sulla dignità del morire e l’eutanasia
Con il titolo “Sulla dignità del
morire - Una difesa della libera scelta” è uscito un volume, molto
importante (1), di Hans Küng, famoso teologo cattolico, e di Walter Jens, noto
saggista.
Il libro ruota intorno alle seguenti questioni:
– l’uomo può disporre della propria vita e scegliere quando e come morire?;
– nella prospettiva cristiana, la scelta spetta esclusivamente a chi
gliel’ha donata, e cioè al Creatore?;
– è venuto il momento in cui le società moderne devono riconoscere la
liceità dell’eutanasia?
I due Autori iniziano l’analisi del problema chiedendo a loro stessi ed ai
lettori se sia «lecito negare
l’alimentazione artificiale a una donna di 72 anni in coma da tre anni che, a
causa di un arresto cardiaco, ha subito danni irreversibili al cervello, in
modo che possa finalmente riposare in pace».
Il figlio e il medico curante ritenevano di sì, ma il giudice è stato di
parere contrario. «Il risultato fu che
l’alimentazione artificiale continuò. Così questa donna, priva di ogni
possibilità di comunicare, rimase in coma per altri nove mesi, prima di poter
finalmente morire».
Küng e Jens sono convinti, e ciò costituisce il presupposto delle loro
riflessioni, «che milioni e milioni di
uomini non abbiano la minima possibilità né di scegliere né di morire in
maniera degna dell’uomo».
Al riguardo, precisano: «Ogni giorno
i mass media ci presentano immagini di uomini, e spesso persino di masse di
uomini, seviziati a morte e uccisi, in guerra o in fuga, a causa di catastrofi
naturali, di carestie o di epidemie. Muoiono in maniera indegna».
Secondo Hans Küng occorre operare affinché la dignità delle persone sia
salvaguardata anche nella fase terminale della vita. Ma non si può ignorare che
«senza una vita dignitosa non è possibile
una morte dignitosa».
Ricorda «quanto sia importante per il
malato incurabile (2) una dedizione
umana che duri fino alla fine; la dedizione umana del medico, degli infermieri
e delle infermiere, una dedizione che non è sovvenzionata dalla mutua, né è
acquistabile dal paziente, ma che è più preziosa di molti medicinali assai
costosi» (...). «Non è possibile che
proprio una medicina altamente tecnologizzata, con le sue terapie
automatizzate, condanni il malato terminale all’isolamento»; sostiene inoltre
che «donare pazientemente del tempo al
malato terminale è forse l’ultimo più grande dono che gli possiamo fare;
donargli del tempo per ascoltare le sue insicurezze, le sue ansie, le sue
angosce, per dargli un poco di conforto, e anche per dire con lui una
preghiera. Oggi sappiamo che anche un malato terminale ormai incapace di
parlare può ancora ascoltare; sappiamo che il contatto corporeo può
comunicargli conforto spirituale, anche quando egli non è più in grado di
muoversi».
Forme ammesse di eutanasia
Entrando nel merito della questione dell’eutanasia, Hans Küng afferma in
primo luogo che «è fuori discussione
l’illiceità morale di ogni eutanasia imposta per costrizione».
Nello stesso tempo «è fuori
discussione la liceità etica dell’eutanasia nel senso di tentativo di rendere
“buona” la morte senza per questo accorciare la vita: quella cioè in cui il
medico si limita a somministrare sedativi per ridurre il dolore. Ed è in
armonia con l’ideale di un morire degno dell’uomo il tentativo di ridurre il più
possibile i dolori fisici e, nelle ultime fasi della vita, di sostenere la
mente mediante psicofarmaci. Un’eutanasia di questo tipo non pone problemi
giuridici, è eticamente responsabile e doverosa dal punto di vista medico. Il
mantenimento in vita del paziente deve andare di pari passo con la riduzione
dei suoi dolori e il sostegno della sua libertà. Non è lecito che la
conservazione della vita divenga un semplice differimento della morte».
È, altresì, pienamente riconosciuta la «liceità
etica dell’eutanasia passiva, dove la morte è effetto collaterale, cioè
un’eutanasia indiretta conseguita mediante l’interruzione dei mezzi di
sostentamento artificiale della vita. Che l’uomo non abbia l’obbligo di
conservarsi in vita attraverso mezzi eccezionali è un classico assioma della
teologia morale. Nessun paziente in ogni caso ha il dovere etico di sottoporsi
a qualsiasi terapia e a qualsiasi operazione che prolunghi la sua vita. Sta al
paziente, non al medico, decidere, dopo essersi adeguatamente informato, se farsi
operare ancora una volta, morendo più tardi ma forse in maniera più dolorosa,
oppure non farsi operare morendo forse prima ma in maniera meno dolorosa. È
diritto dei pazienti decidere liberamente se sottoporsi o meno a determinate
cure mediche. Nessun medico ha il dovere di prolungare a ogni costo la vita
umana, andando così incontro a una prolungata agonia».
L’eutanasia attiva
Per quanto riguarda l’eutanasia attiva, Küng precisa innanzitutto che «è falso che ogni forma di eutanasia attiva
sia di per sé un “omicidio”, come se essa non fosse un atto volontario, un atto
di pietà, liberamente chiesto dal paziente, bensì un atto di violenza
impostagli contro la sua volontà».
Al riguardo ricorda che nessuna delle organizzazioni che rivendicano il
“diritto di morire” (3) chiede «la
legalizzazione dell’eutanasia attiva senza esigere anche, al contempo, il
rispetto di restrittive istanze mediche di controllo. In ogni caso è richiesta
una dichiarazione, convalidata da un notaio, che stabilisca chiaramente le
condizioni – in senso stretto o in senso lato – in cui si vorrebbe
usufruire dell’eutanasia attiva; se, per esempio, solo nel caso di una malattia
incurabile e mortale, oppure anche in caso di pesanti e dolorose menomazioni
corporee (per esempio, paralisi respiratoria), ancorché non mortali, oppure,
infine, anche nel caso di danni irreparabili o malattie irreversibili al
cervello».
A questo punto Hans Küng pone l’interrogativo: «Rientra nel concetto di morte degna dell’uomo il fatto che l’uomo
stesso possa determinare – per quanto gli è possibile – quando e come morire?».
La domanda «è posta non in relazione
all’uomo psicofisicamente sano ma in relazione al malato terminale che desidera
morire (...). Questo discorso non vale, per esempio, per uno che sia afflitto dal
tedio di vivere, o il cui primo amore sia fallito o che abbia subito uno scacco
nello studio o nella carriera professionale».
Hans Küng, dopo aver premesso che «l’inizio
della vita umana è stato posto da Dio in mano alla responsabilità dell’uomo», chiede:
«Non sarebbe allora logico assumere che
anche la fine della vita umana sia stata posta da Dio stesso, oggi più che mai,
sotto la responsabilità dell’uomo?».
Risponde affermando in primo luogo che Dio «non vuole che gli attribuiamo una responsabilità che possiamo e
dobbiamo portare a noi stessi. Con la libertà Dio ha dato all’uomo anche il
diritto alla totale autodeterminazione, che non significa affatto arbitrio ma libertà di coscienza. L’autodeterminazione comporta sempre la responsabilità
personale, e quest’ultima ha sempre, oltre alla componente individuale, anche
una componente sociale (il rispetto per gli altri). Non sarebbe responsabilità,
ma sconsideratezza e arbitrio, se un uomo, per un fallimento o per l’insuccesso
della sua carriera, senza preoccuparsi minimamente della moglie e dei figli,
domandasse l’eutanasia attiva. Ma sarebbe altrettanto arbitrario che un uomo,
che ha diligentemente lavorato per tutta la vita e ha operato per gli altri,
cui alla fine fosse diagnosticato con certezza un tumore – oppure una lunga e
completa demenza senile –, chiedesse l’eutanasia, volendo congedarsi, dalla sua
famiglia in piena consapevolezza e con dignità?».
Pertanto
Hans Küng sostiene: «Un atteggiamento
diverso da quello del rispetto della coscienza del paziente mi sembrerebbe solo
un anacronistico paternalismo medico. Però vale anche il contrario: nessun
medico può essere obbligato a compiere alcuna pratica medica che vada contro la
sua coscienza».
Dopo aver
citato la situazione di due persone gravemente ustionate e tenute in vita
nonostante le acute sofferenze, ricorda che attualmente «molti uomini abbiano paura, non soltanto delle sofferenze e dei
dolori, ma anche di cadere prigionieri del sistema supertecnologico della
medicina di oggi, di cadere in una totale dipendenza e di perdere completamente
il controllo del proprio io; hanno paura di essere imbottiti di antidolorifici
e di cadere in semicoscienza, storditi, senza più pensare, bere, sentire la
vita».
Certamente,
precisa Küng, se qualcuno vuole «conservare
più a lungo possibile la sua vita, deve essere rispettato e aiutato con ogni
mezzo».
Viceversa «nessun uomo deve essere costretto a
continuare a vivere a ogni costo. Il diritto di continuare a vivere non può
diventare un dovere, il diritto alla vita non equivale a una coercizione a
vivere (...). Ci sono tanti casi terribili, in cui è ben comprensibile che il
malato arrivi a dire: “La mia condizione è intollerabile. Il mio desiderio più
grande è quello di poter morire...”. Come può, in tali casi, un uomo arrogarsi
il diritto di decidere della vita e della morte di un altro, costringendolo a
continuare a vivere e a soffrire? Certamente tale desiderio di morire da parte
del paziente costituisce per il medico solo la condizione necessaria, ma non
sufficiente, per motivare un’eutanasia attiva: il motivo fondamentale deve
essere solo il “bene” del paziente, così come egli stesso (e non il medico o
un’altra persona) lo concepisce».
Per quanto
riguarda le condizioni da porre a garanzia dell’eutanasia attiva, Hans Küng
afferma di condividere quelle formulate dal teologo riformato Harry M. Kuitert
e cioè le seguenti:
«1) la richiesta della morte deve venire dal
malato stesso, non dai parenti né dal personale ospedaliero, e deve essere
stata ben valutata e discussa in presenza del medico;
«2) l’intollerabile (o vissuta come
intollerabile?) condizione di dolore del paziente deve giustificare tale
richiesta;
«3) la pratica dell’eutanasia spetta
esclusivamente al medico, che è in grado di procurare al paziente una morte
serena, non infelice né dolorosa;
«4) il medico deve consigliarsi con un collega
(esterno? e i parenti più stretti?) circa la serietà della richiesta, la
correttezza della valutazione della condizione del paziente e il responsabile
compimento delle pratiche mediche terminali;
«5) il medico deve redigere un
resoconto delle sue osservazioni (secondo la nuova legge olandese occorre
indirizzare un rapporto all’ufficio statale competente, che normalmente evita
al medico di incappare in eventuali sanzioni)».
In conclusione, secondo Hans Küng: «elaborare
le linee concrete per l’eliminazione della evidente incertezza giuridica
esistente in materia di eutanasia è compito, in primo luogo, dei medici e dei
giuristi. L’esempio olandese mostra che la cosa può funzionare. Chiare
disposizioni giuridiche in materia di eutanasia potrebbero contribuire anche
altrove al superamento delle angosce esistenziali di molti uomini ed
eviterebbero ai medici molti conflitti di coscienza» (4).
L’eutanasia da abbandono
Secondo Hans Küng «la medicina oggi
sarebbe farmacologicamente in grado di fare di tutto per non far nascere il
desiderio della morte».
Questa affermazione è esatta; infatti, è vero, ai malati, compresi quelli
nella fase terminale della loro vita, potrebbero essere assicurate le
prestazioni occorrenti per eliminare il dolore o per ridurlo in tutta la misura
del possibile.
Purtroppo, nel nostro Paese non solo non vengono sempre predisposti i
necessari interventi curativi, ma viene praticata in modo massiccio l’eutanasia
da abbandono che «è la morte lenta, la
morte per abbandono, la morte per sottrazione delle cure (non quelle
fondamentali legate ad una macchina che ti tiene in vita), ma quelle ugualmente
importanti per poter terminare in modo, il più possibile indolore, l’esistenza»
(5).
Da anni su Prospettive assistenziali
documentiamo le violenze spesso disumane subite dagli anziani (6), senza che le
autorità preposte abbiano finora assunto iniziative di rilievo. Continua,
infatti, a non essere nemmeno riconosciuto lo stato di malattia degli anziani
malati cronici non autosufficienti (circa un milione di persone)
Se le istituzioni, i sindacati dei lavoratori in primo luogo quelli dei
pensionati, i centri culturali, le associazioni di tutela, il volontariato e le
altre organizzazioni laiche e religiose, volessero veramente evitare la morte
procurata contro la volontà degli interessati e dei loro congiunti, dovrebbero
innanzitutto agire per eliminare ogni forma di eutanasia da abbandono, punendo
severamente i colpevoli.
In secondo luogo, per eliminare e, al limite, ridurre la portata
dell’eutanasia attiva e passiva non servono le semplici (e spesso
semplicistiche) affermazioni di principio.
Occorre, invece, che ai malati, compresi ovviamente quelli colpiti da
malattie inguaribili e da non autosufficienza e coloro che sono nella fase
terminale della vita, siano assicurate tutte le necessarie cure
medico-infermieristiche e tutte le prestazioni socio-relazionali sia nei casi
di ricovero in strutture sanitarie (quelle dell’assistenza/beneficenza non solo
sono illegali, ma quasi sempre anche assolutamente inidonee), sia quando il
malato vive a casa sua o presso i suoi congiunti.
(1) Edizioni Rizzoli, Milano.
(2) Nel volume è riportata l’espressione
“incurabile”. Confidiamo che il traduttore abbia confuso fra “incurabile” e
“inguaribile”.
(3) Nell’agosto 1976 ha avuto luogo a Tokyo la prima
conferenza mondiale delle organizzazioni che operano a favore del “diritto di
morire”, con l’approvazione delle seguenti posizioni programmatiche:
1) ogni persona deve decidere da sé della propria vita e
della propria morte;
2) le ultime volontà dei pazienti sono da riconoscere
come diritti della persona e devono essere equiparate a documenti legali.
(4) Abbiamo riportato le parti a nostro avviso più
significative del volume “Sulla dignità
del morire - Una difesa della libera scelta”. Nel libro di Hans Küng e
Walter Jens sono contenute numerose altre istruttive riflessioni.
(5) Cfr. Maria Grazia Breda, “Eutanasia attiva, passiva e
da abbandono”, Prospettive
assistenziali, n. 101, gennaio-marzo 1993.
(6) Si vedano, in particolare, i volumi di F. Santanera e
M. Grazia Breda, Vecchi da morire - Libro
bianco sui diritti violati degli anziani malati cronici, Rosenberg &
Sellier, 1987; Per non morire d’abbandono
- Manuale di autodifesa per pazienti, familiari, operatori e volontari,
Rosenberg & Sellier, 1990; Anziani
malati cronici: i diritti negati, UTET Libreria, 1994.
www.fondazionepromozionesociale.it