Specchio nero
UN SUICIDIO CHE DOVREBBE FAR RIFLETTERE
Ormai del suo suicidio non si ricorda più nessuno. Passata l'emotività
delle prime ore, tutti se ne stanno tranquilli.
Vediamo che cosa è successo.
In data 26 aprile 1998 G.M. si è ucciso: ha portato alla tempia destra
la sua pistola calibro 38 ed ha premuto il grilletto.
Era una guardia
giurata, da due anni incaricata di sorvegliare la sede di Lecce della Regione
Puglia.
A detta di tutti era una persona dal comportamento irreprensibile,
sempre disponibile: voleva bene a tutti e tutti gli volevano bene.
Era, però, disperato a causa delle spese che doveva sostenere per il
ricovero della sorella handicappata in un istituto di assistenza. In base alle
leggi vigenti, la retta avrebbe dovuto essere versata dal Comune, ma chi pagava
era invece G.M.
Aveva contratto debiti per ben 8 milioni ed era ossessionato per le
difficoltà che incontrava per poterli restituire.
È la stessa situazione che colpisce migliaia di famiglie di
handicappati intellettivi e di malati psichiatrici gravi.
È comodo per le Regioni e gli Enti locali non rispettare le esigenze
delle persone in difficoltà affermando - falsamente - di non avere le risorse
economiche e scaricando quindi i loro compiti sui congiunti, costretti non solo
ad assumere responsabilità che non hanno, ma anche a sborsare somme non
indifferenti.
Responsabilità, oneri economici, sensi di colpa causati
dall'impossibilità di assicurare ai propri familiari condizioni accettabili di
vita, sono anelli di una fragile catena che rischia di spezzarsi da un momento
all'altro.
Non servono le lacrime: occorrono impegni concreti. I 22 «possono» della
legge quadro sull'handicap e gli altri 3 «possono» della legge 162/1998 (1)
costituiscono una gravissima colpa delle autorità che li hanno approvati e di
tutti coloro - organizzazioni e persone - che non hanno finora fatto nulla
perché i «possono» diventino, se del caso gradualmente, «devono».
Un esponente dell'ANFFAS, Associazione nazionale famiglie di fanciulli
e adulti subnormali, si è addirittura chiesto «perché una persona che si porta appresso tutta la vita il dolore di
avere un fratello o un figlio disabile o psichicamente malato, debba addossarsi
anche l'onere del mantenimento in caso di ricovero in istituto» (2).
È molto preoccupante che i dirigenti di organizzazioni di tutela degli
handicappati non sappiano - lo ripetiamo per la centesima volta - che:
- per i soggetti maggiorenni colpiti da handicap intellettivo o da altra
grave disabilità, la retta di ricovero in istituto è a carico dell'interessato
(esclusa la quota che ha diritto di trattenere per il vestiario e le altre
spese personali) nei limiti dei redditi e dei beni posseduti e che gli enti
pubblici non possono pretendere contributi economici dai parenti compresi
quelli tenuti agli alimenti (3);
- per i soggetti
con malattie psichiatriche il pagamento della retta è totalmente a carico del
Servizio sanitario nazionale (4).
È ovvio che le
leggi mai si sono auto-applicate e mai si applicheranno da sole: questo è un
ruolo che spetta ai congiunti, alle organizzazioni di tutela dei soggetti
deboli e ai gruppi di volontariato.
Segnaliamo che,
nel frattempo, i politici della Regione Puglia si sono «attribuiti uno stipendio netto mensile che va da un minimo di tredici
a venti e più milioni» (5).
Dopo il suicidio di G.M., anche le beffe.
CONTINUA LA CAMPAGNA DI DISINFORMAZIONE DEL VIDAS
Dal 1993 ripetiamo
che le campagne promozionali di stampa del VIDAS (Assistenza domiciliare
gratuita agli inguaribili di cancro) sono fuorvianti in quanto non segnalano ai
malati e ai loro familiari l'obbligo imposto dalle leggi vigenti alle USL,
ospedali compresi, di curare senza limiti di durata, se necessario anche tramite
ricovero in ospedale o in altre strutture sanitarie, le persone colpite da
tumore o da qualsiasi altra patologia.
Nel 1993 il VIDAS
affermava che «ogni anno in Italia oltre
140 mila malati terminali di cancro vengono abbandonati al loro destino. Sono
inguaribili e in ospedale per loro non c'è più posto» (6).
Poi, nell'anno
successivo, il VIDAS ha sostenuto il falso asserendo che «il malato di cancro è abbandonato al suo destino. Dichiarato
inguaribile, per lui non sono previste né cure né posti letto» (7).
Nel 1997, ha
scritto, contrariamente al vero, che «lo
Stato nega un letto in ospedale» a coloro che hanno solo pochi mesi di
vita.
A seguito di un
ricorso presentato dal CSA, l'istituto dell'Autodisciplina pubblicitaria
invitava il VIDAS a modificare la frase sopra riportata (8).
Nelle scorse
settimane il VIDAS ha avviato una nuova campagna pubblicitaria. Lo slogan
utilizzato è: «I malati terminali che
nessuno vuole più vedere, VIDAS li cura».
Ancora una volta,
per raccogliere fondi non viene fornita una informazione corretta: infatti,
nulla viene detto circa gli obblighi del Servizio sanitario nazionale.
(1) Cfr.
«Modificata la legge quadro sull'handicap con altri tre "possono"»,
Prospettive assistenziali, n. 122.
(2) Cfr. "La
lettera di O.d.B.", La Stampa del 7 maggio 1998.
(3)
Cfr. "Facciamo il punto sui contributi economici indebitamente richiesti
dagli enti pubblici ai parenti degli assistiti maggiorenni", Prospettive
assistenziali, n. 116.
(4)
Cfr. "La Corte di Cassazione conferma il diritto dei malati cronici alle
cure sanitarie", ibidem, n. 117.
Si veda anche "Ottenuto il rispetto delle leggi sulla degenza gratuita dei malati psichiatrici", ibidem, n. 121.
(5) Cfr. "La
lettera di O.d.B.", La Stampa del 14 maggio 1998. (6) Cfr. Prospettive
assistenziali, n. 102, aprile-giugno 1993. (7) Ibidem, n. 107, luglio-settembre
1994.
(8) Ibidem, n; 119, luglio-settembre 1997.
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