Prospettive assistenziali, n. 123, luglio-settembre 1998

 

 

Specchio nero

 

 

UN SUICIDIO CHE DOVREBBE FAR RIFLETTERE

 

Ormai del suo suicidio non si ricorda più nessuno. Passata l'emotività delle prime ore, tutti se ne stanno tranquilli.

Vediamo che cosa è successo.

In data 26 aprile 1998 G.M. si è ucciso: ha portato alla tempia destra la sua pistola calibro 38 ed ha pre­muto il grilletto.

Era una guardia giurata, da due anni incaricata di sorvegliare la sede di Lecce della Regione Puglia.

A detta di tutti era una persona dal comportamento irreprensibile, sempre disponibile: voleva bene a tutti e tutti gli volevano bene.

Era, però, disperato a causa delle spese che dove­va sostenere per il ricovero della sorella handicappata in un istituto di assistenza. In base alle leggi vigenti, la retta avrebbe dovuto essere versata dal Comune, ma chi pagava era invece G.M.

Aveva contratto debiti per ben 8 milioni ed era ossessionato per le difficoltà che incontrava per poter­li restituire.

È la stessa situazione che colpisce migliaia di fami­glie di handicappati intellettivi e di malati psichiatrici gravi.

È comodo per le Regioni e gli Enti locali non rispet­tare le esigenze delle persone in difficoltà affermando - falsamente - di non avere le risorse economiche e scaricando quindi i loro compiti sui congiunti, costretti non solo ad assumere responsabilità che non hanno, ma anche a sborsare somme non indifferenti.

Responsabilità, oneri economici, sensi di colpa cau­sati dall'impossibilità di assicurare ai propri familiari condizioni accettabili di vita, sono anelli di una fragile catena che rischia di spezzarsi da un momento all'al­tro.

Non servono le lacrime: occorrono impegni concreti. I 22 «possono» della legge quadro sull'handicap e gli altri 3 «possono» della legge 162/1998 (1) costitui­scono una gravissima colpa delle autorità che li hanno approvati e di tutti coloro - organizzazioni e persone - che non hanno finora fatto nulla perché i «possono» diventino, se del caso gradualmente, «devono».

Un esponente dell'ANFFAS, Associazione naziona­le famiglie di fanciulli e adulti subnormali, si è addirit­tura chiesto «perché una persona che si porta appres­so tutta la vita il dolore di avere un fratello o un figlio disabile o psichicamente malato, debba addossarsi anche l'onere del mantenimento in caso di ricovero in istituto» (2).

È molto preoccupante che i dirigenti di organizza­zioni di tutela degli handicappati non sappiano - lo ripetiamo per la centesima volta - che:

- per i soggetti maggiorenni colpiti da handicap intellettivo o da altra grave disabilità, la retta di ricove­ro in istituto è a carico dell'interessato (esclusa la quota che ha diritto di trattenere per il vestiario e le altre spese personali) nei limiti dei redditi e dei beni posseduti e che gli enti pubblici non possono preten­dere contributi economici dai parenti compresi quelli tenuti agli alimenti (3);

- per i soggetti con malattie psichiatriche il paga­mento della retta è totalmente a carico del Servizio sanitario nazionale (4).

È ovvio che le leggi mai si sono auto-applicate e mai si applicheranno da sole: questo è un ruolo che spet­ta ai congiunti, alle organizzazioni di tutela dei sogget­ti deboli e ai gruppi di volontariato.

Segnaliamo che, nel frattempo, i politici della Regione Puglia si sono «attribuiti uno stipendio netto mensile che va da un minimo di tredici a venti e più milioni» (5).

Dopo il suicidio di G.M., anche le beffe.

 

 

CONTINUA LA CAMPAGNA DI DISINFORMAZIONE DEL VIDAS

 

Dal 1993 ripetiamo che le campagne promozionali di stampa del VIDAS (Assistenza domiciliare gratuita agli inguaribili di cancro) sono fuorvianti in quanto non segnalano ai malati e ai loro familiari l'obbligo imposto dalle leggi vigenti alle USL, ospedali compresi, di curare senza limiti di durata, se necessario anche tra­mite ricovero in ospedale o in altre strutture sanitarie, le persone colpite da tumore o da qualsiasi altra pato­logia.

Nel 1993 il VIDAS affermava che «ogni anno in Italia oltre 140 mila malati terminali di cancro vengono abbandonati al loro destino. Sono inguaribili e in ospe­dale per loro non c'è più posto» (6).

Poi, nell'anno successivo, il VIDAS ha sostenuto il falso asserendo che «il malato di cancro è abbando­nato al suo destino. Dichiarato inguaribile, per lui non sono previste né cure né posti letto» (7).

Nel 1997, ha scritto, contrariamente al vero, che «lo Stato nega un letto in ospedale» a coloro che hanno solo pochi mesi di vita.

A seguito di un ricorso presentato dal CSA, l'istituto dell'Autodisciplina pubblicitaria invitava il VIDAS a modificare la frase sopra riportata (8).

Nelle scorse settimane il VIDAS ha avviato una nuova campagna pubblicitaria. Lo slogan utilizzato è: «I malati terminali che nessuno vuole più vedere, VIDAS li cura».

Ancora una volta, per raccogliere fondi non viene fornita una informazione corretta: infatti, nulla viene detto circa gli obblighi del Servizio sanitario nazionale.

 

 

 

(1) Cfr. «Modificata la legge quadro sull'handicap con altri tre "possono"», Prospettive assistenziali, n. 122.

(2) Cfr. "La lettera di O.d.B.", La Stampa del 7 maggio 1998.

(3) Cfr. "Facciamo il punto sui contributi economici indebita­mente richiesti dagli enti pubblici ai parenti degli assistiti maggio­renni", Prospettive assistenziali, n. 116.

(4) Cfr. "La Corte di Cassazione conferma il diritto dei malati cronici alle cure sanitarie", ibidem, n. 117. Si veda anche "Ottenuto il rispetto delle leggi sulla degenza gratuita dei malati psichiatrici", ibidem, n. 121.

(5) Cfr. "La lettera di O.d.B.", La Stampa del 14 maggio 1998. (6) Cfr. Prospettive assistenziali, n. 102, aprile-giugno 1993. (7) Ibidem, n. 107, luglio-settembre 1994.

(8) Ibidem, n; 119, luglio-settembre 1997.

 

 

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