Prospettive assistenziali, n. 122, aprile-giugno 1998

 

 

Interrogativi

 

 

PERCHÉ NELLA CASA DI RIPOSO "VIA ROMA" DI BOLOGNA SONO RICOVERATI ANCHE MALATI DI MENTE?

 

Sul n. 5/6 del 1995 (uscito nel maggio 1997) di Medicina geriatrica è stato pubblicato l'articolo "L'assistenza psichiatrica e l'anziano istituzionaliz­zato", da cui risulta che nella casa di riposo "Via Roma" di Bologna, una delle strutture di ricovero dell'Istituto Giovanni XXIII, su 110 anziani presi in esame, la diagnosi era la seguente:

- Sindrome depressiva organica               N.     %

(con iniziali segni convulsivi)                    9      8,1

- Disturbo depressivo N.A.S.                   28     25,4

- Disistima (depressione nevrotica)           2      1,8

- Disturbo bipolare                                  2      1,8

- Disturbo delirante di persecuzione         9      8,1

- Schizofrenia paranoide (1)                     7      6,3

- Ipocondria                                            3      2,7

- Disturbo della personalità                             

(di tipo narcisistico)                                9      8,1

- Demenza                                                    

(senile, degenerativa o vascolare) (2)        15     13,6

- Ritardo mentale                                           

(tutti da cerebropatia neonatale) (2)          6      5,4

- Dipendenza cronica da alcool                4      1,8

- Assenza di disturbi di pertinenza                  

psichiatrica                                            15     13,6

- Certificazione medico-legale                  3      2,7

- T.S.(3)                                                 9      8,1

- Suicidi (3)                                            1      0,9

Chiediamo: è giusto tenere questi malati in una struttura dell'assistenza/beneficenza? Essendo malati non dovrebbero essere inseriti in un com­plesso sanitario, ad esempio in comunità alloggio di 8-10 posti? Mettendo insieme malati dementi, anzia­ni colpiti da malattie invalidanti e da non autosuffi­cienza, non si creano le nefaste condizioni di vita presenti nei manicomi?

 

 

COME AMMINISTRA LE OFFERTE IL COMITATO ITALIANO DELL'UNICEF?

 

Recentemente un redattore di Prospettive assi­stenziali ha ricevuto dal Presidente del Comitato ita­liano dell'UNICEF la richiesta di versare un contribu­to «per i programmi in favore dei bambini in situa­zione di difficoltà».

È possibile conoscere a quanto ammontano le spese sostenute dal Comitato suddetto per la rac­colta dei fondi?

Le cariche del Comitato (presidente e altri compo­nenti) sono ricoperte a titolo gratuito oppure vengo­no corrisposti stipendi e/o indennità? In caso affer­mativo, qual è il loro importo?

Quando si spostano in Italia e all'estero i dirigenti utilizzano alberghi di quale categoria? Si può cono­scere l'importo dei loro rimborsi spese relativi al 1997? Quanti sono gli impiegati e gli altri addetti del Comitato italiano dell'UNICEF?

A chi sono stati assegnati i fondi raccolti negli ulti­mi cinque anni?

 

 

IN BASE A QUALI ESPERIENZE "ANCH'IO" RIPROPONE GLI ISTITUTI PER HANDICAPPATI GRAVI?

 

Sul notiziario Anch'io, dicembre 1997, Dante Grilli sostiene che vi sono vari motivi che possono «ren­dere inevitabile la istituzionalizzazione dell'handi­cappato grave»: impossibilità della famiglia di assi­curare una adeguata assistenza al loro congiunto totalmente dipendente, la sua solitudine per la morte dei genitori e la mancanza di altri familiari disponibi­li ad accoglierlo.

Ma perché viene proposto il ricovero in una resi­denza assistita magari di 100 o più posti?

Non ritiene il Grilli che, proprio per la loro configu­razione, queste strutture siano assolutamente inido­nee, nonostante la presenza (che non sempre è garantita) di personale preparato sul piano profes­sionale e sufficiente sotto l'aspetto quantitativo?

Perché non si sollecitano le autorità comunali a predisporre comunità alloggio di 6-8 posti per gli handicappati che non possono continuare a restare a casa loro nemmeno fornendo adeguati sostegni ai loro congiunti?

Perché non puntare anche sugli affidamenti fami­liari a scopo educativo e, sussistendone le condizio­ni, sull'adozione?

 

 

PERCHÉ LA REGIONE PIEMONTE NON ACQUISISCE PER 5 MILIONI BENI ASSAI CONSISTENTI?

 

Riportiamo integralmente l'interrogazione urgente presentata al Consiglio regionale piemontese in data 28 agosto 1997 dai Consiglieri del Partito della Rifon­dazione comunista e attendiamo la risposta del Pre­sidente della Giunta e dell'Assessore competente.

 

I sottoscritti Consiglieri Regionali Pino Chiezzi, Rocco Papandrea e Laura Simonetti,

verificato che:

1) - il 15 maggio 1934 l'Ingegner Giovanni Boggio dona dei beni immobili (casa di villeggiatura, terreni di varia coltura con entrostanti fabbricati), al Comune di Pecetto Torinese, allo scopo di destinar­li perennemente «.., alla cura ed educazione fisica e morale della gioventù... »;

2) - il 16 dicembre 1937 il Fascio di Pecetto - che nel frattempo ha avuto il compito di perseguire le finalità stabilite dall'ente donatario - cede a titolo gratuito ed in piena proprietà, trasferisce i beni immobili alla Federazione dei fasci della Provincia di Torino;

3) - il 23 dicembre 1950 è costituita la fondazione "Casa mia", che si avvale, oltreché dei beni della donazione originaria, anche di elargizioni di contri­buti statali e privati e si propone «la rieducazione dei minorenni discoli al preciso scopo di renderli cittadi­ni probi ed operosi, mediante educazione morale e fisica, assistenza e sorveglianza»;

4) - il 4 marzo 1953 si stipula l'atto di compraven­dita tra il Commissariato nazionale per la gioventù italiana, che vende i beni della donazione pervenu­tagli con rogito del 1941, e il Comitato di fatto "Casa mia", che acquista così al prezzo di L. 5.530.000 la colonia denominata "Eremo di Pecetto Torinese" e i terreni - esclusa una parte nel frattempo espropria­ta dalla Rai -; la vendita si effettua «... sotto la con­dizione che l'immobile venga destinato a riforma­torio permanente per fanciulli di età inferiore agli anni dodici, alla loro ammissione e sino alla mag­giore età, pena la restituzione della colonia al Commissariato per la gioventù italiana o agli Enti che a questa potranno succedere per legge, dietro solo rimborso del prezzo di acquisto versato»;

considerato che:

- seguirono decenni di inenarrabili sofferenze per tutti i "minorenni discoli" che ebbero la sventura di essere "rieducati" nella colonia di Pecetto Torinese, denunciate peraltro nel libro "II Paese dei Celestini. Istituti di assistenza sotto processo", pubblicato a cura di Bianca Guidetti Serra e Francesco Santanera, dall'Einaudi nel 1973;

considerato inoltre che:

- ormai da anni "Casa mia", fortunatamente, non svolge più alcuna attività assistenziale;

accertato che:

- non risulta che la fondazione "Casa mia", di cui al punto 3, sia stata riconosciuta dalle autorità com­petenti;

- nell'atto di compravendita, di cui al punto 4, è citato un "Comitato di fatto" che non risulta sia mai stato riconosciuto dalle autorità competenti;

- a seguito della legge n. 764 del 18 novembre 1975, le funzioni del soppresso Ente "Gioventù ita­

liana" (già Commissariato nazionale per la gioventù italiana) sono state trasferite alle Regioni;

interpellano il Presidente della Giunta Regionale e l'Assessore competente per sapere

- se non intendano rivendicare l'applicazione della condizione, di cui al punto 4, concernente appunto la restituzione dei beni (terreno di 53.447 metri qua­drati e fabbricati) alla Regione Piemonte «dietro il solo rimborso del prezzo di acquisto versato e cioè di L. 5.530.000».

 

 

I MALATI DI ALZHEIMER DEVONO ESSERE CURATI?

 

Ancora una volta (4), purtroppo, dobbiamo rileva­re che non viene rivendicato il diritto alle cure sani­tarie dei malati di Alzheimer.

Infatti, nel n. 12, III trimestre 1997, di Alzheimer Italia è riportato il documento approvato dalla Consulta permanente delle Associazioni dei disabili e delle loro famiglie sulla riforma dello stato sociale, in cui viene affermato quanto segue: «Si condivide la proposta di istituire un fondo speciale da utilizza­re per interventi domiciliari, assegni di cura e ricove­ri assistenziali dei cittadini anziani non autosufficien­ti».

Vorremmo sapere dall'Associazione Alzheimer Italia e dalle altre 29 organizzazioni aderenti alla suddetta Consulta se a loro consta che gli anziani ammalati cronici non autosufficienti abbiano diritto fin dal 1955 alle cure sanitarie domiciliari, ambulato­riali, ospedaliere e assimilate (RSA sanitarie, case di cura private convenzionate con il Servizio sanita­rio nazionale); cure che devono essere fornite senza limiti di durata e gratuitamente, salvo ticket.

Se non lo sanno non sarebbe meglio se si aggior­nassero, invece di chiedere l'istituzione di un fondo speciale, proposto dal Governo allo scopo di avere l'appoggio delle Associazioni aderenti alla Consulta per continuare a scaricare sul settore assistenziale i malati inguaribili?

Rivolgiamo analoghi interrogativi alla Associa­zione Alzheimer di Lecco che nell'opuscolo “Il mala­to di Alzheimer: aiuto ai familiari, consigli per l'assi­stenza, guida ai servizi del territorio” sostiene assur­damente e in contrasto con le vigenti disposizioni di legge che gli ospedali devono ricoverare solo i mala­ti acuti e che le case di riposo e le RSA gestite dal settore assistenziale (e non le strutture ed i servizi sanitari) sarebbero competenti per il ricovero dei dementi senili).

Infine non riusciamo a comprendere per quali motivi nell'opuscolo di Lecco non vengano fornite informazioni circa la procedura gratuita dell'interdi­zione e dell'inabilitazione.

 

 

 

(1) Si tratta di forme solitamente attive anche se un po' atte­nuate. Raramente si presenta il quadro psicopatologico della "Schizofrenia residua".

(2) Quadri clinici associati a disturbi del comportamento.

(3) Sono indicati quali sintomi e non come categoria diagno­stica in quanto rientrano in quadri del tipo "Disturbo depressivo N.A.S.".

 (4) Cfr. "Perché i malati di Alzheimer dovrebbero rinunciare ai loro diritti?", Prospettive assistenziali, n. 117, gennaio-marzo 1997.

 

 

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