A UN
PUNTO CRUCIALE L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI IN SITUAZIONE DI HANDICAP
piero rollero
Dopo un quarto di secolo di esperienze di integrazione scolastica degli
handicappati, ci troviamo a un punto cruciale di tale processo: sono in gioco
diverse proposte di riforma radicale del sistema scolastico; il sistema di
protezione e di sicurezza sociale è sottoposto a un fuoco di fila di accuse,
quasi che i mali dell’Italia dipendessero solo dal suo funzionamento, peraltro
carente.
A questo si associa una caduta di idealità e di coerenza rispetto ai
principi e ai diritti civili garantiti dalla Costituzione, al punto che, anche
a livelli più alti (come nella recente, grave, relazione della Commissione
istruzione della Camera), si mettono in discussione i valori della integrazione
scolastica, estesa e dovuta a tutti i cittadini.
E ancora: i tagli, e le cosiddette “razionalizzazioni” nel settore
scolastico, e in particolare in quello dell’integrazione scolastica, da una
Finanziaria ad un’altra, preoccupano seriamente per la loro grave incidenza.
In questo clima culturale e politico, accanto ad indubbie esperienze
positive di integrazione, assistiamo a una emarginazione “strisciante” degli
handicappati: il recente Testo unico delle leggi della scuola rivaluta le
scuole, e persino gli istituti, speciali (con una operazione pseudogiuridica);
si diffondono le concentrazioni di alunni handicappati in “scuole cosiddette
attrezzate”; continuano e aumentano i “centri per gravi” per alunni in obbligo
scolastico, al di fuori del circuito scolastico.
Accanto a un disegno di legge positivo rispetto all’integrazione scolastica
(la “Riforma dei cicli scolastici”), vi è un altro disegno di legge che desta
molte preoccupazioni: quello sulla “parità delle istituzioni scolastiche”; esso
prevede l’obbligo, per le scuole “in parità”, di iscrivere gli alunni con
handicap, ma non specifica “in classi normali”, col pericolo che tale
iscrizione possa avvenire in scuole o addirittura in istituti speciali,
rivalutati, come si è detto, nel Testo unico della Scuola.
Si aggiunga che, in questo quadro in movimento, la scuola sta entrando in
un periodo di grandi cambiamenti connessi alla “autonomia”, una idea-guida che,
pur nei suoi aspetti positivi, creerà non poche difficoltà al processo di integrazione.
Nell’introdurre una specie di concorrenza tra le scuole, rischia di enfatizzare
un’efficienza competiviva che lascia poco spazio alla solidarietà,
all’attenzione per i più deboli, e può indurre più di una scuola a “deviare” la
persona in situazione di handicap ad altra sede, perché la presenza “costa” di
più e può rendere meno prestigiosa e “appetita” un’immagine della scuola basata
sui principi aziendalistici della sola efficienza e del solo prodotto.
Se poi esaminiamo l’ultima Finanziaria 1998, constatiamo che sono stati
approvati provvedimenti molto preoccupanti. In particolare, è caduto uno degli
strumenti tradizionali, e sperimentato da anni, come indispensabile per
un’efficace integrazione scolastica: ossia la norma che consentiva di formare
una classe di alunni “ridotta” di numero in presenza di un compagno con
handicap, e, nello stesso tempo, ad aggravare la situazione, è caduta anche la
norma del numero massimo di alunni per tutte le classi.
E, ancora, si è introdotto un nuovo, dubbio, criterio di assegnazione degli
insegnanti di sostegno: 1 insegnante ogni 138 alunni frequentanti la scuola.
Tale criterio comporterà già nel prossimo anno scolastico una diminuzione
consistente degli attuali sostegni, e ancor più nei prossimi anni se non verrà
annualmente modificato: infatti i dati statistici prevedono una diminuzione
della popolazione scolastica complessiva, e un aumento degli alunni con
handicap.
UNA SERIA RIFLESSIONE
SULL’INTEGRAZIONE SCOLASTICA
In questo clima culturale e politico, che minaccia di indurre una tendenza
pericolosa di riflusso, è quanto mai urgente riproporsi una seria riflessione e
un approfondito ripensamento sull’integrazione scolastica, per ripercorrere e
chiarire le idealità che l’hanno ispirata e le esperienze positive in cui si è
attuata. Si può indicare una triplice traccia di analisi:
– i suoi valori fondanti: “L’integrazione perché”;
– la sua destinazione ed estensione: “L’integrazione per chi”;
– le sue modalità istituzionali, organizzative,
pedagogiche: “L’integrazione come”;
nella
prospettiva generale di “Una scuola per
tutti e per ciascuno”, come si intitola il documento ufficiale “La Carta di
Lussemburgo”, approvato nel 1996 a conclusione del progetto pluriennale della
Comunità europea, Helios, volto a
promuovere l’integrazione delle persone in situazione di handicap.
INTEGRAZIONE PERCHÉ
I diritti sociali della Costituzione
Nella attuale fase delicata di modifiche della nostra Costituzione, è
importante riaffermare l’immodificabilità dei suoi principi civili e sociali.
Come ha indicato la sentenza della Corte costituzionale n. 215/1987,
proprio l’integrazione scolastica è tutelata da un “aggregato” di tali
principi: il valore della solidarietà (art. 2) e dell’uguaglianza (art. 3), i
diritti sociali previsti a tutela della famiglia e dei giovani (art. 31), degli
invalidi (art. 38), il diritto all’istruzione (art. 34).
Al primo posto si pone un’interpretazione moderna e funzionale del diritto allo studio, come un diritto di
cittadinanza, dalla cui realizzazione nessuno può essere escluso, perché ogni
allievo – handicappato o no – possa promuovere lo sviluppo pieno della propria personalità, e uscire dalla scuola
preparato ad affrontare, senza con ciò negare la disabilità che gli appartiene,
la vita ulteriore nel mondo di tutti.
Di qui si ribadisce, come affermano le leggi e conferma la sentenza della
Corte, che l’istituzione scolastica ha due precise finalità, fra loro
interdipendenti: l’attuazione del diritto
allo studio e la piena formazione della personalità degli alunni.
L’integrazione, essenziale e insostituibile
fattore di sviluppo - “Nell’integrazione consiste la vera speranza degli
handicappati” (1)
La stessa sentenza della Corte costituzionale, a conferma dell’analisi
giuridica dei diritti e dei valori della Costituzione, fa ricorso ad altri
valori, desunti dalle scienze sociali, per affermare un principio di
straordinaria rilevanza: «Per valutare la
condizione giuridica dei portatori di handicap in riferimento all’istituzione
scolastica occorre innanzitutto considerare, da un lato, che è ormai superata
in sede scientifica la concezione di una loro radicale irrecuperabilità,
dall’altro che l’inserimento e l’integrazione nella scuola ha fondamentale
importanza al fine di favorire il recupero di tali soggetti. La partecipazione
al processo educativo con insegnanti e compagni normodotati costituisce,
infatti, un rilevante fattore di socializzazione e può contribuire in modo
decisivo a stimolare le potenzialità dello svantaggiato, al dispiegarsi cioè di
quelle sollecitazioni psicologiche atte a migliorare i processi di
apprendimento, di comunicazione e di relazione attraverso la progressiva
riduzione dei condizionamenti indotti dalla minorazione.
«Insieme alle pratiche di cura e
riabilitazione ed al proficuo inserimento nella famiglia, la frequenza
scolastica è dunque un essenziale fattore di recupero del portatore di handicap
e di superamento della sua emarginazione, in un complesso intreccio in cui
ciascuno di tali elementi interagisce sull’altro e, se ha evoluzione positiva,
può operare in funzione sinergica ai fini del complessivo sviluppo della
personalità».
Le ricerche a questo riguardo sono molto numerose, e a livello
internazionale: in primo luogo sono concordi nel rilevare gli effetti negativi
dell’emarginazione in scuole o classi speciali, mentre rilevanti risultano i
benefici nell’apprendimento e nella socializzazione in ambiti integrati;
inoltre, le persone inserite fin dall’infanzia in classi integrate hanno
ottenuto da adulti migliori risultati sul piano culturale e lavorativo.
I vantaggi per i compagni di classe e per la scuola
Un’altra serie di ricerche e di esperienze mettono in rilievo i benefici
dell’integrazione scolastica per gli stessi compagni di classe, e in genere
anche sul sistema della scuola. L’integrazione, ben condotta, fa bene
all’alunno con handicap, ai compagni, a tutta la scuola.
Quando sono educati dagli adulti, i compagni di classe possono imparare a
capire, rispettare gli altri, essere sensibili e abituarsi alle differenze;
possono anche imparare a interagire, comunicare, instaurare amicizie, lavorare
insieme e aiutarsi a vicenda sulla base delle loro potenzialità e dei loro
bisogni individuali.
Ma vi è un “effetto circolare” positivo anche a livello di organizzazione
della scuola e dei metodi degli insegnanti: come afferma un importante
documento del 1975 (Documento “Falcucci”), «un
nuovo modo di essere della scuola è la condizione della piena integrazione
scolastica», ma l’esperienza migliore ha dimostrato che l’integrazione può
essere l’occasione per l’innovazione della scuola stessa a vantaggio di tutti.
La scuola può diventare un’opportunità di formazione e di evoluzione della
qualità degli apprendimenti stessi, e l’handicap una risorsa per fare scuola.
I costi dell’integrazione rispetto a quelli delle strutture speciali: le
ricerche internazionali dell’OCSE
Fra i risultati della ricerca dell’OCSE, Peter Evans cita un punto di
primaria importanza, il più realistico e il più convincente fra tutti i
possibili argomenti a favore dell’integrazione scolastica: vale a dire i costi
decisamente molto inferiori dell’integrazione rispetto all’educazione separata:
«I dati rivelano, là dove si possono
stabilire confronti ragionevoli, che l’integrazione è a molto minor costo delle
strutture speciali. In Danimarca, le strutture speciali costano sei volte di
più della scuola ordinaria, ma la pratica dell’integrazione costa solo quattro
volte di più. In Spagna, il costo relativo alle strutture speciali è dieci
volte maggiore del costo delle scuole normali, mentre l’integrazione viene a
costare più o meno come la scuola normale. In Italia la scolarizzazione nelle
strutture speciali viene a costare otto volte di più delle scuole normali,
mentre l’integrazione costa solo quattro volte di più».
Di conseguenza suggerisce: «I governi
e le altre autorità che esercitano il controllo finanziario devono pertanto
esser convinti che i fondi resi disponibili per i servizi segreganti dovrebbero
essere investiti in programmi di sviluppo scolastico del genere di quelli che
ho appena brevemente delineato. Cioè, lo stesso livello di finanziamento,
dovrebbe essere mantenuto, almeno a medio termine, ma bisognerebbe ridefinirne
l’uso. Una quota maggiore dovrebbe essere devoluta per la formazione
dell’insegnante in servizio, di tipo strutturato nella scuola stessa».
INTEGRAZIONE PER CHI?
Integrazione per tutti, senza alcuna esclusione
La legge quadro sull’handicap, interpretando correttamente la sentenza
della Corte costituzionale, estende il diritto dell’integrazione a tutti i
soggetti in situazione di handicap, senza alcuna esclusione: «L’esercizio del diritto all’educazione e
all’istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da
altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all’handicap» (art.
12, comma 4).
E per dissipare ogni dubbio l’art. 43 va ad abrogare i limiti che erano
presenti nella legge 118/1971, ove si intendevano esclusi dalle classi
integrate i soggetti «affetti da gravi
deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o
rendere molto difficoltoso l’apprendimento o l’inserimento».
E a conferma, l’art. 11 della legge quadro (dedicato in specifico a
“Interventi a favore di persone con handicap in situazione di gravità”) prevede
che le comunità alloggio, i centri socio-riabilitativi, e simili istituzioni,
debbono attuarsi «assicurando comunque il
diritto alla integrazione sociale e scolastica secondo le modalità stabilite
dalla presente legge e nel rispetto delle priorità degli interventi di cui alla
Legge 4 maggio 1983, n. 184» (sull’adozione e l’affidamento).
“Non dire mai grave”
La stessa legge quadro ci dà una importante lezione, attraverso la
terminologia con cui qualifica i soggetti con handicap. Essa non reca traccia
dei termini “handicappati”, e tanto meno di “gravi o gravissimi”, termini che
stigmatizzano e rinchiudono tali persone in una categoria fissata una volta per
tutte, e immodificabile.
La legge usa invece «in situazione
di handicap”, “con handicap in situazione
di gravità”, in cui si vuole indicare che tale “situazione” non è definitiva, è
reversibile, è modificabile, soprattutto in età evolutiva. Questa visione
dinamica ed evolutiva anche della “situazione di gravità”, è rivolta a
incentivare tutti i possibili interventi riabilitativi, educativi e di
integrazione scolastica e sociale, per ottenere il massimo sviluppo possibile,
prima di “arrendersi” alla gravità.
Le conferme della psicologia e della neuropsichiatria infantile
Le ricerche in questi settori confermano il carattere di evolutività
dinamica anche delle situazioni di gravità, e insieme il valore
dell’integrazione scolastica.
Gli apporti della psicologia si possono sintetizzare in queste
affermazioni: «L’handicappato grave è in
prima analisi difficile da definire. L’accezione più ricorrente lo classifica
come soggetto caratterizzato da gravi compromissioni sul piano dell’autonomia e
quindi della relazione. Sin qui tutto sembra chiaro ma vorremmo sottolineare
per sfatare subito questa illusoria chiarezza che la definizione di grave può
essere data solo al compimento dell’età evolutiva, e cioè soltanto ad una
accertata e definitiva mancanza di autonomia».
Così si ricava da un importante documento della Società di neuropsichiatria
infantile, sezione di Torino: «L’ambiente
scolastico e sociale normale, se attiva i necessari strumenti per l’inserimento
ed il lavoro educativo, è in grado di fornire stimoli a quelle capacità
comunque presenti anche nei bambini handicappati gravissimi, capacità che non
si possono dare come irrimediabilmente compromesse o di esclusiva competenza
del servizio sanitario nazionale [...]. Il
concetto di irreversibilità inerisce strettamente criteri clinici ed
etiopatogenetici; ma, di per sé, non qualifica la educabilità e le capacità
adattivo-comportamentali del bambino malato. Pertanto non sono questi i criteri
su cui fondare l’esclusione o meno dalla scuola (intesa come servizio educativo
per tutti i bambini)».
Una “selezione alla rovescia” per circoscrivere il più possibile la
situazione di gravità
In conseguenza dei punti precedenti, si avanza una proposta, di grande
rilevanza sociale: circoscrivere al massimo la situazione di gravità, contro la
tendenza a dilatarla, per una continua ricerca volta a limitare il circuito
assistenziale o a farne uscire il maggior numero possibile di soggetti, ad
attivarne gli sviluppi personali senza preconcetti paralizzanti, e individuare
le soluzioni più socializzanti possibili.
Questa operazione di non negare, ma di circoscrivere sempre la situazione
di gravità, tramite una specie di “selezione alla rovescia”, punta nel concreto
ad iniziative e risorse idonee a tentare nuove strade di attivazione e di
sviluppo personale.
Fra “deficit” ed “handicap”: non c’è sempre un rapporto diretto
È
fondamentale la distinzione fra “deficit” ed “handicap”, anche per le sue
pratiche conseguenze nelle situazioni di gravità. In una circolare del Provveditorato
agli Studi di Torino troviamo questa esemplare indicazione: «Anche quando il deficit è molto grave, un
vissuto individuale positivo, la ricchezza dei rapporti sociali e la
predisposizione di misure adeguate possono ridurre la situazione di handicap in
modo significativo, così come, viceversa, un piccolo deficit può dare origine
ad una grande handicap se non incontra la ricchezza pedagogica adeguata».
Molte ricerche ed esperienze confermano l’integrazione “possibile” anche
nelle situazioni di gravità
Come non ricordare, per prima, la “Storia
di Nicola. Le conquiste di un bambino handicappato grave nel racconto della
madre adottiva”, col suo «risveglio,
graduale, lento, ma tenace», per cui «è
stato come vederlo rinascere»? (2).
Ma molte altre esperienze e ricerche confermano simili integrazioni
possibili, e ne indicano alcuni importanti risultati e condizioni: anzitutto
una scuola profondamente educativa, e “terapeutica”; un lavoro intenso sulla
“comunicazione”, nella classe, alla scoperta dei vari tipi e livelli di
“linguaggi”, anche non tradizionali; conoscenza dell’handicap da parte dei
bambini, per trasformare, come avverte Canevaro, «il deficit da elemento oscuro di cui non bisogna parlare, a occasione
di indagine e di apprendimento per elevare la qualità della scuola e degli
apprendimenti». È possibile cambiare la qualità della vita, se i soggetti
sono trattati con dignità, portati a godere del massimo equilibrio, ad essere
sereni, per poter essere anche felici.
Ultimo segreto: “incontrare il bambino, al di là del suo handicap”
Come
afferma, con grande intuizione, C. Brutti: «L’handicappato
è un bambino. L’incontro con il bambino ci ha fatto capire che egli ci
interpella, in primo luogo come bambino totale. Ci suggerisce, cioè, che al di
là del suo handicap egli esiste come bambino, con i bisogni e i desideri di
ogni bambino, con gli stessi diritti e le stesse aspettative. La stortura del
nostro approccio al bambino handicappato ci deriva, primariamente, dal
misconoscimento di questa fondamentale realtà».
L’INTEGRAZIONE COME? “UNA SCUOLA
PER TUTTI E PER CIASCUNO”
Una volta individuate le ragioni profonde dell’integrazione scolastica, e
chiarita la sua estensione a tutti i soggetti in situazione di handicap, senza
esclusione, il punto più delicato rimane la pratica attuazione dei diritti
acquisiti in progetti efficaci.
Vi è in proposito una lunga serie di norme che si sono andate evolvendo,
anche grazie – bisogna riconoscerlo – alla citata sentenza della Corte
costituzionale, e nonostante alcuni tentativi di arresto e di riflusso. Si sono
così conquistate la tutela progressiva di diritti certi, e insieme la “traccia”
di una pedagogia della “qualità della scuola e dell’integrazione”.
È vero, come afferma Andrea Canevaro, che «le leggi non possono essere considerate strumenti miracolistici e non
possono trasformare la realtà per il solo fatto di esserci». Con ciò si
vuole indicare la fatica di tradurre nella realtà i principi, e la distanza che
li separa, e insieme l’impegno dello sforzo progressivo.
Ma le norme sono la garanzia dei diritti: quando alcune di esse scompaiono,
come nella recente Finanziaria 1997, non vi è più tutela possibile, anche se si
tratta di strumenti che hanno garantito finora, in modo essenziale,
un’integrazione scolastica efficace.
In questo momento delicato di transizione, si può accennare ai principali
interventi doverosi da parte delle istituzioni, per assicurare al meglio
l’integrazione, richiedendo il ripristino delle norme soppresse.
In secondo luogo si possono indicare alcuni fondamenti della “qualità della
scuola e dell’integrazione”, altrettanto, e forse più importanti.
I doveri delle istituzioni
Com’è noto, numerose norme impongono come obbligatori precisi interventi,
in merito all’integrazione scolastica, alla Scuola, agli Enti locali, ai
Servizi sanitari, ciascuno nel proprio settore di competenza specifica, ed
anche – a conferma di un compito particolarmente delicato – in coordinamento
fra loro, tramite Intese o “Accordi di programma”, anch’essi regolati da norme
precise.
Si può scegliere, come punto nodale, particolarmente delicato, il settore
degli alunni con handicap in situazione di gravità. La mancanza di impegni
precisi e continuativi da parte delle istituzioni, nei confronti di questi
soggetti, comporta conseguenze gravi, e anche drammatiche, come l’esclusione,
l’emarginazione e l’istituzionalizzazione, spesso a vita.
Eppure alcune norme al riguardo sono di alto valore, come quella che tutela
tali alunni prescrivendo «priorità nei
programmi e negli interventi dei servizi pubblici» (essa si ritrova
ribadita nella legge 104/92 agli artt. 3 e 42; e nel decreto 9/7/1992).
Le istituzioni, come “servizi pubblici”, hanno precisi interventi da
attuare: gli Enti locali, in modo specifico, sono tenuti a fornire «l’assistenza educativa per l’autonomia e la
comunicazione personale», e i Servizi sanitari interventi diagnostici, e
soprattutto di cura e di riabilitazione, di particolare intensità.
La Scuola, a sua volta, forniva insegnanti di sostegno anche “in deroga”
alle assegnazioni comuni, fino al rapporto di “1 a 1” fra alunno e insegnante,
e inoltre era autorizzata a formare sezioni e classi a numero ridotto di alunni.
Ora con la Finanziaria 1998 sono state soppresse le norme sulle classi ridotte,
e sono state “compromesse” le importanti “deroghe” di assegnazione del
sostegno, perché si indica una non chiarita possibilità di assumere con
contratto “a tempo determinato” insegnanti di sostegno in deroga, in presenza
di handicap particolarmente gravi.
Il ripristino certo delle norme che regolavano questi due aspetti
dell’integrazione è un dovere impellente, da indicare con urgenza al Governo e
al Parlamento.
La qualità della scuola, e dell’integrazione
Si è già citato, da un documento fondamentale dell’integrazione scolastica
(Documento “Falcucci”, 1975), il suo titolo-programma, ancora attuale e
impegnativo: “Un nuovo modo di essere
della scuola, condizione della piena integrazione scolastica”.
Ma lo stesso testo elenca e sviluppa diversi elementi concreti di tale
auspicata innovazione della scuola: nuove attività “integrative”; nuovo
concetto di intelligenza, non solo logico-astratta, ma anche senso-motoria e
pratica; e quindi un nuovo concetto di “apprendimento” tramite nuovi
“linguaggi”; e ancora, una nuova organizzazione di classe e di scuola: a
vantaggio, d’altronde, per tutti gli alunni, handicappati o no.
Altri strumenti operativi, di qualità, sono stati acquisiti nella normativa
successiva: in particolare, il funzionamento di “gruppi di lavoro” all’interno
della scuola: per la programmazione complessiva dell’integrazione, e per
ciascun alunno in situazione di handicap (al fine di predisporre e verificare
il “piano educativo individualizzato”), col concorso anche dei Servizi sociali,
degli Enti locali, delle famiglie e degli studenti.
Gli insegnanti sono certamente il fulcro della qualità della scuola e
dell’integrazione, sia gli insegnanti specializzati, qualificati come
“contitolari” a tutti gli effetti sulla classe, sia gli insegnanti
“curricolari”, la cui collaborazione (definita come “dovere deontologico”) è
preziosa e indispensabile. È così diffusa l’esigenza di impostare una seria
politica di formazione del personale della scuola, dai dirigenti scolastici ai
docenti curricolari e di sostegno.
Se si pensa che sono 60.000 gli insegnanti specializzati, che provengono da
formazioni non omogenee, occorre un ripensamento radicale della loro
preparazione. Se si pensa che oltre il 30% delle classi accoglie un allievo con
handicap, e ogni insegnante avrà occasione di incontrare, nella sua carriera,
un allievo con bisogni speciali, è necessario che anche gli insegnanti
“curricolari” abbiano una preparazione di base e un aggiornamento in servizio
adeguati.
Ma a questo
riguardo vi è un’esigenza più profonda: gli insegnanti devono essere aiutati,
anche con provvedimenti concreti, a ritrovare il senso del proprio lavoro a
scuola, in un momento in cui esso sembra smarrito, a ricuperare il loro alto
ruolo sociale, di formazione della personalità di tutti gli alunni,
handicappati o no.
Altri
elementi essenziali della qualità dell’integrazione si ritrovano anche nelle
finalità e in alcune modalità organizzative indicate nelle stesse norme della
legge quadro sull’handicap.
I fini da
perseguire nell’integrazione sono indicati con tale precisione e ampiezza da
facilitare, e approfondire, l’integrazione di tutti gli alunni con handicap,
ancora una volta, senza esclusione di alcuno. Infatti l’articolo 12, comma 3
(secondo le indicazioni della citata sentenza della Corte Costituzionale)
propone questo largo spettro di possibilità: «lo sviluppo delle potenzialità
della persona handicappata nell’apprendimento,
nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione».
Fra le
modalità indicate dalla stessa legge, risultano essenziali l’organizzazione
dell’attività educativa e didattica «secondo il criterio della flessibilità nell’articolazione delle
sezioni e delle classi, anche aperte», e insieme, una intensa programmazione individualizzata, con attenzione
specifica ai bisogni e alle potenzialità di ciascun alunno.
Ancora più
in concreto, questo significa, nell’individualizzazione, scegliere, adattare,
facilitare, avvicinare alle possibilità del singolo alunno in difficoltà,
obiettivi personalizzati, ma conformi agli obiettivi generali della classe.
In casi di
particolare necessità, è stata indicata la possibilità, e l’efficacia, di far
partecipare, comunque, l’alunno alle attività di classe, assicurando almeno che
egli partecipi alla “cultura” dei compiti e delle attività, all’atmosfera dei
singoli apprendimenti, quando non è possibile la sua adesione totale agli
obiettivi e ai compiti più generali e complessi.
Non meno
importante è l’impegno di curare i rapporti sociali all’interno della classe,
attraverso quella che è stata definita “l’educazione fra i pari”, che si
traduce nella solidarietà, nell’aiuto, nel sostegno reciproco, e nella
formazione comune.
Una scuola,
così impegnata nell’integrazione, è anche attenta a “tutte le differenze” e ai
«processi personalizzati: una scuola per
tutti e per ciascuno».
(1) Giuseppe Vico (Università Cattolica di Milano), Handicappati, La Scuola, Brescia,
1984, pag. 84.
(2) Giulia Basano, Storia
di Nicola..., Rosenberg & Sellier, Torino, 1987, 1989, 1991.
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