lo stress di chi assiste un familiare malato di
alzheimer
MARILENA BOSCARINO
Il familiare che accudisce un
malato di Alzheimer è sottoposto ad un carico pratico ed emotivo talmente
pesante da venire comunemente descritto come la seconda vittima della malattia
stessa.
Se il familiare è aiutato
adeguatamente, accetta il sacrificio e le privazioni che comporta un’assistenza
continuativa.
Nel 1997 il servizio di
ospedalizzazione a domicilio dell’ospedale Molinette di Torino (1) ha seguito
380 pazienti di cui 61 affetti da demenza senile.
Va qui ricordato che
l’ospedalizzazione a domicilio è un intervento alternativo al ricovero
ospedaliero tradizionale; i pazienti che vengono seguiti sono quindi persone
che hanno necessità di cure mediche ed infermieristiche complesse e specifiche;
se non esistesse questo servizio, dovrebbero comunque essere ricoverate.
Dei 61 pazienti affetti da
demenza, l’85,25% sono stati segnalati al servizio dal medico di base, il
14,75% è stato trasferito al domicilio dai reparti ospedalieri per continuare
le cure a casa.
Il servizio di ospedalizzazione a
domicilio è l’unico del genere a Torino e non può di conseguenza dare una
risposta a tutti i bisogni dei cittadini che vorrebbero essere curati a casa.
Nella pluriennale esperienza come
operatori del servizio abbiamo constatato che non è vero che l’anziano viene
emarginato dalla famiglia, non è vero che si cerca di collocarlo in ricoveri
per lungodegenti: se la famiglia è aiutata l’anziano può stare a casa; tutti i
pazienti dementi che abbiamo seguito a casa durante il periodo di
ospedalizzazione a domicilio non hanno avuto necessità di essere ricoverati in
strutture di degenza tradizionali e tutti erano in una situazione di non
autosufficienza.
Abbiamo voluto quantificare in
termini di tempo le seguenti prestazioni effettuate a casa del paziente,
sovrapponibili, tra l’altro, a quelle che si effettuano nei reparti
ospedalieri:
- sorveglianza clinica;
- igiene;
- mobilizzazione;
- alimentazione;
- medicazioni;
- terapia infusionale;
- terapia intramuscolare;
- esami ematochimici;
- esami colturali;
- rettoclisi;
- cateterismo vescicale;
- sondaggi;
- accertamenti strumentali;
- ossigenoterapia;
- punture evacuative.
Come si nota sono prestazioni
tecniche per la cui esecuzione è facilmente attribuibile un numero medio di
minuti.
Abbiamo evidenziato quanto segue:
– tempo
medio di assistenza
per
accesso minuti 28,50”
– tempo
medio per percorso minuti 12,34”
Totale
minuti 41,24”
– tempo
medio di assistenza
per
accesso a pazienti affetti
da
demenza minuti 36,58”
tempo
medio per percorso minuti 12,54”
Totale
minuti 49,12”
Il tempo dedicato in più per le
prestazioni tecniche ai malati affetti da demenza è dovuto soprattutto alla
presenza di ulcere da decubito da medicare e alla necessità di mobilizzare
frequentemente il paziente.
Non abbiamo invece voluto di
proposito quantificare il tempo dedicato ai familiari e al caregiver (e cioè alla persona – in genere un congiunto – che
assume il ruolo di tramite fra il paziente ed i curanti) in particolare perché
difficilmente si ha un tempo standard
per tutte le informazioni, i consigli, il supporto psicologico che vengono dati
quotidianamente: ogni familiare ha le sue particolarità, con capacità,
sentimenti e risorse diverse; ogni giorno della malattia può essere diverso; le
necessità del paziente e del familiare stesso possono cambiare.
Ecco sintetizzate quelle che
chiamiamo comunemente strategie assistenziali:
– identificazione del familiare caregiver:
persona che ha un ruolo importantissimo; dal suo equilibrio psico-fisico e
affettivo dipendono la sorte del malato e le scelte che si compiono al
riguardo;
– informazioni sull’evoluzione e prognosi della malattia: è
importante che i familiari abbiano un’esatta conoscenza circa l’evoluzione
della malattia per evitare che si creino false aspettative;
– supporto psicologico alla famiglia: lo stress, la fatica, il dolore conducono i familiari, se lasciati
soli, ad una situazione senza via d’uscita;
– consigli pratici su come aiutare il paziente nelle varie fasi della
malattia: occorre ricordare sempre che il paziente demente non è un
bambino; bisogna quindi potenziare e stimolare finché è possibile le risorse
del paziente, cercare attività con possibilità di successo, quando è
necessario, utilizzare forme di comunicazione non verbali;
– insegnamento di semplici pratiche assistenziali: alcuni atti
assistenziali se effettuati correttamente rendono più facili i compiti dei
familiari;
– indicazioni per l’adattamento della casa: semplici accorgimenti
rendono più sicura la deambulazione del paziente; alcuni piccoli cambiamenti
danno maggiore sicurezza;
– aiuto nella richiesta di servizi sociali e di presidi sanitari:
assistenti domiciliari, invalidità, assegno di accompagnamento, i vari presidi
per l’incontinenza, per la mobilizzazione, il letto ortopedico, materassi e
cuscini antidecubito, i pasti caldi al domicilio, ecc.;
– ricorso a volontari: alcune persone aggregate al servizio di
ospedalizzazione a domicilio offrono alcune ore alla settimana come supporto ai
familiari;
– interventi a favore dei familiari: ospedalizzazione a domicilio
anche per i familiari dei pazienti dementi quando si presentano problemi
importanti di salute per loro.
Durante le visite a casa, il
medico e l’infermiere professionale del servizio valutano i bisogni del
paziente e i problemi del paziente stesso e dei familiari a cui dare una
risposta.
Ci si avvale per la raccolta dati
di schede infermieristiche e della cartella clinica geriatrica (che viene
lasciata a casa) che ci consentono di valutare globalmente il paziente e in
alcune schede specifiche di valutare il grado di stress dei familiari che assistono.
Abbiamo voluto prendere in
considerazione per due pazienti da noi seguiti il grado di stress a cui sono stati sottoposti i familiari che li hanno
assistiti: identica la patologia di base, identico l’andamento clinico,
soprattutto nell’ultimo periodo, diverse invece le risorse e di conseguenza il
livello di stress.
Nel primo caso da noi considerato
la paziente era seguita da personale privato durante il giorno, mentre le due
figlie si alternavano la sera, durante i week-end
e durante le vacanze: è risultato dai test
effettuati un lieve-moderato stato di stress;
nel secondo caso il paziente, ancora giovane, era assistito dalla moglie, molto
disponibile, ma sola, aiutata soltanto per qualche ora la settimana da
personale privato e da un nostro volontario. Sottoposta al test sullo stress è risultato presente un grado
elevato dello stesso.
Ambedue le vittime della malattia
di Alzheimer hanno bisogno di aiuto; mentre per il malato questo risulta
evidente, per il familiare può essere difficile manifestare questo bisogno.
Spesso la situazione del malato e
dei familiari è di abbandono e isolamento e il gran numero di necessità deve
indurre i familiari non a cercare in proprio soluzioni di emergenza, ma a porre
con forza e coraggio le domande relative ai loro bisogni.
(1)
Cfr. Fabrizio Fabris e
Luigi Pernigotti, Cinque anni di
ospedalizzazione a domicilio - Curare a casa malati acuti e cronici: come e perché,
Rosenberg & Sellier, Torino, seconda edizione aggiornata 1990, pag.
179, L. 25.000. Si veda, inoltre, Nicoletta Aimonino Ricauda, L’ospedalizzazione a domicilio di Torino
compie dieci anni, “Prospettive assistenziali”, n. 111, luglio-settembre
1995.
www.fondazionepromozionesociale.it