Prospettive assistenziali, n. 123, luglio-settembre 1998

 

 

lo stress di chi assiste un familiare malato di alzheimer

MARILENA BOSCARINO

 

Il familiare che accudisce un malato di Alzheimer è sottoposto ad un carico pratico ed emotivo talmente pesante da venire comunemente descritto come la seconda vittima della malattia stessa.

Se il familiare è aiutato adeguatamente, accetta il sacrificio e le privazioni che comporta un’assistenza continuativa.

Nel 1997 il servizio di ospedalizzazione a domicilio dell’ospedale Molinette di Torino (1) ha seguito 380 pazienti di cui 61 affetti da demenza senile.

Va qui ricordato che l’ospedalizzazione a domicilio è un intervento alternativo al ricovero ospedaliero tradizionale; i pazienti che vengono seguiti sono quindi persone che hanno necessità di cure mediche ed infermieristiche complesse e specifiche; se non esistesse questo servizio, dovrebbero comunque essere ricoverate.

Dei 61 pazienti affetti da demenza, l’85,25% sono stati segnalati al servizio dal medico di base, il 14,75% è stato trasferito al domicilio dai reparti ospedalieri per continuare le cure a casa.

Il servizio di ospedalizzazione a domicilio è l’unico del genere a Torino e non può di conseguenza dare una risposta a tutti i bisogni dei cittadini che vorrebbero essere curati a casa.

Nella pluriennale esperienza come operatori del servizio abbiamo constatato che non è vero che l’anziano viene emarginato dalla famiglia, non è vero che si cerca di collocarlo in ricoveri per lungodegenti: se la famiglia è aiutata l’anziano può stare a casa; tutti i pazienti dementi che abbiamo seguito a casa durante il periodo di ospedalizzazione a domicilio non hanno avuto necessità di essere ricoverati in strutture di degenza tradizionali e tutti erano in una situazione di non autosufficienza.

Abbiamo voluto quantificare in termini di tempo le seguenti prestazioni effettuate a casa del paziente, sovrapponibili, tra l’altro, a quelle che si effettuano nei reparti ospedalieri:

- sorveglianza clinica;

- igiene;

- mobilizzazione;

- alimentazione;

- medicazioni;

- terapia infusionale;

- terapia intramuscolare;

- esami ematochimici;

- esami colturali;

- rettoclisi;

- cateterismo vescicale;

- sondaggi;

- accertamenti strumentali;

- ossigenoterapia;

- punture evacuative.

Come si nota sono prestazioni tecniche per la cui esecuzione è facilmente attribuibile un numero medio di minuti.

Abbiamo evidenziato quanto segue:

  tempo medio di assistenza

    per accesso                                 minuti     28,50”

  tempo medio per percorso             minuti     12,34”

                                            Totale minuti     41,24”

  tempo medio di assistenza

    per accesso a pazienti affetti

    da demenza                                 minuti     36,58”

    tempo medio per percorso             minuti     12,54”

                                            Totale minuti     49,12”

 

Il tempo dedicato in più per le prestazioni tecniche ai malati affetti da demenza è dovuto soprattutto alla presenza di ulcere da decubito da medicare e alla necessità di mobilizzare frequentemente il paziente.

Non abbiamo invece voluto di proposito quantificare il tempo dedicato ai familiari e al caregiver (e cioè alla persona – in genere un congiunto – che assume il ruolo di tramite fra il paziente ed i curanti) in particolare perché difficilmente si ha un tempo standard per tutte le informazioni, i consigli, il supporto psicologico che vengono dati quotidianamente: ogni familiare ha le sue particolarità, con capacità, sentimenti e risorse diverse; ogni giorno della malattia può essere diverso; le necessità del paziente e del familiare stesso possono cambiare.

Ecco sintetizzate quelle che chiamiamo comunemente strategie assistenziali:

identificazione del familiare caregiver: persona che ha un ruolo importantissimo; dal suo equilibrio psico-fisico e affettivo dipendono la sorte del malato e le scelte che si compiono al riguardo;

informazioni sull’evoluzione e prognosi della malattia: è importante che i familiari abbiano un’esatta conoscenza circa l’evoluzione della malattia per evitare che si creino false aspettative;

supporto psicologico alla famiglia: lo stress, la fatica, il dolore conducono i familiari, se lasciati soli, ad una situazione senza via d’uscita;

consigli pratici su come aiutare il paziente nelle varie fasi della malattia: occorre ricordare sempre che il paziente demente non è un bambino; bisogna quindi potenziare e stimolare finché è possibile le risorse del paziente, cercare attività con possibilità di successo, quando è necessario, utilizzare forme di comunicazione non verbali;

insegnamento di semplici pratiche assistenziali: alcuni atti assistenziali se effettuati correttamente rendono più facili i compiti dei familiari;

indicazioni per l’adattamento della casa: semplici accorgimenti rendono più sicura la deambulazione del paziente; alcuni piccoli cambiamenti danno maggiore sicurezza;

aiuto nella richiesta di servizi sociali e di presidi sanitari: assistenti domiciliari, invalidità, assegno di accompagnamento, i vari presidi per l’incontinenza, per la mobilizzazione, il letto ortopedico, materassi e cuscini antidecubito, i pasti caldi al domicilio, ecc.;

ricorso a volontari: alcune persone aggregate al servizio di ospedalizzazione a domicilio offrono alcune ore alla settimana come supporto ai familiari;

interventi a favore dei familiari: ospedalizzazione a domicilio anche per i familiari dei pazienti dementi quando si presentano problemi importanti di salute per loro.

Durante le visite a casa, il medico e l’infermiere professionale del servizio valutano i bisogni del paziente e i problemi del paziente stesso e dei familiari a cui dare una risposta.

Ci si avvale per la raccolta dati di schede infermieristiche e della cartella clinica geriatrica (che viene lasciata a casa) che ci consentono di valutare globalmente il paziente e in alcune schede specifiche di valutare il grado di stress dei familiari che assistono.

Abbiamo voluto prendere in considerazione per due pazienti da noi seguiti il grado di stress a cui sono stati sottoposti i familiari che li hanno assistiti: identica la patologia di base, identico l’andamento clinico, soprattutto nell’ultimo periodo, diverse invece le risorse e di conseguenza il livello di stress.

Nel primo caso da noi considerato la paziente era seguita da personale privato durante il giorno, mentre le due figlie si alternavano la sera, durante i week-end e durante le vacanze: è risultato dai test effettuati un lieve-moderato stato di stress; nel secondo caso il paziente, ancora giovane, era assistito dalla moglie, molto disponibile, ma sola, aiutata soltanto per qualche ora la settimana da personale privato e da un nostro volontario. Sottoposta al test sullo stress è risultato presente un grado elevato dello stesso.

Ambedue le vittime della malattia di Alzheimer hanno bisogno di aiuto; mentre per il malato questo risulta evidente, per il familiare può essere difficile manifestare questo bisogno.

Spesso la situazione del malato e dei familiari è di abbandono e isolamento e il gran numero di necessità deve indurre i familiari non a cercare in proprio soluzioni di emergenza, ma a porre con forza e coraggio le domande relative ai loro bisogni.

 

 

 

(1)        Cfr. Fabrizio Fabris e Luigi Pernigotti, Cinque anni di ospedalizzazione a domicilio - Curare a casa malati acuti e cronici: come e perché, Rosenberg & Sellier, Torino, seconda edizione aggiornata 1990, pag. 179, L. 25.000. Si veda, inoltre, Nicoletta Aimonino Ricauda, L’ospedalizzazione a domicilio di Torino compie dieci anni, “Prospettive assistenziali”, n. 111, luglio-settembre 1995.

 

 

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