Prospettive assistenziali, n. 120, ottobre-dicembre 1997

 

 

VALUTAZIONI CRITICHE AL TESTO UNIFICATO PER LA LEGGE QUADRO SULL'ASSISTENZA

 

 

È sempre più incombente il pericolo che il Parlamento approvi una legge di riforma dell'assi­stenza assolutamente inidonea e destinata, quindi, a lasciare inalterata la gravissima situazione esi­stente (1). Se si avesse un po' di rispetto delle esi­genze fondamentali di vita delle persone che non sono in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze, bisognerebbe non ripetere l'errore commesso con la legge quadro sull'handicap n. 104/1992 la cui inefficacia è ormai da tutti ricono­sciuta.

Occorrerebbe anche che i Parlamentari ed i citta­dini impegnati nel volontariato o in altre attività sociali si ricordassero che ognuno di noi ed i nostri congiunti possono essere colpiti da malattie invali­danti e diventare degli assistiti; coloro che progetta­no o sostengono soluzioni inidonee rischiano di subirne direttamente gli effetti negativi.

Le nostre vivissime preoccupazioni sulla redigen­da legge di riforma dell'assistenza sono motivate anche e soprattutto dalla convergenza delle posizio­ni, sostenute dalla Commissione Onofri (2), dal Governo e dai Sindacati CGIL, CISL e UIL (3) tutte dirette ad escludere dalla competenza del Servizio sanitario nazionale i giovani, gli adulti e gli anziani malati cronici non autosufficienti (1 milione circa di soggetti nel nostro Paese).

Questa espulsione viene illegalmente praticata da anni. Adesso la si vorrebbe legittimare.

In merito al testo unificato (versione del 18 set­tembre 1997), predisposto dalla relatrice On. Signorino, riportiamo la nota inviata in data 1 ° otto­bre 1997 dal CSA, Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, al Presidente e ai Componenti della Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati, nonché ai Ministri della sanità Rosy Bindi e per la solidarietà sociale Livia Turco (4).

 

 

1. II testo si riferisce alle "politiche di protezio­ne sociale". Ma, com'è ovvio, le politiche di prote­zione sociale concernono tutti i settori sociali, e cioè la casa, la sanità, l'istruzione, i trasporti, la cultura, ecc. Riteniamo, invece, che il testo debba riguarda­re solo l'assistenza e cioè la fascia più debole della popolazione, dando finalmente attuazione al 1° comma dell'art. 38 della Costituzione che recita: «Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al manteni­mento e all'assistenza sociale».

2. Nessun diritto esigibile. Nel testo non è previ­sto, ad esclusione - in certi casi - delle erogazioni monetarie, alcun diritto esigibile da parte dell'uten­za. Dunque, per non ripercorrere la già ricordata tri­stissima esperienza della legge quadro sull'handi­cap 104/1992, occorrerebbe precisare quali sono gli utenti dell'assistenza (minori in situazione di abban­dono totale o parziale, handicappati intellettivi gravi e gravissimi, persone soggette a provvedimenti del­l'autorità giudiziaria, ecc.).

3. Indeterminatezza dell'organo preposto alla gestione dei servizi assistenziali. Dalla lettura degli art. 7 e 9 non risulta obbligatoria la costituzio­ne degli organi previsti per la gestione dei servizi di assistenza sociale. È solo stabilita l'individuazione degli ambiti territoriali (senza peraltro stabilire un termine), individuazione che, addirittura, deve esse­re definita d'intesa con i Comuni. Pertanto, se uno o più Comuni non concordano con la Regione, i citta­dini non sapranno a chi rivolgersi.

4. Subdolo trasferimento dalla sanità all'assi­stenza dei soggetti malati non autosufficienti. È inaccettabile il trasferimento dalla sanità (caratteriz­zata - fra l'altro - dalla presenza di diritti esigibili) all'assistenza (ancora fondata sulla discrezionalità) della competenza ad intervenire nei confronti dei soggetti (minorenni, adulti, anziani) definiti "non autosufficienti" (v. gli art. 16 e 17), e cioè soprattutto di individui colpiti da gravi malattie (infarto, ictus, cancro, demenza, ecc.) che necessitano di cure sanitarie spesso intensive da praticare a domicilio oppure presso centri diurni, ospedali, case di cura private, residenze sanitarie assistenziali (RSA) gestite dal Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionate.

Detto trasferimento è operato in modo subdolo in quanto non vengono abrogate o modificate (eviden­temente per evitare reazioni da parte degli esperti e delle organizzazioni di tutela della fascia più debole della popolazione!) le leggi vigenti che sanciscono il diritto alle cure sanitarie senza limiti di durata delle persone malate, comprese quelle colpite da croni­cità e da non autosufficienza. AI riguardo si fa pre­sente che:

a) non vi sono soggetti non autosufficienti in accettabili condizioni di salute. Ad esempio, la Commissione medica che ha provveduto nel 1993 all'esame delle condizioni di salute dei ricoverati presso l'istituto di riposo per la vecchiaia e la Casa geriatrica Carlo Alberto, entrambi gestiti direttamen­te dal Comune di Torino, ha accertato che su 506 ricoverati (399 donne e 107 uomini) solo 3 non soffrivano di alcuna grave patologia, mentre gli altri pre­sentavano la seguente situazione:

 

1 patologia

soggetti

n.

21

2 patologie

soggetti

n.

89

3 patologie

soggetti

n.

93

4 patologie

soggetti

n.

120

5 patologie

soggetti

n.

85

6 patologie

soggetti

n.

55

più di 6 patologie

soggetti

n.

40

Totale

soggetti

n.

503

 

b) non esistono malati cronici stabilizzati. Essi - com'è ovvio - sono colpiti anche da patologie acute in misura di gran lunga superiore rispetto agli altri anziani. Da accertamenti compiuti nel febbraio 1995 in uno dei suddetti istituti (I'IRV), è emerso che «attualmente circa il 30% degli ospiti è in trattamen­to per gravi patologie acute (infarto miocardico acuto, ictus cerebrale, broncopolmonite, scompenso cardiaco acuto, grave anemia, arteriopatia obliteran­te arti inferiori, ecc.). Il 40% degli ospiti ha necessità di terapia iniettiva, il 30% di terapia per via endove­nosa, il 28% ha necessità di medicazioni quotidiane. Si ribadisce pertanto che gli anziani ricoverati pres­so l'IRV sono affetti da patologie molto complesse che richiedono un costante impegno di diagnosi e terapia oltre che di assistenza infermieristica ade­guata e qualificata. La tipologia degli ospiti, il loro precario equilibrio psicofisico, il facile sovrapporsi di complicanze e/o il riacutizzarsi di pregressi eventi morbosi richiedono infatti interventi spesso imme­diati e intensivi». In definitiva è assolutamente inac­cettabile che le persone inguaribili siano considera­te incurabili. AI riguardo si veda il messaggio del Cardinale Carlo Maria Martini riportato nel già citato editoriale del n. 119 di Prospettive assistenziali.

Anche se i lavoratori, a seguito della legge 692 del 1955, hanno versato prima alle Mutue e ora al Servizio Sanitario nazionale contributi assicurativi aggiuntivi per esser curati senza limiti di durata anche nei casi di cronicità e di non autosufficienza, questo Comitato non si opporrebbe all'imposizione ai malati ricoverati in strutture sanitarie (ospedali, RSA, ecc.) di una contribuzione a carico dei redditi pensionistici personali dopo un certo periodo di degenza (ad esempio 60 giorni) a condizione che vengano garantite - come d'altra parte stabiliscono le leggi vigenti - tutte le occorrenti prestazioni medi­che, infermieristiche, riabilitative e alberghiere, e sia assicurata comunque ai malati stessi una quota per le esigenze non soddisfatte dall'istituzione (vestia­rio, piccole spese personali, ecc.) e per provvedere ai propri congiunti a carico.

5. Persone malate e soggetti handicappati. Mentre per le persone giovani, adulte e anziane col­pite da malattie acute e croniche la competenza alle cure spetta, in base alle leggi vigenti, alla sanità, per i soggetti con handicap fisici, intellettivi e sensoriali, questo Coordinamento ritiene che debba intervenire - ove necessario, ma evidentemente non per gli aspetti terapeutici - il settore dell'assistenza sociale.

La sanità, inoltre, deve continuare a fornire le necessarie prestazioni agli individui colpiti da malat­tie mentali, da alcuni impropriamente definiti "handi­cappati psichici".

6. Nessuna indicazione sui servizi che devono essere obbligatoriamente istituiti e sulle priorità di intervento. Ad esclusione degli aspetti monetari, dell'osservatorio (art. 3) e del sistema informativo (art. 4), nel testo unificato non ci sono norme che stabiliscano quali sono i servizi assistenziali che devono essere obbligatoriamente istituiti, né sono definite le priorità di intervento. Occorrerebbe, inve­ce, che fosse ribadita la priorità assoluta delle pre­stazioni domiciliari (sostegni vari alle persone singo­le ed ai nuclei familiari, adozione dei minori in situa­zione di abbandono, affidamento educativo di mino­ri, inserimenti familiari di adulti e di anziani in diffi­coltà, ecc.) e dei relativi supporti (ad esempio, i cen­tri diurni per gli handicappati intellettivi ultraquindi­cenni non in grado di svolgere attività lavorativa a causa della gravità delle loro condizioni psicofisi­che).

Inoltre, dovrebbe essere stabilito il divieto assolu­to di creare nuovi istituti per minori e per handicap­pati (i cui rilevanti aspetti negativi individuali, fami­liari e sociali sono arcinoti), mentre occorrerebbe favorire, oltre agli interventi domiciliari, anche la creazione di comunità alloggio parafamiliari aventi al massimo 8 posti.

Per gli anziani autosufficienti vi è, invece, la necessità di superare le case di riposo, spesso veri e propri ghetti per i più indifesi.

7. L'assistenza, in primo luogo quella econo­mica, non deve essere fornita a coloro che hanno sufficienti mezzi. È assurdo prevedere l'e­rogazione da parte dello Stato del reddito minimo di inserimento (RMI) a coloro (cfr. l'art. 25) che hanno proprietà immobiliari o mobiliari.

Sia in merito alle erogazioni economiche, sia per quanto riguarda tutte le altre prestazioni, il testo uni­ficato non tiene conto che il già citato primo comma dell'art. 38 della Costituzione stabilisce che l'assi­stenza debba essere fornita solo al cittadino «sprov­visto dei mezzi necessari per vivere».

Si propone quindi che I'RMI venga erogato esclu­sivamente a coloro che non posseggono beni immo­bili (fra i quali va compresa la casa di abitazione, il cui valore può anche essere di centinaia di milioni) e mobili (azioni, BOT, CCT, ecc.). Se del caso, potrebbero essere previsti prestiti agevolati per coloro che posseggono beni immobili (ad esempio l'alloggio in cui vivono), ma hanno redditi insufficien­ti per vivere. Nel reddito dovrebbero, inoltre, essere computate tutte le entrate, nessuna esclusa.

Le suddette norme dovrebbero valere non solo per i cittadini italiani, ma anche per gli stranieri. Per quanto riguarda gli emolumenti economici si propone che:

• non facciano parte delle attività assistenziali, ma di un istituendo "settore della sicurezza sociale" le prestazioni monetarie aventi carattere permanente. La competenza potrebbe essere centralizzata per evitare disparità di trattamento;

• siano di competenza dell'assistenza gli interven­ti a carattere transitorio e quelli non compresi nel punto precedente;

• siano affidate al settore "Lavoro" tutte le funzioni relative all'occupazione, compresi i lavori social­mente utili, le altre forme di impiego ed i sussidi di disoccupazione, ripartendo con una apposita legge (o legge delega) i compiti statali, regionali e degli enti locali.

8. Regalo ai privati di 50 mila miliardi. L'art. 10 del testo unificato prevede la trasformazione delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB) in associazioni o fondazioni di diritto privato. In questo modo verrebbero regalati ai privati ben 50 mila miliardi. A tanto, infatti, ammontano i patrimoni delle IPAB, come risulta dai dati forniti dalla rivista "IPAB Oggi", n. 6, novembre-dicembre 1996, pag. 30.

In base alla legge vigente (n. 6972 del 1890) i patrimoni ed i redditi delle IPAB devono essere destinati esclusivamente alle persone in situazione di povertà.

La trasformazione delle IPAB in associazioni e fondazioni farebbe venire meno una delle loro carat­teristiche fondamentali: il divieto di usare i patrimoni mobiliari e immobiliari per la gestione delle attività.

In alternativa, si propone che vengano conservate le suddette caratteristiche di fondo delle IPAB, sta­bilendo che esse possano affidare a privati la gestio­ne dei servizi d'assistenza per minori, handicappati, anziani e delle altre attività (asili nido, scuole mater­ne, ecc.).

9. Attribuzione all'assistenza di funzioni im­proprie. II testo unificato demanda al settore delI’assistenza funzioni che l'assistenza stessa non è mai stata, non è e non sarà mai in grado di gestire in modo adeguato. La promozione per l'accesso all'istruzione, alla qualificazione professionale ed al lavoro ( cfr. art. 14, 2, b e 15) sono funzioni specifi­che che i suddetti settori devono svolgere nei con­fronti di tutti i cittadini, compresi - evidentemente - i più deboli.

L'attribuzione di questi compiti al settore assisten­ziale, in realtà, significa (come risultava in modo lampante dalla proposta di legge n. 354 presentata alla Camera dei Deputati dall'On. Signorino e come si evince dall'art. 14 del testo unificato) assegnare al settore assistenziale i compiti di controllore sociale delle persone e dei nuclei familiari in difficoltà, com­piti che - tenuto conto dell'estrema debolezza di coloro che hanno esigenze vitali indifferibili - sono praticamente assoluti. Si veda, ad esempio, la quasi totale passività con cui i congiunti di malati (soprat­tutto anziani e adulti cronici non autosufficienti e pazienti psichiatrici) accettano che essi siano rico­verati in strutture d'assistenza spesso addirittura fatiscenti, e acconsentono anche a pagare rette non dovute di 2-3 milioni al mese!

10. La stragrande maggioranza delle persone con handicap non necessita di essere assistita. A parte le questioni monetarie (come abbiamo affer­mato in precedenza i contributi economici a caratte­re continuativo dovrebbero essere di competenza di un nuovo settore, quello della sicurezza sociale), la stragrande maggioranza degli invalidi è in grado di provvedere a se stessi. Si pensi, ad esempio, all'ex Presidente degli Stati Uniti Roosevelt.

Per il raggiungimento della massima autonomia possibile di questi cittadini, occorre assicurare l'i­struzione, la preparazione professionale, il lavoro, una casa e trasporti accettabili, ecc.

L'assistenza deve essere fornita esclusivamente a coloro che, a causa della gravità dell'handicap (si pensi, ad esempio, agli handicappati intellettivi), non sono in grado di provvedere autonomamente alle loro esigenze. Una concezione assistenzialistica dell'invalidità, espressa in modo evidente dall'art. 14 del testo unificato, presuppone - fatto gravissimo - una definitiva incapacità delle persone.

11. L'esercizio delle tutele dei soggetti mino­renni e degli adulti incapaci. Attualmente (art. 354 del codice civile) la tutela può essere deferita dall'Autorità giudiziaria ad un ente d'assistenza (in genere il Comune) o all'ospizio in cui il soggetto è ricoverato. In entrambi i casi si verifica una situazio­ne di incompatibilità in quanto le funzioni di control­lo sono assegnate allo stesso organismo che dovrebbe essere controllato poiché esercita i compi­ti assistenziali. Si propone quindi che sia inserito il seguente articolo, tratto dalla proposta di legge n. 3801 presentata alla Camera dei Deputati il 3 giu­gno 1997 dall'On. Novelli (5):

«1. La regione autonoma della Valle d'Aosta e le province, comprese quelle autonome, istituiscono, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'ufficio di pubblica tutela con i seguenti compiti:

a) esercizio delle funzioni di tutore deferite dal giu­dice tutelare;

b) svolgimento dei compiti di assistenza sulle tute­le, affidati dal giudice tutelare.

«2. La regione autonoma della Valle d'Aosta e le province svolgono le funzioni di cui al comma .1 mediante proprio personale ed avvalendosi di volon­tari.

«3. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge i giudici tutelari trasferi­scono agli uffici di cui al comma 1 le tutele da essi affidate ad enti di assistenza e ad ospizi».

12. L'inaccettabile richiesta di contributi eco­nomici ai parenti degli assistiti. L'art. 24 al punto 4, richiamando impropriamente l'art. 433 del codice civile, impone ai parenti tenuti agli alimenti di «con­tribuire al costo dei servizi in base ai mezzi di cui dispongono e secondo criteri fissati dal Piano nazio­nale dei servizi di protezione sociale e dalle leggi regionali».

II richiamo dell'art. 433 è assolutamente improprio in quanto, in base alla legislazione vigente, gli ali­menti possono essere chiesti esclusivamente dal­l'interessato (o dal suo tutore). Gli enti pubblici non hanno, sempre in base alle leggi in vigore, alcuna possibilità di sostituirsi all'interessato (6).

In merito agli alimenti, finora il legislatore ha ope­rato una distinzione, a nostro avviso giusta e da non modificare, fra sfera privata e sfera pubblica. AI riguardo è significativo che il 1° comma dell'art. 438 del codice civile così si esprime: «Gli alimenti pos­sono essere richiesti solo da chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento».

Le leggi vigenti prevedono una disciplina specifica in materia di intervento dello Stato, disciplina che, per quanto concerne gli assistiti maggiorenni, è autonoma rispetto alla sfera familiare.

AI riguardo vi è da osservare - e il fatto a nostro avviso è di rilevante importanza - che nelle provvi­denze erogate dallo Stato alle persone singole e ai coniugi aventi difficoltà finanziarie (assegno e pen­sione sociale, ecc.) mai è stato e viene fatto riferi­mento ai parenti tenuti agli alimenti.

Se venisse introdotta la norma prevista dall'art. 24, punto 4 si dovrebbe richiedere a tutti i congiunti degli assistiti maggiorenni, compresi quelli emigrati all'estero, di segnalare la propria situazione econo­mica.

In questo modo non verrebbe rispettata la riserva­tezza personale e familiare:

a) di coloro che richiedono l'assistenza. Infatti ai loro parenti verrebbe reso noto sia il loro ricorso ai servizi di assistenza, sia la loro incapacità di prov­vedere alla copertura delle spese relative;

b) dei parenti stessi, che - come si è detto - sarebbero tenuti a comunicare le loro condizioni finanziarie al Comune di residenza del congiunto assistito.

Infine, in base a quanto previsto dall'art. 24, punto 4, gli enti pubblici stabilirebbero gli importi da corri­spondere da parte dei parenti degli assistiti, scaval­cando la vigente normativa in base alla quale (3° comma dell'art. 441 del codice civile) «se gli obbli­gati non sono d'accordo sulla misura, sulla distribu­zione e sul modo di somministrazione degli alimen­ti, provvede l'autorità giudiziaria».

Si osservi che attualmente, per costringere i parenti di assistiti a versare contributi non dovuti, il Comune di Reggio Emilia invia una lettera in cui viene richiesta la «documentazione idonea ad atte­stare il reddito di ogni singolo componente del nucleo familiare». In particolare, occorre presentare l'ultimo 740 o 730, lo stato di famiglia dei congiunti non residenti a Reggio Emilia e, per le persone non tenute alla compilazione della dichiarazione dei red­diti, copia dei modelli 101 o 201 attestanti i compen­si percepiti o copia dei certificati relativi alle pensio­ni riscosse.

Nella lettera è, inoltre, precisato che «al momento della presentazione della documentazione, al fami­liare verrà richiesto di sottoscrivere una dichiarazio­ne attestante che il degente non ha proceduto all'a­lienazione di uno o più immobili a partire dal 1986».

Infine il Comune di Reggio Emilia minaccia i con­giunti con le seguenti parole: «Qualora la documen­tazione richiesta non venga presentata nei termini precedentemente fissati, da tutti o da una parte dei familiari, d'ufficio si dovrà procedere, indipendente­mente dal reddito, a richiedere le somme dovute dai familiari inadempienti, calcolando a loro carico l'inte­ra spesa di mantenimento, al netto delle somme ver­sate direttamente dal degente in conto retta; tale dif­ferenza verrà quindi fatturata sistematicamente all'interessato provvedendo successivamente all'i­scrizione al ruolo nel caso in cui non si provveda regolarmente al pagamento. Parallelamente all'iscri­zione al ruolo, si rende noto che si provvederà a revocare l'impegnativa di pagamento comunicando contestualmente, oltre che ai familiari interessati, la revoca dell'impegnativa alla casa di riposo ove il degente è ospite».

Analogo il tono intimidatorio usato dal Comune di Udine nei confronti di una figlia che aveva segnala­to i motivi giuridici in base ai quali riteneva di non dover più versare alcun contributo per il ricovero della madre: «Si preavvisa sin d'ora che - non ottemperando alle disposizioni impartite - questa Amministrazione si vedrà costretta, suo malgrado, a revocare immediatamente l'ordinanza di ricovero a suo tempo emessa nei confronti dell'istituto ..., ordi­nando nel contempo la dimissione della familiare di cui sopra e non accollandosi più le rette di ricovero fruite dalla medesima presso l'istituto stesso, dando avvio alla procedura legale nei Suoi confronti per il recupero del credito vantato da questa amministra­zione comunale».

Dunque, i Comuni di Reggio Emilia e di Udine non solo pretendono contributi non previsti da nessuna legge dello Stato, ma esercitano un odioso ricatto sui congiunti di persone gravemente malate e non autosufficienti, aventi, fra l'altro, diritto alle cure sani­tarie gratuite.

Si spera pertanto, che il Parlamento cancelli il punto 4 dell'art. 24 del testo unificato anche per evi­tare la prosecuzione di abusi così gravi come quelli sopra citati.

 

 

(1) Le proposte di legge presentate in Parlamento in questa legislatura sono state da noi riportate ed esaminate nei numeri 109, 116bis, 117 e 119. Le nostre proposte sono contenute nel­l'editoriale del n. 117 di Prospettive assistenziali.

(2) Cfr. "La relazione conclusiva della Commissione Onofri su previdenza, sanità e assistenza", Prospettive assistenziali, n. 118.

(3) Cfr. l'editoriale del n. 119 "CGIL, CISL e UIL negano lo stato di malattia degli anziani cronici non autosufficienti".

(4) I lettori vorranno scusare le numerose ripetizioni con altri articoli apparsi su Prospettive assistenziali, ma il documento del CSA ci è sembrato particolarmente importante.

(5) La proposta di legge n. 3801 è riportata integralmente (relazione e testo) in questo numero.

(6) Si vedano, al riguardo, il parere del Ministro dell'Interno del 27 dicembre 1993, prot. 12287/70, le note della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 15 aprile 1989 - prot. DAS/ 4390/1/H/795, del 20 ottobre 1995 - prot. DAS/13811/1/H/795 e del 29 luglio 1997 - prot. DAS/247/UU1/H/795, la sentenza del Tribunale di Verona del 16 marzo 1996, la nota del 18 settembre 1996 - prot. 2667/1/3/16 del Direttore del servizio affari giuridici della Regione Friuli-Venezia Giulia, il commento del Prof. Pietro Rescigno apparso su "Giurisprudenza italiana", ottobre 1993, pag. 687 e seg., il volume del Prof. Massimo Dogliotti, Doveri familiari e obbligazione alimentare, Giuffrè Editore, Milano, 1994 e numerosi articoli dello stesso giurista pubblicati su Prospettive assistenziali, i pronunciamenti del CORECO di Torino e la rispo­sta fornita in data 7 maggio 1996 dall'Assessore dell'assistenza della Regione Piemonte ad una interrogazione.

 

 

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