Notiziario dell'Associazione nazionale famiglie
adottive e affidatarie
SINTESI DEL PRIMO CONVEGNO
EUROPEO SULL'ADOZIONE
La difficile realizzazione di un diritto
Crescere
in una famiglia è un diritto inalienabile di tutti i bambini; un diritto forse
ovvio eppure troppo spesso disatteso. Se ne è discusso nell'ambito del convegno
europeo: "Bambini senza famiglia e adozione: esigenze e diritti -
Legislazione ed esperienze europee a confronto" tenutosi a Milano il 15 e
16 maggio 1997. Organizzato dall'Istituto italiano di medicina sociale,
dall'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, dalla Scuola dei
Diritti "Daniela Sessano" dell'ULCES e dalla rivista
"Prospettive assistenziali", il convegno ha affrontato i temi più
delicati legati alla mancanza di una famiglia e alle sue conseguenze, al ruolo
dei soggetti istituzionali e delle risorse private nel trovare soluzioni
valide, al difficile dialogo fra culture diverse, alla consapevolezza dei figli
adottivi e alla strutturazione dei loro rapporti interpersonali, ai traffici
di chi specula sulla sofferenza e alle normative che ogni paese, e molti paesi
insieme, si sono date per cercare di dare risposta a quello che, da sempre, è
un grave problema di tutte le comunità.
Un
viaggio nel mondo dell'adozione iniziato con un bel messaggio dell'Arcivescovo
di Milano, Cardinale Carlo Maria Martini, che ha sottolineato come la
genitorialità adottiva significhi, a tutti gli effetti, essere genitori
autentici di un bambino non procreato, e ha posto l'accento sul ruolo
strutturante e di ricostruzione di rapporti affettivi validi di cui l'adozione
è portatrice (1).
A
queste considerazioni ha fatto eco la relazione di Paola De Blasio, ordinario
di psicologia dello sviluppo all'Università Cattolica di Milano, che ha illustrato
con estrema precisione le disastrose conseguenze delle carenze affettive sulla
personalità in evoluzione di un bambino. I mille segnali che ogni giorno
giungono al bambino sono responsabili della qualità del suo rapporto con gli
adulti (violenze, abusi, comportamenti denigratori, ecc.): il bambino può
essere gravemente danneggiato, soprattutto nella sua capacità empatica, e può
perdere sicurezza e fiducia nei confronti degli adulti. Può allora sviluppare
un'idea di sé negativa, rispondendo con manifestazioni di rabbia e con
l'incapacità di aderire alle regole, favorendo così il verificarsi di altre
esperienze negative, generate proprio dal suo comportamento, per esempio
nell'ambiente scolastico. A ciò si aggiunga che alcuni elementi, come il
ricovero in istituto o la separazione dai genitori, possono aggravare le
conseguenze dei messaggi negativi.
Quel
bambino ha allora bisogno di esperienze affettive strutturanti che possono
parzialmente compensare i messaggi incongrui ricevuti, ma non è detto che
saprà accettare, da subito, le successive
offerte
di affetto; se adottato, potrebbe inizialmente avere difficoltà ad instaurare
un rapporto coinvolgente con i suoi genitori.
Certamente
non è facile intervenire su situazioni di disagio così complesse, ma è compito
specifico degli enti locali, secondo Alfredo Carlo Moro, direttore del Centro
nazionale per la tutela dell’infanzia, elaborare politiche sociali globali,
focalizzate sull'intero nucleo familiare visto come soggetto unitario, senza
privilegiare interventi su una sua componente rispetto alle altre: ad esempio,
non è pensabile che si intervenga su un genitore portatore di una grave patologia
psichiatrica senza prendere in considerazione i gravi problemi che questa
situazione genera nel figlio. Occorre anche che non si pensi soltanto a
risposte tecnicamente corrette (aiuti economici, assistenza domiciliare...).
Un intervento organico e costruttivo da parte dei servizi dovrebbe tendere ad
individuare le risorse che la famiglia stessa può mettere in campo per
superarle.
Se
è necessario un affidamento eterofamiliare, questo deve essere utilizzato,
nell'ambito di un progetto organico, solo se esiste ancora un legame
significativo, ma la situazione non consente la permanenza del bambino in
famiglia, e soprattutto quando è realmente prevedibile il recupero della
funzione educativa da parte dei genitori; se viceversa questo recupero non è
più possibile, e non esiste più un legame significativo, è necessario ricorrere
all'adozione, rinunciando a utilizzare l'affidamento come un comodo strumento
per evitare decisioni difficili e per non contrastare l'imperante cultura del
legame di sangue o, peggio ancora, come strumento terapeutico per l'adulto.
La
comprensione nei confronti di quest'ultimo non può significare disattendere il
diritto del bambino, per il quale i lunghi tempi troppo spesso connessi a un
improbabile recupero dei genitori sono pericolosi.
Agli
operatori dei servizi spetta il difficile compito di assicurare alla famiglia
un valido sostegno, che non si esaurisca in qualche sporadica visita di controllo,
ma che si traduca in un aiuto concreto alla famiglia soprattutto
nell'inserimento del bambino nel contesto sociale.
I
magistrati minorili, a differenza dei giudici penali, non sono chiamati a
giudicare un passato già concluso, bensì ad assumere decisioni che consentano
di ricostruire un futuro che rischia di essere compromesso.
In
questa azione i giudici non sono affatto aiutati, il più delle volte,
dall'opinione pubblica e soprattutto dai mezzi di informazione che, ad onta di
tutti i codici di autoregolamentazione, in questi anni hanno continuato,
nonostante un maggiore rispetto della riservatezza, a trattare l'adozione e
tutti gli interventi sui bambini come notizie da vendere, senza preoccuparsi
della correttezza delle informazioni e soprattutto delle loro conseguenze sulla
vita delle famiglie coinvolte. È quanto ha illustrato Alessandro Beretta
Anguissola, presidente dell'Istituto italiano di medicina sociale, in una documentata
relazione, nella quale ha denunciato la scarsa preparazione, specifica dei
giornalisti riguardo alle reali problematiche dell'adozione, regolarmente
ignorate, e le campagne di stampa mirate a far passare come diritto dei bambini
una deregulation dell'adozione
chiesta da più parti e funzionale in realtà solo agli interessi degli adulti,
che vedono l'adozione come un proprio diritto.
Adozione e religione
L'adozione di un bambino, soprattutto se proveniente
da un paese diverso dal nostro, pone molti problemi generati dal contatto fra
contesti culturali e religiosi diversi, e anche dall'inserimento del nuovo
arrivato nel contesto sociale che lo accoglie.
II confronto fra fedi religiose diverse - affrontato
in una tavola rotonda coordinata da Livia Pomodoro, presidente del Tribunale
per i minorenni di Milano - è certamente un aspetto da non sottovalutare nell'adozione
internazionale. Don Giannino Piana, docente di etica cristiana presso
l'Università di Urbino, rileva che nel Vangelo è riscontrabile un forte
ridimensionamento dei legami biologici, cioè una loro relativizzazione; la
tradizione ecclesiale successiva, però, si differenzia dal Cristianesimo delle
origini e dà enorme rilevanza ai legami di sangue e alla fecondità procreativa,
identificando il matrimonio come una unione fatta per il bene della specie
umana. In quest'ottica la procreazione è vista come fine primario del
matrimonio, con un forte svilimento della sessualità, riscattata solo dal suo
fine procreativo. II Concilio Vaticano li, d'altra parte, distingue fra senso
e fine del matrimonio e vede in questo sacramento uno stato di vita in cui due
persone crescono nella comunione dell'amore reciproco. In questo quadro la
fecondità procreativa è positiva soltanto se è espressione d'amore e di per sé
non è altro che una delle mille forme possibili di fecondità. Adozione e
affido, quindi, sono altre forme di fecondità. Questa concezione si scontra
con il Codice di diritto canonico, che stabilisce la nullità del matrimonio
per chi non desidera figli. La preoccupazione della Chiesa è, dunque, ancora
troppo mirata sulla fecondità procreativa, mentre la prospettiva dovrebbe
essere quella di una fecondità allargata: andrebbe cioè privilegiata
l'accoglienza di persone già nate che sono soggetto di diritti.
Secondo Giuseppe Laras, Rabbino Capo di Milano,
docente di pensiero ebraico presso l'istituto superiore di studi ebraici di
Milano, il problema dell'adozione investe tutta la società e qualsiasi religione
non può che considerare positivamente l'adozione, in quanto il presupposto
della famiglia è l'amore. Laras cita in proposito il celebre passo del libro
dei Re in cui Salomone, per dirimere la contesa fra due donne che rivendicano
la maternità di un unico bambino, finge di voler tagliare il figlio a metà;
una delle due acconsente, mentre l'altra lo prega piuttosto di dare il bambino
alla sua rivale: la madre del bambino è quindi quest'ultima. Prova di
maternità è l'amore, per cui non si può fare riferimento solo alla maternità e
paternità biologiche. L'adozione, secondo il rabbino, è una valida alternativa
ai brefotrofi e riferisce che il mondo ebraico ha sempre puntato molto sulla
prevenzione dell'abbandono, soprattutto all'interno delle comunità
circoscritte.
Nel mondo ebraico si verificano, pochi casi di
abbandono; soltanto dopo la seconda guerra mondiale e l'Olocausto si sono
verificate molte adozioni, in Italia ma anche in America. In altri contesti
drammatici (bambini frutto di stupri, che vengono abbandonati) si verificano
casi di adozione; questa avviene in ogni caso con l'accoglienza totale del
bambino all'interno della nuova famiglia.
In Israele la legge sull'adozione del 1960/61 stabilisce
che il rapporto fra adottante e adottato è un rapporto filiale a tutti gli
effetti. L'informazione al figlio adottivo viene considerata caso per caso, ma
nella maggior parte dei casi il figlio viene informato il più presto possibile
della sua situazione. Le coppie adottive sono in generale coppie senza figli e
i bimbi adottati sono ben inseriti nell'ambiente sociale e nella scuola. II
rabbino conclude, quindi che tutti hanno il diritto di avere una famiglia e
tutti hanno il dovere di dare amore.
Kaled Fouad Allam, islamologo, docente presso le
Università di Trieste e di Urbino, parte dalla considerazione che in gran
parte del mondo islamico il sistema della parentela e l'identità della famiglia
sono in crisi. Nel mondo islamico due istanze regolano la vita dell'individuo:
da un lato il fenomeno teologico vero e proprio, dall'altro l'esistenza di un
corpus giuridico del diritto musulmano suddiviso in quattro scuole di
pensiero, che funge anche da elemento di strutturazione della parentela. Per
quanto concerne l'adozione, l'Islam impedisce il riconoscimento dei figli nati
fuori dal matrimonio e dunque l'adozione stessa. È preminente, all'origine
della struttura della parentela, la categoria del Nassab, cioè il legame di sangue che riconosce l'appartenenza a una
tribù o a un clan. II figlio è pertanto il veicolo che porta al controllo della
struttura della parentela e alla continuità della discendenza. Molti codici
contengono un capitolo (Taffalah = accoglimento
legale) che consente il riconoscimento di un figlio adottivo. Si tratta di una
tecnica giuridica attraverso la quale si ricongiunge il diritto
all'appartenenza, purché chi accoglie il bambino sia un buon musulmano (art.
118 del codice civile algerino). II diritto testamentario dell'Islam è però
estremamente complesso: in presenza di Taffalah,
il bambino può ereditare un terzo dei beni. La Taffalah è meglio accettata quando si conoscono i genitori o
almeno uno dei due, nel qual caso il bambino ne mantiene il cognome, mentre è
più difficile se i genitori sono
sconosciuti.
L'integrazione
II problema dell'integrazione non è soltanto di ordine
religioso. Fulvio Scaparro pone l'accento sulla preoccupante recrudescenza di
un razzismo e di tante forme di integralismo che minacciano la convivenza
civile. In città sempre più estranee ai loro stessi abitanti, il diverso, di
cui aver paura o contro cui combattere nel tentativo di annientarlo, non è
soltanto l'immigrato portatore di un modello culturale diverso, ma diventa
addirittura chi abita in un palazzo diverso dal nostro. La fertilità del
conflitto non eluso, ma affrontato serenamente nell'intento di superarlo, di "andare insieme altrove", per
conoscere e comprendere realtà non meno sconosciute all'adulto che al bambino,
rischia di essere schiacciata dall'irrigidimento delle relazioni sociali. La
stessa democrazia dei rapporti familiari, fatta anche di conflitti senza
sopraffazioni, che configura la famiglia come luogo di scelta e di crescita,
può essere, in questa accezione, sostituita da una famiglia intesa come luogo
del dovere e del legame di sangue, cui può conseguire un irrigidimento dei
rapporti che rischia di provocare fratture irreparabili, o al contrario
l'allentamento estremo dei legami e della significatività dei rapporti, cioè
la disarticolazione totale.
Anche i soggetti istituzionali, come la scuola,
deputati a svolgere un'importante funzione educativa, sembrano non avere
ancora gli strumenti necessari per favorire e governare una corretta integrazione
del figlio adottivo nel contesto sociale.
Una integrazione corretta parte, come sottolinea
Giorgio Chiosso, direttore del Dipartimento di scienze dell'educazione
dell'Università di Torino, dal rispetto della diversità - etnica, sociale,
culturale - del bambino adottivo all'interno della comunità scolastica che lo
accoglie. Ma sia le normative scolastiche - troppo lente a recepire le
esigenze di una società in rapida evoluzione - sia i libri di testo - ancora
troppo legati a modelli familiari stereotipati - sia infine l'insufficiente
aggiornamento dei docenti su queste tematiche, fanno sì che sia a tutt'oggi
molto complessa e soprattutto affidata alla cultura e alla sensibilità del
singolo docente la realizzazione di un percorso didattico utile ad affrontare
correttamente la situazione familiare dei figli adottivi, in modo che ne
risulti un arricchimento per l'intera comunità.
Normative nazionali e internazionali
Nonostante un quadro culturale sostanzialmente
involutivo, le normative internazionali, a partire dalle convenzioni per
approdare alle varie normative nazionali, consacrano l'adozione quale istituto
sociale pensato prioritariamente per il bambino.
Secondo il Consigliere d'appello Massimo Dogliotti,
nelle quattro convenzioni ad oggi approvate in sede internazionale sono
sanciti i diritti fondamentali del minore come quello di non essere allontanato
dai genitori se non nel suo esclusivo interesse (New York 1979), quello ad
essere ascoltato e difeso nell'ambito di processi che lo riguardano, come le
cause di separazione fra i genitori (Strasburgo 1996), i diritti riguardanti i
minori adottati, nel tentativo di armonizzare le normative europee
sull'adozione (Strasburgo 1967) e di regolamentazione dell'adozione
internazionale stroncando o quanto meno ridimensionando il traffico di bambini
(L'Aja 1993).
La normativa italiana, in fatto di adozione internazionale,
non è stata finora in grado di controllare effettivamente l'ingresso illecito
in Italia di minori stranieri; a questo riguardo la prossima legge di ratifica
della Convenzione dell'Aja dovrebbe costituire un efficace strumento di
controllo.
Proprio i mutamenti nei flussi di provenienza dei
bambini adottati aiutano a comprendere quali siano i fenomeni economici,
politici e sociali che stanno alla base dell'adozione internazionale la cui
accezione culturale ha subito da vent'anni a questa parte, nei paesi
occidentali, un radicale rovesciamento. Chantal Saclier, segretaria generale
del Servizio sociale internazionale di Ginevra, ha tracciato un quadro
puntuale di questi mutamenti.
Partendo dalla locuzione "Paesi in via di
sviluppo" molto usata negli anni settanta, Saclier chiarisce che quella
espressione, oggi sostituita da un più pragmatico "Paesi di origine",
aveva allora a suo fondamento culturale una presa di coscienza e una nascente
corrente di solidarietà nei confronti di paesi economicamente e socialmente
svantaggiati, unita alla consapevolezza delle responsabilità che i paesi
occidentali avevano nei loro confronti. In quel contesto l'adozione
internazionale si sviluppò rapidamente grazie anche alla concomitanza di altri
tre fattori quali la crescente accettazione dell'istituto dell'adozione, la
riduzione dei bambini adottabili nei paesi industrializzati dovuta a mutamenti
sociosanitari e a politiche demografiche, la guerra del Vietnam e lo sviluppo
dell'adozione dei "bambini della guerra". Dal 1975, poi, anche
l'America latina si è aggiunta al novero dei paesi di origine. Da quel momento,
più volte sono mutati gli scenari internazionali e con essi la geografia dei
paesi di origine dei bimbi adottati. All'Europa orientale, le cui frontiere si
sono aperte all'adozione all'indomani della caduta del muro di Berlino (1990),
si sono poi aggiunti altri paesi dell'Asia (Cina, Vietnam, Cambogia).
Più in generale, si può affermare che il panorama dei
paesi di origine cambia continuamente: ogni volta che un paese subisce una
profonda crisi socioeconomica o politica, oppure una guerra aumenta il numero
dei bimbi adottati provenienti dal suo territorio. AI contrario, quando un
paese tenta di riorganizzare la propria vita e tende a chiudere le frontiere,
l'adozione si orienta verso paesi con politiche più liberali. Purtroppo, a
subirne radicali cambiamenti non è soltanto il quadro generale dei paesi di
origine, ma anche la concezione stessa dell'adozione: pressoché sconosciuta
prima della prima guerra mondiale e socialmente poco accettata, è stata
successivamente sostenuta dalla motivazione solidaristica già accennata, che ne
permise lo sviluppo a livello internazionale negli anni settanta; in quel
periodo l'adozione è stata vista prevalentemente come un mezzo per dare una
famiglia ai bambini rimasti orfani. Tale accezione culturale, però, si è via
via affievolita nei decenni successivi, per lasciare il posto ad una concezione
privatistica e sostanzialmente egoistica, in cui l'adozione è stata sempre più
concepita come mezzo per soddisfare il desiderio di figli degli adulti, che in
questi anni ha assunto i caratteri di un vero e proprio "diritto al
figlio", mentre il senso di solidarietà nei confronti dei paesi di origine,
se non del tutto scomparso, costituisce oggi un aspetto secondario delle
motivazioni all'adozione internazionale ed è invece più spesso utilizzato come
mera "copertura diplomatica" per pratiche spesso molto discutibili.
In tema di adozione nazionale, a fronte di un buon
impianto legislativo, c'è da registrate l'esistenza di realtà applicative molto
eterogenee su tutto il territorio nazionale, come è stato segnalato, nella
loro
relazione,
da un gruppo di lavoro composto da operatori sociali e di rappresentanti di
associazioni e di enti autorizzati per l'adozione internazionale.
Accanto a metodi di valutazione molto avanzati e a
protocolli di intesa con alcuni Tribunali per i minorenni miranti a rendere
più agili e meno ansiogene per le coppie le procedure valutative, esistono
realtà in cui l'intera organizzazione dei servizi territoriali è del tutto
inesistente e le stesse procedure sono ridotte a mere formalità burocratiche.
Anche all'interno delle singole regioni, poi, il funzionamento dei servizi è
quanto mai disomogeneo, anche per quel che riguarda la segnalazione alla
magistratura minorile dei casi di sua competenza.
L'adozione in Europa
La tavola rotonda "II percorso adottivo nei
diversi paesi europei", coordinata da Leonardo Lenti, Associato di diritto
privato all'Università di Torino, ha permesso un interessante confronto fra le
esperienze di alcuni paesi europei (Francia, Inghilterra, Galles, Olanda,
Norvegia, Svezia).
Dal complesso delle indicazioni fornite dai relatori
- in gran parte dirigenti delle rispettive autorità centrali - emerge che in
tutti i Paesi considerati:
- l'adozione è disciplinata per garantire la sua funzione
di strumento di tutela dei bambini, e non di tecnica per realizzare il
desiderio di genitorialità degli adulti;
- non è ammessa la possibilità di una cessione
diretta dai genitori biologici a quelli adottivi del bambino da adottare;
- la caratteristica fondamentale dell'adozione è
quella legittimante, anche se in alcuni paesi è ammessa anche quella non
legittimante.
Nonostante questa comunanza di principi, le differenze
fra le regole della legislazione e della prassi dei diversi paesi restano
numerose e profonde. Le principali differenze emerse dalle relazioni sono le
seguenti:
a) le caratteristiche personali degli adottandi. Nella legislazione di tutti i
paesi considerati la natura dell'adozione è ancora contrattuale e quindi è
necessario il consenso dei genitori biologici; in alcuni di essi (Olanda,
Norvegia, Svezia) è indispensabile, mentre in altri (Francia, Inghilterra e
Galles) può essere sostituito dall'accertamento giudiziale dello stato di
adottabilità. Nessuno dei paesi considerati prevede la sola ipotesi dello
stato di adottabilità. I minorenni sono adottabili senza limiti di età, tranne
il caso dell'Olanda, ove l'età massima dell'adottato è di 6 anni;
b) le caratteristiche personali degli adottanti. In tutti i paesi considerati,
l'adozione è soprattutto praticata da coppie sposate e conviventi, aventi una
differenza di età rispetto all'adottato corrispondente a quella che più
comunemente si incontra nelle famiglie legate da vincoli genetici. Questo non
è però il solo modello di famiglia adottiva ammesso. Anzitutto possono adottare
anche coppie non sposate o persone singole; va comunque rilevato che in alcuni
paesi il governo ha emanato delle linee guida per le autorità che procedono
all'abbinamento, secondo le quali le coppie sposate e conviventi devono essere
preferite agli altri potenziali adottanti; in Norvegia, poi, le linee guida
ammettono un abbinamento con un adottante singolo soltanto se vi sono rapporti
di parentela o rapporti affettivi significativi già precedentemente
instaurati. Inoltre, per quanto riguarda l'età, alcuni paesi prevedono limiti
minimi di età (25 anni per la Norvegia e la Svezia) o massimi (50 anni per la
Norvegia), derogabili in casi particolari; l'Olanda prevede invece differenze
minime e massime di età;
c) l'autorità che gestisce la procedura adottiva, e
cioè che stabilisce chi può essere adottato e chi può adottare, e li abbina.
Nella maggior parte dei paesi considerati è un'autorità amministrativa; in
Francia è un'autorità giurisdizionale. In Inghilterra e Galles è lasciato un
ampio spazio di azione anche alle organizzazioni private specializzate,
soggette a un controllo pubblico;
d) il periodo di affidamento preadottivo non è richiesto in molti dei paesi
considerati; tuttavia occorre notare che nei paesi in cui l'abbinamento è
gestito da un'autorità amministrativa sono previsti periodi di prova;
e) l'adozione
nazionale e l'adozione internazionale. In tutti i paesi considerati il
numero delle adozioni nazionali è molto inferiore rispetto a quelle internazionali,
soprattutto in Olanda, Norvegia e Svezia. Riguardo all'adozione internazionale,
occorre rilevare che:
-
tutti i paesi considerati hanno firmato la Convenzione dell'Aja del 1993;
- la Convenzione è in avanzatissima fase di ratifica
in Norvegia e in Svezia; è già in discussione un progetto di legge di ratifica
in Francia e in Olanda; è prevista la ratifica entro un paio d'anni in
Inghilterra e Galles;
- la delibazione dei provvedimenti di adozione
emanati dall'autorità del paese d'origine del bambino, che costituisce spesso
un mezzo per eludere le regole poste a tutela di quest'ultimo, è ammessa in
tutti i paesi considerati, con l'eccezione dell'Olanda, la cui legislazione
anche su questo punto è molto simile a quella italiana.
II panorama, a livello europeo, come si evince anche
da quanto brevemente riportato, è fortemente connotato da una visione
"adultista" dell'adozione.
L'informazione al figlio adottivo
Nel dibattito che ha accompagnato le relazioni è
stato più volte affrontato il tema dell'informazione al bambino della sua
situazione di figlio adottivo che è stato ampiamente ripreso nella relazione di
un gruppo di figli adottivi adulti che ha concluso il convegno.
Essi hanno descritto non soltanto la loro storia, ma
anche quelle di altri figli adottivi, non tutte sviluppatesi con la stessa
linearità e positività delle loro. Da quelle storie è emerso che i rapporti
adottivi fondati sulla trasparenza e sulla serenità, che si sono nutriti di
piccole verità quotidiane e di relazioni affettive equilibrate, hanno prodotto
i loro frutti. Hanno generato, cioè, persone mature (2).
(1) II Testo integrate è stato pubblicato sul n. 118 di
Prospettive assistenziali.
(2) II Testo
integrale della relazione è riportato in questo numero.
www.fondazionepromozionesociale.it