Editoriale
le vigenti norme sull’adozione sono molto valide, ma il
parlamento vuole cambiarle (*)
A seguito delle leggi 431/1967 e 184/1983 sono stati adottati alla data del
31 dicembre 1997 ben 85.378 minori, di cui 60.689 italiani.
Una parte non trascurabile di questi fanciulli era colpita da handicap o da
malattie anche gravi; altri erano grandicelli; praticamente tutti avevano
subito i deleteri effetti della carenza di cure familiari e del ricovero in
istituto, le cui manifestazioni più vistose sono la progressiva incapacità di
stabilire positive relazioni con gli altri (genitori, adulti e coetanei) e
l’asocialità. Lo Stato ha risparmiato, solo in rette, molte centinaia di
miliardi (1).
Dunque: tutto bene. Sì per i bambini, ma non per alcuni Parlamentari. Per
questi ultimi un primo e imperdonabile difetto della legge vigente concerne il
riconoscimento della prevalenza dei diritti del bambino senza famiglia nei
confronti delle aspettative degli adulti.
Guarda un po’, dicono certi benpensanti: un bamboccio di 3-4 chili che non
ha nessuno che si occupi di lui, che non è nemmeno capace di nutrirsi da solo e
che se la fa addosso, vuole imporci delle regole! Pretende, addirittura, una
mamma e un papà ed esige anche che siano giovani. Rifiuta noi che abbiamo 50/60
anni, siamo ancora prestanti, possediamo un sacco di soldi ed una buona
istruzione. Ci respinge nonostante il nostro bisogno di compagnia: sentiamo
soprattutto la mancanza di un pargoletto da coccolare che, detto fra noi,
domani sarà il bastone della nostra vecchiaia.
Ed ecco, allora, che alla Camera dei deputati e al Senato sono state
presentate proposte di legge per aumentare la differenza massima di età fra gli
adottanti e l’adottando dagli attuali 40 anni a 50. Vi è persino chi intende
sopprimere questa norma allo scopo (ovviamente solidaristico!) di consen-tire
anche agli ultrasessantenni di poter vincere la loro solitudine con un
frugolino, magari di pochi mesi!
E siccome lo spirito di corpo fra i più forti non conosce limiti, in alcune
proposte di legge si estende ai conviventi e alle persone singole la
possibilità di adottare, anche se essi forniscono – com’è evidente – minori
garanzie per i bambini rispetto alle coppie sposate.
Bisogna però tappare la bocca ai sovversivi difensori dei diritti dei più
deboli che, dati alla mano, affermano che ci sono molte più richieste di
adozione rispetto ai bambini adottabili e, quindi, che bisognerebbe ridurre da
40 ad almeno 35 anni la differenza di età fra adottanti e adottandi, in modo da
far diminuire il numero delle coppie la cui domanda di adozione non viene
accolta a causa della mancanza di minori ed il cui esame è, pertanto, una
inutile perdita di tempo per i Tribunali per i minorenni e per i servizi
assistenziali e sanitari (2).
Un clamoroso errore
Per poter tappare la bocca ai sopraricordati sovversivi e realizzare la
restaurazione dei giusti poteri (gli adulti devono ricominciare a decidere in
base alle loro esigenze ed i bambini devono subire ed essere riconoscenti),
alcuni parlamentari sono incorsi in un clamoroso errore: viene infatti
affermato che negli istituti vi sono circa 40 mila minori (il che è vero),
lasciando però intendere che si tratterebbe di fanciulli adottabili (il che è
completamente falso) (3).
È un errore colossale perché non si tratta di minori adottabili e cioè di
fanciulli dichiarati o dichiarabili in stato di adottabilità dai Tribunali per
i minorenni in quanto non sono totalmente privi di cure da parte dei loro
genitori e dei parenti.
È sufficiente, per ristabilire la verità dei fatti, che i parlamentari e le
altre persone interessate al problema assumano le dovute informazioni dai
giudici minorili o dagli operatori dei servizi di assistenza sociale.
Verrebbero a sapere che la stragrande maggioranza dei 40 mila bambini e
ragazzi ancora istituzionalizzati dovrebbero (sul piano etico-giuridico) e
potrebbero (sotto il profilo operativo) rientrare a casa se ai loro genitori
venissero forniti i necessari aiuti psico-sociali (che, in genere, allo Stato
costano meno del ricovero!) o se fosse istituito il servizio di affidamento
familiare a scopo educativo (è comprovato che anche questo intervento presenta
vantaggi non solo umani e familiari, ma anche economici) (4).
Una montagna che non si vuol vedere
Perché possa essere rispettato il diritto di tutti i minori alla famiglia
(propria, adottiva o affidataria a seconda delle situazioni) c’è, però, un
ostacolo. È di cartapesta (e quindi facilmente rimuovibile), ma grosso come una
montagna (e pertanto visibile salvo a chi vuole chiudere gli occhi): se ne
parla da decenni, ma finora nulla di concreto è stato fatto.
Si tratta della necessità, sempre più urgente, di una legge quadro
sull’assistenza. Non deve essere una normativa qualsiasi. Al riguardo sono
estremamente deludenti le proposte presentate al Parlamento e la bozza
approvata dal Governo (5). Occorrono, invece, disposizioni che obblighino i
Comuni singoli o associati ad istituire i servizi indispensabili per le persone
ed i nuclei familiari in gravi difficoltà.
In particolare, devono essere previsti diritti esigibili da parte dei
cittadini e non solo, ancora una volta, mere possibilità di intervento, com’è
avvenuto per l’inattuata e inattuabile legge quadro sull’handicap (6).
È comodo e facile per i parlamentari scrivere nelle proposte di legge che i
nuclei familiari dei minori in difficoltà devono essere aiutati. Ma, com’è
ovvio, perché i servizi siano istituiti è indispensabile individuare l’ente
tenuto a predisporli, precisare chi sono i cittadini aventi diritto, indicare
le attività che devono essere svolte, stabilire l’ammontare degli stanziamenti
e il fabbisogno relativo al personale da adibire.
L’inascoltata denuncia del Presidente del Tribunale per i minorenni di
Taranto
Circa la situazione della Puglia, purtroppo analoga a quella di altre
Regioni, segnaliamo nuovamente che il Presidente del Tribunale per i minorenni
di Taranto, nella lettera spedita il 7 febbraio 1997 al Ministro per la
solidarietà sociale, Livia Turco, ha affermato che la Regione Puglia, per
inerzia culturale e mancanza di volontà politica e di capacità organizzativa,
non è riuscita ad emanare adeguate leggi di riordino dei servizi psicosociali e
indirizzi programmatici nei diversi settori di competenza, cosicché i minori a
rischio, per lo più appartenenti a fasce sociali più deboli ed esposte, spesso
vengono allontanati senza ragione dalla famiglia e ricoverati in istituti
tradizionali, attestati ancora sugli schemi e sulla cultura del contenimento,
della spersonalizzazione, della chiusura e dell’emarginazione. «L’abitudine al ricovero in istituzioni
totali – riferisce Mastrogiacomo – è
talmente radicata in questa realtà che con molta fatica si riesce a stabilire
stabili raccordi interistituzionali», mentre anche i servizi «operano complessivamente in un clima di totale
separatezza e incomunicazione».
La montagna di cartapesta poteva essere vista e vinta non solo da decenni,
ma anche nel 1997
Dall’entrata in vigore della Costituzione (1° gennaio 1948) ad oggi non
solo non è mai stata data attuazione, nemmeno parziale, al 1° comma dell’art.
38 «Ogni cittadino inabile al lavoro e
sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e
all’assistenza sociale», ma è stato approvato dal Parlamento un grave
arretramento (7). Inoltre, come ripetiamo per la millesima volta, sussiste
ancora l’odiosa separazione fra l’assistenza ai nati nel matrimonio (quasi
sempre affidata – per lo più discrezionalmente – ai Comuni) e ai nati
fuori di esso (prevalentemente spettante alle Province) (8).
Ne deriva che, fatto gravissimo, per poter ottenere un ricovero
assistenziale occorre richiamarsi agli
art. 154 e 155 del regio decreto 18 giugno 1931 n. 773, testo unico delle leggi
di pubblica sicurezza (9).
La montagna di cartapesta poteva essere vista e vinta l’anno scorso se il
Parlamento avesse voluto aggiungere qualche riga al disegno di legge n. 3238
(10) presentato dal Governo alla Camera dei deputati il 19 febbraio 1997,
precisando, ad esempio, che i contributi per le attività assistenziali
sarebbero stati erogati esclusivamente alle Regioni che avessero dato
attuazione (sono trascorsi più di 20 anni!) agli articoli da 22 a 26 del DPR 24
luglio 1977 n. 616 in cui, fra l’altro, è precisato che le Regioni stesse
dovevano determinare «con legge, sentiti
i Comuni interessati, gli ambiti territoriali adeguati alla gestione dei
servizi sociali e sanitari, promuovendo forme di cooperazione fra gli enti
locali territoriali e, se necessario, promuovendo ai sensi dell’ultimo comma
dell’art. 117 della Costituzione forme anche obbligatorie di associazione fra
gli stessi» e se avessero assunto i provvedimenti previsti dal terzo comma
della legge 184 del 1983 (l’inadempienza in questo caso sarebbe stata di soli
15 anni!) che sancisce quanto segue: «Le
Regioni determinano le condizioni e modalità di sostegno alle famiglie, persone
e comunità di tipo familiare che hanno minori in affidamento affinché tale
affidamento si possa fondare sulla disponibilità e l’idoneità all’accoglienza
indipendentemente dalle condizioni economiche».
Conclusioni
Non essendo ancora stati definiti in molte parti del nostro Paese quali
sono gli organi istituzionali preposti al settore dell’assistenza sociale e
mancando le determinazioni sopra specificate (aventi diritto, ecc.), la
montagna di cartapesta continua a bloccare gli interventi alternativi (in primo
luogo e non solo) per i 40 mila minori ancora ricoverati, con le note
gravissime conseguenze sul loro armonico sviluppo psico-fisico.
Adesso, con le proposte modifiche della legge sull’adozione e sull’affidamento,
non vorremmo che venissero approvate norme contrastanti con il prioritario
diritto alla migliore famiglia possibile dei minori in situazione di totale
carenza di cure materiali e morali da parte dei genitori e dei parenti.
A questo riguardo confidiamo che il Parlamento, con l’approvazione della
legge di ratifica della convenzione de L’Aja, non assesti all’adozione il primo
colpo demolitore, disconoscendone la sua essenziale funzione di vera
filiazione, di piena maternità e di autentica paternità (11).
(*) Il 15 luglio è iniziato presso la Commissione
speciale per l’infanzia del Senato l’esame dei seguenti disegni di legge: n.
130 bis, “Modifica della disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei
minori”, presentato il 9 maggio 1996 dai Sen. Manieri, Marini e Fiorillo; n.
160 bis “Nuona disciplina delle adozioni”, presentato il 9 maggio 1996 dal Sen.
Mazzuca Poggiolini e altri; n. 445 bis “Modifica della disciplina dell’adozione
e dell’affidamento dei minori; norme per la campagna informativa per la promozione
dell’affidamento dei minori”, presentato il 17 maggio 1996 dalle Sen. Bruno
Ganeri, Bucciarelli, Daniele Galdi e Sartori; n. 852 “Riforma dell’art. 6 della
legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione, con abolizione del limite
massimo di età fra adottanti e adottando e definizione normativa della
preferenza per l’indivisibilità dei fratelli adottandi”, presentato il 3 luglio
1996 dai Sen. Bucciero e Antonino Caruso; n. 1697 bis “Nuove disposizioni in
materia di adozioni”, presentato dalla Sen. Salvato e altri il 14 novembre
1996; n. 3128 “Modifica dell’art. 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184, in
materia di adozione dei minori”, presentato l’11 marzo 1998 dal Sen. Antonino
Caruso e altri; n. 3228 “Modifiche ed integrazione alla legge 4 maggio 1983, n.
184, in materia di adozione” presentato il 23 aprile 1998 dal Sen. Serena.
(1) Cfr. in questo numero il documento “L’adozione
di minori italiani e stranieri, le concezioni sulla filiazione, sulla maternità
e sulla paternità e le preoccupanti iniziative del Parlamento”.
(2) Dalla pubblicazione «L’applicazione della
legge 4.5.1983 n. 184 “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”
nel quinquennio 1993-1997”» edita dal Ministero di grazia e giustizia, Ufficio
centrale per la giustizia minorile, risulta che le domande relative alla
disponibilità all’adozione nazionale giacenti al 31 dicembre degli anni
sottoelecati sono state 14.524 nel 1993, 16.289 nel 1994, 17.512 nel 1995,
19.998 nel 1996 e 21.121 nel 1997, e cioè in totale 89.444.
A loro volta gli affidamenti preadottivi nazionali
pronunciati sono stati 710 nel 1993, 614 nel 1994, 864 nel 1995, 1.027 nel 1996
e 1.141 nel 1997 e quindi complessivamente 4.356.
In sostanza, le domande non accolte nel
quinquennio 1993-1997 per la mancanza di minori adottabili sono state oltre
85.000 e cioè 17 mila per ciascuno degli anni presi in considerazione.
Nello stesso quinquennio le domande di idoneità
accolte per l’adozione internazionale sono state 4.546 nel 1993, 4.707 nel
1994, 3.767 nel 1995, 3.976 nel 1996 e 4.356 nel 1997, e cioè in totale 21.352.
A questo dato occorre aggiungere le 9.857 domande che, alla data del 31
dicembre 1997, dovevano ancora essere esaminate dai Tribunali per i minorenni.
I provvedimenti assunti nel campo dell’adozione
internazionale, efficaci come affidamenti preadottivi sono stati: 1.992 nel
1993, 2.434 nel 1994, 2.503 nel 1995, 2.088 nel 1996 e 2.095 nel 1997 e quindi
11.112 complessivamente.
Pertanto sono ben 10.240 i decreti di idoneità
rilasciati dai Tribunali per i minorenni per l’adozione internazionale che nel
quinquennio 1993-97 non si sono conclusi con l’accoglimento di un minore. Ciò a
causa, soprattutto, della mancanza anche all’estero di un numero sufficiente di
fanciulli adottabili. Da notare che alla ricerca di bambini stranieri
adottabili non ci sono solo gli italiani, ma coppie di tutti i paesi
economicamente sviluppati. Con l’entrata in vigore della convenzione de L’Aja
sull’adozione internazionale verrà eliminato il “fai da te”. Pertanto, è
prevedibile che il rispetto delle norme vigenti nei paesi di provenienza dei
minori determini una riduzione del numero dei fanciulli stranieri che saranno
autorizzati ad espatriare a scopo di adozione. Inoltre il mercato dei bambini
inevitabilmente si orienterà verso i paesi che li accolgono senza aver
ratificato la convenzione.
(3) Nella seduta del 15 luglio 1998 della
Commissione speciale del Senato per l’infanzia, il relatore dei disegni di
legge sull’adozione, Sen. Callegaro, ha sostenuto che nel nostro paese ci troveremmo
di fronte alla «paradossale situazione
per cui da una parte si hanno migliaia di domande di adozione e dall’altra
migliaia di minori che permangono per anni negli istituti». Analoga
distorta posizione è stata assunta dalla Sen. Salvato la quale (v. la relazione
del suo disegno di legge n. 1697) dopo aver affermato che «i minori ricoverati in istituto sono ancora moltissimi (35.833!)
secondo un’indagine ISTAT di pochi anni fa», rileva che «il ricovero in istituto di molti bambini,
infatti, risulta particolarmente incomprensibile se si considera che per ogni
bambino adottabile vi sono, in media, 7-8 domande di adozione».
(4) Ovviamente una attività più penetrante dei
servizi di assistenza sociale consentirebbe di individuare più tempestivamente
tutti i minori dichiarabili in stato di adottabilità. Da una attività più
intensa dei Tribunali per i minorenni, dei giudici tutelari e dei servizi, il
numero dei minori adottabili potrebbe aumentare, ma, a nostro avviso, solo di
poche decine.
(5) Cfr. “Serve ancora la legge di riforma
dell’assistenza sociale?”, in Prospettive
assistenziali, n. 117, gennaio-marzo 1997 in cui sono anche analizzati i
disegni e le proposte di legge presentati al Parlamento. Si vedano inoltre gli
articoli “Valutazioni critiche al testo unificato per la legge quadro
sull’assistenza”, Ibidem, n. 120 e
l’editoriale dello scorso numero “Il Governo nega le esigenze e i diritti dei
cittadini più deboli: occorre salvare il salvabile a livello parlamentare e
aprire vertenze nei confronti delle Regioni e dei Comuni”.
(6) Si veda, in questo numero, “La relazione al
Parlamento sull’attuazione delle politiche per l’handicap relativa al 1997”.
(7) L’obbligatorietà delle spese assistenziali dei
Comuni (mantenimento degli inabili al lavoro: bambini, handicappati e anziani)
e delle Province (assistenza ai minori cosiddetti illegittimi ed ai fanciulli
abbandonati ed esposti all’abbandono, ai ciechi ed ai sordomuti) è stata
abrogata con il decreto legge 10 novembre 1978, n. 702, convertito nella legge
8 gennaio 1979, n. 3.
(8) La suddetta assurda separazione, annullata con
la legge 142/1990, è stata ristabilita dal Parlamento con la legge 18 marzo
1993, n. 67.
(9) Si veda, in questo numero, l’articolo “Come
abbiamo procurato un ricovero d’emergenza a un nostro congiunto colpito da
grave handicap intellettivo”.
(10) Ora legge 28 agosto 1997 n. 285 “Disposizioni
per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”.
Si tenga presente che l’art. 2 della legge suddetta stabilisce assurdamente che
le Regioni definiscono «ogni tre anni gli
ambiti territoriali di intervento». Ne deriva, fatto mai previsto da norme
riguardanti altri settori di intervento (sanità, casa, trasporti, ecc.),
l’assoluta provvisorietà degli organi di governo, dei servizi e della
collocazione istituzionale di tutto il personale addetto!
(11) Cfr. la nota 1.
www.fondazionepromozionesociale.it