SENTENZA
SUL DIRITTO DEGLI ALUNNI CON HANDICAP AL TRASPORTO SCOLASTICO GRATUITO
Il Giudice di Pace, Avv. Catello
Terminiello, ha pronunciato in data 17 ottobre 1996 una sentenza assai
importante.
I coniugi P.G. e L.R. avevano
convenuto in giudizio il Comune di Uscio (Genova) allo scopo di ottenere il
pagamento della somma di lire 2.217.000 a titolo di rimborso delle spese
sostenute per il trasporto da casa a scuola e viceversa del figlio colpito da
handicap.
Il Comune di Uscio aveva eccepito
in via preliminare l’incompetenza del Giudice di Pace.
Al riguardo, va precisato che nel
nostro ordinamento giuridico l’autorità giudiziaria ordinaria (Giudice di Pace,
Preture, Tribunali, ecc.) è competente in materia di diritti “soggettivi” (e
quindi esigibili), mentre gli organi amministrativi (TAR, Consiglio di Stato)
intervengono nei casi in cui si tratta di semplici “interessi legittimi” (per
la cui attuazione la pubblica amministrazione detiene ampi spazi di
discrezionalità).
Il Giudice di Pace, nella
sentenza in oggetto, ha dichiarato la propria competenza con le motivazioni
molto ben precisate e documentate che riportiamo insieme ad un argomentato
commento giuridico dell’Avv. Anna Ansaldo.
Testo della sentenza del Giudice di Pace (estratto)
Sulla base della legge 5 febbraio 1992 n. 104 che parla esplicitamente di
“diritti” delle persone handicappate fin dalla sua stessa intestazione, che
all’art. 2 detta i principi dell’ordinamento in materia di “diritti”, che
all’art. 3 parla di “diritto” alle prestazioni, che all’art. 10 parla di
“diritto” alla integrazione sociale e scolastica che dev’essere “assicurata”
dai Comuni, non pare vi sia più dubbio che a favore dei disabili e più
specificatamente a favore di quelli che rivestono la posizione di minori
frequentatori di scuola materna, si siano ormai affermate nell’ordinamento
giuridico italiano delle precise prerogative, espressione peraltro di principi
garantiti dagli artt. 2, 3, 31, 34 e 38 della Carta costituzionale, tutelabili
quindi in via immediata e diretta come veri e propri diritti soggettivi, intesi
a garantire il rispetto almeno di un livello minimo di dignità umana e del
diritto di libertà sostanziale e di autonomia della persona handicappata; ferma
restando poi, su di un piano tutto diverso, una promozione (di evidente entità
discrezionale non foss’altro per la nota limitazione delle risorse economiche
di molti enti locali e per le scelte alternative dei moduli di assistenza)
finalizzata alla “piena” integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro
e nella società, come specifica l’art. 1 della citata legge precisando le
proprie finalità in armonia colle disposizioni programmatiche della Carta
costituzionale.
Ritiene questo Giudice che nella proposizione ora formulata si rinvenga la
discriminazione di legge per l’attribuzione della giurisdizione delle
controversie in materia di assistenza ai minori handicappati e dei servizi ai
medesimi, nel senso che laddove, come appare nella fattispecie sottoposta a
questo Giudice (salvo ed assolutamente impregiudicato l’esame nel merito anche
per quanto concerne l’affermazione del Comune in ordine ad un contributo
mensile di 950.000 lire, tutto da verificare, che sarebbe stato comprensivo di
spese di “trasporto scolastico”), si verta nell’ambito delle garanzie di livelli
minimi di dignità umana, libertà, integrazione sociale ed assistenza minima
anche sul piano economico (per non violare il più elementare significato degli
artt. 3 e 34 della Costituzione che richiedono il superamento delle
sperequazioni ed ostacoli di fatto rappresentati da situazioni economiche),
cioè laddove si tratta della tutela dei bisogni primari dei minori
handicappati, si configurano ormai, senza alcun dubbio, dei veri e propri
diritti soggettivi, pieni e fondamentali, tutelabili da parte del Giudice
ordinario.
Essi sono, oltretutto, correlati ad obblighi primari di spesa sanciti fin
dalla legge comunale e provinciale tuttora vigente del 3.3.1934, n. 383 la
quale all’art. 90 fa distinzione tra spese obbligatorie e facoltative e fa
rientrare fra quelle obbligatorie di cui all’art. 91 lett. H par. 6° quelle
concernenti i soggetti inabili al lavoro tra i quali oggi, per criteri di
ermeneutica storico-evolutiva e sistematica, ai quali fa riferimento anche la
sentenza di carattere paralegislativo n. 215 del 1987 della Corte
costituzionale sull’argomento, sono da ricomprendere gli handicappati minori
della scuola materna, spese rientranti, in base alla legge del 1992, nelle
ordinarie risorse di bilancio dei Comuni. È dato notorio peraltro che, almeno per
i livelli minimi di assistenza sociale anche sul piano economico vengono ormai
stanziati da alcuni lustri, comprendenti quindi i due anni scolastici
contemplati dalla presente causa, dei finanziamenti regionali per l’assistenza
sociale a questi soggetti.
Diversa sarebbe invece la situazione delle fattispecie in cui si
controvertesse sulla entità, consistenza, modalità di servizi e prestazioni
assistenziali che rientrano nel quadro paradigmatico della “promozione” della
“piena” integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società,
nelle quali si configurano invece posizioni che, in base alle considerazioni
svolte anche estesamente dal Comune convenuto, possono essere qualificate
soltanto come interessi legittimi, con la conseguenza che le eventuali
controversie debbono essere proposte davanti al giudice amministrativo. Ragion
per cui, se la presente controversia vertesse in ipotesi teorica sui diversi
servizi e prestazioni di apprezzabile livello e di consistente entità economica
che invece il Comune convenuto, nell’ambito della prefata “promozione”, ha
assicurato alla famiglia P., senza alcun contenzioso e spontaneamente per
l’anno scolastico 1995-96, in tale ipotesi si dovrebbe senz’altro dichiarare il
difetto di giurisdizione del Giudice ordinario; in quanto è evidente che non
potrebbe contestarsi quel margine di discrezionalità amministrativa del Comune
almeno sulla possibilità, quantomeno teorica, di scelte alternative circa
modalità o strumenti diversi di assicurare servizi e prestazioni per “meglio”
integrare il minore disabile nella famiglia e nella scuola, anche
compatibilmente con le disponibilità di bilancio che esorbitino dalle spese
strettamente obbligatorie rientranti nelle disponibilità ordinarie del bilancio
stesso.
La linea discriminante tra diritti soggettivi perfetti ed interessi
legittimi appare dover essere individuata nelle caratteristiche di
“fondamentalità” ed “inviolabilità” attribuite dalla Costituzione a determinati
diritti in una concezione “positiva” delle libertà della persona introdotte
dalla Carta stessa e ribadite per i disabili dalla legge 104/92. In base a tale
concezione, talune prestazioni pubbliche di livello minimo sono da considerare
talmente essenziali che il loro venir meno lascerebbe insoddisfatte quelle esigenze
primarie sottese alle stesse “libertà positive” affermate dalla Carta
costituzionale quali diritti “assoluti” della persona; sottraendoli pertanto a
qualsiasi discrezionalità amministrativa (che finirebbe per porli in uno stato
di “tamquam non essent”) o, entro i detti livelli minimi di “vitalità” della
persona stessa, anche ad una subordinazione rigida all’ammontare di un capitolo
di spesa il cui sfondamento non abbia le caratteristiche di irrimediabilità.
Per la nota gerarchia dei valori costituzionali oggi che i Comuni sono
legittimati a realizzare e finanziare, entro certi limiti e col vaglio positivo
degli stessi organi di controllo, programmi o iniziative di animazione o feste
specie durante la stagione estiva essi (senza che quanto si scrive costituisca
inammissibile valutazione di merito da parte del Giudice ma semplice
constatazione, rispettosa pienamente delle autonomie istituzionali), non vi
provvederebbero di certo senza aver prima soddisfatto esigenze primarie minime
legate ai diritti fondamentali della persona. Affermazione questa, giova ancora
ribadirlo, che, nel contesto in cui viene rigidamente circoscritta, non
intende, nel modo più assoluto, invadere o anche solo sfiorare il campo né di
questioni di merito né di questioni di legittimità tassativamente escluse dalle
competenze della giurisdizione ordinaria e della stessa giurisdizione
amministrativa.
Ma, a motivare la giurisdizione del giudice ordinario nel caso di specie,
soccorrono precisi e puntuali riferimenti normativi:
– l’art. 28 della legge 30.03.1971 n. 118 contempla il “trasporto gratuito
dalla propria abitazione alla sede della scuola o del corso”, precisando (comma
3° e 4°) che sarà “facilitata” la presenza degli invalidi alla scuola superiore
e che “le stesse disposizioni valgono per le istituzioni prescolastiche”
(scuola materna);
– la sentenza n. 215 della Corte costituzionale del 1987 che ha dichiarato
costituzionalmente illegittimo per contrasto con numerosi articoli della
Costituzione, l’art. 28, terzo comma, della legge n. 118/1971 nella parte in
cui si dice “sarà facilitata” anziché “assicurata” la frequenza scolastica,
chiarisce che i commi ridetti dell’art. 28, per porsi in armonia con la
Costituzione, devono assumere valore immediatamente precettivo e cogente per cui
deve ritenersi che anche per la scuola materna debbano essere attuate le misure
quali il “trasporto gratuito” di cui al primo comma.
Naturalmente le suddette norme debbono essere coordinate con il disposto
degli artt. 42 e 45 del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 sul tarsferimento delle
funzioni amministrative statali alle Regioni ed agli Enti locali, in base alle
quali norme anche i servizi del trasporto casa-scuola nonché le “erogazioni e
provvidenze in denaro” (art. 42 - Assistenza scolastica) non sono più
attribuite ai soppressi patronati scolastici ma ai Comuni (art. 45 -
Attribuzione ai Comuni).
L’art. 12 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 non fa che consacrare
definitivamente il diritto soggettivo perfetto al trasporto scolastico
affermando che è “garantito il diritto all’istruzione della persona
handicappata nelle sezioni di scuola materna” e che “l’esercizio di tale
diritto” non può essere impedito dalle difficoltà derivanti dalle disabilità
connesse all’handicap.
Inoltre, dettando i principi dell’ordinamento in materia di diritti degli
handicappati con riferimento ai principi costituzionali, detta legge può
costituire valido strumento giuridico per colmare eventuali lacune normative di
dettaglio dell’ordinamento ai sensi dell’art. 12 delle preleggi, come quella
relativa a misure di minima entità economica, quali i buoni mensa di costo
minimo, necessarie per assicurare un effettivo “diritto” alla integrazione
scolastica di cui parla l’art. 10, in un reale contesto di uguaglianza
sostanziale garantito dall’art. 3 della Costituzione».
Commento giuridico di Anna Ansaldo
La pronuncia in esame si presenta assai significativa e meritevole di
segnalazione.
Il Giudice di Pace di Recco dichiara la competenza dell’Autorità
giudiziaria ordinaria in ordine ad una domanda di rimborso avanzata dai
genitori di un minore handicappato nei confronti del Comune di residenza, per
il recupero delle spese di trasporto da casa a scuola e dei buoni mensa.
La decisione affronta solo ed esclusivamente la questione della giurisdizione
senza entrare nel merito delle domande, trattandosi di pronuncia non definitiva
(1).
Il Giudice di Pace con una motivazione puntuale ed accurata disattende
l’eccezione preliminare dedotta dal Comune convenuto relativa al difetto di
giurisdizione, nel presupposto che si sarebbe controverso in materia di
interessi legittimi e comunque di attività amministrativa discrezionale.
Chiara e precisa è invece l’argomentazione del giudicante che individua
l’esistenza di un diritto soggettivo del soggetto handicappato minore a
beneficiare gratuitamente del servizio di trasporto e dei buoni mensa,
attribuendo così la conseguenziale legittimazione ai genitori a proporre
l’azione di ripetizione per quanto versato a detto titolo.
È noto che il criterio di discriminazione tra competenze dell’Autorità
giudiziaria ordinaria e del giudice amministrativo è rappresentato dalla
posizione giuridica soggettiva che si vuole tutelare: diritto soggettivo ovvero
interesse legittimo.
È noto, anche, che i diritti soggettivi presuppongono l’esistenza di una
norma giuridica che espressamente li riconosca e li affermi.
Tuttavia ben è ammissibile riconoscere nuovi diritti soggettivi sulla base
di un’interpretazione analogica delle norme giuridiche esistenti per venire
incontro a tutti quegli interessi ed esigenze del singolo, meritevoli di tutela
e che vengono ad emergere nella dinamica sociale.
E questo proprio si verifica in relazione alla posizione della persona con
handicap, per anni relegata a mero beneficiario di un’assistenza o beneficenza
intesa come concessione dall’alto in una visione pienamente paternalistica.
La disciplina normativa intervenuta in questi ultimi anni ha cambiato
radicalmente la prospettiva.
Alla persona con handicap vengono infatti garantiti diritti per lo sviluppo
della personalità alle stesse condizioni degli altri cittadini.
Limitando l’indagine al rapporto del portatore di handicap con
l’istituzione scolastica, la presente sentenza, a fronte del quesito circa
l’esistenza di un diritto soggettivo del minore portatore di handicap di fruire
gratuitamente di benefici connessi alla frequentazione della scuola materna,
offre soluzione positiva sulla scorta di una puntuale ricognizione della
normativa.
Particolarmente importante è la legge quadro sull’handicap del 5 febbraio
1992 la quale – tra i primi testi – si esprime espressamente in termini di
diritti delle persone handicappate.
Da molti anni si attendeva una legge quadro sull’handicap che, da un lato,
unificasse e coordinasse tutte le norme sparse in materia, e dall’altro
individuasse nuovi e specifici diritti per il soggetto handicappato, ma non
tanto come enunciazioni di principio, quanto, piuttosto, individuando i modi di
una concreta attuazione, magari prefigurando sanzioni in caso di
inottemperanza.
Purtroppo, nell’uno e nell’altro senso la legge n. 104 del 1992 ha per gran
parte deluso: è vero che essa, almeno apparentemente, ha un respiro assai
ampio, toccando tutti gli aspetti dell’handicap, dalla scuola all’informazione,
dalla mobilità personale alle barriere architettoniche, fino alle pensioni. Ma
è anche vero tuttavia che l’unificazione non sembra semplificare il complesso
delle norme già vigenti e che le enunciazioni di principio abbondano, non
traducendosi in prescrizioni precettive ed operanti.
In particolare, la legge è costellata dalla previsione di “facoltà” e non
di “obblighi” e dal riferimento ai limiti del bilancio.
Ancora è presto, infine, per pronunciarsi sulla recente legge 15 marzo
1997, n. 59 con la quale si è attribuita alle istituzioni scolastiche
personalità giuridica. Presto, comunque, si vedrà se tale scelta garantisca
agli utenti una più agevole fruizione del servizio di istruzione (ai sensi
dell’art. 21).
Tornando al caso in esame, è di tutta evidenza che il riconoscimento di
diritti così importanti e fondamentali potrebbe rimanere lettera morta se nel
contempo non venisse garantito al minore e (quindi a chi li rappresenta) la
possibilità di fruire gratuitamente di quei servizi strettamente funzionali
all’assolvimento dell’obbligo scolastico.
È infatti un dato di comune esperienza che i genitori di bambini portatori
di handicap incontrino maggiori spese rispetto agli altri per il trasporto ed
altri servizi quali le mense, non fosse altro per la necessità di personale che
segua il bambino o per diete particolari.
Se la situazione è ovviamente difficile nella generalità dei casi, diventa
ancor più pesante quando la situazione di handicap venga purtroppo a
manifestarsi in un contesto familiare di ridotta situazione patrimoniale, come
nel caso di specie.
Deve qui richiamarsi i principi fondamentali contenuto negli artt. 2 e 3,
secondo comma, della Costituzione – che il giudicante richiama – in base
ai quali è compito dello Stato rimuovere gli ostacoli di carattere
economico-sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana,
limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini.
Deve richiamarsi, altresì, l’art. 38 Cost. dove si precisa che ogni
cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere ha
diritto al mantenimento ed all’assistenza sociale, e che gli inabili ed i
minorati hanno diritto all’educazione ed all’avviamento professionale.
Pur essendo stata abrogata con il decreto legge 10.11.1978 n. 708
(convertito nella legge 8.1.1979, n. 3) l’obbligatorietà delle spese
scolastiche per il Comune così prevista dal R.D. 1934, n. 383, indispensabile
ne rimane l’accollo da parte dell’ente pubblico. Non avrebbe senso, infatti,
parlare di “pieno rispetto della dignità umana” e di “diritti di libertà e di
autonomia delle persone handicappate” se la precaria situazione patrimoniale
della famiglia del portatore di handicap fosse tale da limitare il diritto del
bambino a partecipare alla scuola materna.
Ora, se la frequenza della scuola materna è consentita a tutti i minori,
non si vede per quale motivo coloro che sono in situazione di handicap
dovrebbero essere esclusi dal frequentare la scuola materna quando i costi da
sostenere per il trasporto risulterebbero troppo gravosi per la famiglia
d’origine.
A fronte di un diritto a frequentare la scuola, ad iniziare da quella
materna, si pone il dovere dell’amministrazione di favorire e rendere possibile
l’assolvimento di tale diritto. Si verte pertanto in fattispecie di diritto
soggettivo e non di interesse legittimo, invocabile se mai solo là ove si abbia
a discutere sulle modalità di erogazione dei servizi offerti.
Ed il diritto ha per oggetto innanzitutto la prestazione gratuita del
Servizio di trasporto da casa a scuola ma non solo, e la sentenza lo rimarca.
La gratuità deve estendersi anche al trasporto del minore ai centri di
riabilitazione ma pure ai buoni mensa “misura di minima entità economica...
necessaria per assicurare un effettivo diritto all’integrazione scolastica”.
In questo senso, certamente condivisibile, è la sentenza in esame.
(1)
La sentenza è diventata
definitiva in quanto non è stata appellata ed il Comune di Uscio ha versato ai
signori P.G. e L.R. l’intera somma da essi richiesta.
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