HANDICAP
E LAVORO: CONDIZIONI PER UNA RIFORMA SERIA DEL COLLOCAMENTO OBBLIGATORIO
Il 22 giugno 1998 si è tenuto a Milano un seminario promosso
dall’Associazione “Lavoro e Integrazione”, con il patrocinio della Provincia
di Milano, Assessorato al lavoro e formazione professionale. Tema
dell’incontro: “La riforma della 482, disciplina del collocamento obbligatorio
al lavoro degli handicappati”.
Sono intervenute circa un centinaio di persone provenienti dal Piemonte,
Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Trentino Alto-Adige:
operatori dei servizi pubblici e del privato sociale, insegnanti della
formazione professionale, esponenti di agenzie regionali per l’impiego,
cooperatori sociali, rappresentanti dei sindacati, di associazioni dell’handicap
e del volontariato.
Il seminario si è svolto in due momenti: lavoro di gruppo per una
approfondita analisi della proposta di legge (stesura del 14 maggio 1998),
attualmente all’esame della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati (1) e
discussione assembleare alla presenza dell’On. Carlo Stelluti, Relatore alla
Commissione Lavoro della Camera e del Sen. Carlo Smuraglia, Presidente della
Commissione Lavoro del Senato.
Riportiamo la sintesi delle richieste avanzate dai relatori dei gruppi di
lavoro ai parlamentari intervenuti, richieste limitate ai punti più allarmanti
della proposta di legge. Molte sarebbero, infatti, le modifiche necessarie al
testo, ma, per ovvi motivi contingenti determinati soprattutto dalla
consapevolezza che al punto in cui siamo è ben difficile ottenere radicali
cambiamenti, si è scelto di intervenire limitatamente agli articoli più
problematici.
Ripristinare i servizi del collocamento mirato
Uno dei nodi cruciali della riforma è la realizzazione del collocamento
mirato, indispensabile per poter superare i limiti dell’attuale legge 482/1968,
che indirizza all’azienda il lavoratore handicappato, senza considerare le sue
capacità e le esigenze relative al posto di lavoro che occuperà.
La nuova legge sul collocamento al lavoro degli handicappati deve, quindi,
sciogliere questo nodo.
Invece, nella bozza in oggetto, sono stati soppressi i servizi per
l’integrazione lavorativa, che erano previsti dal disegno di legge 4110
licenziato dal Senato in data 31 luglio 1997.
Nel nuovo articolo si rinvia semplicemente a generici “uffici competenti”
(2) senza che ne siano definite le competenze in merito all’avviamento al
lavoro delle persone handicappate.
È evidente il rischio che le Regioni ripropongano le vecchie, quanto
inutili, commissioni provinciali, apparati burocratico-amministrativi, che sono
inidonei a provvedere alle incombenze relative all’integrazione lavorativa.
Tutti i presenti hanno sottolineato che gli uffici del collocamento
ordinario, ai quali compete giustamente anche quello obbligatorio, non hanno
esperienze in merito.
Perché dunque non avvalersi delle risorse professionali degli operatori dei
servizi preposti da anni all’inserimento lavorativo mirato?
È stato, quindi, proposto di inserire un comma così formulato: «Entro sei mesi dall’entrata in vigore della
presente legge, le Regioni, nel quadro dell’organizzazione dei servizi per le
politiche del lavoro e dei servizi socio-sanitari-educativi, definiscono i
servizi cui affidare le funzioni inerenti i percorsi mirati d’integrazione
lavorativa, nonché gli strumenti di mediazione necessari per favorire
l’inserimento lavorativo dei soggetti handicappati» (3).
Valutare la capacità lavorativa
Anche questo aspetto è ormai un caposaldo per chiunque si sia occupato in
questi ultimi trent’anni di collocamento al lavoro degli handicappati.
Premessa indispensabile della nuova legge deve essere il riconoscimento
della presenza di persone handicappate in grado di conseguire una piena
capacità lavorativa, purché collocate in modo mirato.
Solo per i malati psichici e per gli handicappati intellettivi e fisici con
limitata autonomia – che possono raggiungere però una capacità lavorativa certa
e continua anche se ridotta – andrebbero contemplati incentivi per il loro
inserimento al lavoro, al fine di promuoverne le assunzioni. Purtroppo, nella
proposta di legge in esame è prevista (art. 12) l’incentivazione – per una
durata che può arrivare a cinque anni e con il massimo degli sgravi ammessi –
del collocamento al lavoro di handicappati fisici che, pur avendo il 100 per
cento di invalidità, sono in grado di svolgere il proprio lavoro con un
rendimento uguale a quello degli altri lavoratori.
Per una corretta impostazione degli incentivi non si può continuare ad
assumere quale unico punto di riferimento la percentuale di invalidità, ma
occorre valutare in primo luogo la capacità lavorativa e prevedere, inoltre,
l’istituzione dei relativi servizi (4).
No alla trasformazione delle cooperative sociali in ghetti
Unanime è stato il dissenso manifestato da parte degli intervenuti in
merito alle assunzioni a termine previste dall’art. 10 (5) e dal nuovo art. 11
(6) in base al quale l’impresa può assolvere ad una parte del suo obbligo di
assunzione, inviando la persona handicappata ad una cooperativa sociale, anziché
inserirla direttamente in azienda.
In sostanza, l’azienda assume la persona, ma la “comanda” ad una
cooperativa sociale che, in cambio, ottiene una commessa, la cui remunerazione
dovrà permettere alla cooperativa di «applicare
la parte normativa e retributiva dei contratti collettivi nazionali di lavoro,
ivi compresi gli oneri previdenziali e assistenziali, e di svolgere le funzioni
finalizzate all’inserimento lavorativo dei disabili».
Nulla è precisato in merito alla capacità lavorativa delle persone handicappate
e, quindi, potrebbe trattarsi anche di soggetti in grado di garantire una piena
capacità lavorativa.
Il “comando” della persona con handicap è una modalità inaccettabile
innanzitutto sul piano dei principi. Un soggetto obbligato per legge (l’azienda)
non deve avere la facoltà di trasferire ad altri (le cooperative sociali)
l’assolvimento del suo obbligo pagando un prezzo. La libera scelta del posto di
lavoro non può essere negata agli handicappati!
Sono proprio alcuni rappresentanti del mondo della cooperazione sociale a
rilevare che già con la legge 381/1991 le cooperative devono farsi carico di
almeno il 30% di soggetti svantaggiati; con la suddetta disposizione le
cooperative diventano inevitabilmente un ghetto e perdono qualunque occasione che
ancora loro rimane di essere impresa.
Con la procedura delle convenzioni introdotta dall’art. 11 si crea un
mercato parallelo, dove troveranno spazio tra l’altro commesse a basso costo,
che a loro volta favoriranno la riduzione dei compensi previsti per i
lavoratori delle stesse cooperative, con l’incentivazione di una concorrenza
sleale, a danno delle cooperative che rispettano le regole e i contratti di
lavoro.
Inoltre, è facile prevedere che le imprese saranno indotte a costituire
proprie cooperative. Infatti, è sufficiente trovare alcuni soci, i quali non
sono tenuti dalle leggi vigenti a svolgere alcuna attività lavorativa presso la
cooperativa.
L’art. 11 non è neppure giustificato dalla necessità di preparare la
persona handicappata prima di inserirla direttamente in azienda, per non
gravare in modo improduttivo sui costi, poiché in altre parti della bozza in
esame sono inseriti numerosi strumenti di mediazione, tutti rivolti a favore
delle imprese: chiamata nominativa, svolgimento di tirocini con finalità
formative o di orientamento, periodi di prova più ampi e, purtroppo, anche
contratti di assunzione a termine.
È altresì noto che, nella stragrande maggioranza dei casi, le commesse
esterne riguardano lavori sottoqualificati che non consentono l’acquisizione di
nuove abilità.
Per tali ragioni non è vero che possono esser acquisite maggiori capacità
in cooperativa, piuttosto che in un tirocinio svolto direttamente in azienda.
Resta forte la preoccupazione per il rientro in azienda previsto al termine
del tirocinio (12 mesi, rinnovabili una sola volta). Al riguardo, nel testo di
legge andrebbero precisate – a scanso di equivoci – le modalità per il
passaggio dalla cooperativa all’impresa, affinché sia garantito il collocamento
mirato e il datore di lavoro non possa rifiutare gli inserimenti con il
pretesto che le mansioni svolte nella cooperativa non sono quelle che
dovrebbero essere svolte nell’azienda.
Riassumendo, il quadro che si presenta è tutt’altro che rassicurante:
a) l’art. 11 prevede che l’impresa debba assumere contestualmente
l’handicappato per poter ottenere la convenzione che consente l’avvio in
cooperativa della persona, in alternativa alla sua collocazione in azienda;
b) poiché nel testo in esame è prevista tra le modalità di assunzione anche
quella a termine, nulla vieta che anche le assunzioni, ai sensi dell’art. 11,
abbiano questo gravissimo limite (ad esempio durino solo per il periodo del
tirocinio). Una volta terminato il periodo formativo fissato dalla convenzione
la persona handicappata si ritroverebbe disoccupata, mentre l’azienda può
riproporre lo stesso percorso ad altri soggetti, continuando ad assolvere
l’obbligo di assunzione, senza avere mai tutti gli handicappati in azienda (7).
Per tali ragioni i partecipanti hanno sottolineato l’esigenza di eliminare
l’assunzione con contratto a termine prevista dall’art. 10, sia per gli effetti
devastanti che ha se applicata anche all’art. 11, sia perché si ritiene un
controsenso una normativa che da un lato obbliga all’assunzione e dall’altro
non la rende operante, ma solamente provvisoria.
La flessibilità, la competitività, la mobilità (tanto care alle imprese)
sono concetti validi solo se non calpestano le esigenze delle persone
handicappate, tanto più di coloro che hanno una riduzione della capacità
lavorativa.
Eliminazione di altri favori previsti per le
imprese
Preso atto che la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati ha
introdotto alcuni ingiustificati favori alle imprese, i relatori dei gruppi
hanno richiesto alcune modifiche ritenute indispensabili per assicurare il
diritto al lavoro degli handicappati:
a) il ripristino della percentuale
del sette per cento di assunzioni obbligatorie anche per le aziende che
occupano da 36 a 50 dipendenti, tenuto conto che nel testo attuale l’obbligo è
ridotto a due soli lavoratori;
b) abolizione della clausola per le
aziende che occupano da 15 a 35 dipendenti, che prevede l’obbligo di
assunzione di un solo lavoratore handicappato, ma «comunque solo in caso di nuove assunzioni». Si tratta di una disposizione
che, oltre a penalizzare le nuove assunzioni, rischia anche di vanificare
l’applicazione della legge da parte delle piccole imprese;
c) reintroduzione dell’obbligo
dell’azienda di farsi carico della sicurezza dei lavoratori, attivandosi
per la prevenzione degli infortuni e per garantire la conservazione del posto
di lavoro a coloro che hanno subito incidenti nell’azienda. È stato proposto
quanto segue: «I lavoratori che divengono
inabili allo svolgimento delle proprie mansioni in conseguenza di infortunio
sul lavoro o malattia professionale, non
possono essere computati, dall’azienda presso la quale si è verificato
l’infortunio o prodotta la malattia, nella quota di riserva» (8);
d) eliminazione della chiamata nominativa per
gli handicappati intellettivi ed i malati psichiatrici. È evidente che
nessuna azienda provvederà all’assunzione di handicappati intellettivi e di
malati psichiatrici (il cui rendimento lavorativo pur essendo proficuo per la
ditta è inferiore alla media degli altri lavoratori), se l’avviamento al lavoro
è esclusivamente previsto tramite la chiamata nominativa.
Al riguardo, nell’incontro di Milano è stata rilevata la necessità di
abolire la norma che prevede che gli handicappati psichici possano essere
assunti solo con la chiamata nominativa. Però anche questa misura risulta a
nostro avviso insufficiente: per assicurare realmente il lavoro a questi
soggetti si dovrebbe prevedere una percentuale obbligatoria per le loro
assunzioni dell’1 o 2 per cento sulla percentuale totale;
e) definizione di un limite minimo
dei finanziamenti. Il testo della Commissione Lavoro, recependo le
richieste delle associazioni di tutela degli handicappati, ha stabilito che le
agevolazioni più consistenti valgano anche per le assunzioni di handicappati intellettivi
e malati psichici «indipendentemente
dalla percentuale di invalidità».
Le Regioni sono delegate ad attribuire alla suddetta finalità una
percentuale massima del 10% dei fondi ad esse assegnate. Tuttavia, non essendo
stato definito un livello minimo, la percentuale può anche essere uguale a
zero. Dunque, è stata rilevata la necessità di stabilire un limite minimo,
indicato dai partecipanti dell’incontro di Milano nella misura del 5%;
g) correggere gli effetti negativi
della riforma del pubblico impiego. Con l’art. 43 del decreto legislativo
31 marzo 1998 n. 80 è stato abrogato l’art. 42 del decreto legislativo 29/1993,
che aveva introdotto per gli enti pubblici la facoltà di procedere alle
assunzioni obbligatorie non solo tramite le chiamate numeriche, ma anche
avvalendosi di percorsi prelavorativi, predisposti con la collaborazione dei
servizi incaricati dell’integrazione lavorativa. Questa norma superava i limiti
della legge 482/1968 e realizzava nei fatti il collocamento mirato delle
persone handicappate.
L’abrogazione
di tale disposizione obbliga gli enti pubblici ad utilizzare esclusivamente la
chiamata numerica, senza potersi avvalere neppure delle convenzioni (e quindi
del collocamento mirato e della chiamata nominativa) che invece sono previste
per le imprese private e gli enti pubblici economici (art. 5 e 17 della legge
56/1987).
Da parte dei
convenuti dell’incontro di Milano sono ben presenti le difficoltà incontrate
finora per collocare le persone handicappate anche nell’ambito del pubblico
impiego. Pertanto si chiede ai Parlamentari di apportare le necessarie
correzioni nell’ambito della proposta di legge in modo da equiparare gli enti
pubblici alle ditte private, almeno per quanto riguarda la possibilità di
avvalersi delle convenzioni e degli incentivi.
Gli impegni dei Parlamentari
Sia il Senatore Smuraglia, che l’On. Stelluti hanno confermato la volontà
del Parlamento di concludere al più presto l’iter parlamentare in modo da
giungere in tempi brevi all’approvazione del testo.
Per il Sen. Smuraglia, le numerose attese e pressioni affinché si faccia in
fretta, non possono andare a discapito degli aventi diritto. Non si possono
approvare norme, se non rispondono alle attese per le quali ci si è impegnati
in tutti questi anni per migliorare la legge 482/1968.
Condivide le obiezioni sollevate dai partecipanti nei confronti della bozza
attualmente in discussione alla Camera, in particolare su due punti, che si
impegna personalmente a seguire.
Innanzitutto riconosce che bisogna definire i servizi preposti
all’integrazione lavorativa: la genericità non serve. Al sistema del
collocamento obbligatorio devono essere assicurate professionalità capaci di
relazionarsi con l’impresa e con i soggetti aventi diritto. Afferma che occorre
riprendere i contenuti introdotti nel testo varato dal Senato al fine di
fornire alle Regioni gli indirizzi indispensabili per assicurare interventi
omogenei su tutto il territorio nazionale e, conseguentemente, garantire
ovunque il diritto al lavoro sancito dalla Costituzione.
Ammette, inoltre, che l’assenza dei servizi suddetti pregiudica il
collocamento mirato, che dovrebbe essere il primo obiettivo della riforma.
Anche se non è sufficiente per rendere gradita la presenza delle persone
handicappate alle imprese, è comunque l’anello indispensabile per ridurre
l’alibi attuale che consente alle aziende di rifiutare molti aventi diritto.
In secondo luogo, pur non addentrandosi nello specifico dell’art. 11
riguardante le cooperative sociali, articolo che ricorda essere stato introdotto
dalla Camera, ritiene giustificate le osservazioni e i rischi avanzati dai
convenuti al seminario, per cui si dichiara ben consapevole della necessità di
eliminare la facoltà di assunzione con contratto a termine.
Da parte sua l’On. Carlo Stelluti, Relatore della Commissione Lavoro della
Camera, esaminando dettagliatamente l’articolato della proposta di legge, avvia
con i partecipanti del convegno un vivace scambio teso da un lato a renderli
consapevoli del clima politico, che ovviamente pesa sulle modifiche negative
introdotte dalla Commissione Lavoro della Camera, e dall’altro ad indicare gli
aspetti sui quali è possibile intervenire.
Senza negare la serietà e la precisione con la quale sono stati argomentati
dalle relazioni di gruppo i punti critici della proposta di legge, ritiene
ardua la possibilità di introdurre modifiche sostanziali sull’articolo più
discusso: quello sulle cooperative sociali.
Reputa però oggettive e concrete le preoccupazioni emerse in merito alla
possibilità che, al termine dell’attività prestata nella cooperativa sociale,
non si realizzi l’assunzione nell’azienda che ha affidato la commessa di lavoro
alla stessa cooperativa.
Si impegna pertanto ad intervenire. Inoltre, conferma l’impegno del Governo
e della maggioranza a reintrodurre il “non”, scomparso nel testo della Camera
(9), in modo che le aziende non computino ai fini della quota d’obbligo di
assunzione i lavoratori già assunti, diventati inabili a seguito di infortuni
sul luogo di lavoro.
Comprende le preoccupazioni espresse in merito al fondo destinato agli
incentivi per le assunzioni degli handicappati intellettivi e dei malati
psichici. Ritiene giusta la necessità di definire non solo la quota massima,
stabilita nella misura del 10%, ma anche quella minima, proposta nella quota
del 5%.
Per quanto riguarda la mancata valutazione della capacità lavorativa della
persona handicappata (nella proposta di legge si continua ad individuare
solamente la percentuale di invalidità), ai fini dell’utilizzo degli incentivi,
ritiene che per il momento non vi siano altre soluzioni.
L’On. Stelluti si rende perfettamente conto che a causa di questa omissione
vi sono conseguenze molto negative nei contenuti della legge e nella sua
attuazione, ma giustifica tale scelta come «l’unico
strumento che è stato individuato per poter formulare un’ipotesi di spesa»,
senza la quale la Commissione Bilancio non avrebbe dato parere favorevole. Se
ci sono suggerimenti al riguardo, dichiara di essere disponibile ad esaminarli.
Infine, circa la richiesta di precisare meglio gli “uffici competenti”, per
l’integrazione lavorativa solleva alcuni dubbi sulla possibilità di inserire le
relative norme nel testo di legge, in quanto ciò potrebbe essere ritenuto in
contrasto con il conferimento delle funzioni alle Regioni disposto dal decreto
legislativo 112/1998.
Piuttosto, ritiene perseguibile un’altra strada: rinviare ad un decreto
successivo (prevedendo la relativa delega al Governo nel testo in discussione),
per definire i servizi di integrazione lavorativa.
Per quanto concerne l’abrogazione delle norme per l’assunzione delle
categorie protette nel pubblico impiego, ammette che questo aspetto è
inizialmente “sfuggito” ai Parlamentari della Commissione Lavoro. Si è tentato
di correre ai ripari inserendo la facoltà per gli enti pubblici di ricorrere
alle convenzioni previste dagli art. 5 e 17 della legge 56/1987 (10).
Conclusioni
Non possiamo ignorare l’alto rischio di emarginazione risultante
dall’attuale testo in discussione alla Camera. Al di là degli impegni assunti
dal Sen. Smuraglia e dall’On. Stelluti (che non possono certamente apportare da
soli le modifiche richieste nell’incontro di Milano), è reale il pericolo che
una parte consistente di handicappati venga esclusa da ogni possibilità di
inserimento lavorativo.
Come abbiamo visto esaminando l’art. 11, l’attuale testo permette alle
imprese di attuare la legge sul collocamento obbligatorio senza procedere alle
assunzioni, ma affidando lavorazioni alle cooperative sociali.
Come ha rilevato Corrado Mandreoli, responsabile delle politiche sociali
della CGIL, con la riforma in atto del collocamento ordinario, anche quello
obbligatorio potrebbe finalmente trovare una sistemazione valida nell’ambito
delle politiche attive del lavoro, purché siano realizzate le condizioni
illustrate nel corso del seminario.
Inoltre, Mandreoli ha precisato che «dare
lavoro agli handicappati con capacità lavorative piene o ridotte è anche un
obiettivo da perseguire per evitare che persone in grado di lavorare vengano
confinate nell’assistenza, di cui è in corso da parte del Parlamento la
predisposizione della legge quadro».
«Se assicuriamo il diritto al
lavoro a quanti oggi sono assistiti impropriamente – ha
continuato Mandreoli – possiamo liberare
risorse per dare finalmente servizi di assistenza qualitativamente e
quantitativamente efficaci a chi, “inabile e sprovvisto dei mezzi di
sussistenza” ha diritto all’intervento assistenziale dello Stato, così come
recita l’art. 38 della Costituzione. Se perdiamo questa battaglia, torneremo ai
vecchi ghetti speciali, perché le cooperative sociali, così come sono
ipotizzate dall’art. 11, non sono altro che i laboratori protetti che tutti noi
speravamo che fossero stati definitivamente superati».
È innegabile che la scelta sul diritto al lavoro degli handicappati è
politica. Nessuno crede che esistano idonee soluzioni esclusivamente
“tecniche”. Da troppo tempo si parla di riforma della 482/1968; da alcuni anni
si pratica il collocamento mirato; è stato ampiamente dimostrato che
l’integrazione lavorativa delle persone con handicap, anche di quelle con
ridotte capacità lavorative, è possibile e proficua per i diretti interessati,
per le aziende e per la società.
Per questo, a nome dei partecipanti del seminario, Mariella Fracasso
dell’Associazione “Lavoro e Integrazione”, ha rinnovato l’appello ai
Parlamentari intervenuti affinché sia promossa con la nuova legge una politica
attiva per il lavoro degli handicappati e non sia sanzionata la loro esclusione
sociale.
(1) Coloro che desiderano avere copia del testo
sono pregati di richiederlo a Prospettive
assistenziali che provvederà ad inviarlo gratuitamente.
(2) Gli “uffici competenti” dovrebbero essere predisposti
in attuazione dell’art. 4 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469
“Conferimento alle Regioni e agli Enti locali di funzioni e compiti in materia
di mercato del lavoro, a norma dell’articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n.
59”, il cui testo è il seguente:
«1. L’organizzazione
amministrativa e le modalità di esercizio delle funzioni e dei compiti
conferiti ai sensi del presente decreto sono disciplinati, anche al fine di
assicurare l’integrazione tra i servizi per l’impiego, le politiche attive del
lavoro e le politiche formative, con legge regionale da emanarsi entro sei mesi
dalla data di entrata in vigore del presente decreto, secondo i seguenti
principi e criteri direttivi:
a) ai sensi
dell’articolo 4, comma 3, lettere f) e
g) e h), della legge 15 marzo 1997, n. 59, attribuzione alle Province delle
funzioni e dei compiti di cui all’articolo 2, comma 1, ai fini della
realizzazione dell’integrazione di cui al comma 1;
b) costituzione di
una commissione regionale permanente tripartita quale sede concertativa di
progettazione, proposta, valutazione e verifica rispetto alle linee programmatiche
e alle politiche del lavoro di competenza regionale; la composizione di tale
organo collegiale deve prevedere la presenza del rappresentante regionale
competente per materia di cui alla lettera c), delle parti sociali sulla base della rappresentatività determinata
secondo i criteri previsti dall’ordinamento, rispettando la pariteticità delle
posizioni delle parti sociali stesse, nonché quella del consigliere di parità
nominato ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125;
c) costituzione di
un organismo istituzionale finalizzato a rendere effettiva, sul territorio,
l’integrazione tra i servizi all’impiego, le politiche attive del lavoro e le
politiche formative, composto da rappresentanti istituzionali della Regione,
delle Province e degli altri enti locali;
d) affidamento
delle funzioni di assistenza tecnica e monitoraggio nelle materie di cui
all’articolo 2, comma 2, ad apposita struttura regionale dotata di personalità
giuridica, con autonomia patrimoniale e contabile avente il compito di
collaborare al raggiungimento dell’integrazione di cui al comma 1 nel rispetto
delle attribuzioni di cui alle lettere a) e b). Tale struttura
garantisce il collegamento con il sistema informativo del lavoro di cui
all’articolo 11;
e) gestione ed
erogazione da parte delle Province dei servizi connessi alle funzioni e ai
compiti attribuiti ai sensi del comma 1, lettera a), tramite strutture denominate “centri per l’impiego”;
f) distribuzione
territoriale dei centri per l’impiego sulla base di bacini provinciali con
utenza non inferiore a 100.000 abitanti, fatte salve motivate esigenze
socio-geografiche;
g) possibilità di
attribuzione alle Province della gestione ed erogazione dei servizi, anche
tramite i centri per l’impiego, connessi alle funzioni e compiti conferiti alla
Regione ai sensi dell’articolo 2, comma 2;
h) possibilità di
attribuzione all’ente di cui al comma 1, lettera d), di funzioni ed attività ulteriori rispetto a quelle conferite ai
sensi del presente decreto, anche prevedendo che l’erogazione di tali ulteriori
servizi sia a titolo oneroso per i privati che ne facciano richiesta.
«2. Le Province
individuano adeguati strumenti di raccordo con gli altri enti locali,
prevedendo la partecipazione degli stessi alla individuazione degli obiettivi e
all’organizzazione dei servizi connessi alle funzioni e ai compiti di cui
all’articolo 2, comma 1.
«3. I
servizi per l’impiego di cui al comma 1 devono essere organizzati entro il 31
dicembre 1998».
(3) I servizi dovrebbero essere incaricati anche
della valutazione della capacità lavorativa.
(4) Ved. la nota 3.
(5) Il testo dell’art. 10 è il seguente: «1. Al fine di favorire l’inserimento
lavorativo dei disabili, gli uffici competenti, sentito l’organismo di cui
all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, come
modificato dalla presente legge, possono stipulare con il datore di lavoro
convenzioni aventi ad oggetto la determinazione di un programma mirante al
conseguimento degli obiettivi occupazionali di cui alla presente legge.
«2. Nella convenzione
sono stabiliti i tempi e le modalità delle assunzioni che il datore di lavoro e
gli altri soggetti indicati al comma 1 si impegnano ad effettuare. Tra le
modalità che possono essere convenute vi sono anche la facoltà della scelta
nominativa, lo svolgimento di tirocini con finalità formative o di
orientamento, l’assunzione con contratto di lavoro a termine, lo svolgimento di
periodi di prova più ampi di quelli previsti dal contratto collettivo, purché
l’esito negativo della prova, qualora sia riferibile alla menomazione da cui è
affetto il soggetto, non costituisca motivo di risoluzione del rapporto di
lavoro.
«3. La convenzione può
essere stipulata anche con datori di lavoro che non sono obbligati alle
assunzioni ai sensi della presente legge.
«4. Gli uffici competenti
possono stipulare con i datori di lavoro convenzioni di integrazione lavorativa
per l’avviamento di disabili che presentino particolari caratteristiche e
difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario.
«5. Gli uffici competenti
promuovono ed attuano ogni iniziativa utile a favorire l’inserimento lavorativo
dei disabili anche attraverso convenzioni con le cooperative sociali di cui
all’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, e con
i consorzi di cui all’articolo 8 della stessa legge, nonché con le
organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali di cui
all’articolo 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266, e comunque con gli organismi
di cui agli articoli 17 e 18 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con
altri soggetti pubblici e privati idonei a contribuire alla realizzazione degli
obiettivi della presente legge.
«6. L’organismo di cui
all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, come
modificato dalla presente legge, può proporre l’adozione di deroghe ai limiti
di età e di durata dei contratti di formazione-lavoro e di apprendistato, per
le quali trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 3 ed al primo
periodo del comma 6 dell’articolo 16 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299,
convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451. Tali deroghe
devono essere giustificate da specifici progetti di inserimento mirato.
«7. Oltre a quanto
previsto al comma 2, le convenzioni di integrazione lavorativa devono:
a) indicare
dettagliatamente le mansioni attribuite al lavoratore disabile e le modalità
del loro svolgimento;
b) prevedere le forme di
sostegno, di consulenza e di tutoraggio da parte degli appositi servizi
regionali o dei centri di orientamento professionale e degli organismi di cui
all’articolo 18 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, al fine di favorire
l’adattamento al lavoro del disabile;
c)
prevedere verifiche periodiche sull’andamento del percorso formativo inerente
la convenzione di integrazione lavorativa, da parte degli enti pubblici
incaricati delle attività di sorveglianza e controllo».
(6) Il testo dell’art. 11 è il seguente: «1. Fermo restando le disposizioni di cui
agli articoli 8 e 10, gli uffici competenti possono stipulare con i datori di
lavoro privati soggetti agli obblighi di cui all’articolo 2 e le cooperative
sociali di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre
1991, n. 381, e successive modificazioni, apposite convenzioni finalizzate
all’inserimento temporaneo dei disabili appartenenti alle categorie di cui
all’articolo 1 presso le cooperative sociali stesse, alle quali i datori di
lavoro si impegnano ad affidare commesse di lavoro. Tali convenzioni, non
ripetibili per lo stesso soggetto, non possono riguardare più di un lavoratore
disabile, se il datore di lavoro ha meno di 50 dipendenti, ovvero più del 30
per cento dei lavoratori disabili da assumere ai sensi dell’articolo 2, se il
datore di lavoro ha più di 50 dipendenti.
«2. La convenzione è subordinata
alla sussistenza dei seguenti requisiti:
a) contestuale assunzione
del disabile da parte del datore di lavoro;
b) copertura
dell’aliquota d’obbligo di cui all’articolo 2 attraverso l’assunzione di cui
alla lettera a);
c) impiego del disabile
presso la cooperativa sociale, con oneri retributivi, previdenziali e
assistenziali a carico di quest’ultima, per tutta la durata della convenzione
che non può eccedere i 12 mesi, prorogabili di ulteriori 12 mesi da parte degli
uffici competenti;
d) indicazione nella
convenzione dei seguenti elementi:
1) l’ammontare delle
commesse che il datore di lavoro si impegna ad affidare alla cooperativa; tale
ammontare non deve essere inferiore a quello che consente alla cooperativa
stessa di applicare la parte normativa e retributiva dei contratti collettivi
nazionali di lavoro, ivi compresi gli oneri previdenziali e assistenziali, e di
svolgere le funzioni finalizzate all’inserimento lavorativo dei disabili;
2) i nominativi dei
soggetti da inserire ai sensi del comma 1;
3)
l’indicazione del percorso formativo personalizzato.
«3. Alle convenzioni di
cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni
dell’articolo 10, comma 7».
(7) Ad esempio un’impresa con più di 50 lavoratori che
deve assumere il 7 per cento di handicappati potrebbe assumere 4 persone
nominativamente (60% del 7%, art. 6) mentre per il 30% e cioè tre persone,
potrà utilizzare la cooperativa sociale e non inserirli mai in azienda,
utilizzando lo strumento delle assunzioni a termine.
(8) Da notare che nel testo finora elaborato dalla Camera
dei Deputati la parola “non”, presente nella stesura approvata dal Senato, era
stata soppressa.
(9) Cfr. la nota 8.
(10) Con le disposizioni contenute nell’art. 5 della
legge 56/1987 le Commissioni regionali per l’impiego possono svolgere compiti
di «predeterminazione, di direzione e di
controllo di politica attiva del lavoro». A sua volta, l’art. 17 stabilisce
quanto segue: «1 - L’impresa o il gruppo
di imprese, anche tramite le corrispondenti associazioni sindacali, possono
proporre alla commissione regionale o circoscrizionale per l’impiego un
programma di assunzioni di lavoratori, ivi compresi quelli di cui alla legge 2
aprile 1968, n. 482. Sulla base di tale proposta e dell’esame preventivo con le
organizzazioni sindacali territoriali dei lavoratori e dei datori di lavoro, la
commissione regionale o circoscrizionale può stipulare una convenzione con
l’impresa o il gruppo di imprese nella quale siano stabiliti i tempi delle
assunzioni, le qualifiche e i requisiti professionali ed attitudinali dei
lavoratori da assumere, i corsi di formazione professionale ritenuti necessari,
da organizzare di intesa con la Regione, nonché, in deroga alle norme in
materia di richiesta numerica, l’eventuale facoltà di assumere con richiesta
nominativa una quota di lavoratori per i quali sarebbe prevista la richiesta
numerica. La convenzione può prevedere misure tendenti a promuovere
l’occupazione femminile e giovanile.
«2 - La convenzione può
anche prevedere l’ammissione a periodi di formazione professionale sul posto di
lavoro dei lavoratori. In detta convenzione saranno determinati i requisiti e i
criteri di selezione e di avviamento per l’ammissione ai predetti periodi di
formazione. Al termine di tali periodi, l’impresa ha facoltà di assumere
nominativamente coloro che hanno svolto tali attività formative».
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