Prospettive assistenziali, n. 122, aprile-giugno 1998

 

 

Editoriale

 

il governo nega le esigenze e i diritti dei cittadini più deboli: occorre salvare il salvabile a livello parlamentare e aprire vertenze NEI conFRONTI DELle Regioni e dei Comuni

 

 

Con un furbesco colpo di mano il Governo, con il consenso espresso o tacito di tutti i Gruppi parlamentari, ha emanato il decreto legislativo (DL) 31 marzo 1998 n. 112 (le cui parti salienti sono riportate in questo numero), conferendo indebitamente alle Regioni e agli enti locali le funzioni relative ai “servizi sociali”, mentre avrebbero dovuto essere assegnati i compiti concernenti l’assistenza sociale (1).

Ciò è avvenuto violando gravemente la Costi­tuzione ed i principi fondamentali del diritto. Infatti né la Carta costituzionale, né le leggi hanno mai assegnato allo Stato o ad altri organismi pubblici competenza in materia di servizi sociali.

Era ed è quindi evidente per tutte le persone in buona fede che il Governo non poteva trasferire alle Regioni e agli enti locali materie di cui non deteneva alcuna attribuzione.

 

Differenze sostanziali fra assistenza e servizi sociali

 

In base al 1° comma dell’art. 38 della Costituzione «ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale». Escludendo gli interventi di competenza del settore della sicurezza sociale (cfr. il n. 121 di Prospettive assistenziali), si tratta di un numero limitato – ma certamente non trascurabile – di persone, forse inferiori al 4 per cento della popolazione: i prevedibili utenti possono essere calcolati in meno di due milioni. Si tratta di nostri concittadini con pressanti e inderogabili esigenze: bambini in situazione di abbandono totale o parziale o comunque in gravi difficoltà; handicappati, soprattutto intellettivi, con limitata o nulla autonomia; persone senza fissa dimora; singoli soggetti e nuclei familiari composti da individui inabili al lavoro perché di età inferiore ai 15 anni o anziani o incapaci di svolgere qualsiasi attività lavorativa proficua, ecc.

Nel 1997 le persone assistite dal Consorzio dei servizi alla persona dei Comuni di Collegno e Gru­gliasco (Via Leonardo da Vinci 135, 10095 Gruglia­sco, Torino, tel. 011-403.71.21), compresi i soggetti di competenza della Provincia (esclusi solo i ciechi ed i sordomuti) sono state complessivamente 1306 (321 minori, 427 adulti, 210 handicappati maggiorenni, 348 anziani), con una percentuale dell’1,48% sui cittadini (88.252) residenti nelle due città.

Invece, ai sensi dell'art. 128 del DL 112/1998 «per “servizi sociali”, si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia» (2).

In sostanza, in base al DL 112/1998 i servizi sociali comprendono tutte le attività che possono interessare i cittadini (e quindi i 57 milioni di italiani), con la sola esclusione di quelle riguardanti la previdenza, la sanità e la giustizia.

Di conseguenza, fra i due milioni di aventi diritto (3) all’assistenza sociale ed i 57 milioni di potenziali utenti dei servizi sociali, c’è una differenza sostanziale che evidentemente si ripercuote anche sulle risorse pubbliche e private necessarie per le spese di investimento e di gestione.

Va, altresì, osservato che la legge 59/1997 aveva delegato il Governo (art. 1) per il conferimento alle Regioni ed agli enti locali di tutte le funzioni relative «alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità» escludendo solamente le materie indicate nello stesso articolo ai punti 3 e 4 (affari esteri, difesa, moneta, ordine pubblico, previdenza, ecc.). Pertanto fra le funzioni da trasferire rientrava certamente l’assistenza sociale.

 

Un inaccettabile espediente

Il Governo ha ritenuto di poter sconfiggere il bisogno assistenziale assegnando alle Regioni le competenze in materia di servizi sociali. Il ragionamento che forse hanno fatto l’estensore del DL 112/1998, On. Franco Bassanini, e gli altri Ministri del Governo Prodi, magari dopo aver letto la proposta di legge dell’On. Elsa Signorino (4), è stato probabilmente di questo tenore: «Se sopprimiamo il settore dell’assistenza e stabiliamo che i servizi possano essere utilizzati da tutta la popolazione, allora automaticamente anche i soggetti più deboli possono accedervi: dunque l’emarginazione è vinta» (5).

Fra l’altro, si dimentica (volutamente?) che la stragrande maggioranza delle persone che necessitano di assistenza (spesso per sopravvivere!) non sono nemmeno in grado di esplicitare e comunicare le loro esigenze (6).

 

Diritti e semplici enunciazioni

La realtà dei fatti è molto complessa e dovrebbe essere analizzata con serietà e non banalizzata in base a quanto si sente dire. Si accerterebbe che vi sono alcune centinaia di migliaia di persone che hanno bisogni impellenti: quello di una famiglia (propria, affidataria o adottiva), situazione che coinvolge i 30-40 mila minori ancora ricoverati in istituto; i pasti caldi, un tetto e vestiti per le sempre più numerose persone senza fissa dimora; la creazione di centri diurni per gli handicappati intellettivi (40-50 mila?) che a causa della gravità delle loro condizioni psico-fisiche non sono in grado di svolgere alcuna attività lavorativa proficua, ecc.

Tenuto conto delle difficoltà e incapacità di queste persone di autodifendersi, se si ha un minimo di umanità, ci si rende inevitabilmente conto che, per consentire loro un accesso facilitato dei servizi, dovrebbero essere previsti diritti facilmente e tempestivamente esigibili, così come è previsto da decenni per la frequenza della scuola dell’obbligo e per l’utilizzo dei servizi sanitari (7).

 

DISEGNO DI LEGGE DEL GOVERNO

 

In data 15 maggio 1998 il Consiglio dei Ministri, su proposta dell’On. Livia Turco, Ministro per la solidarietà sociale, ha approvato il disegno di legge “Disposizioni per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, che è integralmente riportato in questo numero.

Il disegno di legge, salvo quanto previsto dai punti 3 e 4 dell’articolo 13 (su cui ritorneremo in seguito) ha, purtroppo, contenuti molto simili al testo unificato predisposto dall’On. Signorino (8) e si pone sulla stessa linea del DL 112/1998.

Infatti, l’ambito di intervento, come si evince dallo stesso titolo del disegno di legge, riguarda i servizi sociali e non l’assistenza sociale.

È vero che sul piano teorico, i servizi sociali possono comprendere anche le attività assistenziali, ma è altresì vero che il disegno di legge consente che le Regioni e gli enti locali non prevedano per i più deboli prestazioni adeguate alle loro esigenze, così com’è sempre successo nei secoli e si verifica ancora oggi, tant’è che per moltissimi soggetti le condizioni attuali di vita sono assolutamente di livello subumano.

 

Alcuni esempi concreti sulla inderogabile necessità degli interventi assistenziali

 

1. Maurizio è disoccupato ormai da tre anni. Con la moglie Carla (invalida) e il piccolo Andrea vive in un alloggio di periferia. L’affitto è di 250 mila lire al mese. Per un po’ di tempo la situazione è stata risolta con i risparmi messi da parte. Da un anno Maurizio è disperato e non vede nessuna via di uscita. A volte fa qualche lavoretto, ma quel che ricava non è sufficiente per pagare l’affitto, la luce, il gas e per provvedere alle altre necessità sue e della famiglia. Per sfamare se stesso, la moglie e il figlio, e per le altre necessità familiari, l’unica sua speranza attuale è il sussidio assistenziale.

2. È appena nata una bambina, l’hanno chiamata Elena. La donna che l’ha partorita non l’ha riconosciuta. Elena è quindi una bambina senza genitori. Mangia e dorme. Attualmente è accolta in una comunità alloggio del Comune in cui è nata. È l’assistenza che dovrà provvedere a Elena fino a che il Tribunale per i minorenni non l’avrà affidata ad una famiglia a scopo di adozione.

3. Giovanni ha sette anni. Gode di buone condizioni di salute. Quand’è necessario, interviene – come per tutti i cittadini – il medico che è stato scelto nell’elenco predisposto dall’USL. Abita con la madre (il padre è deceduto da tre anni) in un alloggio dell’edilizia popolare. La madre lavora in una ditta tessile con uno stipendio mensile di un milione e mezzo, sufficiente alle esigenze sue e del figlio. A seguito della ristrutturazione dell’azienda, alla mamma di Giovanni è stato assegnato il turno notturno. Non c’è stato niente da fare: o accettare o essere licenziata. Si è rivolta all’assistenza, non avendo i mezzi economici per pagare una persona che badi al bambino nelle ore in cui lavora. La soluzione individuata è l’affidamento di Giovanni ad una famiglia dal lunedì sera al sabato mattino, con oneri interamente a carico del Comune.

4. Ettore è colpito fin dalla nascita da una grave forma di handicap intellettivo. Non è assolutamente in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze. Dopo aver frequentato la scuola materna e quella dell’obbligo, è stato inserito in un centro diurno. In questo modo Ettore svolge delle attività che gli consentono di non essere totalmente dipendente dagli altri; nello stesso tempo i suoi genitori sono in grado di continuare a tenerlo con loro.

5. Sandro ha 87 anni, la moglie Marcella 75. Il marito ha la pensione minima, la moglie l’assegno sociale. Abitano al quarto piano di una casa senza ascensore. Da qualche mese escono quasi mai per vari problemi fisici. Si sono chiusi anche in loro stessi. Il figlio Luciano è emigrato in Australia per motivi di lavoro dove vive con la moglie e tre figli. L’unica soluzione possibile è l’intervento del servizio di assistenza domiciliare.

6. Mario ha 73 anni. Da decenni è una persona definita “senza fissa dimora”. Non ha mai accettato le regole sociali, regole che considera imposizioni insopportabili. Vuole essere assolutamente libero. Si è sempre arrangiato. Poi non è più stato capace di cavarsela da solo, anche se stava abbastanza bene sul piano psicofisico. Ha chiesto di essere ricoverato in una comunità dove vive da quattro anni.

 

* * *

 

Quindi, al di là delle fantasie di chi vorrebbe sopprimere il settore assistenziale, i casi sopra riportati, che esemplificano la situazione di circa tre milioni di persone, ne dimostrano in modo inequivocabile l’assoluta necessità per le persone che, pur non essendo malate, non riescono a procurarsi da sole o con l’aiuto dei genitori, se minori, il necessario per vivere.

A tutti questi soggetti non devono solamente essere resi fruibili i servizi relativi alla sanità, alla casa, alla scuola, ai trasporti, ecc.; devono anche essere garantite le prestazioni aggiuntive dell’assistenza sociale.

È ovvio – lo ripetiamo ancora una volta – che gli interventi assistenziali aggiuntivi (erogazioni economiche per coloro che non hanno i mezzi per vivere, l’adozione dei minori privi di cure familiari, l’affidamento familiare a scopo educativo dei fanciulli con gravi difficoltà familiari, i centri diurni per handicappati intellettivi ultraquindicenni non in grado di svolgere alcuna attività lavorativa proficua, le comunità alloggio per i minori, per gli handicappati adulti e per gli anziani, ecc.) non devono essere forniti a tutti i cittadini, ma solamente a coloro che ne hanno assoluto bisogno.

 

Caratteristiche di fondo della situazione dell’assistenza

 

La situazione attuale delle persone inabili al lavoro e sprovviste dei mezzi necessari per vivere (e che quindi sul piano dei principi etico-giuridici-costituzionali avrebbero diritto all’assistenza) è caratterizzata dai seguenti elementi:

1. - incapacità della stragrande maggioranza degli utenti di autodifendersi a causa dell’età (bambini) o delle condizioni psico-fisiche;

2. - negli istituti sono ancora ricoverati 30-40 mila minori (a riprova del disinteresse degli enti pubblici e privati, non ci sono nemmeno statistiche attendibili!), nonostante che da 50 e più anni siano scientificamente note le conseguenze deleterie e a volte irrimediabili dovute alla carenza di cure familiari. Da notare che da anni c’è la disponibilità ad accoglierli da parte dei nuclei affidatari e, nei casi di abbandono materiale e morale, dalle famiglie adottive (vi sono circa 20 richieste di adozione per ciascun bambino adottabile). Inoltre, moltissime famiglie d’origine, se aiutate, potrebbero riprendersi i loro figli;

3. - gravissime inadempienze si verificano ogni giorno nei confronti di decine di migliaia di handicappati fisici gravi e gravissimi e, soprattutto, degli handicappati intellettivi con limitata o nulla autonomia. In particolare sono carenti e spesso assenti sia i servizi di appoggio alle famiglie, sia i centri diurni per i soggetti che hanno frequentato la scuola dell’obbligo e che, a causa della gravità delle loro condizioni psico-fisiche, devono essere continuamente aiutati per conservare la massima autonomia possibile, sia le comunità alloggio per gli handicappati minori o adulti senza famiglia;

4. - alcune decine di migliaia di adulti e soprattutto di anziani autosufficienti in tutto o in parte sono stati e sono costretti al ricovero per la mancanza di servizi alternativi che privilegino la loro permanenza a domicilio;

5. - decine di migliaia sono gli handicappati, impossibilitati a svolgere qualsiasi attività lavorativa proficua, che ricevono, quale unica loro entrata, l’umiliante pensione mensile di Lire 388.460;

6. - circa 700 mila cittadini, anche essi nullatenenti, dovrebbero poter vivere con la pensione o l’assegno sociale, rispettivamente di L. 397.650 e 507.200 al mese!;

7. - in violazione delle leggi vigenti e di ogni elementare principio di umanità ogni mese molte migliaia di anziani malati cronici non autosufficienti, colpiti da cancro, demenza, ictus, infarto e altre gravi patologie, sono illegalmente espulsi dalla sanità e dirottati alle liste di attesa (a volte anche per periodi di 3-4 anni) per il ricovero in istituti di assistenza. Analoga è la situazione dei malati psichiatrici disumanamente definiti “incurabili”;

8. - è inesistente una programmazione degli interventi sociali (sanità, casa, scuola, ecc.) finalizzati alla prevenzione dell’emarginazione e dell’esclusione sociali.

Va ancora sottolineato con forza, per l’evidente connotazione etico-sociale, che i servizi alternativi al ricovero e all’emarginazione non soltanto sono – com’è ovvio – più rispettosi della dignità umana, ma anche meno costosi per lo Stato.

 

Ignorata la prevenzione del bisogno

Se il Governo avesse veramente voluto, in concreto e non solo a parole, rispettare la dignità e quindi le esigenze fondamentali della fascia più debole della popolazione, avrebbe dovuto e dovrebbe operare con assoluta priorità per la prevenzione delle situazioni di bisogno e per la massima riduzione possibile delle condizioni che determinano emarginazione ed esclusione sociali.

A nostro avviso, l’emarginazione sociale si verifica quando un soggetto non viene inserito in un servizio o in una struttura sociale destinata o destinabile a tutti i cittadini, ma è dirottato in un servizio o in una istituzione predisposta esclusivamente per i cittadini in particolari situazioni di bisogno.

Ad esempio, è emarginato il bambino costretto a frequentare una scuola speciale nonostante le possibilità concrete di essere inserito in una classe normale; lo è anche l’handicappato obbligato a lavorare in una cooperativa sociale quando è in possesso delle capacità per essere occupato in una normale azienda.

Riteniamo, invece, che si debbano considerare socialmente escluse le persone rinchiuse in strutture a carattere di internato (istituti per minori e per handicappati, case di riposo, ecc.) nonostante siano praticabili interventi alternativi al ricovero.

Nel disegno di legge del Governo non c’è alcun impegno sulla prevenzione (9) e sulla necessità di superare le situazioni di emarginazione e di esclusione sociali.

Come abbiamo più volte scritto, e come risulta da casi riportati in precedenza, l’utenza del settore assistenziale è costituita soprattutto da:

  disoccupati e sottoccupati;

  ex lavoratori con pensioni insufficienti;

  ragazzi respinti dalla scuola a causa della selettività della scuola stessa;

  famiglie e persone prive di un’abitazione adeguata e che non sono in grado di pagare gli affitti richiesti dal libero mercato;

  persone, soprattutto anziane, che, definite malate croniche e non autosufficienti, non sono ammesse a fruire dei servizi sanitari predisposti per gli altri soggetti malati;

  invalidi che gli enti pubblici e le aziende private rifiutano di assumere;

  minori in stato di abbandono o con famiglie aventi difficoltà economiche (disoccupati o sottoccupati) o abitative o di altra natura;

  soggetti con disturbi psichici e abbandonati a loro stessi dai servizi (persone senza fissa dimora).

A questo riguardo ricordiamo che nella proposta di legge n. 3666 “Legge quadro in materia di assistenza sociale”, presentata alla Camera dei Deputati il 7 maggio 1997 dall’On. Bertinotti e altri parlamentari del Partito della Rifondazione comunista, in materia di prevenzione sono previsti tre articoli specifici (10).

 

Funzioni di controllo assegnate ai servizi sociali

L’omessa previsione nel disegno di legge del Governo delle iniziative di prevenzione del bisogno, dell’emarginazione e dell’esclusione si associa all’assegnazione al settore dei servizi sociali del compito di controllo della fascia più debole della popolazione.

Significativo e inquietante è, al riguardo, l’art. 15 in cui è addirittura previsto che i Comuni, d’intesa con le Aziende USL, provvedano alla redazione di un progetto individuale per ciascun soggetto handicappato al fine di realizzare la loro «integrazione nell’ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’istruzione scolastica, della formazione e del lavoro». Ai sensi dello stesso art. 15 «il progetto individuale comprende oltre alla valutazione diagnostico-funzionale, le prestazioni di cura, di riabilitazione, servizi alla persona con particolare riferimento al recupero funzionale e sociale (...)».

Pertanto, secondo il progetto governativo, le persone con handicap, comprese quelle pienamente in grado di autodeterminarsi, non sono cittadini alla pari degli altri, ma individui di serie B, incapaci di assumere autonomamente le decisioni che li concernono.

Sono, altresì, ritenuti inidonei i genitori dei bambini con handicap, ai quali si nega la capacità di compiere in modo adeguato le scelte necessarie per i loro figli per quanto riguarda le cure sanitarie, la riabilitazione, la frequenza dell’asilo nido e delle scuole materna e dell’obbligo, ecc. (11).

Ben difficilmente Franklin Delano Roosevelt, costretto in carrozzella per esiti di poliomielite, sarebbe stato indirizzato dai servizi sociali a compiere il percorso che l’ha portato alla presidenza degli Stati Uniti dal 1932 al 1945.

Parimenti, i servizi sociali non avrebbero quasi sicuramente predisposto per Ludwig Van Beethoven, la cui sordità si manifestò quando aveva trent’anni, un progetto per la prosecuzione dell’attività di compositore.

Lo Stato, comprese le sue articolazioni decentrate, deve garantire la massima libertà di scelta a tutti i cittadini, ovviamente compresi quelli con handicap, deve rendere possibile l’utilizzo di tutti i servizi, ma assolutamente non può e non deve precostituire opzioni, soprattutto quando ciò non è richiesto dalle persone interessate (12).

La funzione di controllo della fascia più debole della popolazione assegnata ai servizi sociali è confermata da altre disposizioni del disegno di legge governativo. Si arriva a prevedere che i programmi relativi all’assolvimento dell’obbligo scolastico e il diritto allo studio non siano di competenza del settore scuola, ma dei servizi sociali (art. 2, punto 2).

Molto significativo il punto 4 dell’art. 3 secondo cui «le funzioni relative ai servizi di assistenza scolastica per gli studenti ciechi e sordi sono conferite ai Comuni capoluoghi di Provincia ed ai Comuni associati», nonostante che l’art. 139 del DL 112/1998 abbia già attribuito «alle Province, in relazione all’istruzione secondaria superiore, e ai Comuni, in relazione agli altri gradi inferiori di scuola, i compiti e le funzioni concernenti (...) i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio».

Non si comprende, pertanto, in base a quali motivi per i ciechi ed i sordi l’assistenza scolastica non debba essere garantita dagli stessi organi previsti per tutti gli altri alunni, ma debba essere svolta dai servizi sociali.

Una anomala disposizione è contenuta nell’art. 5 del disegno di legge governativo che attribuisce al settore “Servizi sociali” delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano «la definizione di politiche integrate in materia di interventi sociali, sanità, diritto allo studio, avviamento al lavoro e reinserimento nelle attività lavorative, servizi del tempo libero, trasporti e comunicazioni».

Poiché non è immaginabile che il comparto dei servizi sociali inglobi anche le competenze esercitate dagli organismi preposti alle attività sopra elencate, se ne deduce che nei suddetti campi di intervento (sanità, diritto allo studio, avviamento al lavoro, ecc.) è affidato ai servizi sociali il compito di provvedere in merito alla fascia più debole della popolazione. Potrebbero, pertanto, sorgere settori di attività rivolti alle sole persone con handicap e nettamente distinti da quelli rivolti al resto della popolazione: ad esempio centri speciali per la formazione professionale degli invalidi gestiti dai “servizi sociali” e non dall’organo preposto alla preparazione al lavoro dei giovani colpiti e non colpiti da minorazioni.

Questa interpretazione è confermata dall’art. 8 in cui è stabilito, fra l’altro, che il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali deve indicare «le azioni da coordinare per le politiche sanitarie, del lavoro, della formazione e della scuola, anche con opportune integrazioni con gli interventi per il diritto allo studio», nonché «i criteri per la realizzazione degli interventi e dei servizi in favore delle persone anziane non autosufficienti, con esclusione di trattamenti di cui all’art. 16» e cioè delle funzioni relative agli emolumenti economici a carattere continuativo.

Pertanto, i servizi sociali non solo dovrebbero provvedere al controllo dei cittadini più indifesi, ma si dovrebbero sostituire alla sanità nei riguardi degli anziani non autosufficienti (e cioè dei vecchi colpiti da patologie così gravi da determinare anche la loro totale alterdipendenza).

Questa scelta del Governo, che cancella i diritti acquisiti dagli anziani malati cronici non autosufficienti fin dal 1955, è comprovata da una attenta lettura dell’art. 11. In sostanza, viene ratificata l’attuale illegale e disumana situazione per cui le decisioni per il loro ricovero spettano ai servizi sociali (che opereranno – come vedremo in seguito – senza riconoscere alcun diritto esigibile agli utenti), mentre il Servizio sanitario nazionale si limiterà a fornire un supporto medico, infermieristico o riabilitativo.

Dunque, il Governo vuole che sia riconosciuta una netta disparità di trattamento fra gli anziani cronici non autosufficienti e gli adulti aventi analoghe patologie e uguale alterdipendenza.

Dall’esame dell’art. 10 del disegno di legge governativo riguardante il fondo per le politiche sociali, riappare la funzione di controllo sociale. Infatti, il Governo è delegato ad emanare uno o più decreti legislativi diretti, fra l’altro, a «razionalizzare ed armonizzare gli interventi e le azioni finalizzati a favorire la tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, anche al fine del raggiungimento dei più alti livelli dell’istruzione, della condizione degli anziani, dell’integrazione e dell’autonomia delle persone disabili, di sostegno alle responsabilità familiari, di prevenzione e recupero delle tossicodipendenze, di inserimento di cittadini stranieri (...)».

Ancora una volta, tenuto conto che non è pensabile che ai servizi sociali siano assegnati i compiti spettanti alla sanità, alla scuola, al lavoro e ad altri settori, viene confermata l’assegnazione ai servizi sociali di funzioni nei suddetti ambiti di intervento per quanto riguarda gli handicappati, gli stranieri e le persone in difficoltà.

Emerge, inoltre, che ai servizi sociali vengono affidate ex novo le attività relative alla «prevenzione e cura delle tossicodipendenze», completando in questo modo la gamma dei soggetti esclusi dal settore sanitario appena conclusa la fase acuta. Agli anziani non autosufficienti e ai malati di mente definiti inguaribili dal servizio sanitario nazionale si aggiungono ora i tossicodipendenti (13) nonché, ai sensi dell’art. 132 del DL 112/1998, gli alcooldipendenti.

In sostanza, il disegno di legge governativo recepisce le norme sul controllo sociale degli individui più deboli e indifesi inserite nella proposta di legge n. 354, presentata alla Camera dei Deputati dall’On. Elsa Signorino (14).

 

Regalati i 50 mila miliardi di proprietà delle IPAB

L’attuale patrimonio mobiliare e immobiliare delle IPAB, Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, è valutato in almeno 50 mila miliardi (15).

In base alla ancora vigente legge 6972/1890, i beni ed i redditi delle IPAB devono essere destinati esclusivamente alle persone ed ai nuclei familiari in situazione di povertà.

Se venissero rispettate le disposizioni in atto, identica destinazione dovrebbe essere assicurata alle proprietà ed ai relativi proventi delle IPAB trasferite ai Comuni e di quelle privatizzate, e cioè – incredibile ma vero – regalate ai privati a seguito della sconcertante sentenza della Corte costituzionale 396/1988. Orbene, il disegno di legge del Governo stabilisce all’art. 20 che le IPAB vengano trasformate da enti pubblici in associazioni o fondazioni private, assegnando gratuitamente alle stesse i patrimoni, senza nemmeno confermare la destinazione dei beni e dei redditi alle persone e ai nuclei familiari in situazione di povertà.

Non sono neppure ribadite le norme della legge 6972/1890 in base alle quali i patrimoni mobiliari e immobiliari delle IPAB non possono essere utilizzati per le spese di gestione. Si tratta di una norma di fondamentale importanza che ha finora assicurato la conservazione dei rilevantissimi beni delle IPAB stesse.

Se i patrimoni, come consente il disegno di legge governativo, venissero usati per pagare gli stipendi e coprire le altre spese correnti, certamente nel giro di pochi anni andrebbero perduti i 50 mila miliardi che – come abbiamo già visto – costituiscono l’ammontare attuale dei beni destinati ai poveri.

A nostro avviso, l’estinzione delle IPAB dovrebbe comportare sia l’assegnazione dei patrimoni e del personale ai Comuni, sia la conferma delle norme rivolte alla conservazione delle proprietà e alla destinazione di tutte le risorse ai cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere (art. 38 della Costituzione).

 

Altre osservazioni critiche (16)

Assumendo come riferimento il nostro metodo di analisi delle leggi (17), rileviamo quanto segue:

Per quanto riguarda gli utenti

Non viene riconosciuto alcun diritto esigibile. A questo proposito è pura fantasia l’affermazione, contenuta nelle schede inviate dal Governo agli organi di informazione il 15 maggio 1997, secondo cui i diritti alle prestazioni previste dal disegno di legge saranno resi esigibili «attraverso una Carta dei servizi sociali», quando è noto che i diritti possono essere rivendicati solamente se ciò è previsto da una legge! È molto grave che i cittadini siano ingannati su questioni di fondamentale importanza.

È vero che l’art. 13 stabilisce che «devono essere garantiti i seguenti servizi essenziali (...): a) servizio di segretariato sociale; b) pronto intervento sociale per le emergenze personali e familiari; c) servizio di assistenza domiciliare; d) strutture intermedie a carattere diurno; e) centri di accoglienza residenziale a carattere comunitario».

Tuttavia, a parte la mancata definizione dei servizi sopra elencati (18), non c’è alcuna garanzia che essi siano adeguati alle esigenze. Al riguardo, vi sono leggi regionali e delibere di Comuni che stabiliscono l’obbligatoria istituzione di servizi, senza che, come capita da anni (19), essi siano quantitativamente, oltre che qualitativamente, in grado di soddisfare le esigenze.

A nostro avviso, per essere valida, la legge quadro dovrebbe prevedere che hanno diritto alle prestazioni dell’assistenza sociale:

a) le persone ed i nuclei familiari temporaneamente non in possesso delle risorse economiche indispensabili per la loro esistenza (20);

b) le persone prive di adeguato supporto da parte del proprio nucleo familiare di appartenenza o esposte ad esserlo o comunque incapaci di provvedere autonomamente alle proprie esigenze fondamentali di vita;

c) gli individui sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria la cui esecuzione comporta la messa a disposizione di interventi di assistenza sociale;

d) i cittadini non in grado, per incapacità personale, di tutelare i propri interessi materiali e morali.

Se, poi, il Parlamento decidesse di estendere gli interventi dall’assistenza sociale (come abbiamo già visto, gli aventi diritto sono circa 2 milioni di soggetti) ai servizi sociali (programmabili per tutta la popolazione - 57 milioni di individui), dovrebbe assumere le necessarie iniziative per garantire che le risorse necessarie vengano prioritariamente assicurate a coloro che hanno esigenze vitali indilazionabili.

In particolare – e la questione è della massima importanza – sarebbe necessario che dall’ambito di competenza dei settori dell’assistenza sociale e dei servizi sociali si escludessero i cittadini i cui problemi possono essere risolti dal sistema educativo (asili nido e scuole materne), dall’istruzione (inserimento dei soggetti con handicap nelle scuole elementari, medie, superiori e nell’università), dai trasporti (adattamento dei mezzi pubblici e privati per garantire gli spostamenti dei soggetti con difficoltà motorie), dalla sanità (cura e riabilitazione degli anziani, degli adulti e dei giovani malati cronici non autosufficienti e dei pazienti psichiatrici gravi e gravissimi), dalla casa (approntamento di comunità alloggio per le persone prive di sostegno familiare) e così per tutti gli altri settori (21).

Mancata definizione obbligatoria degli organi locali di governo

 

Ai sensi dell’articolo 3 del disegno di legge del Governo, le funzioni relative ai servizi sociali «sono esercitate dai Comuni adottando sul piano territoriale gli assetti più funzionali alla gestione e al rapporto con i cittadini, tramite associazioni fra Comuni o decentramento delle aree metropolitane».

A sua volta alle Regioni spettano le funzioni relative alla «determinazione, d’intesa con i Comuni e le Comunità montane interessati, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della presente legge, in conformità al proprio ordinamento, degli ambiti territoriali di base degli strumenti e delle modalità per la gestione della rete» (22).

Dunque, gli ambiti territoriali possono essere stabiliti esclusivamente mediante una intesa fra le Regioni, i Comuni, i loro Consorzi e le Comunità montane. Se l’accordo non interviene, non può essere precisato il territorio di riferimento: quindi non può nemmeno essere definito il relativo organo di governo!

L’intesa fra Regioni e Comuni è una condizione sine qua non, come è dimostrato dal punto b) dell’art. 10 in cui è previsto che il Governo è delegato ad emanare uno o più decreti legislativi «introducendo forme di incentivazione per favorire l’associazione tra Comuni».

C’è dunque il rischio che si debbano attendere anche anni prima che siano istituiti tutti gli organi locali incaricati dalla gestione dei servizi sociali (23).

Dall’esame del disegno di legge governativo sembra implicito che le competenze assistenziali ancora in possesso delle Province debbano essere trasferite ai Comuni, ma – il che è molto grave – non vi sono norme che precisino che ai Comuni devono essere anche assegnati il relativo personale, le strutture, le attrezzature ed i finanziamenti.

Attività per le persone emarginate e quelle inserite

I Comuni singoli e associati possono gestire nell’ambito dei servizi sociali una infinità di attività, da quelle assistenziali a quelle concernenti i più svariati interessi: corsi di apprendimento non professionalizzanti di qualsiasi natura (lingue, cucito, alimentazione, bricolage, ecc.), centri di ascolto, atelier di vario genere.

È facile prevedere una forte pressione per l’ottenimento delle richieste avanzate dalla popolazione che conta sul piano elettorale, pressione che finora – e non si comprende per quali ragioni debbano verificarsi in futuro dei cambiamenti – è quasi mai esercitata a favore dei più deboli, per i quali le amministrazioni pubbliche e private sostengono da sempre che sono insufficienti i mezzi economici disponibili.

Contribuzioni a carico dei parenti degli assistiti maggiorenni

 

Rileviamo con viva soddisfazione che nel disegno di legge governativo non c’è alcun riferimento a contribuzioni economiche a carico dei parenti di assistiti maggiorenni e speriamo che la scelta venga confermata dal Parlamento in quanto essa è rispettosa dell’autonomia dei singoli e dei nuclei familiari (24).

 

 

iniziative per salvare il salvabile a livello parlamentare

 

 Purtroppo, escluso il referendum, non esistono norme che consentano ai cittadini e alle organizzazioni di base di agire per l’annullamento o la modifica del DL 112/1998 anche se, come abbiamo visto, in merito ai servizi sociali, sono violate gravemente la Costituzione ed i principi fondamentali del diritto.

Potrebbero ricorrere le Regioni e gli Enti locali, ma ben difficilmente lo faranno a causa della scarsa considerazione che hanno delle esigenze e dei diritti dei più deboli.

Possibilità concrete di intervento sussistono, invece, per quanto riguarda le proposte di legge presentate dal Governo e da Parlamentari per la riforma dell’assistenza e per stabilire le norme sui servizi sociali.

Una definizione precisa dei due settori d’intervento potrebbe sanare, anche se solo in parte, la ferita inferta dal DL 112/1998.

Per quanto riguarda il settore assistenziale occorre premere con tutte le forze possibili e con la massima tempestività affinché il Parlamento dia attuazione al 1° comma dell’art. 38 della Costituzione stabilendo le basi perché le Regioni e gli Enti locali garantiscano i necessari servizi alle persone e ai nuclei familiari in gravi difficoltà, che spesso vivono in condizioni subumane.

Al riguardo i Parlamentari dovrebbero:

a) precisare il ruolo della prevenzione e delle istituzioni tenute a provvedervi;

b) definire gli aventi diritto alle prestazioni dell’assistenza sociale;

c) indicare gli organi di governo preposti all’erogazione dei servizi, stabilendo anche il termine massimo entro cui devono essere istituiti;

d) elencare gli interventi obbligatoriamente erogati e stabilire le relative priorità;

e) evitare la dispersione del patrimonio delle IPAB, il cui ammontare attuale è stato calcolato – come abbiamo già visto – in 50 mila miliardi;

f) non intaccare la vigente competenza del Servizio sanitario nazionale per quanto concerne i trattamenti rivolti agli anziani cronici non autosufficienti ed alle persone colpite da malattie mentali.

In merito al settore dei servizi sociali il Parlamento dovrebbe definire in modo chiaro gli ambiti di azione, anche al fine di evitare sovrapposizioni e conflitti di competenza con gli altri campi di intervento (sistema educativo, formazione professionale, tempo libero, cultura, sport, ecc.), precisando che i settori fondamentali (sanità, casa, scuola, formazione professionale, trasporti, ecc.) devono continuare ad intervenire anche nei riguardi delle persone con handicap o altre difficoltà personali e sociali.

 

Prestazioni di assistenza sociale e relative priorità di intervento

 

Le prestazioni di assistenza sociale dovrebbero essere fornite secondo il seguente ordine di priorità:

a) informazione ai cittadini e alle forze sociali in merito ai problemi generali e specifici dell’assistenza, dell’emarginazione e dell’esclusione sociale;

b) azione promozionale nei confronti degli uffici preposti alla sanità, all’istruzione, alla formazione professionale, al lavoro, ai trasporti, ai contributi economici a carattere permanente, ecc., al fine di promuovere l’erogazione tempestiva e corretta delle prestazioni dovute;

c) attività di consulenza e di sostegno rivolte ai singoli e ai nuclei familiari per il superamento delle situazioni di disagio;

d) assistenza alle gestanti e alle madri nubili e coniugate in difficoltà, comprese le attività rivolte a garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i propri nati;

e) prestazioni economiche transitorie ordinarie e straordinarie (25);

f) assistenza domestica (pulizia dell’alloggio, acquisto derrate alimentari, accompagnamenti, ecc.) per le persone parzialmente o totalmente non autosufficienti, non in grado di ottenere le suddette prestazioni con propri mezzi economici;

g) inserimenti presso famiglie, persone e comunità alloggio dei minori (ivi compresi gli adempimenti di cui alla legge 4 maggio 1983 n. 184), degli adulti e degli anziani incapaci di una vita autonoma, purché la non autosufficienza non sia dovuta a motivi sanitari;

h) servizi di aiuto personale previsti dalla legge 5 febbraio 1992 n. 104;

i) istituzione di centri diurni per gli handicappati intellettivi ultraquindicenni non inseribili nel lavoro a causa delle gravi limitazioni della loro autonomia;

l) interventi specifici richiesti dall’autorità giudiziaria non compresi nei punti precedenti;

m) prestazioni di protezione sociale nei confronti delle persone dedite alla prostituzione e nei riguardi dei soggetti senza fissa dimora;

n) ricovero presso istituti, di cui dovrebbe essere vietata la costruzione di nuove strutture per minori e per handicappati, fino al loro completo superamento.

Le prestazioni di assistenza sociale dovrebbero comprendere, altresì, i seguenti compiti:

– rilascio dell’autorizzazione preventiva a funzionare delle strutture pubbliche e private di assistenza per minori, adulti, anziani, handicappati e relativa attività di controllo, comprese le misure per la chiusura delle strutture inidonee;

– vigilanza sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, comprese quelle privatizzate al fine di accertare l’idoneità delle prestazioni e la destinazione dei patrimoni mobiliari e immobiliari e dei relativi redditi esclusivamente ad attività assistenziali.

Dovrebbe essere previsto il ricorso da parte dei cittadini nei casi di inadempienza totale o parziale da parte dell’ente pubblico incaricato dell’erogazione dei servizi.

 

Uffici di pubblica tutela

Occorrerebbe, inoltre, che le nuove disposizioni comprendessero anche l’istituzione degli uffici di pubblica tutela da parte della Regione autonoma della Valle d’Aosta e delle Province, comprese quelle autonome (26).

Gli uffici di pubblica tutela potrebbero essere incaricati di svolgere le funzioni di tutela e curatela loro affidate dal giudice tutelare, nei casi in cui l’autorità giudiziaria non ritenga opportuno attribuirle a persone singole (parenti e non).

Al fine di evitare, come purtroppo avviene attualmente, che le funzioni di tutore (e cioè di controllo delle prestazioni fornite al soggetto interessato) siano affidate allo stesso organo incaricato di garantire gli interventi (Comune per l’assistenza, USL per la sanità), sarebbe necessario che i compiti di tutela e curatela oggi esercitati dai Comuni e dalle USL venissero trasferiti ai suddetti uffici di pubblica
tutela.

 

Piattaforme regionali e locali sull’assistenza

Ancora una volta è confermato che le organizzazioni di base, se vogliono acquisire risultati concreti, devono predisporre piattaforme rivendicative per ottenere dalle Regioni e dagli Enti locali l’approvazione di leggi e delibere che, per quanto riguarda le attività di assistenza sociale, dovrebbero, fra l’altro, riguardare:

– l’istituzione dei servizi alternativi al ricovero in modo da assicurare al più presto una idonea famiglia (propria, affidataria, adottiva) ai 30-40 mila minori ancora istituzionalizzati;

– la realizzazione di centri diurni per handicappati intellettivi ultraquindicenni non in grado di svolgere alcuna attività lavorativa;

– la creazione di comunità alloggio per gli handicappati privi di autonomia e di sostegno familiare;

– il divieto della costruzione di nuovi istituti per minori e per handicappati sotto qualsiasi forma.

 

Piattaforme regionali e locali per la prevenzione dell’emarginazione e dell’esclusione sociali

 

Esse potrebbero riguardare, fra l’altro:

– la cura e la riabilitazione delle persone con handicap transitori o permanenti anche al fine di evitare per quanto possibile le situazioni di cronicità;

– abbattimento delle barriere architettoniche;

– inserimento dei soggetti con handicap nelle istituzioni prescolastiche e scolastiche, università comprese;

– creazione di corsi prelavorativi per gli handicappati intellettivi ultraquindicenni inseribili nelle normali aziende pubbliche e private ma non in grado di frequentare le scuole superiori;

– assegnazione di alloggi dell’edilizia economica e popolare alle persone ed ai nuclei familiari in difficoltà;

– adeguate norme per il collocamento obbligatorio al lavoro dei soggetti con handicap, compresi gli handicappati intellettivi in grado di svolgere attività lavorative anche se con un rendimento inferiore alla media degli altri lavoratori, ma proficuo per l’azienda e per la collettività.

 

 

 

(1) Cfr. in questo numero l’articolo “Funzioni statali in materia di servizi sociali conferite alle Regioni e agli enti locali”.

(2) Un riferimento ai “servizi sociali”, ma solamente sotto forma di espressione utilizzata per una elencazione di funzioni e non come sintetica definizione di contenuti specifici, compare nel titolo III, capo I, art. 17 del DPR 616/1977, ed è così redatto: «Sono trasferite alle Regioni le funzioni amministrative dello Stato e degli enti di cui all’art. 1 nelle materie “Polizia locale urbana e rurale”, “Beneficenza pubblica”, “Assistenza sanitaria ed ospedaliera”, “Istruzione artigiana e professionale”, “Assistenza scolastica”, “Musei e biblioteche di enti locali” come attinenti ai servizi sociali della popolazione di ciascuna regione».

(3) Il 1° comma dell’articolo 38 della Costituzione precisa in modo inequivocabile il diritto all’assistenza sociale dei soggetti inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, mentre – lo ripetiamo – i servizi sociali non sono mai nominati nei 139 articoli della stessa Costituzione.

(4) Cfr. “Riforma dell’assistenza o nuovo assetto dei servizi per il controllo dei cittadini in difficoltà?”, Prospettive assistenziali, n. 116 e “Valutazioni critiche al testo unificato per la legge quadro sull’assistenza”, Ibidem, n. 120. Le proposte di legge presentate al Parlamento in materia di assistenza e di servizi alla persona con i relativi commenti sono riportati sui seguenti numeri di Prospettive assistenziali: 116, 116 bis, 117, 119, 120 e 121.

(5) Questa semplicistica e inconsistente posizione è stata sostenuta da alcuni rappresentanti delle associazioni che hanno partecipato all’udienza conoscitiva indetta dalla Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati e svoltasi il 27 maggio 1997. Ad esempio, Giovanna Cella, rappresentante delle ACLI, ha affermato: «Ritengo sia opportuno togliere la parola “assistenza”, in quanto evoca, perlomeno nell’immaginario pubblico, una cultura ormai passata (...). Preferirei, quindi, che si parlasse di sistema di servizi alle persone, in quanto questa terminologia mi sembra assolutamente più soddisfacente a ciò che vogliamo realizzare». Questa opinione è stata sostenuta anche dall’On. Elsa Signorino, relatrice della proposta di legge sui servizi sociali, che, a conclusione dell’udienza conoscitiva del 27 maggio 1997, ha asserito quanto segue: «Parlo di assistenza ma, come sapete, insieme ad altri colleghi sono presentatrice di un progetto di legge nel quale tale parola non è mai citata (il che non è vero!, n.d.r.) né altri colleghi, anch’essi presentatori di proposte di legge, chiamano “assistenza” la materia di cui ci stiamo occupando».

(6) Nell’audizione di cui alla nota precedente, Marta Nicolini, rappresentante della FIMIV, Federazione italiana mutualità integrativa volontaria, ha addirittura rivendicato la necessità di individuare uno strumento «che faccia diventare protagonisti gli utenti». Evidentemente non conosce le condizioni di limitata o nulla autonomia della maggior parte degli assistiti (bambini, handicappati intellettivi gravi e gravissimi, ecc.)

(7) Nell’udienza conoscitiva di cui alla nota 5, solo Tiziano Vecchiato, Direttore scientifico della Fondazione Zancan, ha perorato la causa dei diritti esigibili. Dopo aver ricordato che «mentre in sanità vi sono servizi essenziali obbligatori, nell’area dei servizi di assistenza sociale tutto è lasciato troppo alla discrezione. Un sistema unitario dovrebbe invece elencare i servizi essenziali e i finanziamenti con cui realizzarli (...). Per quanto riguarda le garanzie di esigibilità dei diritti, a proposito dei quali una legge che non sciolga questo nodo è solo una buona legge di promesse, non di garanzia, è necessario distinguere molto bene le garanzie direttamente esigibili da quelle che, invece, richiedono l’investimento degli enti locali e delle Regioni per rendere operanti i diritti». Di tenore praticamente opposto la sconcertante dichiarazione rilasciata nella stessa occasione da Angelo Poli, rappresentante della Fondazione italiana per il volontariato, secondo cui «il Parlamento non potrebbe e non dovrebbe essere interessato a definire i soggetti ai quali devono essere assegnate certe competenze o quelli che devono gestire certi servizi, proprio perché si tratta di competenze e di servizi che spettano alle Regioni».

(8) Vedi la nota 4.

(9) Nell’art. 1 c’è un riferimento esclusivamente declamatorio: «La Repubblica (...) previene, elimina o riduce condizioni di bisogno e di disagio (...)». Accenni alla prevenzione sono contenuti in altri articoli, ma senza alcuna conseguenza operativa concreta.

(10) Art. 7 (Prevenzione dell’emarginazione e della dipendenza assistenziale)

1. Allo scopo di prevenire l’emarginazione, il ricovero in istituto e la dipendenza assistenziale, le istituzioni dello Stato, delle regioni e degli enti locali e degli organismi pubblici devono assicurare, nell’ambito delle proprie competenze:

a) le prestazioni sanitarie preventive, riabilitative e di cura, in particolare garantendo che le persone malate croniche non autosufficienti possano usufruire dei servizi sanitari;

b) i servizi prescolastici e scolastici dalla scuola materna e dell’obbligo a quella superiore e universitaria, e le iniziative di formazione professionale e prelavorativa;

c) le strutture abitative con particolare riguardo a quelle dell’edilizia sovvenzionata con fondi pubblici;

d) le opportunità lavorative presso imprese pubbliche e private, assicurando, inoltre, piena attuazione alle norme relative al collocamento obbligatorio;

e) i servizi culturali, ricreativi, sportivi e sociali in genere.

 

Art. 8 (Rimozione del bisogno economico)

1. Ai sensi della presente legge è corrisposto un contributo economico allo scopo di:

a) garantire il superamento della soglia di povertà alle persone ed ai nuclei familiari impossibilitati per qualsiasi motivo a procurarsi con il lavoro e con i redditi e i beni di cui dispongono il necessario economico per vivere;

b) superare contingenti difficoltà di ordine finanziario, che possono determinare situazioni di emarginazione sociale o il ricovero in istituto.

2. Le prestazioni economiche con finalità terapeutiche restano di competenza del comparto sanitario.

3. Sono fatte salve le competenze dello Stato in materia di sussidi e di iniziative concernenti la disoccupazione, nonché le altre provvidenze in favore del singolo o del nucleo familiare, già previste dalle leggi vigenti.

 

Art. 9 (Superamento delle situazioni di emarginazione)

1. Allo scopo di superare le situazioni di emarginazione personale, familiare e sociale dei soggetti di cui all’articolo 2 e dei loro nuclei familiari, è abrogato l’articolo 154 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773.

2. Allo scopo di evitare il ricovero coatto in istituto, anche a fronte di situazioni indifferibili, sono attuati:

a) i servizi di assistenza domiciliare e di aiuto personale e familiare;

b) I’accoglienza in comunità alloggio con una disponibilità massima di otto utenti non accorpate tra loro ed inserite nel normale contesto abitativo, destinate a coloro che non possono vivere autonomamente o essere accolti dai propri congiunti o da terzi;

c) i centri diurni di cui alla lettera i) del comma 1 dell’articolo 4;

d) gli interventi di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184;

e) l’accoglienza di adulti e anziani in difficoltà da parte di terze persone;

f) i centri di accoglienza per extracomunitari e per persone senza fissa dimora;

g) i centri di accoglienza per donne maltrattate e che hanno subito violenza.

3. È vietata l’apertura di istituzioni totali. Gli istituti già esistenti e privi delle caratteristiche di cui alla lettera b) del comma 2 cessano ogni attività decorsi cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

(11) Da una concezione diametralmente opposta (positiva e non negativa) delle esigenze e dei diritti delle persone più deboli, hanno tratto origine i piani individualizzati redatti dal personale della scuola (che viene scelta autonomamente dai genitori dei bambini con handicap); inoltre i suddetti piani sono redatti con la collaborazione di esperti e degli stessi genitori.

(12) Per la predisposizione dei progetti individuali riguardanti le persone disabili, il disegno di legge del Governo non prevede nemmeno la preventiva richiesta del soggetto con handicap e la sua collaborazione.

(13) Cfr. la nota dell’UNASAM, Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale, “Negata la competenza della sanità a migliaia di malati psichici”, Prospettive assistenziali, n. 120.

(14) Cfr. l’articolo “Riforma...”, citato nella nota 4.

(15) Cfr. Ipaboggi, n. 6, novembre-dicembre 1996. Ricordiamo che le IPAB sono un esempio (del secolo scorso!) di enti pubblici assistenziali senza fini di lucro.

(16) Molte osservazioni critiche sono analoghe a quelle da noi fatte nel n. 120 di Prospettive assistenziali in merito al testo predisposto dall’On. Signorino in data 18 settembre 1997, che unifica le proposte di legge presentate alla Camera dei Deputati.

(17) Cfr. R. Carapelle e F. Santanera, A scuola di diritti - Come difendersi da inadempienze e abusi della burocrazia sociosanitaria, UTET Libreria, Torino, 1997.

(18) Non si comprende in che cosa consista il pronto intervento e a chi siano destinate le strutture diurne. Per quanto riguarda i centri di accoglienza residenziale a carattere comunitario, non vi sono precisazioni sulla capienza massima, per cui in sostanza si tratta di una denominazione diversa degli attuali istituti a carattere d’internato per anziani, handicappati e minori. Ancora oggi, alcuni di essi hanno più di mille ricoverati!

(19) La delibera del Comune di Torino del 14 settembre 1976 prevede, fra l’altro, l’istituzione obbligatoria del servizio di assistenza domiciliare e delle comunità alloggio. Però, si è mai giunti finora, nonostante la pressione continua esercitata dai movimenti di base, ad ottenere una risposta a tutte le situazioni di bisogno; in certi casi non si è arrivati nemmeno a coprire il 50% delle esigenze, comprese quelle urgenti.

(20) Gli emolumenti economici a carattere continuativo dovrebbero, a nostro avviso, essere affidati ad una specifica organizzazione. Cfr. l’articolo “Per la creazione di un nuovo settore: la sicurezza sociale”, Prospettive assistenziali, n. 121.

(21) Ricordiamo, ancora una volta, che gli interventi assistenziali dovrebbero sempre essere assicurati in modo da non impedire e, anzi, da favorire l’utilizzo dei servizi fondamentali: sanità, scuola, casa, trasporti, ecc. In sostanza le prestazioni dell’assistenza sociale dovrebbero essere aggiuntive per le persone in gravi difficoltà e non sostitutive, salvo il caso di soggetti non in grado, a causa della gravità delle loro condizioni psico-fisiche, di procurarsi il necessario per vivere con il lavoro.

(22) Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 4, n. 5 della legge 59/1997, le Regioni devono adottare, entro il 18 settembre 1998 «la legge di puntuale individuazione delle funzioni» trasferite con il DL 112/1998. «Qualora la Regione non provveda entro il termine indicato, il Governo è delegato ad emanare, entro i successivi novanta giorni, sentite le Regioni inadempienti, uno o più decreti legislativi di ripartizione di funzioni tra Regione ed Enti locali le cui disposizioni si applicano fino alla data di entrata in vigore della legge regionale».

(23) Ben diverse sono le norme approvate in materia di sanità. Gli organi di governo delle USL sono stati definiti in modo preciso e con la giusta imposizione di scadenze temporali prefissate. Non si comprende per quale motivo analoghe disposizioni non siano stabilite nel comparto dell’assistenza e dei servizi sociali.

(24) Proprio per rispettare l’autonomia dei singoli cittadini e dei nuclei familiari, l’art. 438 del codice civile stabilisce che «gli alimenti possono essere chiesi solo da chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento».

(25) Per quanto riguarda gli emolumenti economici a carattere continuativo rilanciamo la nostra proposta rivolta alla creazione del settore della sicurezza sociale. Cfr. Prospettive assistenziali, n. 121.

(26) Cfr. la proposta di legge n. 3801 presentata alla Camera dei Deputati dall’On. Novelli in data 3 giugno 1997. La relazione e il testo sono riportati sul n. 120 di Prospettive assistenziali.

 

 

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