VINTA LA
VERTENZA CONTRO LA PROVINCIA DI TORINO SUI CONTRIBUTI ECONOMICI RICHIESTI AGLI
HANDICAPPATI E ALLE LORO FAMIGLIE
CARLO SESSANO
Sono lieto di segnalare alle
famiglie con parenti portatori di handicap intellettivo che è positivamente
terminata la ultradecennale vertenza che avevo intrapreso, col sostegno del CSA
- Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, verso
l’Amministrazione provinciale di Torino, contro la richiesta di contributi alle
famiglie con congiunti che fruivano dei centri diurni per handicappati
intellettivi che, a causa della gravità delle loro condizioni psico-fisiche,
non erano assolutamente in grado di svolgere alcuna proficua attività
lavorativa.
Anche ai parenti delle persone
ricoverate in istituti e comunità alloggio veniva da tempo richiesto un
contributo sull’ammontare della retta.
Allo scopo di rendere edotti
tutti coloro che si trovano in analoghe situazioni, ritengo opportuno
riepilogare i punti principali della vicenda.
Con delibera 21 maggio 1987, la
Provincia di Torino emanò una prima disposizione con la quale fissava dei
parametri, assai onerosi per gli utenti e per i loro parenti, atti a
determinare l’entità del contributo. Oltre al CSA insorsero tutte le
associazioni e la Provincia di Torino sospese il provvedimento. Lo stesso ente
concordò poi con il Comune di Torino una nuova formulazione del criterio
contributivo (che alcune associazioni condivisero) in base al quale, per la
fruizione dei centri diurni, veniva richiesto un contributo mensile variante dalle
31.000 alle 76.000 lire in funzione del reddito conteggiato sul nucleo
familiare (genitori, fratelli, ecc.). Tale procedura venne applicata, però,
soltanto dalla Provincia con delibera del 15 dicembre 1988 che retrodatava
l’applicazione della norma al 1° ottobre 1988. Il Comune di Torino, invece, non
ha mai dato corso alla propria proposta di delibera.
Non appena ricevetti la lettera
con cui mi si chiedeva di produrre la documentazione inerente il reddito
familiare, ho provveduto a respingere la richiesta dell’Amministrazione
provinciale di Torino. Contemporaneamente, sempre con il fattivo aiuto del CSA,
ho iniziato una campagna di informazione rivolta agli altri genitori per far
loro conoscere gli elementi in base ai quali ritenevo in parte illegittima ed
in parte inopportuna la pretesa della Provincia.
Occorre dire che la campagna ebbe
un notevole successo: decine e decine di famiglie aderirono alla vertenza,
anche quelle appartenenti ad altre associazioni, comprese quelle che
consigliavano, invece, di pagare il contributo.
I criteri che ispirarono la
vertenza furono:
1) nessuna legge prevede che
possano essere chiamati a contribuire al costo della retta i parenti, anche
quelli tenuti agli alimenti, di handicappati intellettivi maggiorenni;
2) l’art. 438 del Codice civile
specifica chiaramente che solo chi è
in stato di bisogno (o il di lui tutore) può chiedere gli alimenti ai parenti
elencati nell’art. 433 del Codice civile;
3) se c’è contrasto fra le due
parti, è il giudice a stabilire se gli alimenti devono essere corrisposti ed a
fissarne l’entità. Ciò in ossequio all’art. 441 del Codice civile. Gli enti
pubblici non hanno alcuna competenza in materia;
4) l’aspetto etico della pretesa.
È mai possibile che ad un cittadino, la cui vita è già così fortemente
compromessa ed il cui unico reddito, per la quasi generalità dei casi, è
costituito dalla pensione di invalidità (all’epoca
250.000 lire mensili!), si possano richiedere contributi?
La vertenza continuò sino
all’avvento di un nuovo assessore che, assillato dalle continue pressioni dei
familiari degli handicappati e dal CSA, si decise infine a sospendere la
richiesta di contribuzione con effetto dal 1° gennaio 1991. Contemporaneamente,
l’Amministrazione provinciale di Torino predispose dei quesiti che inoltrò al
Dipartimento affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri in
merito alla validità dei nostri assunti.
La risposta di detto ente, tenuto
conto anche del parere dell’Ufficio legislativo del Ministero dell’interno,
venne inviata alla Provincia il 15 aprile 1994. Su queste basi, nel settembre
del 1994, la Provincia di Torino, in esecuzione della delibera del 27 maggio
1994, comunicò ai parenti che la quota già fissata a loro carico era da
considerarsi non più dovuta. Per analogia, anche ai parenti delle persone
ricoverate in istituti e comunità alloggio, veniva revocato l’obbligo di
contribuzione.
Restava da definire la quota di
contributo a carico degli utenti. Infatti, in base alla delibera del 1987,
l’esenzione spettava solo a coloro il cui reddito non superava i 3 milioni
annui. Poiché, come già detto, l’importo della pensione di invalidità era
allora di L. 250.000 mensili, l’ammontare complessivo sommava a L. 3.250.000
(13 x 250.000).
Mi sia concesso a questo punto un
breve inciso. Riguarda la sensibilità, la solidarietà, l’essere vicino alle
famiglie dei congiunti colpiti da handicap intellettivo la cui vita è così
gravemente condizionata, concetti che, soprattutto a parole, spesso esprimono
sindaci, assessori, dirigenti e funzionari di enti pubblici. Ne sia esempio il
semplice calcolo sopra riportato. Il fatto scandaloso è originato
dall’univocità d’intenti espressa da tutti coloro che hanno messo mano alla
stesura e all’approvazione della delibera: nessun soggetto poteva fruire dell’esenzione!
Tutti avrebbero dovuto, con le loro 250.000 lire mensili, insufficienti persino
alla semplice sopravvivenza, versare alla tesoreria provinciale 31.000 lire!
E per annullare questa vergogna,
abbiamo dovuto, io e il CSA, sostenere un’ulteriore battaglia che durò per
altri tre anni, anche a causa del cambio degli assessori e dei tentativi di
insabbiare il caso. Finalmente, nel luglio 1997 il Consiglio provinciale
deliberò di ritenere estinto ogni credito della Provincia di Torino verso gli
utenti. Con buona pace di tutti coloro che, nonostante le nostre insistenze,
per dar retta ai cattivi consiglieri, hanno invece sempre pagato.
Questa vicenda ha, a mio avviso,
una morale: il cittadino conscio dei propri diritti deve cercare in ogni modo
di farli rispettare. Anche da
solo!
(*)
Vice-presidente dell’UTIM - Unione tutela insufficienti mentali.
www.fondazionepromozionesociale.it