VALUTAZIONI CRITICHE AL TESTO
UNIFICATO PER LA LEGGE QUADRO SULL'ASSISTENZA
È sempre più
incombente il pericolo che il Parlamento approvi una legge di riforma dell'assistenza
assolutamente inidonea e destinata, quindi, a lasciare inalterata la gravissima
situazione esistente (1). Se si avesse un po' di rispetto delle esigenze
fondamentali di vita delle persone che non sono in grado di provvedere
autonomamente alle proprie esigenze, bisognerebbe non ripetere l'errore
commesso con la legge quadro sull'handicap n. 104/1992 la cui inefficacia è
ormai da tutti riconosciuta.
Occorrerebbe
anche che i Parlamentari ed i cittadini impegnati nel volontariato o in altre
attività sociali si ricordassero che ognuno di noi ed i nostri congiunti
possono essere colpiti da malattie invalidanti e diventare degli assistiti;
coloro che progettano o sostengono soluzioni inidonee rischiano di subirne
direttamente gli effetti negativi.
Le nostre
vivissime preoccupazioni sulla redigenda legge di riforma dell'assistenza sono
motivate anche e soprattutto dalla convergenza delle posizioni, sostenute
dalla Commissione Onofri (2), dal Governo e dai Sindacati CGIL, CISL e UIL (3)
tutte dirette ad escludere dalla competenza del Servizio sanitario nazionale i
giovani, gli adulti e gli anziani malati cronici non autosufficienti (1 milione
circa di soggetti nel nostro Paese).
Questa espulsione viene illegalmente
praticata da anni. Adesso la si vorrebbe legittimare.
In merito al
testo unificato (versione del 18 settembre 1997), predisposto dalla relatrice
On. Signorino, riportiamo la nota inviata in data 1 ° ottobre 1997 dal CSA,
Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, al Presidente e ai
Componenti della Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati, nonché
ai Ministri della sanità Rosy Bindi e per la solidarietà sociale Livia Turco
(4).
1. II testo
si riferisce alle "politiche di protezione sociale". Ma, com'è ovvio, le politiche di protezione sociale
concernono tutti i settori sociali, e cioè la casa, la sanità, l'istruzione, i
trasporti, la cultura, ecc. Riteniamo, invece, che il testo debba riguardare
solo l'assistenza e cioè la fascia più debole della popolazione, dando
finalmente attuazione al 1° comma dell'art. 38 della Costituzione che recita:
«Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere
ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale».
2. Nessun
diritto esigibile. Nel testo non è
previsto, ad esclusione - in certi casi - delle erogazioni monetarie, alcun
diritto esigibile da parte dell'utenza. Dunque, per non ripercorrere la già
ricordata tristissima esperienza della legge quadro sull'handicap 104/1992,
occorrerebbe precisare quali sono gli utenti dell'assistenza (minori in
situazione di abbandono totale o parziale, handicappati intellettivi gravi e
gravissimi, persone soggette a provvedimenti dell'autorità giudiziaria, ecc.).
3.
Indeterminatezza dell'organo preposto alla gestione dei servizi assistenziali. Dalla lettura degli art. 7 e 9 non risulta
obbligatoria la costituzione degli organi previsti per la gestione dei servizi
di assistenza sociale. È solo stabilita l'individuazione degli ambiti
territoriali (senza peraltro stabilire un termine), individuazione che,
addirittura, deve essere definita d'intesa con i Comuni. Pertanto, se uno o
più Comuni non concordano con la Regione, i cittadini non sapranno a chi
rivolgersi.
4. Subdolo
trasferimento dalla sanità all'assistenza dei soggetti malati non
autosufficienti. È inaccettabile il
trasferimento dalla sanità (caratterizzata - fra l'altro - dalla presenza di
diritti esigibili) all'assistenza (ancora fondata sulla discrezionalità) della
competenza ad intervenire nei confronti dei soggetti (minorenni, adulti,
anziani) definiti "non autosufficienti" (v. gli art. 16 e 17), e cioè
soprattutto di individui colpiti da gravi malattie (infarto, ictus, cancro,
demenza, ecc.) che necessitano di cure sanitarie spesso intensive da praticare
a domicilio oppure presso centri diurni, ospedali, case di cura private,
residenze sanitarie assistenziali (RSA) gestite dal Servizio sanitario
nazionale o con esso convenzionate.
Detto trasferimento è operato in modo subdolo in
quanto non vengono abrogate o modificate (evidentemente per evitare reazioni
da parte degli esperti e delle organizzazioni di tutela della fascia più debole
della popolazione!) le leggi vigenti che sanciscono il diritto alle cure
sanitarie senza limiti di durata delle persone malate, comprese quelle colpite
da cronicità e da non autosufficienza. AI riguardo si fa presente che:
a) non vi sono soggetti non autosufficienti in
accettabili condizioni di salute. Ad esempio, la Commissione medica che ha
provveduto nel 1993 all'esame delle condizioni di salute dei ricoverati presso
l'istituto di riposo per la vecchiaia e la Casa geriatrica Carlo Alberto,
entrambi gestiti direttamente dal Comune di Torino, ha accertato che su 506
ricoverati (399 donne e 107 uomini) solo 3 non soffrivano di alcuna grave
patologia, mentre gli altri presentavano la seguente situazione:
1 patologia |
soggetti |
n. |
21 |
2 patologie |
soggetti |
n. |
89 |
3 patologie |
soggetti |
n. |
93 |
4 patologie |
soggetti |
n. |
120 |
5 patologie |
soggetti |
n. |
85 |
6 patologie |
soggetti |
n. |
55 |
più di 6 patologie |
soggetti |
n. |
40 |
Totale |
soggetti |
n. |
503 |
b) non esistono malati cronici stabilizzati. Essi -
com'è ovvio - sono colpiti anche da patologie acute in misura di gran lunga
superiore rispetto agli altri anziani. Da accertamenti compiuti nel febbraio
1995 in uno dei suddetti istituti (I'IRV), è emerso che «attualmente circa il 30% degli ospiti è in trattamento per gravi
patologie acute (infarto miocardico acuto, ictus cerebrale, broncopolmonite,
scompenso cardiaco acuto, grave anemia, arteriopatia obliterante arti
inferiori, ecc.). Il 40% degli ospiti ha necessità di terapia iniettiva, il 30%
di terapia per via endovenosa, il 28% ha necessità di medicazioni quotidiane.
Si ribadisce pertanto che gli anziani ricoverati presso l'IRV sono affetti da
patologie molto complesse che richiedono un costante impegno di diagnosi e
terapia oltre che di assistenza infermieristica adeguata e qualificata. La
tipologia degli ospiti, il loro precario equilibrio psicofisico, il facile
sovrapporsi di complicanze e/o il riacutizzarsi di pregressi eventi morbosi
richiedono infatti interventi spesso immediati e intensivi». In definitiva
è assolutamente inaccettabile che le persone inguaribili siano considerate
incurabili. AI riguardo si veda il messaggio del Cardinale Carlo Maria Martini
riportato nel già citato editoriale del n. 119 di Prospettive assistenziali.
Anche se i lavoratori, a seguito della legge 692 del
1955, hanno versato prima alle Mutue e ora al Servizio Sanitario nazionale
contributi assicurativi aggiuntivi per esser curati senza limiti di durata
anche nei casi di cronicità e di non autosufficienza, questo Comitato non si
opporrebbe all'imposizione ai malati ricoverati in strutture sanitarie
(ospedali, RSA, ecc.) di una contribuzione a carico dei redditi pensionistici
personali dopo un certo periodo di degenza (ad esempio 60 giorni) a condizione
che vengano garantite - come d'altra parte stabiliscono le leggi vigenti -
tutte le occorrenti prestazioni mediche, infermieristiche, riabilitative e
alberghiere, e sia assicurata comunque ai malati stessi una quota per le
esigenze non soddisfatte dall'istituzione (vestiario, piccole spese personali,
ecc.) e per provvedere ai propri congiunti a carico.
5. Persone
malate e soggetti handicappati. Mentre per le persone giovani, adulte e
anziane colpite da malattie acute e croniche la competenza alle cure spetta,
in base alle leggi vigenti, alla sanità, per i soggetti con handicap fisici,
intellettivi e sensoriali, questo Coordinamento ritiene che debba intervenire -
ove necessario, ma evidentemente non per gli aspetti terapeutici - il settore
dell'assistenza sociale.
La sanità, inoltre, deve continuare a fornire le
necessarie prestazioni agli individui colpiti da malattie mentali, da alcuni
impropriamente definiti "handicappati psichici".
6. Nessuna
indicazione sui servizi che devono essere obbligatoriamente istituiti e sulle
priorità di intervento. Ad esclusione degli aspetti monetari,
dell'osservatorio (art. 3) e del sistema informativo (art. 4), nel testo
unificato non ci sono norme che stabiliscano quali sono i servizi assistenziali
che devono essere obbligatoriamente istituiti, né sono definite le priorità di
intervento. Occorrerebbe, invece, che fosse ribadita la priorità assoluta
delle prestazioni domiciliari (sostegni vari alle persone singole ed ai
nuclei familiari, adozione dei minori in situazione di abbandono, affidamento
educativo di minori, inserimenti familiari di adulti e di anziani in difficoltà,
ecc.) e dei relativi supporti (ad esempio, i centri diurni per gli
handicappati intellettivi ultraquindicenni non in grado di svolgere attività
lavorativa a causa della gravità delle loro condizioni psicofisiche).
Inoltre, dovrebbe essere stabilito il divieto assoluto
di creare nuovi istituti per minori e per handicappati (i cui rilevanti
aspetti negativi individuali, familiari e sociali sono arcinoti), mentre
occorrerebbe favorire, oltre agli interventi domiciliari, anche la creazione di
comunità alloggio parafamiliari aventi al massimo 8 posti.
Per gli anziani autosufficienti vi è, invece, la
necessità di superare le case di riposo, spesso veri e propri ghetti per i più
indifesi.
7.
L'assistenza, in primo luogo quella economica, non deve essere fornita a
coloro che hanno sufficienti mezzi. È assurdo prevedere l'erogazione da
parte dello Stato del reddito minimo di inserimento (RMI) a coloro (cfr. l'art.
25) che hanno proprietà immobiliari o mobiliari.
Sia in merito alle erogazioni economiche, sia per
quanto riguarda tutte le altre prestazioni, il testo unificato non tiene conto
che il già citato primo comma dell'art. 38 della Costituzione stabilisce che
l'assistenza debba essere fornita solo al cittadino «sprovvisto dei mezzi
necessari per vivere».
Si propone quindi che I'RMI venga erogato esclusivamente
a coloro che non posseggono beni immobili (fra i quali va compresa la casa di
abitazione, il cui valore può anche essere di centinaia di milioni) e mobili
(azioni, BOT, CCT, ecc.). Se del caso, potrebbero essere previsti prestiti
agevolati per coloro che posseggono beni immobili (ad esempio l'alloggio in cui
vivono), ma hanno redditi insufficienti per vivere. Nel reddito dovrebbero,
inoltre, essere computate tutte le entrate, nessuna esclusa.
Le suddette norme dovrebbero valere non solo per i
cittadini italiani, ma anche per gli stranieri. Per quanto riguarda gli
emolumenti economici si propone che:
• non facciano parte delle attività assistenziali, ma
di un istituendo "settore della sicurezza sociale" le prestazioni
monetarie aventi carattere permanente. La competenza potrebbe essere
centralizzata per evitare disparità di trattamento;
• siano di competenza dell'assistenza gli interventi
a carattere transitorio e quelli non compresi nel punto precedente;
• siano affidate al settore "Lavoro" tutte
le funzioni relative all'occupazione, compresi i lavori socialmente utili, le
altre forme di impiego ed i sussidi di disoccupazione, ripartendo con una
apposita legge (o legge delega) i compiti statali, regionali e degli enti
locali.
8. Regalo ai
privati di 50 mila miliardi. L'art. 10 del testo unificato prevede la
trasformazione delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB)
in associazioni o fondazioni di diritto privato. In questo modo verrebbero
regalati ai privati ben 50 mila miliardi. A tanto, infatti, ammontano i
patrimoni delle IPAB, come risulta dai dati forniti dalla rivista "IPAB
Oggi", n. 6, novembre-dicembre 1996, pag. 30.
In base alla legge vigente (n. 6972 del 1890) i
patrimoni ed i redditi delle IPAB devono essere destinati esclusivamente alle
persone in situazione di povertà.
La trasformazione delle IPAB in associazioni e
fondazioni farebbe venire meno una delle loro caratteristiche fondamentali: il
divieto di usare i patrimoni mobiliari e immobiliari per la gestione delle
attività.
In alternativa, si propone che vengano conservate le
suddette caratteristiche di fondo delle IPAB, stabilendo che esse possano
affidare a privati la gestione dei servizi d'assistenza per minori,
handicappati, anziani e delle altre attività (asili nido, scuole materne,
ecc.).
9. Attribuzione
all'assistenza di funzioni improprie. II testo unificato demanda al
settore delI’assistenza funzioni che l'assistenza stessa non è mai stata, non è
e non sarà mai in grado di gestire in modo adeguato. La promozione per
l'accesso all'istruzione, alla qualificazione professionale ed al lavoro ( cfr.
art. 14, 2, b e 15) sono funzioni specifiche che i suddetti settori devono
svolgere nei confronti di tutti i cittadini, compresi - evidentemente - i più
deboli.
L'attribuzione di questi compiti al settore assistenziale,
in realtà, significa (come risultava in modo lampante dalla proposta di legge
n. 354 presentata alla Camera dei Deputati dall'On. Signorino e come si evince
dall'art. 14 del testo unificato) assegnare al settore assistenziale i compiti
di controllore sociale delle persone e dei nuclei familiari in difficoltà, compiti
che - tenuto conto dell'estrema debolezza di coloro che hanno esigenze vitali
indifferibili - sono praticamente assoluti. Si veda, ad esempio, la quasi
totale passività con cui i congiunti di malati (soprattutto anziani e adulti
cronici non autosufficienti e pazienti psichiatrici) accettano che essi siano
ricoverati in strutture d'assistenza spesso addirittura fatiscenti, e
acconsentono anche a pagare rette non dovute di 2-3 milioni al mese!
10. La
stragrande maggioranza delle persone con handicap non necessita di essere
assistita. A parte le questioni monetarie (come abbiamo affermato in
precedenza i contributi economici a carattere continuativo dovrebbero essere
di competenza di un nuovo settore, quello della sicurezza sociale), la
stragrande maggioranza degli invalidi è in grado di provvedere a se stessi. Si
pensi, ad esempio, all'ex Presidente degli Stati Uniti Roosevelt.
Per il raggiungimento della massima autonomia
possibile di questi cittadini, occorre assicurare l'istruzione, la
preparazione professionale, il lavoro, una casa e trasporti accettabili, ecc.
L'assistenza deve essere fornita esclusivamente a
coloro che, a causa della gravità dell'handicap (si pensi, ad esempio, agli
handicappati intellettivi), non sono in grado di provvedere autonomamente alle
loro esigenze. Una concezione assistenzialistica dell'invalidità, espressa in
modo evidente dall'art. 14 del testo unificato, presuppone - fatto gravissimo -
una definitiva incapacità delle persone.
11. L'esercizio
delle tutele dei soggetti minorenni e degli adulti incapaci. Attualmente
(art. 354 del codice civile) la tutela può essere deferita dall'Autorità
giudiziaria ad un ente d'assistenza (in genere il Comune) o all'ospizio in cui
il soggetto è ricoverato. In entrambi i casi si verifica una situazione di
incompatibilità in quanto le funzioni di controllo sono assegnate allo stesso
organismo che dovrebbe essere controllato poiché esercita i compiti
assistenziali. Si propone quindi che sia inserito il seguente articolo, tratto
dalla proposta di legge n. 3801 presentata alla Camera dei Deputati il 3 giugno
1997 dall'On. Novelli (5):
«1. La regione autonoma della Valle d'Aosta e le
province, comprese quelle autonome, istituiscono, entro 90 giorni dalla data di
entrata in vigore della presente legge, l'ufficio di pubblica tutela con i
seguenti compiti:
a)
esercizio delle funzioni di tutore deferite dal giudice tutelare;
b)
svolgimento dei compiti di assistenza sulle tutele, affidati dal giudice
tutelare.
«2. La regione autonoma della Valle d'Aosta e le
province svolgono le funzioni di cui al comma .1 mediante proprio personale ed
avvalendosi di volontari.
«3. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in
vigore della presente legge i giudici tutelari trasferiscono agli uffici di
cui al comma 1 le tutele da essi affidate ad enti di assistenza e ad ospizi».
12. L'inaccettabile
richiesta di contributi economici ai parenti degli assistiti. L'art. 24 al
punto 4, richiamando impropriamente l'art. 433 del codice civile, impone ai
parenti tenuti agli alimenti di «contribuire al costo dei servizi in base ai
mezzi di cui dispongono e secondo criteri fissati dal Piano nazionale dei
servizi di protezione sociale e dalle leggi regionali».
II richiamo dell'art. 433 è assolutamente improprio
in quanto, in base alla legislazione vigente, gli alimenti possono essere
chiesti esclusivamente dall'interessato (o dal suo tutore). Gli enti pubblici
non hanno, sempre in base alle leggi in vigore, alcuna possibilità di sostituirsi
all'interessato (6).
In merito agli alimenti, finora il legislatore ha operato
una distinzione, a nostro avviso giusta e da non modificare, fra sfera privata
e sfera pubblica. AI riguardo è significativo che il 1° comma dell'art. 438 del
codice civile così si esprime: «Gli
alimenti possono essere richiesti solo
da chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio
mantenimento».
Le leggi vigenti prevedono una disciplina specifica
in materia di intervento dello Stato, disciplina che, per quanto concerne gli
assistiti maggiorenni, è autonoma rispetto alla sfera familiare.
AI riguardo vi è da osservare - e il fatto a nostro
avviso è di rilevante importanza - che nelle provvidenze erogate dallo Stato
alle persone singole e ai coniugi aventi difficoltà finanziarie (assegno e pensione
sociale, ecc.) mai è stato e viene fatto riferimento ai parenti tenuti agli
alimenti.
Se venisse introdotta la norma prevista dall'art. 24,
punto 4 si dovrebbe richiedere a tutti i congiunti degli assistiti maggiorenni,
compresi quelli emigrati all'estero, di segnalare la propria situazione economica.
In
questo modo non verrebbe rispettata la riservatezza personale e familiare:
a) di coloro che richiedono l'assistenza. Infatti ai
loro parenti verrebbe reso noto sia il loro ricorso ai servizi di assistenza,
sia la loro incapacità di provvedere alla copertura delle spese relative;
b) dei parenti stessi, che - come si è detto - sarebbero
tenuti a comunicare le loro condizioni finanziarie al Comune di residenza del
congiunto assistito.
Infine, in base a quanto previsto dall'art. 24, punto
4, gli enti pubblici stabilirebbero gli importi da corrispondere da parte dei
parenti degli assistiti, scavalcando la vigente normativa in base alla quale
(3° comma dell'art. 441 del codice civile) «se
gli obbligati non sono d'accordo sulla misura, sulla distribuzione e sul modo
di somministrazione degli alimenti, provvede l'autorità giudiziaria».
Si osservi che attualmente, per costringere i parenti
di assistiti a versare contributi non dovuti, il Comune di Reggio Emilia invia
una lettera in cui viene richiesta la
«documentazione idonea ad attestare il reddito di ogni singolo componente del
nucleo familiare». In particolare, occorre presentare l'ultimo 740 o 730,
lo stato di famiglia dei congiunti non residenti a Reggio Emilia e, per le
persone non tenute alla compilazione della dichiarazione dei redditi, copia
dei modelli 101 o 201 attestanti i compensi percepiti o copia dei certificati
relativi alle pensioni riscosse.
Nella lettera è, inoltre, precisato che «al momento della presentazione della
documentazione, al familiare verrà richiesto di sottoscrivere una dichiarazione
attestante che il degente non ha proceduto all'alienazione di uno o più
immobili a partire dal 1986».
Infine il Comune di Reggio Emilia minaccia i congiunti
con le seguenti parole: «Qualora la
documentazione richiesta non venga presentata nei termini precedentemente
fissati, da tutti o da una parte dei familiari, d'ufficio si dovrà procedere,
indipendentemente dal reddito, a richiedere le somme dovute dai familiari
inadempienti, calcolando a loro carico l'intera spesa di mantenimento, al
netto delle somme versate direttamente dal degente in conto retta; tale differenza
verrà quindi fatturata sistematicamente all'interessato provvedendo
successivamente all'iscrizione al ruolo nel caso in cui non si provveda
regolarmente al pagamento. Parallelamente all'iscrizione al ruolo, si rende
noto che si provvederà a revocare l'impegnativa di pagamento comunicando
contestualmente, oltre che ai familiari interessati, la revoca dell'impegnativa
alla casa di riposo ove il degente è ospite».
Analogo il tono intimidatorio usato dal Comune di
Udine nei confronti di una figlia che aveva segnalato i motivi giuridici in
base ai quali riteneva di non dover più versare alcun contributo per il
ricovero della madre: «Si preavvisa sin
d'ora che - non ottemperando alle disposizioni impartite - questa
Amministrazione si vedrà costretta, suo malgrado, a revocare immediatamente
l'ordinanza di ricovero a suo tempo emessa nei confronti dell'istituto ...,
ordinando nel contempo la dimissione della familiare di cui sopra e non
accollandosi più le rette di ricovero fruite dalla medesima presso l'istituto
stesso, dando avvio alla procedura legale nei Suoi confronti per il recupero
del credito vantato da questa amministrazione comunale».
Dunque, i Comuni di Reggio Emilia e di Udine non solo
pretendono contributi non previsti da nessuna legge dello Stato, ma esercitano
un odioso ricatto sui congiunti di persone gravemente malate e non
autosufficienti, aventi, fra l'altro, diritto alle cure sanitarie gratuite.
Si spera pertanto, che il Parlamento cancelli il
punto 4 dell'art. 24 del testo unificato anche per evitare la prosecuzione di
abusi così gravi come quelli sopra citati.
(1) Le proposte di legge presentate in Parlamento in
questa legislatura sono state da noi riportate ed esaminate nei numeri 109,
116bis, 117 e 119. Le nostre proposte sono contenute nell'editoriale del n.
117 di Prospettive assistenziali.
(2) Cfr. "La relazione conclusiva della
Commissione Onofri su previdenza, sanità e assistenza", Prospettive assistenziali, n. 118.
(3) Cfr. l'editoriale del n. 119 "CGIL, CISL e UIL negano lo stato
di malattia degli anziani cronici non autosufficienti".
(4) I lettori
vorranno scusare le numerose ripetizioni con altri articoli apparsi su Prospettive assistenziali, ma il
documento del CSA ci è sembrato particolarmente importante.
(5) La proposta di legge n. 3801 è riportata integralmente
(relazione e testo) in questo numero.
(6) Si vedano, al riguardo, il parere
del Ministro dell'Interno del 27 dicembre 1993, prot. 12287/70, le note della
Presidenza del Consiglio dei Ministri del 15 aprile 1989 - prot. DAS/ 4390/1/H/795,
del 20 ottobre 1995 - prot. DAS/13811/1/H/795 e del 29 luglio 1997 - prot.
DAS/247/UU1/H/795, la sentenza del Tribunale di Verona del 16 marzo 1996, la
nota del 18 settembre 1996 - prot. 2667/1/3/16 del Direttore del servizio
affari giuridici della Regione Friuli-Venezia Giulia, il commento del Prof.
Pietro Rescigno apparso su "Giurisprudenza italiana", ottobre 1993,
pag. 687 e seg., il volume del Prof. Massimo Dogliotti, Doveri familiari e obbligazione alimentare, Giuffrè Editore,
Milano, 1994 e numerosi articoli dello stesso giurista pubblicati su
Prospettive assistenziali, i pronunciamenti del CORECO di Torino e la risposta
fornita in data 7 maggio 1996 dall'Assessore dell'assistenza della Regione
Piemonte ad una interrogazione.
www.fondazionepromozionesociale.it