Prospettive assistenziali, n. 123, luglio-settembre 1998

 

 

Editoriale

 

le vigenti norme sull’adozione sono molto valide, ma il parlamento vuole cambiarle (*)

 

 

A seguito delle leggi 431/1967 e 184/1983 sono stati adottati alla data del 31 dicembre 1997 ben 85.378 minori, di cui 60.689 italiani.

Una parte non trascurabile di questi fanciulli era colpita da handicap o da malattie anche gravi; altri erano grandicelli; praticamente tutti avevano subito i deleteri effetti della carenza di cure familiari e del ricovero in istituto, le cui manifestazioni più vistose sono la progressiva incapacità di stabilire positive relazioni con gli altri (genitori, adulti e coetanei) e l’asocialità. Lo Stato ha risparmiato, solo in rette, molte centinaia di miliardi (1).

Dunque: tutto bene. Sì per i bambini, ma non per alcuni Parlamentari. Per questi ultimi un primo e imperdonabile difetto della legge vigente concerne il riconoscimento della prevalenza dei diritti del bambino senza famiglia nei confronti delle aspettative degli adulti.

Guarda un po’, dicono certi benpensanti: un bamboccio di 3-4 chili che non ha nessuno che si occupi di lui, che non è nemmeno capace di nutrirsi da solo e che se la fa addosso, vuole imporci delle regole! Pretende, addirittura, una mamma e un papà ed esige anche che siano giovani. Rifiuta noi che abbiamo 50/60 anni, siamo ancora prestanti, possediamo un sacco di soldi ed una buona istruzione. Ci respinge nonostante il nostro bisogno di compagnia: sentiamo soprattutto la mancanza di un pargoletto da coccolare che, detto fra noi, domani sarà il bastone della nostra vecchiaia.

Ed ecco, allora, che alla Camera dei deputati e al Senato sono state presentate proposte di legge per aumentare la differenza massima di età fra gli adottanti e l’adottando dagli attuali 40 anni a 50. Vi è persino chi intende sopprimere questa norma allo scopo (ovviamente solidaristico!) di consen-tire anche agli ultrasessantenni di poter vincere la loro solitudine con un frugolino, magari di pochi mesi!

E siccome lo spirito di corpo fra i più forti non conosce limiti, in alcune proposte di legge si estende ai conviventi e alle persone singole la possibilità di adottare, anche se essi forniscono – com’è evidente – minori garanzie per i bambini rispetto alle coppie sposate.

Bisogna però tappare la bocca ai sovversivi difensori dei diritti dei più deboli che, dati alla mano, affermano che ci sono molte più richieste di adozione rispetto ai bambini adottabili e, quindi, che bisognerebbe ridurre da 40 ad almeno 35 anni la differenza di età fra adottanti e adottandi, in modo da far diminuire il numero delle coppie la cui domanda di adozione non viene accolta a causa della mancanza di minori ed il cui esame è, pertanto, una inutile perdita di tempo per i Tribunali per i minorenni e per i servizi assistenziali e sanitari (2).

 

Un clamoroso errore

Per poter tappare la bocca ai sopraricordati sovversivi e realizzare la restaurazione dei giusti poteri (gli adulti devono ricominciare a decidere in base alle loro esigenze ed i bambini devono subire ed essere riconoscenti), alcuni parlamentari sono incorsi in un clamoroso errore: viene infatti affermato che negli istituti vi sono circa 40 mila minori (il che è vero), lasciando però intendere che si tratterebbe di fanciulli adottabili (il che è completamente falso) (3).

È un errore colossale perché non si tratta di minori adottabili e cioè di fanciulli dichiarati o dichiarabili in stato di adottabilità dai Tribunali per i minorenni in quanto non sono totalmente privi di cure da parte dei loro genitori e dei parenti.

È sufficiente, per ristabilire la verità dei fatti, che i parlamentari e le altre persone interessate al problema assumano le dovute informazioni dai giudici minorili o dagli operatori dei servizi di assistenza sociale.

Verrebbero a sapere che la stragrande maggioranza dei 40 mila bambini e ragazzi ancora istituzionalizzati dovrebbero (sul piano etico-giuridico) e potrebbero (sotto il profilo operativo) rientrare a casa se ai loro genitori venissero forniti i necessari aiuti psico-sociali (che, in genere, allo Stato costano meno del ricovero!) o se fosse istituito il servizio di affidamento familiare a scopo educativo (è comprovato che anche questo intervento presenta vantaggi non solo umani e familiari, ma anche economici) (4).

 

Una montagna che non si vuol vedere

Perché possa essere rispettato il diritto di tutti i minori alla famiglia (propria, adottiva o affidataria a seconda delle situazioni) c’è, però, un ostacolo. È di cartapesta (e quindi facilmente rimuovibile), ma grosso come una montagna (e pertanto visibile salvo a chi vuole chiudere gli occhi): se ne parla da decenni, ma finora nulla di concreto è stato fatto.

Si tratta della necessità, sempre più urgente, di una legge quadro sull’assistenza. Non deve essere una normativa qualsiasi. Al riguardo sono estremamente deludenti le proposte presentate al Parlamento e la bozza approvata dal Governo (5). Occorrono, invece, disposizioni che obblighino i Comuni singoli o associati ad istituire i servizi indispensabili per le persone ed i nuclei familiari in gravi difficoltà.

In particolare, devono essere previsti diritti esigibili da parte dei cittadini e non solo, ancora una volta, mere possibilità di intervento, com’è avvenuto per l’inattuata e inattuabile legge quadro sull’handicap (6).

È comodo e facile per i parlamentari scrivere nelle proposte di legge che i nuclei familiari dei minori in difficoltà devono essere aiutati. Ma, com’è ovvio, perché i servizi siano istituiti è indispensabile individuare l’ente tenuto a predisporli, precisare chi sono i cittadini aventi diritto, indicare le attività che devono essere svolte, stabilire l’ammontare degli stanziamenti e il fabbisogno relativo al personale da adibire.

 

L’inascoltata denuncia del Presidente del Tribunale per i minorenni di Taranto

 

Circa la situazione della Puglia, purtroppo analoga a quella di altre Regioni, segnaliamo nuovamente che il Presidente del Tribunale per i minorenni di Taranto, nella lettera spedita il 7 febbraio 1997 al Ministro per la solidarietà sociale, Livia Turco, ha affermato che la Regione Puglia, per inerzia culturale e mancanza di volontà politica e di capacità organizzativa, non è riuscita ad emanare adeguate leggi di riordino dei servizi psicosociali e indirizzi programmatici nei diversi settori di competenza, cosicché i minori a rischio, per lo più appartenenti a fasce sociali più deboli ed esposte, spesso vengono allontanati senza ragione dalla famiglia e ricoverati in istituti tradizionali, attestati ancora sugli schemi e sulla cultura del contenimento, della spersonalizzazione, della chiusura e dell’emarginazione. «L’abitudine al ricovero in istituzioni totali – riferisce Mastro­giacomo – è talmente radicata in questa realtà che con molta fatica si riesce a stabilire stabili raccordi interistituzionali», mentre anche i servizi «operano complessivamente in un clima di totale separatezza e incomunicazione».

 

La montagna di cartapesta poteva essere vista e vinta non solo da decenni, ma anche nel 1997

 

Dall’entrata in vigore della Costituzione (1° gennaio 1948) ad oggi non solo non è mai stata data attuazione, nemmeno parziale, al 1° comma dell’art. 38 «Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale», ma è stato approvato dal Parlamento un grave arretramento (7). Inoltre, come ripetiamo per la millesima volta, sussiste ancora l’odiosa separazione fra l’assistenza ai nati nel matrimonio (quasi sempre affidata – per lo più discrezionalmente – ai Comuni) e ai nati fuori di esso (prevalentemente spettante alle Province) (8).

Ne deriva che, fatto gravissimo, per poter ottenere un ricovero assistenziale occorre richiamarsi  agli art. 154 e 155 del regio decreto 18 giugno 1931 n. 773, testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (9).

La montagna di cartapesta poteva essere vista e vinta l’anno scorso se il Parlamento avesse voluto aggiungere qualche riga al disegno di legge n. 3238 (10) presentato dal Governo alla Camera dei deputati il 19 febbraio 1997, precisando, ad esempio, che i contributi per le attività assistenziali sarebbero stati erogati esclusivamente alle Regioni che avessero dato attuazione (sono trascorsi più di 20 anni!) agli articoli da 22 a 26 del DPR 24 luglio 1977 n. 616 in cui, fra l’altro, è precisato che le Regioni stesse dovevano determinare «con legge, sentiti i Comuni interessati, gli ambiti territoriali adeguati alla gestione dei servizi sociali e sanitari, promuovendo forme di cooperazione fra gli enti locali territoriali e, se necessario, promuovendo ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 117 della Costituzione forme anche obbligatorie di associazione fra gli stessi» e se avessero assunto i provvedimenti previsti dal terzo comma della legge 184 del 1983 (l’inadempienza in questo caso sarebbe stata di soli 15 anni!) che sancisce quanto segue: «Le Regioni determinano le condizioni e modalità di sostegno alle famiglie, persone e comunità di tipo familiare che hanno minori in affidamento affinché tale affidamento si possa fondare sulla disponibilità e l’idoneità all’accoglienza indipendentemente dalle condizioni economiche».

 

Conclusioni

Non essendo ancora stati definiti in molte parti del nostro Paese quali sono gli organi istituzionali preposti al settore dell’assistenza sociale e mancando le determinazioni sopra specificate (aventi diritto, ecc.), la montagna di cartapesta continua a bloccare gli interventi alternativi (in primo luogo e non solo) per i 40 mila minori ancora ricoverati, con le note gravissime conseguenze sul loro armonico sviluppo psico-fisico.

Adesso, con le proposte modifiche della legge sull’adozione e sull’affidamento, non vorremmo che venissero approvate norme contrastanti con il prioritario diritto alla migliore famiglia possibile dei minori in situazione di totale carenza di cure materiali e morali da parte dei genitori e dei parenti.

A questo riguardo confidiamo che il Parlamento, con l’approvazione della legge di ratifica della convenzione de L’Aja, non assesti all’adozione il primo colpo demolitore, disconoscendone la sua essenziale funzione di vera filiazione, di piena maternità e di autentica paternità (11).

 

 

 

(*) Il 15 luglio è iniziato presso la Commissione speciale per l’infanzia del Senato l’esame dei seguenti disegni di legge: n. 130 bis, “Modifica della disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, presentato il 9 maggio 1996 dai Sen. Manieri, Marini e Fiorillo; n. 160 bis “Nuona disciplina delle adozioni”, presentato il 9 maggio 1996 dal Sen. Mazzuca Poggiolini e altri; n. 445 bis “Modifica della disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori; norme per la campagna informativa per la promozione dell’affidamento dei minori”, presentato il 17 maggio 1996 dalle Sen. Bruno Ganeri, Bucciarelli, Daniele Galdi e Sartori; n. 852 “Riforma dell’art. 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione, con abolizione del limite massimo di età fra adottanti e adottando e definizione normativa della preferenza per l’indivisibilità dei fratelli adottandi”, presentato il 3 luglio 1996 dai Sen. Bucciero e Antonino Caruso; n. 1697 bis “Nuove disposizioni in materia di adozioni”, presentato dalla Sen. Salvato e altri il 14 novembre 1996; n. 3128 “Modifica dell’art. 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione dei minori”, presentato l’11 marzo 1998 dal Sen. Antonino Caruso e altri; n. 3228 “Modifiche ed integrazione alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione” presentato il 23 aprile 1998 dal Sen. Serena.

(1) Cfr. in questo numero il documento “L’adozione di minori italiani e stranieri, le concezioni sulla filiazione, sulla maternità e sulla paternità e le preoccupanti iniziative del Parlamento”.

(2) Dalla pubblicazione «L’applicazione della legge 4.5.1983 n. 184 “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori” nel quinquennio 1993-1997”» edita dal Ministero di grazia e giustizia, Ufficio centrale per la giustizia minorile, risulta che le domande relative alla disponibilità all’adozione nazionale giacenti al 31 dicembre degli anni sottoelecati sono state 14.524 nel 1993, 16.289 nel 1994, 17.512 nel 1995, 19.998 nel 1996 e 21.121 nel 1997, e cioè in totale 89.444.

A loro volta gli affidamenti preadottivi nazionali pronunciati sono stati 710 nel 1993, 614 nel 1994, 864 nel 1995, 1.027 nel 1996 e 1.141 nel 1997 e quindi complessivamente 4.356.

In sostanza, le domande non accolte nel quinquennio 1993-1997 per la mancanza di minori adottabili sono state oltre 85.000 e cioè 17 mila per ciascuno degli anni presi in considerazione.

Nello stesso quinquennio le domande di idoneità accolte per l’adozione internazionale sono state 4.546 nel 1993, 4.707 nel 1994, 3.767 nel 1995, 3.976 nel 1996 e 4.356 nel 1997, e cioè in totale 21.352. A questo dato occorre aggiungere le 9.857 domande che, alla data del 31 dicembre 1997, dovevano ancora essere esaminate dai Tribunali per i minorenni.

I provvedimenti assunti nel campo dell’adozione internazionale, efficaci come affidamenti preadottivi sono stati: 1.992 nel 1993, 2.434 nel 1994, 2.503 nel 1995, 2.088 nel 1996 e 2.095 nel 1997 e quindi 11.112 complessivamente.

Pertanto sono ben 10.240 i decreti di idoneità rilasciati dai Tribunali per i minorenni per l’adozione internazionale che nel quinquennio 1993-97 non si sono conclusi con l’accoglimento di un minore. Ciò a causa, soprattutto, della mancanza anche all’estero di un numero sufficiente di fanciulli adottabili. Da notare che alla ricerca di bambini stranieri adottabili non ci sono solo gli italiani, ma coppie di tutti i paesi economicamente sviluppati. Con l’entrata in vigore della convenzione de L’Aja sull’adozione internazionale verrà eliminato il “fai da te”. Pertanto, è prevedibile che il rispetto delle norme vigenti nei paesi di provenienza dei minori determini una riduzione del numero dei fanciulli stranieri che saranno autorizzati ad espatriare a scopo di adozione. Inoltre il mercato dei bambini inevitabilmente si orienterà verso i paesi che li accolgono senza aver ratificato la convenzione.

(3) Nella seduta del 15 luglio 1998 della Commissione speciale del Senato per l’infanzia, il relatore dei disegni di legge sull’adozione, Sen. Callegaro, ha sostenuto che nel nostro paese ci troveremmo di fronte alla «paradossale situazione per cui da una parte si hanno migliaia di domande di adozione e dall’altra migliaia di minori che permangono per anni negli istituti». Analoga distorta posizione è stata assunta dalla Sen. Salvato la quale (v. la relazione del suo disegno di legge n. 1697) dopo aver affermato che «i minori ricoverati in istituto sono ancora moltissimi (35.833!) secondo un’indagine ISTAT di pochi anni fa», rileva che «il ricovero in istituto di molti bambini, infatti, risulta particolarmente incomprensibile se si considera che per ogni bambino adottabile vi sono, in media, 7-8 domande di adozione».

(4) Ovviamente una attività più penetrante dei servizi di assistenza sociale consentirebbe di individuare più tempestivamente tutti i minori dichiarabili in stato di adottabilità. Da una attività più intensa dei Tribunali per i minorenni, dei giudici tutelari e dei servizi, il numero dei minori adottabili potrebbe aumentare, ma, a nostro avviso, solo di poche decine.

(5) Cfr. “Serve ancora la legge di riforma dell’assistenza sociale?”, in Prospettive assistenziali, n. 117, gennaio-marzo 1997 in cui sono anche analizzati i disegni e le proposte di legge presentati al Parlamento. Si vedano inoltre gli articoli “Valutazioni critiche al testo unificato per la legge quadro sull’assistenza”, Ibidem, n. 120 e l’editoriale dello scorso numero “Il Governo nega le esigenze e i diritti dei cittadini più deboli: occorre salvare il salvabile a livello parlamentare e aprire vertenze nei confronti delle Regioni e dei Comuni”.

(6) Si veda, in questo numero, “La relazione al Parlamento sull’attuazione delle politiche per l’handicap relativa al 1997”.

(7) L’obbligatorietà delle spese assistenziali dei Comuni (mantenimento degli inabili al lavoro: bambini, handicappati e anziani) e delle Province (assistenza ai minori cosiddetti illegittimi ed ai fanciulli abbandonati ed esposti all’abbandono, ai ciechi ed ai sordomuti) è stata abrogata con il decreto legge 10 novembre 1978, n. 702, convertito nella legge 8 gennaio 1979, n. 3.

(8) La suddetta assurda separazione, annullata con la legge 142/1990, è stata ristabilita dal Parlamento con la legge 18 marzo 1993, n. 67.

(9) Si veda, in questo numero, l’articolo “Come abbiamo procurato un ricovero d’emergenza a un nostro congiunto colpito da grave handicap intellettivo”.

(10) Ora legge 28 agosto 1997 n. 285 “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”. Si tenga presente che l’art. 2 della legge suddetta stabilisce assurdamente che le Regioni definiscono «ogni tre anni gli ambiti territoriali di intervento». Ne deriva, fatto mai previsto da norme riguardanti altri settori di intervento (sanità, casa, trasporti, ecc.), l’assoluta provvisorietà degli organi di governo, dei servizi e della collocazione istituzionale di tutto il personale addetto!

(11) Cfr. la nota 1.

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it