Editoriale
il governo nega le esigenze e i diritti dei cittadini più
deboli: occorre salvare il salvabile a livello parlamentare e aprire vertenze
NEI conFRONTI DELle Regioni e dei Comuni
Con un
furbesco colpo di mano il Governo, con il consenso espresso o tacito di tutti i
Gruppi parlamentari, ha emanato il decreto legislativo (DL) 31 marzo 1998 n.
112 (le cui parti salienti sono riportate in questo numero), conferendo
indebitamente alle Regioni e agli enti locali le funzioni relative ai “servizi
sociali”, mentre avrebbero dovuto essere assegnati i compiti concernenti
l’assistenza sociale (1).
Ciò è
avvenuto violando gravemente la Costituzione ed i principi fondamentali del
diritto. Infatti né la Carta costituzionale, né le leggi hanno mai assegnato allo
Stato o ad altri organismi pubblici competenza in materia di servizi sociali.
Era ed è
quindi evidente per tutte le persone in buona fede che il Governo non poteva
trasferire alle Regioni e agli enti locali materie di cui non deteneva alcuna
attribuzione.
Differenze sostanziali fra assistenza e servizi sociali
In base al
1° comma dell’art. 38 della Costituzione «ogni cittadino inabile al lavoro e
sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e
all’assistenza sociale». Escludendo gli interventi di competenza del settore
della sicurezza sociale (cfr. il n. 121 di Prospettive
assistenziali), si tratta di un numero limitato – ma certamente non
trascurabile – di persone, forse inferiori al 4 per cento della
popolazione: i prevedibili utenti possono essere calcolati in meno di due
milioni. Si tratta di nostri concittadini con pressanti e inderogabili
esigenze: bambini in situazione di abbandono totale o parziale o comunque in
gravi difficoltà; handicappati, soprattutto intellettivi, con limitata o nulla
autonomia; persone senza fissa dimora; singoli soggetti e nuclei familiari
composti da individui inabili al lavoro perché di età inferiore ai 15 anni o
anziani o incapaci di svolgere qualsiasi attività lavorativa proficua, ecc.
Nel 1997 le persone
assistite dal Consorzio dei servizi alla persona dei Comuni di Collegno e Grugliasco
(Via Leonardo da Vinci 135, 10095 Grugliasco, Torino, tel. 011-403.71.21),
compresi i soggetti di competenza della Provincia (esclusi solo i ciechi ed i
sordomuti) sono state complessivamente 1306 (321 minori, 427 adulti, 210
handicappati maggiorenni, 348 anziani), con una percentuale dell’1,48% sui
cittadini (88.252) residenti nelle due città.
Invece, ai
sensi dell'art. 128 del DL 112/1998 «per
“servizi sociali”, si intendono tutte le attività relative alla predisposizione
ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche
destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che
la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle
assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle
assicurate in sede di amministrazione della giustizia» (2).
In sostanza,
in base al DL 112/1998 i servizi sociali comprendono tutte le attività che
possono interessare i cittadini (e quindi i 57 milioni di italiani), con la
sola esclusione di quelle riguardanti la previdenza, la sanità e la giustizia.
Di
conseguenza, fra i due milioni di aventi diritto (3) all’assistenza sociale ed
i 57 milioni di potenziali utenti dei servizi sociali, c’è una differenza
sostanziale che evidentemente si ripercuote anche sulle risorse pubbliche e
private necessarie per le spese di investimento e di gestione.
Va, altresì,
osservato che la legge 59/1997 aveva delegato il Governo (art. 1) per il
conferimento alle Regioni ed agli enti locali di tutte le funzioni relative «alla promozione dello sviluppo delle
rispettive comunità» escludendo solamente le materie indicate nello stesso
articolo ai punti 3 e 4 (affari esteri, difesa, moneta, ordine pubblico,
previdenza, ecc.). Pertanto fra le funzioni da trasferire rientrava certamente
l’assistenza sociale.
Un inaccettabile espediente
Il Governo
ha ritenuto di poter sconfiggere il bisogno assistenziale assegnando alle
Regioni le competenze in materia di servizi sociali. Il ragionamento che forse
hanno fatto l’estensore del DL 112/1998, On. Franco Bassanini, e gli altri
Ministri del Governo Prodi, magari dopo aver letto la proposta di legge
dell’On. Elsa Signorino (4), è stato probabilmente di questo tenore: «Se
sopprimiamo il settore dell’assistenza e stabiliamo che i servizi possano
essere utilizzati da tutta la popolazione, allora automaticamente anche i
soggetti più deboli possono accedervi: dunque l’emarginazione è vinta» (5).
Fra l’altro,
si dimentica (volutamente?) che la stragrande maggioranza delle persone che
necessitano di assistenza (spesso per sopravvivere!) non sono nemmeno in grado
di esplicitare e comunicare le loro esigenze (6).
Diritti e semplici enunciazioni
La realtà
dei fatti è molto complessa e dovrebbe essere analizzata con serietà e non
banalizzata in base a quanto si sente dire. Si accerterebbe che vi sono alcune
centinaia di migliaia di persone che hanno bisogni impellenti: quello di una
famiglia (propria, affidataria o adottiva), situazione che coinvolge i 30-40
mila minori ancora ricoverati in istituto; i pasti caldi, un tetto e vestiti
per le sempre più numerose persone senza fissa dimora; la creazione di centri
diurni per gli handicappati intellettivi (40-50 mila?) che a causa della
gravità delle loro condizioni psico-fisiche non sono in grado di svolgere
alcuna attività lavorativa proficua, ecc.
Tenuto conto
delle difficoltà e incapacità di queste persone di autodifendersi, se si ha un
minimo di umanità, ci si rende inevitabilmente conto che, per consentire loro
un accesso facilitato dei servizi, dovrebbero essere previsti diritti
facilmente e tempestivamente esigibili, così come è previsto da decenni per la
frequenza della scuola dell’obbligo e per l’utilizzo dei servizi sanitari (7).
DISEGNO DI LEGGE DEL GOVERNO
In data 15
maggio 1998 il Consiglio dei Ministri, su proposta dell’On. Livia Turco,
Ministro per la solidarietà sociale, ha approvato il disegno di legge
“Disposizioni per la realizzazione del sistema integrato di interventi e
servizi sociali”, che è integralmente riportato in questo numero.
Il disegno
di legge, salvo quanto previsto dai punti 3 e 4 dell’articolo 13 (su cui
ritorneremo in seguito) ha, purtroppo, contenuti molto simili al testo
unificato predisposto dall’On. Signorino (8) e si pone sulla stessa linea del
DL 112/1998.
Infatti,
l’ambito di intervento, come si evince dallo stesso titolo del disegno di
legge, riguarda i servizi sociali e non l’assistenza sociale.
È vero che
sul piano teorico, i servizi sociali possono
comprendere anche le attività assistenziali, ma è altresì vero che il disegno
di legge consente che le Regioni e gli enti locali non prevedano per i più
deboli prestazioni adeguate alle loro esigenze, così com’è sempre successo nei
secoli e si verifica ancora oggi, tant’è che per moltissimi soggetti le
condizioni attuali di vita sono assolutamente di livello subumano.
Alcuni esempi concreti sulla inderogabile necessità degli interventi
assistenziali
1. Maurizio
è disoccupato ormai da tre anni. Con la moglie Carla (invalida) e il piccolo
Andrea vive in un alloggio di periferia. L’affitto è di 250 mila lire al mese.
Per un po’ di tempo la situazione è stata risolta con i risparmi messi da
parte. Da un anno Maurizio è disperato e non vede nessuna via di uscita. A
volte fa qualche lavoretto, ma quel che ricava non è sufficiente per pagare
l’affitto, la luce, il gas e per provvedere alle altre necessità sue e della
famiglia. Per sfamare se stesso, la moglie e il figlio, e per le altre
necessità familiari, l’unica sua speranza attuale è il sussidio assistenziale.
2. È appena
nata una bambina, l’hanno chiamata Elena. La donna che l’ha partorita non l’ha
riconosciuta. Elena è quindi una bambina senza genitori. Mangia e dorme. Attualmente
è accolta in una comunità alloggio del Comune in cui è nata. È l’assistenza che
dovrà provvedere a Elena fino a che il Tribunale per i minorenni non l’avrà
affidata ad una famiglia a scopo di adozione.
3. Giovanni
ha sette anni. Gode di buone condizioni di salute. Quand’è necessario,
interviene – come per tutti i cittadini – il medico che è stato scelto
nell’elenco predisposto dall’USL. Abita con la madre (il padre è deceduto da
tre anni) in un alloggio dell’edilizia popolare. La madre lavora in una ditta
tessile con uno stipendio mensile di un milione e mezzo, sufficiente alle
esigenze sue e del figlio. A seguito della ristrutturazione dell’azienda, alla
mamma di Giovanni è stato assegnato il turno notturno. Non c’è stato niente da
fare: o accettare o essere licenziata. Si è rivolta all’assistenza, non avendo
i mezzi economici per pagare una persona che badi al bambino nelle ore in cui
lavora. La soluzione individuata è l’affidamento di Giovanni ad una famiglia
dal lunedì sera al sabato mattino, con oneri interamente a carico del Comune.
4. Ettore è
colpito fin dalla nascita da una grave forma di handicap intellettivo. Non è
assolutamente in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze. Dopo
aver frequentato la scuola materna e quella dell’obbligo, è stato inserito in
un centro diurno. In questo modo Ettore svolge delle attività che gli
consentono di non essere totalmente dipendente dagli altri; nello stesso tempo
i suoi genitori sono in grado di continuare a tenerlo con loro.
5. Sandro ha
87 anni, la moglie Marcella 75. Il marito ha la pensione minima, la moglie
l’assegno sociale. Abitano al quarto piano di una casa senza ascensore. Da
qualche mese escono quasi mai per vari problemi fisici. Si sono chiusi anche in
loro stessi. Il figlio Luciano è emigrato in Australia per motivi di lavoro
dove vive con la moglie e tre figli. L’unica soluzione possibile è l’intervento
del servizio di assistenza domiciliare.
6. Mario ha
73 anni. Da decenni è una persona definita “senza fissa dimora”. Non ha mai
accettato le regole sociali, regole che considera imposizioni insopportabili.
Vuole essere assolutamente libero. Si è sempre arrangiato. Poi non è più stato
capace di cavarsela da solo, anche se stava abbastanza bene sul piano
psicofisico. Ha chiesto di essere ricoverato in una comunità dove vive da
quattro anni.
* * *
Quindi, al
di là delle fantasie di chi vorrebbe sopprimere il settore assistenziale, i
casi sopra riportati, che esemplificano la situazione di circa tre milioni di
persone, ne dimostrano in modo inequivocabile l’assoluta necessità per le
persone che, pur non essendo malate, non riescono a procurarsi da sole o con
l’aiuto dei genitori, se minori, il necessario per vivere.
A tutti
questi soggetti non devono solamente essere resi fruibili i servizi relativi
alla sanità, alla casa, alla scuola, ai trasporti, ecc.; devono anche essere
garantite le prestazioni aggiuntive
dell’assistenza sociale.
È ovvio – lo
ripetiamo ancora una volta – che gli interventi assistenziali aggiuntivi (erogazioni economiche per
coloro che non hanno i mezzi per vivere, l’adozione dei minori privi di cure
familiari, l’affidamento familiare a scopo educativo dei fanciulli con gravi
difficoltà familiari, i centri diurni per handicappati intellettivi
ultraquindicenni non in grado di svolgere alcuna attività lavorativa proficua,
le comunità alloggio per i minori, per gli handicappati adulti e per gli
anziani, ecc.) non devono essere forniti a tutti i cittadini, ma solamente a
coloro che ne hanno assoluto bisogno.
Caratteristiche di fondo della situazione dell’assistenza
La
situazione attuale delle persone inabili al lavoro e sprovviste dei mezzi
necessari per vivere (e che quindi sul piano dei principi
etico-giuridici-costituzionali avrebbero diritto all’assistenza) è caratterizzata
dai seguenti elementi:
1. -
incapacità della stragrande maggioranza degli utenti di autodifendersi a causa
dell’età (bambini) o delle condizioni psico-fisiche;
2. - negli
istituti sono ancora ricoverati 30-40 mila minori (a riprova del disinteresse
degli enti pubblici e privati, non ci sono nemmeno statistiche attendibili!),
nonostante che da 50 e più anni siano scientificamente note le conseguenze
deleterie e a volte irrimediabili dovute alla carenza di cure familiari. Da
notare che da anni c’è la disponibilità ad accoglierli da parte dei nuclei
affidatari e, nei casi di abbandono materiale e morale, dalle famiglie adottive
(vi sono circa 20 richieste di adozione per ciascun bambino adottabile).
Inoltre, moltissime famiglie d’origine, se aiutate, potrebbero riprendersi i
loro figli;
3. -
gravissime inadempienze si verificano ogni giorno nei confronti di decine di
migliaia di handicappati fisici gravi e gravissimi e, soprattutto, degli
handicappati intellettivi con limitata o nulla autonomia. In particolare sono
carenti e spesso assenti sia i servizi di appoggio alle famiglie, sia i centri
diurni per i soggetti che hanno frequentato la scuola dell’obbligo e che, a
causa della gravità delle loro condizioni psico-fisiche, devono essere
continuamente aiutati per conservare la massima autonomia possibile, sia le
comunità alloggio per gli handicappati minori o adulti senza famiglia;
4. - alcune
decine di migliaia di adulti e soprattutto di anziani autosufficienti in tutto
o in parte sono stati e sono costretti al ricovero per la mancanza di servizi
alternativi che privilegino la loro permanenza a domicilio;
5. - decine
di migliaia sono gli handicappati, impossibilitati a svolgere qualsiasi
attività lavorativa proficua, che ricevono, quale unica loro entrata,
l’umiliante pensione mensile di Lire 388.460;
6. - circa
700 mila cittadini, anche essi nullatenenti, dovrebbero poter vivere con la
pensione o l’assegno sociale, rispettivamente di L. 397.650 e 507.200 al mese!;
7. - in
violazione delle leggi vigenti e di ogni elementare principio di umanità ogni
mese molte migliaia di anziani malati cronici non autosufficienti, colpiti da
cancro, demenza, ictus, infarto e altre gravi patologie, sono illegalmente
espulsi dalla sanità e dirottati alle liste di attesa (a volte anche per
periodi di 3-4 anni) per il ricovero in istituti di assistenza. Analoga è la
situazione dei malati psichiatrici disumanamente definiti “incurabili”;
8. - è
inesistente una programmazione degli interventi sociali (sanità, casa, scuola,
ecc.) finalizzati alla prevenzione dell’emarginazione e dell’esclusione
sociali.
Va ancora
sottolineato con forza, per l’evidente connotazione etico-sociale, che i
servizi alternativi al ricovero e all’emarginazione non soltanto sono – com’è
ovvio – più rispettosi della dignità umana, ma anche meno costosi per lo Stato.
Ignorata la prevenzione del bisogno
Se il
Governo avesse veramente voluto, in concreto e non solo a parole, rispettare la
dignità e quindi le esigenze fondamentali della fascia più debole della popolazione,
avrebbe dovuto e dovrebbe operare con assoluta priorità per la prevenzione
delle situazioni di bisogno e per la massima riduzione possibile delle
condizioni che determinano emarginazione ed esclusione sociali.
A nostro avviso, l’emarginazione sociale si verifica quando un soggetto non
viene inserito in un servizio o in una struttura sociale destinata o
destinabile a tutti i cittadini, ma è dirottato in un servizio o in una
istituzione predisposta esclusivamente per i cittadini in particolari situazioni
di bisogno.
Ad esempio, è emarginato il bambino costretto a frequentare una scuola
speciale nonostante le possibilità concrete di essere inserito in una classe
normale; lo è anche l’handicappato obbligato a lavorare in una cooperativa
sociale quando è in possesso delle capacità per essere occupato in una normale
azienda.
Riteniamo, invece, che si debbano considerare socialmente escluse le
persone rinchiuse in strutture a carattere di internato (istituti per minori e
per handicappati, case di riposo, ecc.) nonostante siano praticabili interventi
alternativi al ricovero.
Nel disegno di legge del Governo non c’è alcun impegno sulla prevenzione
(9) e sulla necessità di superare le situazioni di emarginazione e di
esclusione sociali.
Come abbiamo più volte scritto, e come risulta da casi riportati in
precedenza, l’utenza del settore assistenziale è costituita soprattutto da:
– disoccupati e sottoccupati;
– ex lavoratori con pensioni insufficienti;
– ragazzi respinti dalla scuola a causa della
selettività della scuola stessa;
– famiglie e persone prive di un’abitazione
adeguata e che non sono in grado di pagare gli affitti richiesti dal libero
mercato;
– persone, soprattutto anziane, che, definite
malate croniche e non autosufficienti, non sono ammesse a fruire dei servizi
sanitari predisposti per gli altri soggetti malati;
– invalidi che gli enti pubblici e le aziende
private rifiutano di assumere;
– minori in stato di abbandono o con famiglie
aventi difficoltà economiche (disoccupati o sottoccupati) o abitative o di
altra natura;
– soggetti con disturbi psichici e abbandonati a
loro stessi dai servizi (persone senza fissa dimora).
A questo riguardo ricordiamo che nella proposta di legge n. 3666 “Legge
quadro in materia di assistenza sociale”, presentata alla Camera dei Deputati
il 7 maggio 1997 dall’On. Bertinotti e altri parlamentari del Partito della
Rifondazione comunista, in materia di prevenzione sono previsti tre articoli
specifici (10).
Funzioni di controllo assegnate
ai servizi sociali
L’omessa
previsione nel disegno di legge del Governo delle iniziative di prevenzione del
bisogno, dell’emarginazione e dell’esclusione si associa all’assegnazione al
settore dei servizi sociali del compito di controllo della fascia più debole
della popolazione.
Significativo e inquietante è, al riguardo, l’art. 15 in
cui è addirittura previsto che i Comuni, d’intesa con le Aziende USL,
provvedano alla redazione di un progetto individuale per ciascun soggetto
handicappato al fine di realizzare la loro «integrazione
nell’ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’istruzione
scolastica, della formazione e del lavoro». Ai sensi dello stesso art. 15 «il progetto individuale comprende oltre
alla valutazione diagnostico-funzionale, le prestazioni di cura, di
riabilitazione, servizi alla persona con particolare riferimento al recupero
funzionale e sociale (...)».
Pertanto, secondo il progetto governativo, le persone con
handicap, comprese quelle pienamente in grado di autodeterminarsi, non sono
cittadini alla pari degli altri, ma individui di serie B, incapaci di assumere
autonomamente le decisioni che li concernono.
Sono, altresì, ritenuti inidonei i genitori dei bambini
con handicap, ai quali si nega la capacità di compiere in modo adeguato le
scelte necessarie per i loro figli per quanto riguarda le cure sanitarie, la
riabilitazione, la frequenza dell’asilo nido e delle scuole materna e
dell’obbligo, ecc. (11).
Ben difficilmente Franklin Delano Roosevelt, costretto in
carrozzella per esiti di poliomielite, sarebbe stato indirizzato dai servizi
sociali a compiere il percorso che l’ha portato alla presidenza degli Stati
Uniti dal 1932 al 1945.
Parimenti, i servizi sociali non avrebbero quasi
sicuramente predisposto per Ludwig Van Beethoven, la cui sordità si manifestò
quando aveva trent’anni, un progetto per la prosecuzione dell’attività di
compositore.
Lo Stato, comprese le sue articolazioni decentrate, deve
garantire la massima libertà di scelta a tutti i cittadini, ovviamente compresi
quelli con handicap, deve rendere possibile l’utilizzo di tutti i servizi, ma
assolutamente non può e non deve precostituire opzioni, soprattutto quando ciò
non è richiesto dalle persone interessate (12).
La funzione di controllo della fascia più debole della
popolazione assegnata ai servizi sociali è confermata da altre disposizioni del
disegno di legge governativo. Si arriva a prevedere che i programmi relativi
all’assolvimento dell’obbligo scolastico e il diritto allo studio non siano di
competenza del settore scuola, ma dei servizi sociali (art. 2, punto 2).
Molto
significativo il punto 4 dell’art. 3 secondo cui «le funzioni relative ai servizi di assistenza scolastica per gli
studenti ciechi e sordi sono conferite ai Comuni capoluoghi di Provincia ed ai
Comuni associati», nonostante che l’art. 139 del DL 112/1998 abbia già
attribuito «alle Province, in relazione
all’istruzione secondaria superiore, e ai Comuni, in relazione agli altri gradi
inferiori di scuola, i compiti e le funzioni concernenti (...) i servizi di
supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o
in situazione di svantaggio».
Non si
comprende, pertanto, in base a quali motivi per i ciechi ed i sordi
l’assistenza scolastica non debba essere garantita dagli stessi organi previsti
per tutti gli altri alunni, ma debba essere svolta dai servizi sociali.
Una anomala
disposizione è contenuta nell’art. 5 del disegno di legge governativo che
attribuisce al settore “Servizi sociali” delle Regioni e delle Province
autonome di Trento e Bolzano «la
definizione di politiche integrate in materia di interventi sociali, sanità,
diritto allo studio, avviamento al lavoro e reinserimento nelle attività
lavorative, servizi del tempo libero, trasporti e comunicazioni».
Poiché non è
immaginabile che il comparto dei servizi sociali inglobi anche le competenze
esercitate dagli organismi preposti alle attività sopra elencate, se ne deduce
che nei suddetti campi di intervento (sanità, diritto allo studio, avviamento
al lavoro, ecc.) è affidato ai servizi sociali il compito di provvedere in
merito alla fascia più debole della popolazione. Potrebbero, pertanto, sorgere
settori di attività rivolti alle sole persone con handicap e nettamente
distinti da quelli rivolti al resto della popolazione: ad esempio centri speciali
per la formazione professionale degli invalidi gestiti dai “servizi sociali” e
non dall’organo preposto alla preparazione al lavoro dei giovani colpiti e non
colpiti da minorazioni.
Questa
interpretazione è confermata dall’art. 8 in cui è stabilito, fra l’altro, che
il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali deve indicare «le azioni da coordinare per le politiche
sanitarie, del lavoro, della formazione e della scuola, anche con opportune
integrazioni con gli interventi per il diritto allo studio», nonché «i criteri per la realizzazione degli
interventi e dei servizi in favore delle persone anziane non autosufficienti,
con esclusione di trattamenti di cui all’art. 16» e cioè delle funzioni
relative agli emolumenti economici a carattere continuativo.
Pertanto, i
servizi sociali non solo dovrebbero provvedere al controllo dei cittadini più
indifesi, ma si dovrebbero sostituire alla sanità nei riguardi degli anziani
non autosufficienti (e cioè dei vecchi colpiti da patologie così gravi da determinare
anche la loro totale alterdipendenza).
Questa
scelta del Governo, che cancella i diritti acquisiti dagli anziani malati
cronici non autosufficienti fin dal 1955, è comprovata da una attenta lettura
dell’art. 11. In sostanza, viene ratificata l’attuale illegale e disumana
situazione per cui le decisioni per il loro ricovero spettano ai servizi
sociali (che opereranno – come vedremo in seguito – senza riconoscere alcun
diritto esigibile agli utenti), mentre il Servizio sanitario nazionale si
limiterà a fornire un supporto medico, infermieristico o riabilitativo.
Dunque, il
Governo vuole che sia riconosciuta una netta disparità di trattamento fra gli
anziani cronici non autosufficienti e gli adulti aventi analoghe patologie e
uguale alterdipendenza.
Dall’esame
dell’art. 10 del disegno di legge governativo riguardante il fondo per le
politiche sociali, riappare la funzione di controllo sociale. Infatti, il
Governo è delegato ad emanare uno o più decreti legislativi diretti, fra
l’altro, a «razionalizzare ed armonizzare
gli interventi e le azioni finalizzati a favorire la tutela dei diritti
dell’infanzia e dell’adolescenza, anche al fine del raggiungimento dei più alti
livelli dell’istruzione, della condizione degli anziani, dell’integrazione e
dell’autonomia delle persone disabili, di sostegno alle responsabilità
familiari, di prevenzione e recupero delle tossicodipendenze, di inserimento di
cittadini stranieri (...)».
Ancora una
volta, tenuto conto che non è pensabile che ai servizi sociali siano assegnati
i compiti spettanti alla sanità, alla scuola, al lavoro e ad altri settori,
viene confermata l’assegnazione ai servizi sociali di funzioni nei suddetti
ambiti di intervento per quanto riguarda gli handicappati, gli stranieri e le
persone in difficoltà.
Emerge,
inoltre, che ai servizi sociali vengono affidate ex novo le attività relative alla «prevenzione e cura delle tossicodipendenze», completando in questo
modo la gamma dei soggetti esclusi dal settore sanitario appena conclusa la
fase acuta. Agli anziani non autosufficienti e ai malati di mente definiti
inguaribili dal servizio sanitario nazionale si aggiungono ora i
tossicodipendenti (13) nonché, ai sensi dell’art. 132 del DL 112/1998, gli
alcooldipendenti.
In sostanza,
il disegno di legge governativo recepisce le norme sul controllo sociale degli
individui più deboli e indifesi inserite nella proposta di legge n. 354,
presentata alla Camera dei Deputati dall’On. Elsa Signorino (14).
Regalati i 50 mila miliardi di
proprietà delle IPAB
L’attuale
patrimonio mobiliare e immobiliare delle IPAB, Istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza, è valutato in almeno 50 mila miliardi (15).
In base alla
ancora vigente legge 6972/1890, i beni ed i redditi delle IPAB devono essere
destinati esclusivamente alle persone ed ai nuclei familiari in situazione di
povertà.
Se venissero
rispettate le disposizioni in atto, identica destinazione dovrebbe essere
assicurata alle proprietà ed ai relativi proventi delle IPAB trasferite ai
Comuni e di quelle privatizzate, e cioè – incredibile ma vero – regalate ai
privati a seguito della sconcertante sentenza della Corte costituzionale
396/1988. Orbene, il disegno di legge del Governo stabilisce all’art. 20 che le
IPAB vengano trasformate da enti pubblici in associazioni o fondazioni private,
assegnando gratuitamente alle stesse i patrimoni, senza nemmeno confermare la
destinazione dei beni e dei redditi alle persone e ai nuclei familiari in
situazione di povertà.
Non sono
neppure ribadite le norme della legge 6972/1890 in base alle quali i patrimoni
mobiliari e immobiliari delle IPAB non possono essere utilizzati per le spese
di gestione. Si tratta di una norma di fondamentale importanza che ha finora
assicurato la conservazione dei rilevantissimi beni delle IPAB stesse.
Se i patrimoni,
come consente il disegno di legge governativo, venissero usati per pagare gli
stipendi e coprire le altre spese correnti, certamente nel giro di pochi anni
andrebbero perduti i 50 mila miliardi che – come abbiamo già visto –
costituiscono l’ammontare attuale dei beni destinati ai poveri.
A nostro
avviso, l’estinzione delle IPAB dovrebbe comportare sia l’assegnazione dei
patrimoni e del personale ai Comuni, sia la conferma delle norme rivolte alla
conservazione delle proprietà e alla destinazione di tutte le risorse ai
cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere (art.
38 della Costituzione).
Altre osservazioni critiche (16)
Assumendo come riferimento il nostro metodo di analisi
delle leggi (17), rileviamo quanto segue:
Non viene
riconosciuto alcun diritto esigibile. A questo proposito è pura fantasia
l’affermazione, contenuta nelle schede inviate dal Governo agli organi di
informazione il 15 maggio 1997, secondo cui i diritti alle prestazioni previste
dal disegno di legge saranno resi esigibili «attraverso
una Carta dei servizi sociali», quando è noto che i diritti possono essere
rivendicati solamente se ciò è previsto da una legge! È molto grave che i
cittadini siano ingannati su questioni di fondamentale importanza.
È vero che
l’art. 13 stabilisce che «devono essere
garantiti i seguenti servizi essenziali (...): a) servizio di segretariato sociale; b) pronto intervento sociale per
le emergenze personali e familiari; c) servizio di assistenza domiciliare; d)
strutture intermedie a carattere diurno; e) centri di accoglienza residenziale
a carattere comunitario».
Tuttavia, a
parte la mancata definizione dei servizi sopra elencati (18), non c’è alcuna
garanzia che essi siano adeguati alle esigenze. Al riguardo, vi sono leggi
regionali e delibere di Comuni che stabiliscono l’obbligatoria istituzione di
servizi, senza che, come capita da anni (19), essi siano quantitativamente,
oltre che qualitativamente, in grado di soddisfare le esigenze.
A nostro avviso,
per essere valida, la legge quadro dovrebbe prevedere che hanno diritto alle
prestazioni dell’assistenza sociale:
a) le
persone ed i nuclei familiari temporaneamente non in possesso delle risorse
economiche indispensabili per la loro esistenza (20);
b) le
persone prive di adeguato supporto da parte del proprio nucleo familiare di
appartenenza o esposte ad esserlo o comunque incapaci di provvedere
autonomamente alle proprie esigenze fondamentali di vita;
c) gli
individui sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria la cui
esecuzione comporta la messa a disposizione di interventi di assistenza
sociale;
d) i
cittadini non in grado, per incapacità personale, di tutelare i propri
interessi materiali e morali.
Se, poi, il
Parlamento decidesse di estendere gli interventi dall’assistenza sociale (come
abbiamo già visto, gli aventi diritto sono circa 2 milioni di soggetti) ai
servizi sociali (programmabili per tutta la popolazione - 57 milioni di
individui), dovrebbe assumere le necessarie iniziative per garantire che le
risorse necessarie vengano prioritariamente assicurate a coloro che hanno
esigenze vitali indilazionabili.
In particolare – e la questione è della massima
importanza – sarebbe necessario che dall’ambito di competenza dei settori
dell’assistenza sociale e dei servizi sociali si escludessero i cittadini i cui
problemi possono essere risolti dal sistema educativo (asili nido e scuole
materne), dall’istruzione (inserimento dei soggetti con handicap nelle scuole
elementari, medie, superiori e nell’università), dai trasporti (adattamento dei
mezzi pubblici e privati per garantire gli spostamenti dei soggetti con
difficoltà motorie), dalla sanità (cura e riabilitazione degli anziani, degli
adulti e dei giovani malati cronici non autosufficienti e dei pazienti
psichiatrici gravi e gravissimi), dalla casa (approntamento di comunità
alloggio per le persone prive di sostegno familiare) e così per tutti gli altri
settori (21).
Mancata definizione obbligatoria degli organi
locali di governo
Ai sensi dell’articolo 3 del disegno di legge del
Governo, le funzioni relative ai servizi sociali «sono esercitate dai Comuni adottando sul piano territoriale gli
assetti più funzionali alla gestione e al rapporto con i cittadini, tramite
associazioni fra Comuni o decentramento delle aree metropolitane».
A sua volta alle Regioni spettano le funzioni relative
alla «determinazione, d’intesa con i
Comuni e le Comunità montane interessati, entro 12 mesi dall’entrata in vigore
della presente legge, in conformità al proprio ordinamento, degli ambiti
territoriali di base degli strumenti e delle modalità per la gestione della
rete» (22).
Dunque, gli ambiti territoriali possono essere stabiliti
esclusivamente mediante una intesa fra le Regioni, i Comuni, i loro Consorzi e
le Comunità montane. Se l’accordo non interviene, non può essere precisato il
territorio di riferimento: quindi non può nemmeno essere definito il relativo
organo di governo!
L’intesa fra Regioni e Comuni è una condizione sine qua non, come è dimostrato dal punto
b) dell’art. 10 in cui è previsto che il Governo è delegato ad emanare uno o
più decreti legislativi «introducendo
forme di incentivazione per favorire l’associazione tra Comuni».
C’è dunque il rischio che si debbano attendere anche anni
prima che siano istituiti tutti gli organi locali incaricati dalla gestione dei
servizi sociali (23).
Dall’esame del disegno di legge governativo sembra
implicito che le competenze assistenziali ancora in possesso delle Province
debbano essere trasferite ai Comuni, ma – il che è molto grave – non vi sono
norme che precisino che ai Comuni devono essere anche assegnati il relativo
personale, le strutture, le attrezzature ed i finanziamenti.
Attività per le persone
emarginate e quelle inserite
I Comuni singoli e associati possono gestire nell’ambito
dei servizi sociali una infinità di attività, da quelle assistenziali a quelle
concernenti i più svariati interessi: corsi di apprendimento non
professionalizzanti di qualsiasi natura (lingue, cucito, alimentazione, bricolage, ecc.), centri di ascolto, atelier di vario genere.
È facile prevedere una forte pressione per l’ottenimento
delle richieste avanzate dalla popolazione che conta sul piano elettorale,
pressione che finora – e non si comprende per quali ragioni debbano
verificarsi in futuro dei cambiamenti – è quasi mai esercitata a favore dei più
deboli, per i quali le amministrazioni pubbliche e private sostengono da sempre
che sono insufficienti i mezzi economici disponibili.
Contribuzioni a carico dei parenti degli assistiti
maggiorenni
Rileviamo
con viva soddisfazione che nel disegno di legge governativo non c’è alcun
riferimento a contribuzioni economiche a carico dei parenti di assistiti
maggiorenni e speriamo che la scelta venga confermata dal Parlamento in quanto
essa è rispettosa dell’autonomia dei singoli e dei nuclei familiari (24).
iniziative per salvare il salvabile a livello
parlamentare
Purtroppo,
escluso il referendum, non esistono norme che consentano ai cittadini e alle
organizzazioni di base di agire per l’annullamento o la modifica del DL
112/1998 anche se, come abbiamo visto, in merito ai servizi sociali, sono
violate gravemente la Costituzione ed i principi fondamentali del diritto.
Potrebbero ricorrere le Regioni e gli Enti locali, ma ben
difficilmente lo faranno a causa della scarsa considerazione che hanno delle
esigenze e dei diritti dei più deboli.
Possibilità concrete di intervento sussistono, invece,
per quanto riguarda le proposte di legge presentate dal Governo e da
Parlamentari per la riforma dell’assistenza e per stabilire le norme sui
servizi sociali.
Una definizione precisa dei due settori d’intervento
potrebbe sanare, anche se solo in parte, la ferita inferta dal DL 112/1998.
Per quanto riguarda il settore assistenziale occorre
premere con tutte le forze possibili e con la massima tempestività affinché il
Parlamento dia attuazione al 1° comma dell’art. 38 della Costituzione
stabilendo le basi perché le Regioni e gli Enti locali garantiscano i necessari
servizi alle persone e ai nuclei familiari in gravi difficoltà, che spesso
vivono in condizioni subumane.
Al riguardo i Parlamentari dovrebbero:
a) precisare il ruolo della prevenzione e delle
istituzioni tenute a provvedervi;
b) definire gli aventi diritto alle prestazioni
dell’assistenza sociale;
c) indicare gli organi di governo preposti all’erogazione
dei servizi, stabilendo anche il termine massimo entro cui devono essere
istituiti;
d) elencare gli interventi obbligatoriamente erogati e
stabilire le relative priorità;
e) evitare la dispersione del patrimonio delle IPAB, il
cui ammontare attuale è stato calcolato – come abbiamo già visto – in 50 mila
miliardi;
f) non intaccare la vigente competenza del Servizio
sanitario nazionale per quanto concerne i trattamenti rivolti agli anziani
cronici non autosufficienti ed alle persone colpite da malattie mentali.
In merito al settore dei servizi sociali il Parlamento dovrebbe definire in modo chiaro gli
ambiti di azione, anche al fine di evitare sovrapposizioni e conflitti di
competenza con gli altri campi di intervento (sistema educativo, formazione
professionale, tempo libero, cultura, sport, ecc.), precisando che i settori
fondamentali (sanità, casa, scuola, formazione professionale, trasporti, ecc.)
devono continuare ad intervenire anche nei riguardi delle persone con handicap
o altre difficoltà personali e sociali.
Prestazioni di assistenza sociale e relative
priorità di intervento
Le prestazioni di assistenza sociale dovrebbero essere
fornite secondo il seguente ordine di priorità:
a) informazione ai cittadini e alle forze sociali in
merito ai problemi generali e specifici dell’assistenza, dell’emarginazione e
dell’esclusione sociale;
b) azione promozionale nei confronti degli uffici
preposti alla sanità, all’istruzione, alla formazione professionale, al lavoro,
ai trasporti, ai contributi economici a carattere permanente, ecc., al fine di
promuovere l’erogazione tempestiva e corretta delle prestazioni dovute;
c) attività di consulenza e di sostegno rivolte ai
singoli e ai nuclei familiari per il superamento delle situazioni di disagio;
d) assistenza alle gestanti e alle madri nubili e
coniugate in difficoltà, comprese le attività rivolte a garantire il segreto
del parto alle donne che non intendono riconoscere i propri nati;
e) prestazioni economiche transitorie ordinarie e
straordinarie (25);
f) assistenza domestica (pulizia dell’alloggio, acquisto
derrate alimentari, accompagnamenti, ecc.) per le persone parzialmente o
totalmente non autosufficienti, non in grado di ottenere le suddette
prestazioni con propri mezzi economici;
g) inserimenti presso famiglie, persone e comunità
alloggio dei minori (ivi compresi gli adempimenti di cui alla legge 4 maggio
1983 n. 184), degli adulti e degli anziani incapaci di una vita autonoma,
purché la non autosufficienza non sia dovuta a motivi sanitari;
h) servizi di aiuto personale previsti dalla legge 5
febbraio 1992 n. 104;
i) istituzione di centri diurni per gli handicappati
intellettivi ultraquindicenni non inseribili nel lavoro a causa delle gravi
limitazioni della loro autonomia;
l) interventi specifici richiesti dall’autorità
giudiziaria non compresi nei punti precedenti;
m) prestazioni di protezione sociale nei confronti delle
persone dedite alla prostituzione e nei riguardi dei soggetti senza fissa
dimora;
n) ricovero presso istituti, di cui dovrebbe essere
vietata la costruzione di nuove strutture per minori e per handicappati, fino
al loro completo superamento.
Le prestazioni di assistenza sociale dovrebbero
comprendere, altresì, i seguenti compiti:
– rilascio dell’autorizzazione preventiva a funzionare
delle strutture pubbliche e private di assistenza per minori, adulti, anziani,
handicappati e relativa attività di controllo, comprese le misure per la
chiusura delle strutture inidonee;
– vigilanza sulle istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza, comprese quelle privatizzate al fine di accertare l’idoneità delle
prestazioni e la destinazione dei patrimoni mobiliari e immobiliari e dei
relativi redditi esclusivamente ad attività assistenziali.
Dovrebbe essere previsto il ricorso da parte dei
cittadini nei casi di inadempienza totale o parziale da parte dell’ente
pubblico incaricato dell’erogazione dei servizi.
Uffici di pubblica tutela
Occorrerebbe, inoltre, che le nuove disposizioni
comprendessero anche l’istituzione degli uffici di pubblica tutela da parte
della Regione autonoma della Valle d’Aosta e delle Province, comprese quelle
autonome (26).
Gli uffici di pubblica tutela potrebbero essere
incaricati di svolgere le funzioni di tutela e curatela loro affidate dal
giudice tutelare, nei casi in cui l’autorità giudiziaria non ritenga opportuno
attribuirle a persone singole (parenti e non).
Al fine di
evitare, come purtroppo avviene attualmente, che le funzioni di tutore (e cioè
di controllo delle prestazioni fornite al soggetto interessato) siano affidate
allo stesso organo incaricato di garantire gli interventi (Comune per
l’assistenza, USL per la sanità), sarebbe necessario che i compiti di tutela e
curatela oggi esercitati dai Comuni e dalle USL venissero trasferiti ai
suddetti uffici di pubblica
tutela.
Piattaforme regionali e locali
sull’assistenza
Ancora una volta è confermato che le organizzazioni di
base, se vogliono acquisire risultati concreti, devono predisporre piattaforme
rivendicative per ottenere dalle Regioni e dagli Enti locali l’approvazione di
leggi e delibere che, per quanto riguarda le attività di assistenza sociale,
dovrebbero, fra l’altro, riguardare:
– l’istituzione dei servizi alternativi al ricovero in
modo da assicurare al più presto una idonea famiglia (propria, affidataria,
adottiva) ai 30-40 mila minori ancora istituzionalizzati;
– la realizzazione di centri diurni per handicappati
intellettivi ultraquindicenni non in grado di svolgere alcuna attività
lavorativa;
– la creazione di comunità alloggio per gli handicappati
privi di autonomia e di sostegno familiare;
– il divieto della costruzione di nuovi istituti per
minori e per handicappati sotto qualsiasi forma.
Piattaforme regionali e locali per la prevenzione dell’emarginazione
e dell’esclusione sociali
Esse potrebbero riguardare, fra l’altro:
– la cura e la riabilitazione delle persone con handicap
transitori o permanenti anche al fine di evitare per quanto possibile le
situazioni di cronicità;
– abbattimento delle barriere architettoniche;
– inserimento dei soggetti con handicap nelle istituzioni
prescolastiche e scolastiche, università comprese;
– creazione di corsi prelavorativi per gli handicappati
intellettivi ultraquindicenni inseribili nelle normali aziende pubbliche e
private ma non in grado di frequentare le scuole superiori;
– assegnazione di alloggi dell’edilizia economica e
popolare alle persone ed ai nuclei familiari in difficoltà;
– adeguate norme per il collocamento obbligatorio al
lavoro dei soggetti con handicap, compresi gli handicappati intellettivi in
grado di svolgere attività lavorative anche se con un rendimento inferiore alla
media degli altri lavoratori, ma proficuo per l’azienda e per la collettività.
(1) Cfr. in questo numero l’articolo “Funzioni statali
in materia di servizi sociali conferite alle Regioni e agli enti locali”.
(2) Un riferimento ai “servizi sociali”, ma
solamente sotto forma di espressione utilizzata per una elencazione di funzioni
e non come sintetica definizione di contenuti specifici, compare nel titolo
III, capo I, art. 17 del DPR 616/1977, ed è così redatto: «Sono trasferite alle Regioni le funzioni amministrative dello Stato e
degli enti di cui all’art. 1 nelle materie “Polizia locale urbana e rurale”,
“Beneficenza pubblica”, “Assistenza sanitaria ed ospedaliera”, “Istruzione
artigiana e professionale”, “Assistenza scolastica”, “Musei e biblioteche di
enti locali” come attinenti ai servizi sociali della popolazione di ciascuna
regione».
(3) Il 1° comma dell’articolo 38 della Costituzione
precisa in modo inequivocabile il diritto all’assistenza sociale dei soggetti
inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, mentre – lo
ripetiamo – i servizi sociali non sono mai nominati nei 139 articoli della
stessa Costituzione.
(4) Cfr. “Riforma dell’assistenza o nuovo assetto
dei servizi per il controllo dei cittadini in difficoltà?”, Prospettive assistenziali, n. 116 e
“Valutazioni critiche al testo unificato per la legge quadro sull’assistenza”, Ibidem, n. 120. Le proposte di legge
presentate al Parlamento in materia di assistenza e di servizi alla persona con
i relativi commenti sono riportati sui seguenti numeri di Prospettive assistenziali: 116, 116 bis, 117, 119, 120 e 121.
(5) Questa semplicistica e inconsistente posizione
è stata sostenuta da alcuni rappresentanti delle associazioni che hanno
partecipato all’udienza conoscitiva indetta dalla Commissione Affari sociali
della Camera dei Deputati e svoltasi il 27 maggio 1997. Ad esempio, Giovanna
Cella, rappresentante delle ACLI, ha affermato: «Ritengo sia opportuno togliere la parola “assistenza”, in quanto
evoca, perlomeno nell’immaginario pubblico, una cultura ormai passata (...).
Preferirei, quindi, che si parlasse di sistema di servizi alle persone, in
quanto questa terminologia mi sembra assolutamente più soddisfacente a ciò che
vogliamo realizzare». Questa opinione è stata sostenuta anche dall’On. Elsa
Signorino, relatrice della proposta di legge sui servizi sociali, che, a
conclusione dell’udienza conoscitiva del 27 maggio 1997, ha asserito quanto
segue: «Parlo di assistenza ma, come
sapete, insieme ad altri colleghi sono presentatrice di un progetto di legge
nel quale tale parola non è mai citata (il che non è vero!, n.d.r.) né altri colleghi, anch’essi presentatori
di proposte di legge, chiamano “assistenza” la materia di cui ci stiamo
occupando».
(6) Nell’audizione di cui alla nota precedente,
Marta Nicolini, rappresentante della FIMIV, Federazione italiana mutualità
integrativa volontaria, ha addirittura rivendicato la necessità di individuare
uno strumento «che faccia diventare
protagonisti gli utenti». Evidentemente non conosce le condizioni di
limitata o nulla autonomia della maggior parte degli assistiti (bambini,
handicappati intellettivi gravi e gravissimi, ecc.)
(7) Nell’udienza conoscitiva di cui alla nota 5,
solo Tiziano Vecchiato, Direttore scientifico della Fondazione Zancan, ha
perorato la causa dei diritti esigibili. Dopo aver ricordato che «mentre in sanità vi sono servizi essenziali
obbligatori, nell’area dei servizi di assistenza sociale tutto è lasciato
troppo alla discrezione. Un sistema unitario dovrebbe invece elencare i servizi
essenziali e i finanziamenti con cui realizzarli (...). Per quanto riguarda le
garanzie di esigibilità dei diritti, a proposito dei quali una legge che non
sciolga questo nodo è solo una buona legge di promesse, non di garanzia, è
necessario distinguere molto bene le garanzie direttamente esigibili da quelle
che, invece, richiedono l’investimento degli enti locali e delle Regioni per
rendere operanti i diritti». Di tenore praticamente opposto la sconcertante
dichiarazione rilasciata nella stessa occasione da Angelo Poli, rappresentante
della Fondazione italiana per il volontariato, secondo cui «il Parlamento non potrebbe e non dovrebbe essere interessato a
definire i soggetti ai quali devono essere assegnate certe competenze o quelli
che devono gestire certi servizi, proprio perché si tratta di competenze e di
servizi che spettano alle Regioni».
(8) Vedi la nota 4.
(9) Nell’art. 1 c’è un riferimento esclusivamente
declamatorio: «La Repubblica (...)
previene, elimina o riduce condizioni di bisogno e di disagio (...)».
Accenni alla prevenzione sono contenuti in altri articoli, ma senza alcuna
conseguenza operativa concreta.
(10) Art. 7
(Prevenzione dell’emarginazione e della dipendenza assistenziale)
1. Allo scopo di prevenire l’emarginazione, il
ricovero in istituto e la dipendenza assistenziale, le istituzioni dello Stato,
delle regioni e degli enti locali e degli organismi pubblici devono assicurare,
nell’ambito delle proprie competenze:
a) le prestazioni sanitarie preventive, riabilitative e
di cura, in particolare garantendo che le persone malate croniche non
autosufficienti possano usufruire dei servizi sanitari;
b) i servizi prescolastici e scolastici dalla scuola
materna e dell’obbligo a quella superiore e universitaria, e le iniziative di
formazione professionale e prelavorativa;
c) le strutture abitative con particolare riguardo a
quelle dell’edilizia sovvenzionata con fondi pubblici;
d) le opportunità lavorative presso imprese pubbliche e
private, assicurando, inoltre, piena attuazione alle norme relative al
collocamento obbligatorio;
e) i servizi culturali, ricreativi, sportivi e sociali in
genere.
Art. 8 (Rimozione del
bisogno economico)
1. Ai sensi della presente legge è corrisposto un
contributo economico allo scopo di:
a) garantire il superamento della soglia di povertà alle
persone ed ai nuclei familiari impossibilitati per qualsiasi motivo a
procurarsi con il lavoro e con i redditi e i beni di cui dispongono il
necessario economico per vivere;
b) superare contingenti difficoltà di ordine finanziario,
che possono determinare situazioni di emarginazione sociale o il ricovero in
istituto.
2. Le prestazioni economiche con finalità terapeutiche
restano di competenza del comparto sanitario.
3. Sono fatte salve le competenze dello Stato in materia
di sussidi e di iniziative concernenti la disoccupazione, nonché le altre
provvidenze in favore del singolo o del nucleo familiare, già previste dalle
leggi vigenti.
Art. 9 (Superamento delle
situazioni di emarginazione)
1. Allo scopo di superare le situazioni di emarginazione
personale, familiare e sociale dei soggetti di cui all’articolo 2 e dei loro
nuclei familiari, è abrogato l’articolo 154 del testo unico delle leggi di
pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773.
2. Allo scopo di evitare il ricovero coatto in istituto,
anche a fronte di situazioni indifferibili, sono attuati:
a) i servizi di assistenza domiciliare e di aiuto
personale e familiare;
b) I’accoglienza in comunità alloggio con una
disponibilità massima di otto utenti non accorpate tra loro ed inserite nel
normale contesto abitativo, destinate a coloro che non possono vivere
autonomamente o essere accolti dai propri congiunti o da terzi;
c) i centri diurni di cui alla lettera i) del comma 1
dell’articolo 4;
d) gli interventi di cui alla legge 4 maggio 1983, n.
184;
e) l’accoglienza di adulti e anziani in difficoltà da
parte di terze persone;
f) i centri di accoglienza per extracomunitari e per
persone senza fissa dimora;
g) i centri di accoglienza per donne maltrattate e che
hanno subito violenza.
3. È vietata l’apertura di istituzioni totali. Gli
istituti già esistenti e privi delle caratteristiche di cui alla lettera b) del
comma 2 cessano ogni attività decorsi cinque anni dalla data di entrata in
vigore della presente legge.
(11) Da una concezione diametralmente opposta
(positiva e non negativa) delle esigenze e dei diritti delle persone più
deboli, hanno tratto origine i piani individualizzati redatti dal personale
della scuola (che viene scelta autonomamente dai genitori dei bambini con
handicap); inoltre i suddetti piani sono redatti con la collaborazione di
esperti e degli stessi genitori.
(12) Per la predisposizione dei progetti individuali
riguardanti le persone disabili, il disegno di legge del Governo non prevede
nemmeno la preventiva richiesta del soggetto con handicap e la sua
collaborazione.
(13) Cfr. la nota dell’UNASAM, Unione nazionale
delle associazioni per la salute mentale, “Negata la competenza della sanità a
migliaia di malati psichici”, Prospettive
assistenziali, n. 120.
(14) Cfr. l’articolo “Riforma...”, citato nella
nota 4.
(15) Cfr. Ipaboggi,
n. 6, novembre-dicembre 1996. Ricordiamo che le IPAB sono un esempio (del
secolo scorso!) di enti pubblici assistenziali senza fini di lucro.
(16) Molte osservazioni critiche sono analoghe a
quelle da noi fatte nel n. 120 di Prospettive
assistenziali in merito al testo predisposto dall’On. Signorino in data 18
settembre 1997, che unifica le proposte di legge presentate alla Camera dei
Deputati.
(17) Cfr. R. Carapelle e F. Santanera, A scuola di diritti - Come difendersi da
inadempienze e abusi della burocrazia sociosanitaria, UTET Libreria,
Torino, 1997.
(18) Non si comprende in che cosa consista il
pronto intervento e a chi siano destinate le strutture diurne. Per quanto
riguarda i centri di accoglienza residenziale a carattere comunitario, non vi
sono precisazioni sulla capienza massima, per cui in sostanza si tratta di una
denominazione diversa degli attuali istituti a carattere d’internato per
anziani, handicappati e minori. Ancora oggi, alcuni di essi hanno più di mille
ricoverati!
(19) La delibera del Comune di Torino del 14 settembre
1976 prevede, fra l’altro, l’istituzione obbligatoria del servizio di
assistenza domiciliare e delle comunità alloggio. Però, si è mai giunti finora,
nonostante la pressione continua esercitata dai movimenti di base, ad ottenere
una risposta a tutte le situazioni di bisogno; in certi casi non si è arrivati
nemmeno a coprire il 50% delle esigenze, comprese quelle urgenti.
(20) Gli emolumenti economici a carattere
continuativo dovrebbero, a nostro avviso, essere affidati ad una specifica
organizzazione. Cfr. l’articolo “Per la creazione di un nuovo settore: la
sicurezza sociale”, Prospettive
assistenziali, n. 121.
(21) Ricordiamo, ancora una volta, che gli
interventi assistenziali dovrebbero sempre essere assicurati in modo da non
impedire e, anzi, da favorire l’utilizzo dei servizi fondamentali: sanità,
scuola, casa, trasporti, ecc. In sostanza le prestazioni dell’assistenza
sociale dovrebbero essere aggiuntive per le persone in gravi difficoltà e non
sostitutive, salvo il caso di soggetti non in grado, a causa della gravità
delle loro condizioni psico-fisiche, di procurarsi il necessario per vivere con
il lavoro.
(22) Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 4, n. 5
della legge 59/1997, le Regioni devono adottare, entro il 18 settembre 1998 «la legge di puntuale individuazione delle
funzioni» trasferite con il DL 112/1998. «Qualora la Regione non provveda entro il termine indicato, il Governo
è delegato ad emanare, entro i successivi novanta giorni, sentite le Regioni
inadempienti, uno o più decreti legislativi di ripartizione di funzioni tra
Regione ed Enti locali le cui disposizioni si applicano fino alla data di
entrata in vigore della legge regionale».
(23) Ben diverse sono le norme approvate in
materia di sanità. Gli organi di governo delle USL sono stati definiti in modo
preciso e con la giusta imposizione di scadenze temporali prefissate. Non si
comprende per quale motivo analoghe disposizioni non siano stabilite nel
comparto dell’assistenza e dei servizi sociali.
(24) Proprio per rispettare l’autonomia dei
singoli cittadini e dei nuclei familiari, l’art. 438 del codice civile
stabilisce che «gli alimenti possono
essere chiesi solo da chi versa in
stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento».
(25) Per quanto riguarda gli emolumenti economici
a carattere continuativo rilanciamo la nostra proposta rivolta alla creazione
del settore della sicurezza sociale. Cfr. Prospettive
assistenziali, n. 121.
(26) Cfr. la proposta di legge n. 3801 presentata alla
Camera dei Deputati dall’On. Novelli in data 3 giugno 1997. La relazione e il
testo sono riportati sul n. 120 di Prospettive
assistenziali.
www.fondazionepromozionesociale.it