IL CONSENSO INFORMATO: UN DIRITTO DEL MALATO
PAOLO COZZI LEPRI - BIANCA CORAZZIARI (`)
II problema del consenso informato in materia di
sanità è stato, oggetto di numerosi dibattiti e pubblicazioni di eminenti
clinici, medici legali e giuristi che hanno evidenziato la complessità e
molteplicità degli aspetti e dei modelli che possono verificarsi nella prassi
del rapporto medico-paziente o, anche, operatore sanitario-paziente.
II modello "paternalistica"
AI fine di introdurre questa problematica ci sembra
comunque utile riassumere brevemente i principali problemi che si pongono a
partire da un'ottica tesa a salvaguardare i diritti del paziente. Tutti gli
autori infatti concordano su un punto: da sempre è prevalso e continua a
prevalere un modello di rapporto di tipo "paternalistico" che ha
trovato giustificazione nelle seguenti argomentazioni:
1)
il medico ha conoscenze tecniche superiori a quelle del malato;
2) il malato viene normalmente considerato come
"incapace" di dare un pieno e libero consenso perché condizionato da
fattori psicologici, culturali, ambientali e familiari;
3) il malato può comprendere la decisione del medico
solo dopo che avrà sperimentato l'efficacia della cura. A partire invece dai
diritti del malato il modello paternalistico è sicuramente da superare poiché
consente al sanitario una discrezionalità e un potere eccessivo in un rapporto
tra due individui aventi uguali diritti ed uguali dignità. Inoltre, negare al
malato autorità e responsabilità adottando il modello paternalistico significa
negare di fatto la libertà di comprendere la precisa natura del problema e di
conoscere le possibili alternative terapeutiche. La conseguenza di questo
errato atteggiamento è che il paziente, la maggior parte delle volte, non
essendo correttamente informato, non è poi in grado di fare scelte personali
adeguate e corrette anche sulla base dei suoi valori, della sua cultura e degli
altri elementi che sono in gioco quali problemi familiari, economici, ecc.
Il modello "partecipazione reciproca"
Per
superare l'attuale situazione di sudditanza del malato rispetto agli operatori
sanitari sarebbe invece auspicabile che questi ultimi applicassero il modello
della "partecipazione reciproca" sulla base di una effettiva parità
di potere. Questo modello parte dal presupposto che i due soggetti siano reciprocamente
interdipendenti, essendo impegnati in un'attività che vede entrambi come
soggetti attivi. Da un punto di vista etico giuridico, infatti, il malato deve
poter conservare pienamente la sua autonomia di giudizio tranne nei casi,
previsti dalla legge, nei quali si trovi in condizione momentanea o permanente
di incapacità di intendere e di volere. Nel caso di malattie croniche
invalidanti, che non inficiano le capacità intellettive, abbiamo un esempio di
"partecipazione reciproca" quando il malato, indirizzato dal medico
accetta o compie quegli atti terapeutici che gli permettono di recuperare o
mantenere il suo stato di salute e di autosufficienza evitando ulteriori
peggioramenti o aggravamenti.
Nel caso invece del malato non in grado di intendere
o di volere il consenso si applica nei confronti del suo rappresentante legale
(tutore). Da segnalare che, in caso di conflitti o contestazioni concernenti
malati totalmente non in grado di intendere e di volere, è consigliabile,
proprio ai fini di una migliore tutela dei diritti del malato, che i parenti o
chi si fa carico del caso, intraprendano l'istanza per l'interdizione del
malato. Infatti in questi casi nemmeno i parenti hanno una reale responsabilità
legale nei confronti dei loro congiunti, né, in realtà possono agire
giuridicamente sostituendosi al malato.
Gli elementi del consenso
II
principio etico-giuridico del consenso informato fu enunciato per la prima
volta nel 1914 dal giudice americano Benjamin N. Cardoso con le seguenti
parole: «Ogni essere umano, adulto e sano
di mente, ha il diritto di stabilire ciò che sarà fatto sul suo corpo; un
chirurgo che effettui una operazione senza il consenso del suo paziente
commette una aggressione per la quale è incriminabile per danni. Ciò è vero
tranne nei casi di emergenza, quando il paziente è privo di conoscenza e quando
è necessario operare prima che il consenso sia ottenuto».
II
principio della necessità del consenso, enunciato per la chirurgia, fu poi
esteso a tutti gli interventi diagnostici e terapeutici ed anche alle
sperimentazioni sul malato. lì consenso poi non è dato una volta per tutte ma
permane durante tutte le fasi della malattia. Gli elementi del consenso sono:
1) la volontarietà del
consenso;
2) le modalità
dell'informazione;
3) la comprensione
dell'informazione da parte del malato;
4) la capacità di consentire;
5) l'attestazione per
iscritto dell'avvenuto con senso.
Ognuno di questi elementi
descritti rappresenta una condizione necessaria e indispensabile per la
validità dello stesso consenso.
Le
informazioni che devono essere fornite al paziente sono le seguenti:
1)
descrizione dei procedimenti diagnostici, terapeutici o strumentali proposti;
2)
descrizione delle possibili alternative al trattamento proposto e loro
vantaggi e svantaggi;
3) tutte le altre informazioni eventualmente richieste
dal malato che possono sembrargli utili a prendere le sue decisioni.
Principali applicazioni
Gli ambiti nei quali il consenso informato trova la
sua più importante applicazione, in base alla nostra esperienza di Associazione
per la tutela dei diritti dei malati sono:
1) ricerche cliniche o interventi diagnostico terapeutici
accompagnati da rischio (interventi chirurgici, elettroshock, ecc.);
2) sperimentazione
farmacologica;
3) valutazione multidisciplinare e valutazione
geriatrica con indicazione dei provvedimenti terapeutici ed indicazione del
servizio rispondente alle necessità del paziente.
Nel caso che, invece, vengano applicati mezzi
terapeutici e diagnostici praticamente esenti da pericoli e sufficientemente
noti, il consenso viene considerato come incluso nella stessa richiesta di
prestazione d'opera da parte del paziente all'operatore sanitario. II consenso
non è richiesto nei casi di trattamento sanitario obbligatorio che si applica,
in particolare, nell'ambito delle malattie psichiatriche.
Alcuni sostengono che spingere troppo sui diritti del
malato crea un turbamento ai rapporti tra medico e malato. Se questo avviene, è
dovuto al fatto che troppo numerosi sono gli abusi dei medici in rapporto al
preciso dovere di informare il paziente.
L'esperienza quotidiana infatti ci mostra come siano
diffusi e persistenti i casi .di consenso omesso o insufficiente
oltre a quelli di negazione dei più elementari diritti alla cura.
Per
esempio, i casi più comuni, secondo la nostra esperienza, risultano essere:
1) mancate o carenti informazioni sulla natura della
patologia, delle alternative terapeutiche e dei rischi connessi alla terapia;
2)
mancata o carente possibilità di visionare la cartella clinica;
3) sperimentazione farmacologica priva dei necessari
requisiti o, addirittura, senza che il paziente ne venga messo a conoscenza
(in casi particolari quali malati di AIDS o terminali);
4)
utilizzo di un linguaggio tecnico incomprensibile al malato;
5)
valutazioni geriatriche effettuate senza la dovuta informazione e le corrette
procedure.
Alcune specificazioni sul consenso informato
Per consenso informato si
intende l'autorizzazione data dal paziente all'operatore medico per l'esecuzione
di un determinato trattamento sanitario, di cui ha avuto esaurienti
spiegazioni, in modo da permettergli una scelta cosciente e consapevole.
II modulo di consenso informato è il documento,
redatto in carta semplice, contenente gli elementi necessari per il consenso,
sottoscritto dal diretto interessato o dal suo rappresentante legale e dall'operatore
che ha somministrato il modulo. II suo valore è solo probatorio delle
informazioni ricevute; deve, quindi, essere firmato solo dopo che queste siano
state fornite, altrimenti risulta come non dato. Potendo essere revocato in
qualsiasi momento, espressioni come "non desidero ulteriori chiarimenti",
non sono corrette.
II rifiuto di firmare, quando non si siano ottenute
informazioni, non implica alcuna responsabilità; anzi, è consigliabile non
firmare moduli di cui sia chiara la sola intenzione di scaricare la responsabilità,
tenuto conto del fatto che, comunque, nessun consenso scritto modifica o diminuisce
la responsabilità del medico (vedi per esempio test e controlli obbligatori
per legge rispetto all'epatite C e all'HIV nel caso di trasfusioni di sangue).
Mentre quindi per i pazienti è un diritto, per gli operatori è un dovere.
L'elusione del consenso informato
Nel
nostro ordinamento mancano specifiche disposizioni in materia, fatto che
concorre alla grave diffusione del fenomeno della elusione del consenso
informato. Allo stato attuale, l'assenza di uno dei requisiti necessari
all'espressione del consenso o l'invalidità del medesimo, non produce conseguenze
penali dirette, ma solo indirette, qualora il trattamento medico-chirurgico
abbia dato luogo ad un fatto tipico costituente reato. La mancata richiesta di
consenso, invece, incidendo direttamente sui diritti fondamentali
dell'individuo, deve essere riconosciuta come figura autonoma, e, perciò,
direttamente sanzionabile da parte delle autorità.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 364
Molto
importante la sentenza n. 364/1997 della terza Sezione civile della Corte di
Cassazione del 30 aprile 1996, depositata in Cancelleria il 15 gennaio 1997,
di cui riportiamo le parti principali:
a)
«Nell'ambito degli interventi chirurgici,
in particolare, il dovere di informazione concerne la portata dell'intervento,
le inevitabili difficoltà, gli effetti conseguibili e gli eventuali rischi, si
da porre il paziente in condizioni di decidere sull'opportunità di procedervi
o di ometterlo, attraverso il bilanciamento di vantaggi o rischio;
b) «L'obbligo
di informazione si estende, inoltre, ai rischi specifici rispetto a determinate
scelte alternative, in modo che il paziente, con l'ausilio tecnicoscientifico
del sanitario, possa determinarsi verso l'una o l'altra delle scelte possibili,
attraverso una cosciente valutazione dei rischi relativi e dei corrispondenti
vantaggi. Sotto un altro profilo è noto che interventi particolarmente
complessi, specie nel lavoro in équipe, ormai normale negli interventi chirurgici,
presentino, nelle varie fasi, rischi specifici e distinti. Allorché tali fasi
assumano una propria autonomia gestionale e diano luogo, esse stesse, a scelte
operative diversificate, ognuna delle quali presenti rischi diversi, l'obbligo
di informazione si estende anche alle singole fasi ed ai rispettivi rischio;
c) «Spetta
all'obbligato - sia esso il sanitario o la struttura - fornire la prova che la
prestazione professionale è stata eseguita in modo idoneo e che quegli esiti
peggiorativi sono stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile,
eventualmente in dipendenza di una particolare condizione fisica del paziente
non accertabile e non evitabile con l'ordinaria diligenza professionale
(ovvero, al fine di limitare la responsabilità alla colpa grave, che il trattamento
o l'intervento comportavano la soluzione di problemi di particolare
difficoltà). Ne discende che l'incertezza degli esiti probatori in ordine
all'esatto adempimento della prestazione professionale va posto a carico del
prestatore d'opera o della struttura in cui lo stesso è inserito e comporta
l'accoglimento della domanda risarcitoria fondata sulla responsabilità
contrattuale».
I riferimenti giuridici
I riferimenti normativi al riguardo sono:
- Art. 13 della Costituzione: «La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa alcuna forma di
detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra
restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall'autorità
giudiziaria e nei soli casi e nei modi previsti dalla legge».
- Art. 32 della Costituzione: «Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario
se non per disposizione di legge».
- Art. 50 del Codice penale: «Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto col consenso
della persona che può validamente disporne».
- Art. 5 del Codice
civile: «Gli atti di disposizione del proprio corpo
sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica
o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon
costume».
- Decreto ministeriale
27 aprile 1992 (il primo capitolo del
paragrafo 8, che riprende le dichiarazioni di
Helsinki).
- Decreto legge 25 marzo 1996, n. 161,
in materia di sperimentazione e utilizzazione dei farmaci: «Prima del trattamento il medico deve ottenere il consenso informato
del paziente».
- Legge 833/1978,
art. 29. Specifica che la sperimentazione
clinica deve essere regolamentata per legge.
- Codice di deontologia medica: «II medico ha il dovere di dare al paziente, tenuto conto del suo livello di
cultura e delle sue capacità di discernimento, la più serena e idonea
informazione sulla diagnosi, prognosi, prospettive terapeutiche e loro conseguenze...
Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere
comunque soddisfatta ... In ogni caso la volontà del paziente, liberamente
espressa, deve rappresentare per il medico elemento al quale ispirare il
proprio comportamento.... Il medico non può intraprendere alcuna attività
diagnostico-terapeutica senza il consenso del paziente, validamente informato.
In ogni caso, in presenza dell'esplicito rifiuto del paziente, capace di
intendere e volere, il medico deve desistere da qualsiasi atto diagnostico e
curativo, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà
del paziente».
(*) Paolo Cozzi Lepri è
un dirigente del CODICI, Coordinamento per i diritti dei cittadini; Bianca
Corazziari è un operatore dell'Ufficio per le relazioni con il pubblico
dell'Azienda sanitaria locale Roma A.
www.fondazionepromozionesociale.it