Notiziario
dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie
IL
FUTURO DELL'ADOZIONE
Da Giovanni Viarengo del Gruppo Figli Adottivi Adulti
riceviamo la nota che riportiamo integralmente.
Da quasi tre
mesi I'ANFAA insieme ad un gruppo di figli adottivi adulti ha dato vita ad una
serie di iniziative finalizzate a sensibilizzare l'opinione pubblica sui temi
relativi all'adozione: un argomento che è stato affrontato da un punto di vista
particolare - ma insostituibile -: quello delle testimonianze di alcuni giovani
adottati. L'idea di dar voce ai figli adottivi se ha il merito di presentare
questo istituto in un'ottica tanto fondamentale, quanto poco conosciuta, ha
assunto, per il periodo nel quale è stata attuata, particolare rilievo e
significanza. Infatti, dal punto di vista legislativo ai numerosi progetti di
legge in materia di adozione presentati nel corso di questa legislatura, si è
aggiunta in questi ultimi tempi la necessità da parte dello Stato italiano di
ratificare la Convenzione internazionale de I'Aja del 29 maggio 1993 per la
cooperazione nell'adozione internazionale.
Questa
opportunità ha scatenato la volontà, in diversi parlamentari, di collegare al
disegno di ratifica della Convenzione una serie di progetti di riforma della
normativa italiana sull'adozione.
Purtroppo
l'ottica perseguita da molte di queste nuove proposte non si è mossa nell'interesse preminente del minore ma ha inteso privilegiare le esigenze
dell'adulto. Così sono stati presentati disegni di legge che prevedevano
l'eliminazione della differenza massima d'età (ora fissata a 40 anni) tra adottanti
e adottato o la possibilità di rendere accessibile l'adozione alle coppie di
fatto o ai singoli.
È stata questa
la prima ragione che ha portato i figli adottivi e I'ANFAA a scendere in campo,
con la ferma volontà di ribadire i diritti del bambino ad avere una famiglia a
propria misura e non viceversa.
La seconda
ragione deriva invece dal contenuto dell'articolo 37 del disegno di legge n.
4626 della Camera dei Deputati nella stesura predisposta in sede referente
dalle Commissioni Giustizia e Affari sociali.
La Convenzione
ha il grandissimo merito di regolamentare rigidamente le adozioni dei bambini
stranieri, prospettando per costoro una procedura di adottabilità simile a
quella stabilita per i minori italiani, ma contiene un principio che se
approvato finirebbe con il minare alla radice la stessa adozione legittimante
italiana.
Tale principio
è espresso dall'articolo 37 al comma 4° e sancisce la possibilità, in caso di
gravi e comprovati motivi, da parte dell'adottato maggiorenne o dei suoi
genitori di accedere ai dati riguardanti l'identità dei procreatori.
Risulta
palmare che accordare ad un figlio adottivo la possibilità di conoscere i dati
anagrafici delle persone che lo hanno messo al mondo, significhi affermare che
la famiglia nella quale egli risiede non sia in realtà la sua unica famiglia,
poiché i suoi genitori non sarebbero quelli adottivi, bensì anche (o solo?)
coloro che lo hanno messo al mondo. In questa prospettiva gli adottanti
risulterebbero semplici allevatori e i figli adottivi figli in prestito, a
tempo determinato, sospesi per tutta la vita tra due famiglie.
È questa
un'ottica nella quale i legami di sangue (legami solo preconcetti ma non reali)
vengono ancora una volta privilegiati e anteposti a quelli (reali) che
scaturiscono dall'affetto, dalla vita quotidiana e dall'amore che lega i
genitori ai figli.
Per
contrastare con forza la prospettiva dei disegni di legge presentati da chi
privilegia le aspettative degli adulti e soprattutto per dire no all'approvazione
di questo articolo contenuto nel disegno di legge di ratifica della convenzione
de L'Aja, i figli adottivi e I'ANFAA hanno organizzato tre dibattiti svoltisi
il 24 aprile a Torino, il 12 maggio a Roma e I'8 giugno a Milano.
In questi
incontri le opinioni e le storie dei figli adottivi sono state messe a
confronto con l'esperienza dei genitori adottivi, degli operatori (assistenti
sociali, magistrati, psicologi) e soprattutto dei politici.
Tutti i
racconti dei figli adottivi hanno descritto delle esperienze
"riuscite"; quindi la realtà normale dell'adozione, quella nascosta e
quotidiana che non è mai oggetto dei reportage giornalistici.
Dar voce a
queste storie è servito a rassicurare i futuri genitori adottivi e a mettere in
luce come i figli adottivi si sentano completamente parte delle loro attuali
famiglie e non manifestino alcuna esigenza di rintracciare quelli che hanno
dato loro la vita ma, anzi, ritengano come qualora questa volontà si presenti
sia il portato di problemi che l'adottato vive nella famiglia e che per
risolvere deve affrontare insieme ai propri genitori senza, di fatto, spostare
il problema, cercando impossibili risposte in chi lo ha generato.
In altri
termini, prendere coscienza della propria storia, assumere come elemento
ineliminabile il proprio abbandono o l'allontanamento dai generatori biologici
deve avvenire all'interno della famiglia adottiva; è questo il luogo dove,
attraverso l'aiuto dei genitori, dei fratelli ed eventualmente di sussidi
esterni, rielaborare la propria storia e comprendere le ragioni del
disgiungimento dai genitori biologici.
L'idea di
tornare alle "radici" attraversa raramente la mente dei figli adottivi
che trovano identità all'interno della famiglia adottiva e riconoscono come
propria esclusivamente questa. È qui che nella quotidianità si sono creati i
rapporti affettivi indissolubili, i legami d'amore così straordinariamente
forti e totalizzanti al confronto dei quali quelli di carne sono nulla.
Fornire nomi e cognomi è una risposta errata, una falsa idea risolutiva che
semplicemente allontana il cammino per il raggiungimento e la riappropriazione
del proprio vissuto.
AI naturale
bisogno di sapere, si deve rispondere correttamente con cautela, senza ferire
(a cosa può servire sapere di essere stati allontanati dalla propria famiglia
biologica perché maltrattati o non voluti o perché malati?), non attraverso la
consegna di indirizzi.
Queste le
riflessioni emerse dagli interventi dei figli adottivi con le quali sono stati
chiamati a confrontarsi i relatori intervenuti nei tre incontri.
In particolare
alla serata torinese hanno preso parte l'On. Anna Maria Serafini,
Vicepresidente della Commissione Giustizia della Camera, il Presidente del
Tribunale per i minorenni di Torino, Giulia De Marco e lo psicologo Guido
Cattabeni.
L'incontro di
Roma si è invece svolto nella prestigiosa sede di Palazzo Samacuto e ha visto
la partecipazione del Presidente della Camera On. Luciano Violante.
Infine il
dibattito milanese ha dato ai figli adottivi l'opportunità di confrontarsi con
lo psicologo Dante Ghezzi e il Vice Presidente del Tribunale per i minorenni
di Milano, Mario Zevola.
Da parte di
tutti gli intervenuti è stata messa in luce l'importanza di ratificare in tempi
brevi la Convenzione internazionale de L'Aja. Giulia De Marco ha sottolineato
il ruolo fondamentale che assumeranno gli enti autorizzati per mettere fine
alle speculazioni messe in atto da individui che si arricchiscono inducendo
molte famiglie indigenti ad abbandonare i propri figli in cambio di denaro.
Mario Zevola ha descritto analiticamente il contenuto della convenzione de
L'Aja ed entrambi i magistrati hanno espresso le loro perplessità
sull'approvazione dell'articolo 37 affermando come, tra l'altro, il 40
comma creerebbe una inaccettabile disparità tra i figli adottivi stranieri e
italiani. I primi avrebbero l'accesso all'identità dei propri procreatori, ai
secondi questa opportunità resterebbe negata.
Inoltre, nel
momento in cui un giudice ha provveduto a dichiarare lo stato di adottabilità
di un minore, sciogliendolo definitivamente da un legame biologico inadeguato
attraverso una sentenza passata in giudicato, non si vede come questo atto
possa essere messo in discussione da un successivo provvedimento. Anche Dante
Ghezzi e Guido Cattabeni, commentando le esperienze dei figli adottivi adulti,
si sono espressi sfavorevolmente nei confronti della possibilità di ratificare
da parte dell'Italia questo articolo, poiché il figlio adottivo potrebbe non
sentirsi mai completamente figlio, altalenato tra due famiglie, esposto al
rischio di venire per la seconda volta rifiutato dalla famiglia biologica,
lasciato nell'incertezza della famiglia alla quale sentirsi appartenere, nella
prosecuzione all'infinito di quel momento adolescenziale che tutti i figli
attraversano quando sono tentati di lasciare la famiglia di appartenenza
(biologica o adottiva) per abbandonarsi al sogno della fantasia e del
desiderio.
Più variegata
e dissonante invece la posizione del mondo politico. Se da un lato nel suo
intervento di saluto all'incontro romano l'On. Violante, dopo aver radiografato
la situazione dell'adozione in Italia, ha sottolineato come «questo istituto serva a dare una famiglia
ad un ragazzo o a una ragazza che c'è già, con i suoi bisogni e la sua vita
vissuta» e non serva invece «a dare
un figlio ad una famiglia», dall'altro Anna Maria Serafini ha messo in luce
come la struttura familiare tradizionale si stia dissolvendo e il modello di
famiglia nucleare sia ormai solo uno tra quelli oggi possibili. In tale ottica
si dovrebbe leggere l'opportunità di allargare a nuovi soggetti il diritto a
diventare genitori adottivi e nella stessa prospettiva risulterebbe utile
fornire ai figli adottivi la possibilità di rintracciare i propri genitori.
Così
affermando di voler offrire ai figli un astratto diritto a poter conoscere
l'identità di chi li ha messi al mondo, si cancellerebbe quel segreto sulle
origini che per l'On. Serafini rappresenta la «vera e propria metafora dell'adozione», portando il figlio
adottivo al centro della modernità poiché a lui, e solo a lui, verrebbe
accordata la possibilità di aderire ai più recenti modelli familiari, basati
non più sul modello nucleare ma sulla pluralità di appartenenze. Peccato però
che il figlio adottivo porti con sé alcune volte i segni dell'abbandono che
gli procurarono i suoi generatori, peccato che a costoro possa far male
affrontare, riemergente dal passato, un doloroso distacco, magari faticosamente
cancellato. Peccato, infine, che sotto mentite spoglie e per di più adombrato
di progressismo venga riproposto un vecchio modo di pensare.
Infatti in
nome della modernità si tornerebbe ad una situazione legislativa del tutto
simile a quella esistente nel 1967, prima cioè che venisse introdotta la
riforma sulla legge dell'adozione, quando ad esempio potevano adottare figli
anche coppie più anziane di quelle a cui lo è consentito oggi e soprattutto
non era stato ancora introdotto il principio di adozione legittimante,
principio che annulla ogni riferimento ad una doppia genitorialità considerando
definitivamente scissi tutti i legami tra i generatori biologici e i loro
"figli".
C'è solo da
augurarsi che un tale disegno che porterebbe le famiglie adottive a essere
considerate di serie B, sentendosi ridotte a "percentuali di genitori e
figli", non passi. Del resto in prospettiva storica, ogni progetto volto a
restaurare un vuoto passato, sia pure tirato a lucido e spacciato come ultima novità,
quando non risulti più sorretto da valori vivi diviene anacronistico,
sorpassato dalla storia e dunque, per sua natura, destinato a fallire.
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