Prospettive
assistenziali, n. 124, ottobre-dicembre 1998
contributi economici imposti agli assistiti e ai loro
congiunti: una delibera illecita e vessatoria del comune di firenze
Nell’articolo “Proposte per l’integrazione fra sanitario e sociale”,
pubblicato sul n. 18-19/1997 di Prospettive
sociali e sanitarie, Marco Geddes da Filicaia, Assessore alla solidarietà e
servizi socio-sanitari del Comune di Firenze, scrive quanto segue: «Se la prestazione è sanitaria, questa è
gratuita salvo ticket (quando dovuto, in relazione all’età, patologia e
reddito); se la prestazione è invece classificabile come sociale, utente e
familiari sono chiamati a pagare la prestazione in tutto o in parte, in
relazione ai criteri stabiliti dalla normativa comunale».
Si comprende, pertanto, il motivo di fondo in base al quale il Comune di
Firenze ha appoggiato e appoggia l’illegale trasferimento dalla sanità
all’assistenza della competenza ad intervenire nei confronti degli anziani
malati cronici non autosufficienti: è la condizione indispensabile per
addossare oneri economici ai malati e ai loro congiunti!
Come vedremo dettagliatamente in seguito, detto sostegno, praticato da anni
dall’Amministrazione del capoluogo toscano, è confermato dalla
deliberazione n. 1190/163 “Prestazioni sociali agevolate - Approvazione nuovo
sistema di valutazione della situazione economica degli utenti ai fini della
determinazione del livello della loro partecipazione al costo del servizio.
Parziale sospensione del regolamento vigente per gli interventi di assistenza
sociale” approvata dal Consiglio comunale di Firenze il 28 luglio 1998.
Violate le norme delle leggi vigenti
La deliberazione n. 1190/163 fa riferimento sia al decreto legislativo 31
marzo 1998 n. 109 “Definizione di criteri unificati di valutazione della
situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali
agevolate”, sia agli articoli 433 e seguenti del codice civile.
A. - Per quanto riguarda il D.L. 109/1998, molto disinvoltamente gli organi
istituzionali ed i funzionari del Comune di Firenze non hanno tenuto conto che
la sua attuazione può aver luogo, come precisa chiaramente il 3° comma
dell’art. 1, solo dopo l’emanazione da parte del Presidente del Consiglio dei
Ministri di un proprio decreto, previsto proprio per individuare «le modalità attuative, anche con
riferimento agli ambiti di applicazione» dello stesso D.L.
È vero che il secondo comma dell’art. 1 del D.L. 109/1998 stabilisce che «gli enti erogatori, entro sessanta giorni
dalla data di entrata in vigore del presente decreto, individuano, secondo le
disposizioni dei rispettivi ordinamenti, le condizioni economiche richieste per
l’accesso alle prestazioni agevolate, con possibilità di prevedere criteri
differenziati in base alle condizioni economiche e alla composizione della
famiglia (...)», ma è altrettanto vero che, in assenza del provvedimento
che deve assumere il Presidente del Consiglio dei Ministri, nessuno può
stabilire il campo di applicazione del D.L. 109/1998 e definirne i criteri
attuativi.
B. - La deliberazione del Comune di Firenze contrasta nettamente anche con
le norme di cui all’art. 433 e seguenti del codice civile.
Come abbiamo scritto più volte, gli alimenti possono essere richiesti SOLO
da chi versa in stato di bisogno (cfr. l’art. 438 del codice civile) o dal suo
tutore: non esistono leggi che consentano agli enti pubblici di sostituirsi
alla persona avente diritto agli alimenti.
Ricordiamo nuovamente che la pretesa degli enti pubblici di richiedere
contributi ai parenti di assistiti maggiorenni è infondata come risulta dalle
note del Direttore generale del Ministero dell’interno del 27 dicembre 1993,
prot. 12287/70 e del Capo dell’Ufficio legislativo del Dipartimento per gli
affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 15 aprile 1994,
prot. DAS/4390/1/H/795, del 28 ottobre 1995, prot. DAS/13811/1/H/795 e del 29
luglio 1997, prot. DAS/247/UL/1/H/795, dal parere fornito in data 18 settembre
1996, prot. 2667/1.3.16 dal Direttore del Servizio degli affari giuridici della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, dalla risposta fornita dall’Assessore
all’assistenza della Regione Piemonte in data 7 marzo 1996 ad una
interrogazione, dai provvedimenti assunti dal CO.RE.CO di Torino in data 13
dicembre 1995 n. 36002 1° agosto 1996, n. 11004/96 bis e 31 luglio 1997 n.
9152/97 bis e dalla sentenza della Prima Sezione civile del Tribunale di Verona
del 14 maggio 1996 pubblicata sul n. 1/1997 di “Famiglia e diritto”.
Sulla illegittimità della richiesta di contributi ai parenti degli
assistiti maggiorenni, si è pronunciato anche il Difensore civico della Regione
Piemonte, che per molti anni ha diretto la Pretura di Torino. Infatti, nella
relazione sull’attività svolta nel 1997 ha scritto quanto segue: «Nell’ambito dei problemi affrontati merita
un cenno particolare quello relativo ai contributi economici richiesti ai
parenti degli assistiti da parte di strutture socio-sanitarie assistenziali
attraverso il richiamo all’obbligo alimentare. Lo scrivente ha, a questo
proposito, rilevato che l’obbligo patrimoniale può essere imposto solo dalla
legge (art. 23 Costituzione) e che la normativa vigente non prevede rivalse di
sorta nei confronti dei parenti da parte dell’ente che ha erogato l’assistenza.
Questo Difensore civico ha rilevato che la prassi, talvolta seguita, del
ricorso alla normativa concernente l’obbligo alimentare non è condivisibile,
ponendo in evidenza che i soggetti dell’obbligazione alimentare sono, da un
lato, l’avente diritto (che non può certo identificarsi con l’ente pubblico) e,
dall’altro, l’obbligato, per cui la relativa azione è proponibile solo
nell’ambito di questi soggetti. È stata quindi esclusa la proponibilità da
parte dell’ente pubblico dell’azione di regresso nei confronti dei coobbligati
agli alimenti; prestazioni assistenziali ed obblighi alimentari, infatti,
rispondono a presupposti diversi, non sussidiari gli uni rispetto agli altri,
costituiti, da un lato, dall’obbligo preminente per lo Stato di garantire
l’assistenza e, quindi, la salute e, dall’altro, dall’esigenza, circoscritta
all’ambito famigliare, di provvedere l’avente diritto dei mezzi di sussistenza,
ove il soggetto non sia in grado di procurarseli con il proprio lavoro.
«È stato escluso che possa
ipotizzarsi un ingiustificato arricchimento per il parente tenuto alla
corresponsione degli alimenti, finché questi non vengano richiesti dall’avente
diritto e sia conseguentemente sorto l’obbligo del pagamento. La possibilità
dell’azione surrogatoria è stata infine esclusa per la considerazione che tale
mezzo processuale ha carattere sussidiario ed ha come presupposto il mancato
esercizio di azioni di cui il debitore trascuri la proposizione. Si è ancora
rilevato che la proposizione dell’azione surrogatoria è esclusa dal legislatore
nei confronti di azioni, come quella alimentare, che hanno una precisa
connotazione personalistica e non sono perciò esercitabili da terzi, facendo,
peraltro, sempre salva l’ipotesi di accordi convenzionali fra le parti
interessate e, quindi, la volontaria assunzione del correlativo obbligo di
contribuire al pagamento da parte dei famigliari degli assistiti» (1).
Aggiungiamo che l’illegittimità della suddetta pretesa è ancora più grave
ove si consideri che l’ente pubblico non solo si arroga un diritto che non ha,
ma pretende anche di determinare l’importo che dovrebbe essere versato dai
congiunti, arrivando addirittura a sostituirsi al giudice. Infatti il 3° comma
dell’art. 441 del codice civile stabilisce quanto segue: «Se gli obbligati non sono concordi sulla misura, sulla distribuzione e
sul modo di somministrazione degli alimenti, provvede l’autorità giudiziaria
secondo le circostanze».
Vi è da notare che, mentre il Comune di Firenze e gli altri enti locali
cercano in ogni modo di spremere denaro dagli utenti e dai loro congiunti, i
competenti organi centrali dello Stato, rispettando le norme vigenti, non hanno
mai preso in considerazione i redditi dei parenti per la concessione degli
assegni sociali e di invalidità, nonché per l’integrazione al minimo delle
pensioni INPS e per l’accesso al reddito minimo di inserimento disposto dal
decreto legislativo 237/1998, emolumenti che fanno tutti parte delle erogazioni
di assistenza sociale.
Inoltre, non si può tacere sul fatto che, nel dare attuazione alle sue
illegittime richieste, il Comune di Firenze richiede informazioni sui congiunti
degli assistiti, violando in tal modo le disposizioni della legge 31 dicembre
1996 n. 675, che vieta la richiesta, la conservazione e l’uso dei dati
personali non indispensabili allo svolgimento delle attività della pubblica
amministrazione, prevedendo anche sanzioni penali.
Richiedendo ai congiunti di un assistito maggiorenne di presentare la
propria situazione economica, il Comune di Firenze compie due gravissime
violazioni in quanto non rispetta la riservatezza personale e familiare:
a) di coloro che richiedono l’assistenza. Infatti ai congiunti viene
segnalata la loro incapacità economica a provvedere da se stessi alle proprie
esigenze (redditi insufficienti per la corresponsione della retta di ricovero);
b) dei parenti stessi, ai quali viene richiesto di segnalare le proprie
condizioni finanziarie.
È un abuso preoccupante non solo sotto il profilo della legittimità, in
quanto si tratta di interferenze non consentite dalle leggi vigenti, ma anche
per quanto concerne la correttezza degli amministratori e la deontologia professionale
dei dirigenti, degli operatori, in particolare degli assistenti sociali.
Aspetti salienti della delibera del Comune di
Firenze
1. - Gli ambiti di applicazione della delibera riguardano:
a) l’istituzionalizzazione di
minori, anziani autosufficienti, non autosufficienti e adulti disabili presso
strutture residenziali e semiresidenziali private in rapporto di convenzione
con l’Amministrazione comunale;
b) l’assistenza domiciliare diretta
e indiretta e l’assistenza educativa indiretta;
c) l’erogazione degli assegni di
assistenza;
d) il
trasporto dei disabili.
Tenuto
conto, com’è scritto nella delibera in oggetto, «dell’impatto distributivo, sotto certi aspetti “sconosciuto” che il
nuovo sistema di valutazione della condizione economica degli utenti potrebbe
determinare nell’ambito di servizi quali quelli sopra indicati» è previsto
che la sua applicazione riguardi transitoriamente solo «gli interventi di istituzionalizzazione di anziani autosufficienti,
non autosufficienti e adulti disabili (...) con riferimento ai soli utenti che saranno ammessi a partire
dall’esecutività del presente provvedimento, concedendo ai soggetti attualmente
istituzionalizzati una proroga dei livelli contributivi vigenti fino al
31.12.1998».
Successivamente
alla fase di sperimentazione, la delibera verrà attuata nei confronti di tutti
gli utenti dei servizi di cui alle precedenti lettere a), b), c) e d).
Ne consegue
che nel 1999 i contributi economici verranno richiesti a tutti gli utenti dei
servizi assistenziali siano essi domiciliari, residenziali e semiresidenziali,
compresi i centri diurni per gli handicappati intellettivi ultraquindicenni.
Pertanto, ai familiari che, pur non avendo alcun obbligo giuridico,
continuano ad accogliere a casa loro i congiunti maggiorenni colpiti da grave
handicap intellettivo e quindi con limitata o nulla autonomia, non solo non
viene riconosciuto il loro ruolo positivo (il soggetto sta meglio che in
istituto e lo Stato risparmia molto denaro) ma vengono penalizzati con la
richiesta di contributi per la frequenza dei centri diurni. Tipico esempio di
solidarietà sociale!
2. - Sono disciplinate le norme per l’ammissione dei cittadini in strutture
residenziali pubbliche e private per le quali sia stata stipulata apposita
convenzione fra l’Amministrazione comunale di Firenze, l’Azienda sanitaria del
capoluogo toscano e il legale rappresentante della struttura.
Per gli istituti ubicati all’esterno del territorio comunale, il Comune di
Firenze si impegna di far riferimento alla retta stabilita dal Comune o
dall’Azienda sanitaria territorialmente competente.
3. - I soggetti assistibili sono individuati nei cittadini residenti a
Firenze che «in seguito a fatti morbosi,
situazioni di grave disagio e a processi di invecchiamento, non sono in grado
di provvedere a se stessi, se non con l’aiuto totale o parziale di altre
persone». Non è previsto nessun limite inferiore di età per cui le
disposizioni possono essere applicate a tutti i cittadini aventi un’età
superiore ai 18 anni.
Nonostante che gli utenti anziani non autosufficienti, salvo casi
assolutamente eccezionali, siano tutte persone malate, anzi quasi sempre
seriamente malate, non c’è una sola parola riguardante le questioni relative
alla tutela della salute (fra l’altro, nemmeno per quanto riguarda gli aspetti
amministrativi), comprese le eventuali necessità di ricovero in ospedale.
4. - Il Comune di Firenze non assume nessun compito di natura assistenziale
(controlli relativi ai trattamenti forniti ai ricoverati, valutazione circa la
necessità di trasferimento a domicilio o presso altra struttura, vigilanza
sull’adeguatezza delle prestazioni fornite, ecc.), ma si limita, il che non è
nemmeno conforme a quanto previsto dalla legge della Regione Toscana 3 ottobre
1997 n. 72 “Organizzazione e promozione di un sistema di diritti di
cittadinanza e di pari opportunità: riordino dei servizi socio-assistenziali e
socio-sanitari integrati” (si veda in particolare l’art. 46). Ne risulta –
fatto gravissimo – che i rapporti con
gli istituti di ricovero, ad esclusione della quantificazione della retta (2),
sono tenuti singolarmente da ciascun utente, il cui potere contrattuale è
praticamente nullo, anche in relazione ai possibili ricatti: «Se non è contento
se ne vada», è la frase classica pronunciata dai gestori delle strutture!
Ne consegue che molto spesso i malati e/o i loro congiunti sono costretti a
sostenere le spese aggiuntive (circa 3 milioni al mese per un turno giornaliero
di 8 ore) per il personale privato occorrente per garantire un livello
accettabile di assistenza ai soggetti del tutto non autosufficienti.
5. - Ricevuta la richiesta per il ricovero degli anziani cronici non
autosufficienti in un istituto assistenziale (ma il Comune di Firenze e gli
altri enti non dovrebbero informare gli interessati sul loro diritto alle cure
sanitarie gratuite e senza limiti di durata, compreso – occorrendo – il
ricovero ospedaliero?) (3), il Comune di Firenze da un lato pretende il
pagamento della retta assistenziale e d’altro canto recita la parte del
benefattore in quanto si assume l’onere della quota della retta stessa non
corrisposta dall’utente e dai suoi congiunti che non hanno disponibilità
economiche sufficienti per versare l’intero importo. Una operazione perfetta
sotto il profilo elettorale!
6. - Il Comune di Firenze concede – bontà sua! – «l’intervento economico integrativo qualora la situazione economica
dell’utente, del nucleo familiare convenzionale ristretto e dei nuclei
familiari convenzionali collegati, esaminati in modo separato e successivo, non
consentano la copertura integrale della quota sociale giornaliera a carico
dell’assistito».
Da osservare, fatto certamente non marginale, che «tale intervento economico integrativo è erogato nei limiti delle
disponibilità di bilancio».
7. - Geniale, al fine di poter pretendere denaro dal massimo numero
possibile di congiunti dell’utente, è la definizione dei nuclei familiari
coinvolti.
Infatti la delibera 1190/163 stabilisce quanto segue:
a) «il nucleo familiare convenzionale
ristretto è composto dal coniuge o, in sua assenza, dai genitori, nonché da
tutti coloro che, anche non legati da vincoli di parentela, risultano a carico
loro o dell’utente ai fini Irpef. Il coniuge dell’utente fa sempre parte del
nucleo familiare convenzionale ristretto, ad eccezione dei casi in cui sussista
atto di separazione legale o di divorzio»;
b) «i nuclei familiari convenzionali
collegati, considerati ai fini della quantificazione dell’eventuale intervento
integrativo, sono quelli di cui fanno parte i figli, gli eventuali generi e
nuore, e i nipoti e i relativi familiari a carico ai fini Irpef. Solo nel caso
in cui l’utente non abbia avuto figli, tra i nuclei familiari convenzionali
collegati rientrano quelli di cui fanno parte i fratelli e le sorelle».
8. - Ai sensi dell’art. 7 della delibera in oggetto «l’indicatore della situazione economica dell’utente, del nucleo
familiare convenzionale ristretto e dei nuclei familiari convenzionali
collegati è definito sulla base dei criteri unificati previsti dal decreto
legislativo n. 109/98, nonché con modalità integrative di valutazione fissate
dall’Amministrazione comunale, ai sensi dell’art. 3, comma 1 del decreto
medesimo, con particolare riguardo al concorso delle componenti patrimoniali
mobiliari e immobiliari, alla deduzione dell’Irpef netta ed alla considerazione
di alcune tipologie di reddito non imponibili ai fini Irpef» (4).
9. - L’art. 13 della delibera del Comune di Firenze stabilisce i criteri
per la formazione delle liste di attesa del ricovero, liste di attesa che – si
badi bene – non sono previste nel settore sanitario: un’altra condizione di
preoccupante sfavore per i vecchi malati non autosufficienti, nel frattempo
dimessi, a volte anche in modo selvaggio, dagli ospedali.
Diritti, solidarietà e abusi
Alla
ricorrente obiezione della mancanza di mezzi economici (che da sempre sono e
sempre saranno insufficienti per le persone non in grado di autodifendersi),
ricordiamo che il diritto alla salute e alle cure sanitarie è sancito dalla
Costituzione e dalle leggi dello Stato. Se non contrastano con la Costituzione,
il Parlamento può modificare le norme sanitarie quando ritiene. Ma è
inaccettabile, in primo luogo sotto il profilo etico, che gli enti pubblici
approfittino della situazione di debolezza e dello stato di necessità dei vecchi
malati cronici non autosufficienti (e degli altri soggetti deboli) e dei loro
congiunti per compiere operazioni illegali, ad esempio il trasferimento della
competenza dalla sanità all’assistenza e la conseguente richiesta di contributi
ai soggetti interessati ed ai loro parenti.
I genitori
onesti, nel caso in cui un componente della loro famiglia sia in gravi
difficoltà (ad esempio seriamente malato), non affrontano mai la questione
dicendo, prima di ogni altra cosa, che non hanno le necessarie risorse finanziarie,
ma individuano le economie da realizzare ed i maggiori introiti da conseguire.
Allo stesso
modo si dovrebbero comportare i responsabili degli enti pubblici, in primo
luogo coloro che sono preposti alle funzioni concernenti la solidarietà: in
ogni caso mai possono violare i diritti delle persone (5).
Ovviamente anche gli amministratori – come tutti i cittadini – possono
operare per la modifica delle leggi ritenute ingiuste o inadeguate, ma è
inammissibile l’uso delle posizioni di potere per violarle, anche per finalità
ritenute valide.
* * *
A proposito: che cosa hanno fatto o pensano di fare i sindacati, le
organizzazioni di volontariato e le altre forze sociali per tutelare le
esigenze ed i diritti dei vecchi malati cronici non autosufficienti, dei malati
di Alzheimer e degli handicappati?
(1) In merito ai contributi economici, si vedano il
volume di Massimo Dogliotti, Doveri
familiari e obbligazione alimentare, Giuffrè Editore, Milano, 1994, e le
note a sentenza di Massimo Dogliotti e Pietro Rescigno riportate su Giurisprudenza italiana, ottobre 1993,
pag. 679 e seguenti.
Per quanto riguarda la sentenza della Corte di
Cassazione n. 481/1998, occorre rilevare che la Corte stessa è incorsa in un
clamoroso errore. Infatti, ha considerato ancora in vigore la legge 1580 del
1931 (che riguardava la rivalsa delle spese di spedalità e manicomiali e non
quelle di ricovero in istituti di assistenza), quando con la sentenza 7989 del
1994 la medesima Corte di Cassazione aveva riconosciuto che la legge 1580/1931
era operante solamente «prima dell’attuazione della riforma sanitaria». Al
riguardo si veda l’articolo di M. Dogliotti, “La Cassazione ed i contributi
richiesti ai parenti dei ricoverati”, Prospettive
assistenziali, n. 123.
(2) Gli utenti ed i loro congiunti sono
considerati non dei soggetti, ma degli oggetti di intervento, al punto che non
partecipano minimamente alla definizione della retta, pur essendo tenuti a
pagarla in base ai loro redditi e beni. Ben diverso è il comportamento delle
istituzioni sanitarie. Infatti, le rette relative alle case di cura private
convenzionate sono negoziate dalle Aziende USL che, però, ne assumono
interamente l’onere.
(3) Vi è da osservare che la già citata legge
della Regione Toscana 3 ottobre 1997 n. 72 disciplina, fra l’altro, «la riorganizzazione della rete di
protezione sociale regionale per l’affermazione dei diritti sociali di
cittadinanza e della responsabilità dei soggetti istituzionali e sociali per la
costruzione di una comunità solidale» (art. 1) e stabilisce che «il cittadino utente del sistema sociale e
assistenziale della Regione ha diritto ad essere informato (...) sui propri
diritti» (art. 4).
(4) Da notare, come già abbiamo rilevato in
precedenza, che non è ancora stato emanato dal Presidente del Consiglio dei
Ministri il provvedimento previsto dal D.L. 109/1998 per la definizione delle
modalità attuative e degli ambiti di applicazione. Si tenga, altresì, conto che
per il concorso dei congiunti alle spese di ricovero, l’Amministrazione
comunale di Firenze fa riferimento non solo ai loro redditi, ma anche ai
patrimoni mobiliari e immobiliari posseduti.
(5) Nell’articolo pubblicato su Prospettive sociali e sanitarie, da noi
citato in precedenza, l’Assessore Geddes aveva sostenuto che l’integrazione
della sanità con l’assistenza era una iniziativa molto vantaggiosa per gli
utenti!
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