazione sulle seguenti richieste: 1) la lotta all'evasione fiscale;
2)
l'individuazione dei beni, oltre che del reddito, per stabilire la quota di
partecipazione degli utenti ai servizi (ad esempio per la frequenza degli asili
nido, per il pagamento della mensa scolastica...);
3) la valorizzazione
dell'immenso patrimonio delle IPAB e suo utilizzo ai fini assistenziali;
4)
l'imputazione dei costi sostenuti dai Comuni alle Aziende USL per il ricovero
in strutture assistenziali degli anziani malati cronici non autosufficienti
impropriamente a carico del bilancio assistenziale dei Comuni stessi, quale
fase d'avvio del trasferimento della gestione al settore sanitario.
Piste di lavoro
L'obiettivo da privilegiare
è la difesa del diritto alla cura delle persone inguaribili.
Tutta
la legislazione vigente conferma questo diritto e lo comprova il fatto che,
con una semplice raccomandata, è possibile impedire le dimissioni dagli
ospedali dei pazienti malati cronici non autosufficienti che non possono
essere curati a domicilio.
Interessa
gli anziani, le persone colpite da AIDS, i soggetti con patologie degenerative,
i malati di cancro, i pazienti psichiatrici, ecc.
Per
tutti questi malati spesso si pratica, nei fatti, l'eutanasia da abbandono.
Fuori dalla tutela del servizio sanitario perdono ogni diritto alla cura e
sono sottoposti al pagamento di ricoveri in strutture inadeguate (vedi ad
esempio le pensioni abusive...) dove muoiono spesso in condizioni disumane.
Per questo come ULCES
dobbiamo concentrare le nostre azioni prioritariamente sulla richiesta di:
-
servizi di cure domiciliari in tutte le USL, che assicurino la presenza di
medici e infermieri almeno nell'arco delle 8-10 ore al giorno e tutti i giorni
della settimana, festivi compresi (2);
- almeno un centro diurno
sanitario per malati di Alzheimer in ogni Azienda USL;
- la cura in ospedale (o in
altre strutture sanitarie) quando non vi sono altre alternative;
-
la gestione sanitaria (con l'intervento di medici, specialisti, infermieri e
personale ausiliario in numero adeguato) delle RSA, residenze sanitarie assistenziali
per anziani malati non autosufficienti.
Le alleanze
L'azione
dell'ULCES, come emerge anche da quanto esposto in precedenza, è sempre stata
caratterizzata dalla ricerca di alleanze con le associazioni e le forze
culturali e sociali che potevano essere coinvolte.
Un
cammino non semplice, ma sul quale è necessario convogliare il massimo
impegno. Un primo decisivo passo è il recente accordo siglato, su questo tema,
con l'Ordine dei medici della Provincia di Torino, che è già stato sottoscritto
dal Collegio degli infermieri e dall'Associazione dei riabilitatori, aumentando
così la forza contrattuale nei confronti dell'Assessorato alla sanità della
Regione.
Continua
quindi l'esigenza di proseguire nell'azione culturale, attraverso la
predisposizione di convegni e seminari, con la consapevolezza che l'effetto
mass-media, soprattutto per quanto concerne la televisione, riduce notevolmente
il nostro potere di incisione immediata.
Vi
è, altresì, la necessità di diffondere gli abbonamenti a "Prospettive
assistenziali" e a "Controcittà" e di incrementare le vendite di
libri editi da Rosenberg & Sellier e dall'UTET Libreria.
C'è
anche la necessità di individuare, ad esempio, "personaggi" che
accettino di diventare testimoni delle nostre iniziative, non per raccolte benefiche/caritatevoli
(vedi Telethon per tutte!), ma come promotori di diritti.
Contestualmente,
ciascuno nella propria realtà, può sollecitare alleanze tra le parti sociali
della comunità in cui vive, per coinvolgere e ricondurre ad una battaglia
comune, oltre che sul tema del diritto alla cura dei malati cronici non autosufficienti,
anche sui seguenti punti:
1)
impedire che le RSA diventino il contenitore di tutte le persone più deboli che
hanno perso ogni diritto e non hanno certo capacità per opporsi. Le RSA
rischiano di essere in pratica la riproposizione moderna del vecchio
istituto/ghetto, sempre conveniente sul piano economico. Per impedire che ciò
accada dobbiamo in questo momento:
-
contrastare l'abbandono dei malati inguaribili (ma sempre curabili) da parte
del settore sanitario; - chiedere comunità alloggio (con non più di 8-10
persone) per quanti non possono restare al proprio domicilio. Le comunità per
malati di AIDS o psichiatrici devono essere gestite dalla sanità, mentre la
conduzione di quelle per i minori in situazioni familiari problematiche e per
gli handicappati che non possono continuare a vivere in famiglia e non sono in
grado di gestirsi nelle convivenze protette composte da 2-3 soggetti, spetta
all'assistenza;
2)
difendere il diritto al lavoro degli handicappati intellettivi. Vi è il serio
rischio che, a fronte della congiuntura e della messa in discussione dei
diritti
acquisiti
per tutti i lavoratori, si torni a pensare che sia impossibile garantire posti
di lavoro in normali aziende e si accetti - come è purtroppo già accaduto a
Treviso - che sia la cooperativa l'unico sbocco di lavoro. Vi sono ingenti
incentivi erogati dalla Comunità europea, dallo Stato e dalle Regioni per
favorire le classi lavoratrici più a rischio.
Un
occhio vigile, ed anche una rivendicazione precisa, sono indispensabili per
pretendere che una parte delle risorse sia destinata per promuovere posti di
lavoro in tutte le realtà produttive (artigianato, commercio, piccole
imprese...) per handicappati intellettivi e fisici con limitata autonomia, nel
rispetto del diritto al lavoro previsto dalla legge 482/1968. Difendere il
diritto al lavoro per chi può raggiungere una capacità lavorativa comporta
importanti ripercussioni:
-
in campo scolastico, perché conferma la validità dell'integrazione scolastica
anche dopo la scuola dell'obbligo e rinforza il diritto alla formazione professionale
e prelavorativa, soprattutto per gli handicappati intellettivi;
-
impedisce che finiscano nel settore assistenziale persone che possono invece
inserirsi a pieno titolo nella società, così che le risorse del settore assistenziale
possano essere utilizzate per le persone che sono in situazione di gravità, per
le quali l'emergenza è oggi costituita dal mancato diritto ad avere centri
diurni e comunità alloggio.
3)
rilanciare con I'ANFAA il diritto alla famiglia (d'origine, adottiva o
affidataria) dei minori handicappati o malati e grandicelli, ancora in
istituto.
Su
tutti e tre i fronti (difesa del diritto alla cura, difesa del diritto al
lavoro e difesa del diritto alla famiglia), I'ULCES da tempo opera anche a
livello nazionale insieme ad altre associazioni e gruppi di volontariato, e
in particolare con:
- il Coordinamento nazionale
del volontariato dei diritti;
- il Gruppo di lavoro
sull'handicap per la riforma della legge 482/1968;
-
il Gruppo di lavoro sull'handicap per la proposta di piattaforma di modifica
alla legge 104/92 su centri diurni e comunità alloggio per handicappati;
- il Coordinamento
"Dalla parte dei bambini" per l'attuazione della legge 184/83.
Per
ottenere il riconoscimento delle leggi esistenti (anziani, minori) o la loro
modifica (handicappati) non abbiamo mai pensato di poter agire da soli.
In
un paese democratico le decisioni assunte da chi amministra e governa sono
sempre l'espressione di un vasto movimento.
II
ruolo dell'ULCES continua ad essere quello di promozione presso altri gruppi
sociali delle istanze delle persone che hanno scelto di rappresentare, al fine
di ottenere l'appoggio del maggior numero di partiti, sindacati, associazioni,
circoli culturali, personaggi della cultura, per il rispetto delle leggi che
già sanciscono diritti e per l'approvazione di norme valide per il
riconoscimento delle esigenze fondamentali della fascia più debole della
popolazione.
(1) A. Gambino, Il ritorno della disuguaglianza, II Mulino, n. 4, luglio-agosto
1995.
(2) È indispensabile arrivare a un'integrazione tra il
servizio di ospedalizzazione a domicilio e l'assistenza domiciliare integrata
per evitare spreco di personale, specie infermieristico e, nel contempo, diffondere
un servizio valido.
www.fondazionepromozionesociale.it