Prospettive assistenziali, n. 123, luglio-settembre 1998

 

 

Notiziario dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie

 

 

 

LA REALE PECULIARITÀ DELLA FILIAZIONE, DELLA MATERNITÀ E DELLA PATERNITÀ

 

Riportiamo il testo della nota inviata in data 28 agosto 1998 dal CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti ai Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati, ai Ministri Rosy Bindi e Livia Turco, nonché ai Parlamentari interessati ai proble­mi dell'infanzia.

 

Con le norme introdotte dalla Camera dei Deputati in merito all'art. 37 del disegno di legge di ratifica della Convenzione de L'Aja, è stata aperta la stra­da ad una preoccupante concezione generale (e quindi riguardante solo in parte l'adozione) della filiazione, della maternità e della paternità.

Mentre, come è ovvio, non vi sono problemi (per i bambini) quando i due genitori si curano adeguata­mente dei loro nati, la questione diventa estrema­mente complessa nei casi in cui (fecondazione ete­rologa, utero in affitto, utero di vetro, ecc.) i due genitori (o uno di essi) non provvedono alla loro prole, situazione questa del tutto analoga a quella relativa all'adozione.

A questo riguardo, si chiede che i Senatori e i Deputati valutino con la massima attenzione se, nelle ipotesi sopra formulate, debba essere il DNA a determinare lo stato di figlio e di genitore.

A nostro avviso sarebbe sconvolgente se vero padre fosse riconosciuto dalla legge il venditore di sperma, utilizzato magari dopo decenni dalla sua morte.

A sua volta sarebbe inquietante che la vera madre venisse considerata colei che, ceduto l'embrione ad un utero affittato o magari artificiale, non ha nem­meno voluto vedere il bambino da lei concepito.

Le manipolazioni possono essere moltissime. È anche possibile essere figlio e nipote nello stesso tempo: è sufficiente che lo stesso sperma sia utiliz­zato da una donna e dalla sua figlia biologica.

È giusto riconoscere a coloro che hanno utilizzato queste manipolazioni il ruolo di vere madri e di veri padri quando non si sono mai occupati della loro prole?

È corretto incentivare i venditori di sperma e valo­rizzare la loro onnipotenza riconoscendo loro, anche se deceduti anni prima della nascita del bambino, il ruolo di veri padri?

Mentre è giusto vietare le manipolazioni contrarie alla dignità della persona umana, occorre anche prendere in considerazione le esigenze dei bambini nati nonostante i divieti legali.

Si dovrà segnalare a questi bambini, da piccoli o quando saranno adulti, l'identità del loro "vero" padre e della loro "vera" madre? Quali sono le radi­ci di questi fanciulli?

 

La reale caratterizzazione della filiazione, della maternità e della paternità

 

Riteniamo del tutto aderente alla realtà dei fatti oggettivi il riconoscimento che la filiazione di tutte le persone si fonda, prioritariamente e soprattutto, non sul possesso di certe caratteristiche fisiche derivanti dall'ereditarietà, ma sui comportamenti e sui valori umani e sociali acquisiti a seguito dei rap­porti affettivi ed educativi instaurati, in particolare nella prima infanzia, con le persone che li hanno amati, nutriti, protetti e formati.

Ne dovrebbe conseguire che le vere radici di noi tutti non risiedono nel DNA di coloro che ci hanno generato, ma nelle persone (quasi sempre coinci­denti con quelle che ci hanno dato e conservato la vita biologica) che hanno costruito la nostra vita psichica e sociale.

Non è forse questa la strada da percorrere per riconoscere e valorizzare l'impegno dei genitori e per fornire ad essi e alla loro prole (biologica o adottiva) tutti i necessari supporti sociali?

Puntare sulla concezione della maternità e della paternità fondate prioritariamente e soprattutto sul DNA e dedurre che per tutti noi le radici della nostra personalità risiedono nei nostri procreatori anche quando c'è stata una totale mancanza di impegni da parte loro, significa, al di là delle inten­zioni, aprirle la strada al disinteresse dei genitori, alla loro deresponsabilizzazione, perché comun­que essi resterebbero sempre i genitori veri e sarebbero le radici a cui i loro nati dovrebbero sem­pre riferirsi.

Inoltre, non occorre confermare in questo momento di crisi dei valori umani e sociali, che quando non vengono assolti i doveri cessano del tutto i diritti?

Ciò premesso, ci permettiamo di chiedere ai Parlamentari di riesaminare l'art. 37 del disegno di legge di ratifica della Convenzione de L'Aja e di considerare l'opportunità di rinviare la questione della conoscenza dei genitori d'origine da parte dei figli e dei genitori adottivi ad una valutazione più approfondita, ed estesa anche al di fuori del Parlamento, della concezione generale della filia­zione, della maternità e della paternità, concezione generale che, a nostro avviso, dovrebbe anche essere la base per apportare valide modifiche alla legge 184/1983.

 

 

 

LE VERE RADICI DEI FIGLI ADOTTIVI: L'ESPERIENZA DELL'ASSOCIAZIONE "BAMBINO CHIAMA AIUTO"

 

Riportiamo integralmente la nota inviata in data 24 luglio 1998 dagli esperti dell'A.Ba.C.A. (Associa­zione Bambino chiama aiuto, Viale Verona 102, Vicenza), all'On. Livia Turco, Ministro per la solida­rietà sociale e ai Presidenti delle Commissioni Affari esteri e Giustizia del Senato, Sen. Giangiacomo Migone e Sen. Ortensio Zecchino.

 

«l sottoscritti professionisti soci dell'Associazione Bambino Chiama Aiuto di Vicenza esprimono il più profondo dissenso riguardo il testo dell'art. 37 del disegno di legge governativo di ratifica della Convenzione de I'Aja così com'è stato approvato dalla Camera dei Deputati, che prevede la possibi­lità per il ragazzo adottato di accedere ai dati per l'i­dentificazione dei genitori biologici.

«La posizione sottesa alla formulazione dell'art. 37, esprime una grave e preoccupante involuzione culturale da parte del legislatore e conferma che sta tornando a diffondersi quella vecchia cultura dell'in­fanzia che con la legge sull'adozione del 1967 si è cercato di contrastare in tutti questi anni col soste­gno di leggi innovative come la 184/83, la conven­zione ONU del 1989 ecc. e con innumerevoli Dichiarazioni e Risoluzioni Internazionali.

«Con le norme previste nell'articolo in questione tornano ad imperare col sostegno della legge dello Stato le erronee ed integralistiche interpretazioni dell'importanza determinante del legame di sangue. Se tale legame è base atta a predisporre l'instaurar­si di legami affettivi, la sola base biologica, inter­pretata come principio unico e assoluto della rela­zione genitori/figli, ha portato alla concezione aber­rante del bambino-oggetto dei genitori biologici, comunque essi esprimano la loro genitorialità. Proprio tale concezione è alla base del maltratta­mento infantile e delle carenze enormi esistenti nel sistema pubblico italiano inerente la tutela dei bam­bini e dei ragazzi.

«Da questa concezione retriva non può che deri­vare l'affermazione del riconoscimento di un pre­sunto diritto del ragazzo adottato, una volta "alleva­to", di conoscere coloro che rimarrebbero comun­que, in contrasto con quanto prevede la legge 184, i suoi "veri" genitori, le sue "radici".

«Si tratterebbe del riconoscimento del diritto alle proprie "radici". Ma di quali radici si parla?

«Se è vero che le radici sono quei legami positivi con i vari contesti di appartenenza che permettono ad un essere di crescere, di diventare grande, di diventare autonomo, allora le radici del bambino adottato si trovano nella famiglia che lo ha accolto, amato, curato, cioè nella famiglia adottiva, famiglia legittima, unica famiglia del minore, sostitutiva defi­nitivamente di una famiglia biologica incapace.

«II bambino adottato è stato dichiarato adottabile da un tribunale specializzato a seguito di indagini e accertamenti di vario tipo che hanno coinvolto vari operatori pubblici e privati, di diversa professiona­lità, e che hanno rilevato l'esistenza di abbandono, di grave trascuratezza, di maltrattamenti gravissimi (fisici e psicologici), di abusi sessuali, di devastanti strumentalizzazioni. Quasi sempre l'adozione dei bambino arriva dopo che la situazione di grave pre­giudizio ha già compromesso in modo più o meno grave e irreversibile lo sviluppo fisio-psichico del minore dal momento che purtroppo i tempi degli operatori e dei tribunali (diagnosi, accertamenti, interventi di sostegno per "provare", tempi per l'e­missione di decreti, per le varie opposizioni nei vari gradi di giudizio ecc.) non sono a misura del bambi­no e dei suoi impellenti bisogni da soddisfare, ma a misura di presunti diritti degli adulti. La famiglia adot­tiva è ormai chiamata sempre più spesso ad essere famiglia non solo educativa, ma anche terapeutica per un bambino già grandicello con gravi ferite da far cicatrizzare.

«Le radici sarebbero allora, per il legislatore, costi­tuite dai traumi subiti nel passato ad opera di geni­tori incapaci o irresponsabili o abbandonanti? ~ un ritorno concreto, reale, a luoghi e persone che lo hanno danneggiato che si vuole salvaguardare? Sono queste le "radici" che il legislatore ha intenzio­ne di riconoscere al ragazzo come diritto?

«I professionisti dell'A.Ba.C.A. hanno lavorato per molti anni, alcuni per decenni, sia nel Pubblico che nel Privato, nel campo della tutela dei minori, hanno effettuato innumerevoli consulenze tecniche d'ufficio per il Tribunale per i minorenni, accertamenti di mal­trattamento e abuso sessuale per conto del Tribunale ordinario, hanno seguito centinaia di situazioni all'interno di servizi specifici per l'affido familiare e contro il maltrattamento sostenendo e accompagnando molti di questi minori nel travaglio delle loro vicende giudiziarie nell'attesa di una defi­nizione adottiva. L'unico modo efficace per aiutare i ragazzi adottati a superare le esperienze dolorose subite nell'infanzia è quello di creare una rete di ser­vizi psico-sociali nel territorio preparati e in grado di sostenere le situazioni adottive per tutto il tempo necessario, soprattutto nei momenti critici come quello dell'adolescenza affinché il ragazzo, adegua­tamente accompagnato psicologicamente, riesca a elaborare i traumi del passato e a non cercare solu­zione alle sue inquietudini e alle sue crisi rifugiando­si in illusorie quanto devastanti idealizzazioni di una famiglia biologica da ritrovare.

«L'art. 37 sembra voler ignorare un'altra realtà: la realtà sociologica del 2000 che non è più quella degli anni passati dove al massimo si poteva dire che "mater semper certa est, pater nunquam".

«Già nella società attuale e sempre più nella pros­sima futura, diventa progressivamente più difficile individuare l'origine genetica degli individui, indivi­duare con certezza i genitori biologici.

«La fecondazione in vitro con semi e ovuli quasi sempre di donatori ignoti, gli esperimenti di inge­gneria genetica, pur nelle loro esasperazioni che

devono passare al vaglio della bioetica, indicano che il contesto delle relazioni umane è il solo ambi­to certo e ineludibile del destino esistenziale.

«La famiglia infatti è ormai sempre più "luogo degli affetti", è famiglia "relazionale" dove le relazioni si costruiscono per scelta. Nelle famiglie moderne si intrecciano relazioni di parentela naturale e acquisita le più diverse e complesse (per es. nelle famiglie ricostituite dove il bambino mantiene legami ricono­sciuti come validi e strutturanti la sua identità con entrambi i genitori e con le loro nuove famiglie) men­tre, grazie alle varie tecniche di procreazione, ci sono diversi modi per diventare genitori (ovuli di un'altra donna impiantati nell'utero, sperma "donato", ecc.).

«Tanto più, alla luce di questi dati di fatto, appare preconcetta, anacronistica, superata la posizione culturale espressa con l'art. 37. Per coerenza, si con­sentirà al figlio generato da una coppia con seme donato da persona la cui identità è attualmente coperta dal segreto di conoscere il suo "vero" padre?

«Se è vero, come è vero, che la cultura produce le leggi (e l'attuale involuzione culturale tende a pro­durre leggi che rinforzino il legame di sangue), ma anche che le leggi producono cultura, riteniamo che sia doveroso per il legislatore formulare leggi pro­gressiste, moderne, civili, per stimolare un'evoluzio­ne del costume, per favorire il rigetto di vecchi pre­giudizi e tabù ancestrali, per porre le basi per una cultura dell'infanzia che realmente e non solo a parole, come è ancora l'attuale situazione in Italia, rispetti i diritti dell'infanzia e ponga al primo posto i loro bisogni».

Gabriella Cappellaro, psicologo; Liliana Carollo, assistente sociale; Silvia Carraro, psicologo; Ni­coletta Zamperlin, psicologo; Antonio Corato, psi­cologo psicoterapeuta; Silvia Radaelli, psicologo

 

 

 

LE VIOLENZE SUI MINORI RICOVERATI IN ISTITUTI E COMUNITÀ (1)

 

I dati della ricerca del CENSIS su "Sfruttamento sessuale e minori: nuove linee di tutela" destano orrore fra le famiglie aderenti all'associazione, da oltre trent'anni impegnata nella salvaguardia dei diritti dei minori.

È urgente una svolta sul problema dell'infanzia violata ed è necessario prevenire abusi e violenze anche sessuali nei confronti dei bambini non solo all'interno delle famiglie ma anche negli istituti e nelle altre strutture educativo-assistenziali di acco­glienza, strutture in cui vivono attualmente almeno 40.000 minori, di cui non si occupano quasi mai i mezzi di informazione e dove possono svilupparsi tendenze morbose e abusi sessuali sui bambini rico­verati da parte di ragazzi più grandi e di operatori che vi lavorano. È necessario spezzare la catena che fa sì che bambini abusati diventino adulti abu­santi.

Non ci risulta che il personale assunto negli istitu­ti e nelle comunità venga preventivamente sottopo­sto a una valutazione psicologica che escluda la presenza di gravi disturbi della personalità. Sovente l'unico criterio di selezione sembra essere addirittu­ra quello della retribuzione: chi si accontenta dello stipendio più basso viene assunto.

II Ministro per la Solidarietà sociale si è posto l'o­biettivo del superamento del ricovero in istituto attra­verso un potenziamento degli interventi di sostegno nei confronti delle famiglie in difficoltà e il rilancio dell'affidamento e la creazione di piccole comunità.

Noi pensiamo che in attesa di questo giorno si dovrebbero, nell'immediato possibile, introdurre norme rigorose per la selezione di tutti gli operatori che mettano al sicuro i bambini da sconvolgenti esperienze. Ciò dovrà ovviamente avvenire nel pieno rispetto dei diritti di riservatezza degli adulti ed evitando odiose schedature. L'interesse dei sogget­ti deboli deve comunque prevalere su tutti gli altri, pur meritevoli di tutela.

 

 

(1) Testo del comunicato stampa emesso il 17 luglio 1998 dalla presidente nazionale dell'ANFAA Donata Nova Micucci.

 

 

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