Prospettive assistenziali, n. 122, aprile-giugno 1998

 

 

Notiziario dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie

 

 

IL FUTURO DELL'ADOZIONE

 

Da Giovanni Viarengo del Gruppo Figli Adottivi Adulti riceviamo la nota che riportiamo integral­mente.

Da quasi tre mesi I'ANFAA insieme ad un gruppo di figli adottivi adulti ha dato vita ad una serie di ini­ziative finalizzate a sensibilizzare l'opinione pubbli­ca sui temi relativi all'adozione: un argomento che è stato affrontato da un punto di vista particolare - ma insostituibile -: quello delle testimonianze di alcuni giovani adottati. L'idea di dar voce ai figli adottivi se ha il merito di presentare questo istituto in un'ottica tanto fondamentale, quanto poco conosciuta, ha assunto, per il periodo nel quale è stata attuata, par­ticolare rilievo e significanza. Infatti, dal punto di vista legislativo ai numerosi progetti di legge in materia di adozione presentati nel corso di questa legislatura, si è aggiunta in questi ultimi tempi la necessità da parte dello Stato italiano di ratificare la Convenzione internazionale de I'Aja del 29 maggio 1993 per la cooperazione nell'adozione internazio­nale.

Questa opportunità ha scatenato la volontà, in diversi parlamentari, di collegare al disegno di ratifi­ca della Convenzione una serie di progetti di riforma della normativa italiana sull'adozione.

Purtroppo l'ottica perseguita da molte di queste nuove proposte non si è mossa nell'interesse pre­minente del minore ma ha inteso privilegiare le esi­genze dell'adulto. Così sono stati presentati disegni di legge che prevedevano l'eliminazione della diffe­renza massima d'età (ora fissata a 40 anni) tra adot­tanti e adottato o la possibilità di rendere accessibi­le l'adozione alle coppie di fatto o ai singoli.

È stata questa la prima ragione che ha portato i figli adottivi e I'ANFAA a scendere in campo, con la ferma volontà di ribadire i diritti del bambino ad avere una famiglia a propria misura e non viceversa.

La seconda ragione deriva invece dal contenuto dell'articolo 37 del disegno di legge n. 4626 della Camera dei Deputati nella stesura predisposta in sede referente dalle Commissioni Giustizia e Affari sociali.

La Convenzione ha il grandissimo merito di rego­lamentare rigidamente le adozioni dei bambini stra­nieri, prospettando per costoro una procedura di adottabilità simile a quella stabilita per i minori italia­ni, ma contiene un principio che se approvato fini­rebbe con il minare alla radice la stessa adozione legittimante italiana.

Tale principio è espresso dall'articolo 37 al comma 4° e sancisce la possibilità, in caso di gravi e com­provati motivi, da parte dell'adottato maggiorenne o dei suoi genitori di accedere ai dati riguardanti l'i­dentità dei procreatori.

Risulta palmare che accordare ad un figlio adotti­vo la possibilità di conoscere i dati anagrafici delle persone che lo hanno messo al mondo, significhi affermare che la famiglia nella quale egli risiede non sia in realtà la sua unica famiglia, poiché i suoi geni­tori non sarebbero quelli adottivi, bensì anche (o solo?) coloro che lo hanno messo al mondo. In que­sta prospettiva gli adottanti risulterebbero semplici allevatori e i figli adottivi figli in prestito, a tempo determinato, sospesi per tutta la vita tra due fami­glie.

È questa un'ottica nella quale i legami di sangue (legami solo preconcetti ma non reali) vengono ancora una volta privilegiati e anteposti a quelli (reali) che scaturiscono dall'affetto, dalla vita quoti­diana e dall'amore che lega i genitori ai figli.

Per contrastare con forza la prospettiva dei dise­gni di legge presentati da chi privilegia le aspettati­ve degli adulti e soprattutto per dire no all'approva­zione di questo articolo contenuto nel disegno di legge di ratifica della convenzione de L'Aja, i figli adottivi e I'ANFAA hanno organizzato tre dibattiti svoltisi il 24 aprile a Torino, il 12 maggio a Roma e I'8 giugno a Milano.

In questi incontri le opinioni e le storie dei figli adottivi sono state messe a confronto con l'espe­rienza dei genitori adottivi, degli operatori (assisten­ti sociali, magistrati, psicologi) e soprattutto dei poli­tici.

Tutti i racconti dei figli adottivi hanno descritto delle esperienze "riuscite"; quindi la realtà normale dell'adozione, quella nascosta e quotidiana che non è mai oggetto dei reportage giornalistici.

Dar voce a queste storie è servito a rassicurare i futuri genitori adottivi e a mettere in luce come i figli adottivi si sentano completamente parte delle loro attuali famiglie e non manifestino alcuna esigenza di rintracciare quelli che hanno dato loro la vita ma, anzi, ritengano come qualora questa volontà si pre­senti sia il portato di problemi che l'adottato vive nella famiglia e che per risolvere deve affrontare insieme ai propri genitori senza, di fatto, spostare il problema, cercando impossibili risposte in chi lo ha generato.

In altri termini, prendere coscienza della propria storia, assumere come elemento ineliminabile il pro­prio abbandono o l'allontanamento dai generatori biologici deve avvenire all'interno della famiglia adottiva; è questo il luogo dove, attraverso l'aiuto dei genitori, dei fratelli ed eventualmente di sussidi esterni, rielaborare la propria storia e comprendere le ragioni del disgiungimento dai genitori biologici.

L'idea di tornare alle "radici" attraversa raramente la mente dei figli adottivi che trovano identità all'interno della famiglia adottiva e riconoscono come propria esclusivamente questa. È qui che nella quo­tidianità si sono creati i rapporti affettivi indissolubili, i legami d'amore così straordinariamente forti e tota­lizzanti al confronto dei quali quelli di carne sono nulla. Fornire nomi e cognomi è una risposta errata, una falsa idea risolutiva che semplicemente allonta­na il cammino per il raggiungimento e la riappropria­zione del proprio vissuto.

AI naturale bisogno di sapere, si deve rispondere correttamente con cautela, senza ferire (a cosa può servire sapere di essere stati allontanati dalla pro­pria famiglia biologica perché maltrattati o non volu­ti o perché malati?), non attraverso la consegna di indirizzi.

Queste le riflessioni emerse dagli interventi dei figli adottivi con le quali sono stati chiamati a con­frontarsi i relatori intervenuti nei tre incontri.

In particolare alla serata torinese hanno preso parte l'On. Anna Maria Serafini, Vicepresidente della Commissione Giustizia della Camera, il Presidente del Tribunale per i minorenni di Torino, Giulia De Marco e lo psicologo Guido Cattabeni.

L'incontro di Roma si è invece svolto nella presti­giosa sede di Palazzo Samacuto e ha visto la parte­cipazione del Presidente della Camera On. Luciano Violante.

Infine il dibattito milanese ha dato ai figli adottivi l'opportunità di confrontarsi con lo psicologo Dante Ghezzi e il Vice Presidente del Tribunale per i mino­renni di Milano, Mario Zevola.

Da parte di tutti gli intervenuti è stata messa in luce l'importanza di ratificare in tempi brevi la Convenzione internazionale de L'Aja. Giulia De Marco ha sottolineato il ruolo fondamentale che assumeranno gli enti autorizzati per mettere fine alle speculazioni messe in atto da individui che si arric­chiscono inducendo molte famiglie indigenti ad abbandonare i propri figli in cambio di denaro. Mario Zevola ha descritto analiticamente il contenuto della convenzione de L'Aja ed entrambi i magistrati hanno espresso le loro perplessità sull'approvazione del­l'articolo 37 affermando come, tra l'altro, il 40 comma creerebbe una inaccettabile disparità tra i figli adottivi stranieri e italiani. I primi avrebbero l'ac­cesso all'identità dei propri procreatori, ai secondi questa opportunità resterebbe negata.

Inoltre, nel momento in cui un giudice ha provve­duto a dichiarare lo stato di adottabilità di un mino­re, sciogliendolo definitivamente da un legame bio­logico inadeguato attraverso una sentenza passata in giudicato, non si vede come questo atto possa essere messo in discussione da un successivo provvedimento. Anche Dante Ghezzi e Guido Cattabeni, commentando le esperienze dei figli adottivi adulti, si sono espressi sfavorevolmente nei confronti della possibilità di ratificare da parte dell'Italia questo articolo, poiché il figlio adottivo potrebbe non sentirsi mai completamente figlio, alta­lenato tra due famiglie, esposto al rischio di venire per la seconda volta rifiutato dalla famiglia biologica, lasciato nell'incertezza della famiglia alla quale sen­tirsi appartenere, nella prosecuzione all'infinito di quel momento adolescenziale che tutti i figli attra­versano quando sono tentati di lasciare la famiglia di appartenenza (biologica o adottiva) per abbando­narsi al sogno della fantasia e del desiderio.

Più variegata e dissonante invece la posizione del mondo politico. Se da un lato nel suo intervento di saluto all'incontro romano l'On. Violante, dopo aver radiografato la situazione dell'adozione in Italia, ha sottolineato come «questo istituto serva a dare una famiglia ad un ragazzo o a una ragazza che c'è già, con i suoi bisogni e la sua vita vissuta» e non serva invece «a dare un figlio ad una famiglia», dall'altro Anna Maria Serafini ha messo in luce come la strut­tura familiare tradizionale si stia dissolvendo e il modello di famiglia nucleare sia ormai solo uno tra quelli oggi possibili. In tale ottica si dovrebbe legge­re l'opportunità di allargare a nuovi soggetti il diritto a diventare genitori adottivi e nella stessa prospetti­va risulterebbe utile fornire ai figli adottivi la possibi­lità di rintracciare i propri genitori.

Così affermando di voler offrire ai figli un astratto diritto a poter conoscere l'identità di chi li ha messi al mondo, si cancellerebbe quel segreto sulle origini che per l'On. Serafini rappresenta la «vera e propria metafora dell'adozione», portando il figlio adottivo al centro della modernità poiché a lui, e solo a lui, ver­rebbe accordata la possibilità di aderire ai più recen­ti modelli familiari, basati non più sul modello nucleare ma sulla pluralità di appartenenze. Peccato però che il figlio adottivo porti con sé alcu­ne volte i segni dell'abbandono che gli procurarono i suoi generatori, peccato che a costoro possa far male affrontare, riemergente dal passato, un doloro­so distacco, magari faticosamente cancellato. Peccato, infine, che sotto mentite spoglie e per di più adombrato di progressismo venga riproposto un vecchio modo di pensare.

Infatti in nome della modernità si tornerebbe ad una situazione legislativa del tutto simile a quella esistente nel 1967, prima cioè che venisse introdot­ta la riforma sulla legge dell'adozione, quando ad esempio potevano adottare figli anche coppie più anziane di quelle a cui lo è consentito oggi e soprat­tutto non era stato ancora introdotto il principio di adozione legittimante, principio che annulla ogni riferimento ad una doppia genitorialità considerando definitivamente scissi tutti i legami tra i generatori biologici e i loro "figli".

C'è solo da augurarsi che un tale disegno che por­terebbe le famiglie adottive a essere considerate di serie B, sentendosi ridotte a "percentuali di genitori e figli", non passi. Del resto in prospettiva storica, ogni progetto volto a restaurare un vuoto passato, sia pure tirato a lucido e spacciato come ultima novità, quando non risulti più sorretto da valori vivi diviene anacronistico, sorpassato dalla storia e dun­que, per sua natura, destinato a fallire.

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it