Prospettive
assistenziali, n. 124, ottobre-dicembre 1998
Editoriale
l’eutanasia da abbandono: lettera aperta al ministro
della sanità, on. rosy bindi
Su Avvenire e Il Messaggero del 30 ottobre 1998 sono
state riportate le dichiarazioni da Lei fatte intervenendo alla XIII Conferenza
internazionale sulla condizione dell’anziano, promossa in Vaticano dal
pontificio Consiglio per la pastorale sanitaria.
Lei ha affermato che «l’eutanasia
sociale» è il pericolo maggiore che incombe in Italia «sulla pelle di milioni di anziani che si sentono ogni giorno più
emarginati ed abbandonati a se stessi», pericolo che dovrebbe essere
fronteggiato, altrimenti «si corre il
rischio di limitarci a una proclamazione puramente verbale in favore del
rispetto della vita in ogni sua fase, senza interventi concreti coerenti con
questa impostazione».
In particolare, a suo avviso, occorrerebbe intervenire «rifiutando ogni forma d’accanimento
terapeutico ma anche l’ipocrisia travestita da carità».
Le segnalazioni finora inutilmente rivolte all’On.
Rosy Bindi
Da oltre vent’anni, senza alcuna eccezione, il CSA -
Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base e il Comitato per la
difesa dei diritti degli assistiti, informano i Ministri della sanità, subito
dopo il loro insediamento, circa i drammatici problemi riguardanti gli anziani
cronici non autosufficienti, avanzando anche le relative proposte alternative
(1).
Analoghe iniziative sono state assunte nei confronti
dell’On. Rosy Bindi: lettere, richieste di incontro, invio di promemoria e di
articoli, sollecitazioni di vario genere.
In data 9 settembre 1997 una delegazione del
Coordinamento del volontariato dei diritti ha incontrato presso la sede del
Ministero della sanità un componente della segreteria personale del Ministro e
due funzionari responsabili di settore.
Nel resoconto inviato il 12 settembre 1997 dal
Coordinamento del volontariato a tutti coloro che avevano partecipato
all’incontro suddetto (e al quale nessun addetto del Ministero della sanità ha
risposto nonostante i numerosi solleciti) è verbalizzato quanto segue:
«1) Viene riconosciuto
dai funzionari presenti che, in base alle leggi vigenti, il diritto alle cure
sanitarie deve essere assicurato anche agli anziani cronici non autosufficienti
(e gli altri malati inguaribili, ma sempre curabili) attraverso servizi diversificati:
oltre all’ospedale, nei day hospital, con l’estensione degli interventi di cura
a domicilio (estesi a tutti i giorni della settimana, festivi compresi), nei
centri diurni per malati Alzheimer e dementi senili e, quando non è possibile
intervenire a domicilio, con il ricovero in RSA, residenze sanitarie
assistenziali;
«2) si conferma che la
RSA è struttura del comparto sanitario e che il Ministero ha dato chiare
indicazioni in merito alle Regioni: la RSA deve intendersi come struttura che
soddisfa la continuità delle cure extra-ospedaliere degli anziani cronici non
autosufficienti;
«3) emergono due
problemi:
A) il Ministero della
Sanità finanzia la realizzazione strutturale delle RSA, ma la stragrande
maggioranza delle Regioni le gestisce tramite il comparto assistenziale, in
violazione a quanto previsto dalle leggi nazionali;
B) le Regioni chiedono i
finanziamenti previsti per le RSA sanitarie anche per progetti che si
riferiscono a strutture assistenziali, che ospitano impropriamente malati
cronici non autosufficienti anziani».
Le richieste delle Associazioni venivano così precisate:
«Poiché il Ministero
della Sanità ha dato avvio alla seconda fase prevista dall’art. 20 della legge
67/1988 con la messa a disposizione di altri 10.000 miliardi, si chiede che:
a) vincoli il
finanziamento dei progetti per RSA non solo alla struttura, ma anche alla
gestione delle stesse da parte del Servizio sanitario nazionale, sia
direttamente tramite le USL, sia mediante convenzioni con i privati, come
avviene già nelle Regioni Lazio e Liguria. Si segnala inoltre la positiva
esperienza della RSA di Torino, Via Spalato, gestita direttamente dall’Azienda
USL 2;
b) richieda precisi
standard strutturali per la realizzazione delle RSA, così come previsto dal
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1989, prevedendo però che
le camere siano al massimo di due letti ciascuna con i servizi interni;
c) preveda standard per
il personale che deve operare nelle RSA (attualmente non vi è nulla); il
riferimento ancora valido è il decreto Donat-Cattin del 1988;
d) vieti la presenza di
più utenti (ad esempio anziani cronici non autosufficienti, malati
psichiatrici, handicappati con malattie degenerative). Per queste persone, che
presentano in ogni caso bisogni sanitari, si chiede la previsione di RSA a
dimensione familiare (10 posti letto); si può accettare la formula già
introdotta dalla Regione Piemonte di prevedere 10 posti residenziali e 10 posti
diurni nella stessa struttura;
e) predisponga un testo
di legge per la regolamentazione della contribuzione degli utenti delle RSA. Si
unisce a questo proposito una proposta di legge elaborata dal Coordinamento
nazionale del volontariato dei diritti» (2).
D’altra parte il Ministro della sanità conosce certamente
la sentenza della Corte suprema di Cassazione n. 10150 del 1996 in cui viene
confermato il diritto alle cure sanitarie sia dei malati acuti che di quelli
colpiti da malattie inguaribili.
Inoltre, è noto che all’On. Bindi sono state rivolte
numerose e pressanti richieste di intervento per evitare che i malati di mente,
dopo anni e a volte decenni di ricovero presso ospedali psichiatrici, venissero
trasferiti, pur permanendo lo stato di malattia e le conseguenti esigenze
curative, alla badanza delle strutture dell’assistenza/beneficenza.
Tre casi emblematici
1. - L’On. Rosy Bindi è stata tempestivamente informata
dell’improvvisa “guarigione” dei 150 ricoverati presso lo stabilimento
psichiatrico di Montecchio Precalcino, Vicenza.
Fino alle ore 23.59 del 31 dicembre 1996 erano malati di
mente (molti ricoverati da decenni); un minuto dopo si erano tutti ristabiliti
e la struttura aveva assunto la denominazione di residenza sanitaria
assistenziale.
Per festeggiare degnamente il miracoloso evento, l’USL
della zona ha chiesto ai ricoverati ed ai loro congiunti il pagamento di una
allettante retta, simpaticamente calcolata in 80 mila lire al giorno.
2. - Un altro mezzo escogitato dalle istituzioni sanitarie
per non intervenire è quello della valutazione “convenzionale” delle diagnosi.
Il sig. P.F., nato nel 1914, viene visitato in data 30
luglio 1998 dal Servizio di salute mentale del distretto di Nichelino (Torino)
dell’Azienda USL 8.
La relazione medica è così redatta: «Ad esame clinico psichiatrico il sig. P.F. presenta un grave deficit
delle funzioni mnesiche tipo Ribot con:
a) perdita totale della
memoria recente;
b) grave deficit della
memoria intermedia;
c) conservazione della
memoria remota.
«Non è quindi in
condizione di ricordare quanto fatto il giorno prima o soltanto poche ore
prima, inoltre non risulta a conoscenza (per deficit mnesici) del valore del
denaro, ad esempio: “quanto costa un giornale?” “1200 lire... mi sembra”,
“quanto costa un’auto?” ... (lungo silenzio) “una volta ne avevo due... non mi
ricordo più la marca”.
«Come si vede i deficit
mnesici vengono colmati dalle confabulazioni. Evidente il disorientamento
temporo-spaziale, non sa riferire né dove si trova, né l’anno, solo con
difficoltà la stagione.
«Il personale della
struttura riferisce che è in condizioni di comportarsi in modo adeguato nella
propria stanza; già il passare nei corridoi lo disorienta e lo conduce ad uno
stato confusionale.
«In conclusione resta
evidente un grave deterioramento intellettivo e comportamentale irreversibile».
La diagnosi viene precisata come segue: «Demenza vascolare (ICD 10)».
Per le persone di buon senso la suddetta relazione e la
diagnosi sopra riportata indicano certamente una condizione di malattia, anzi
di malattia estremamente grave.
Per l’Azienda USL 8 non è così. Infatti il direttore
generale e il medico responsabile del servizio di assistenza sanitaria
territoriale in data 20 ottobre 1998, con lettera prot. 15203, scrivono al
tutore del sig. P.F. affermando di non poter prendere atto che questi sia
colpito da malattia mentale «in quanto la
patologia indicata con il codice ICD 10, di cui al referto del dipartimento di
salute mentale di Nichelino, non è annoverabile tra quelle psichiatriche, bensì
è CONVENZIONALMENTE riconosciuta come involuzione organica conseguente all’età senile
dell’individuo».
Dunque, tutti coloro che hanno superato gli anni 84 (è
l’età del sig. P.F.), se il loro invecchiamento fosse normale, dovrebbero
essere colpiti da demenza o da altra analoga “non malattia”.
È facile per la sanità ridurre le spese: è sufficiente
stabilire CONVENZIONALMENTE che certe condizioni patologiche dei vecchi non
rientrano fra le malattie riconosciute dal Servizio sanitario nazionale.
3. - Molto spesso i mezzi di informazione segnalano la
presenza di strutture abusive in cui gli anziani malati cronici non
autosufficienti ivi ricoverati sono abbandonati a loro stessi, spesso in
condizioni disumane.
Finora non sono state assunte dal Ministero della sanità
e dagli altri organi competenti iniziative valide, tanto che a Torino, ad esempio,
continuano a funzionare quasi tutte le pensioni illegali denunciate dal
Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti nel 1991; pertanto si
consente ai tenutari di continuare a realizzare cospicui introiti economici.
Nonostante l’estrema gravità ed estensione degli abusi
praticati, di cui i tre casi segnalati sono solo esempi, finora l’On. Rosy
Bindi non ha fatto alcunché per tutelare i diritti, sanciti dalle leggi
vigenti, dei pazienti psichiatrici e degli anziani e adulti malati cronici non autosufficienti:
c’è, dunque, un netto contrasto fra il suo operato effettivo e le affermazioni
verbali espresse in Vaticano alla XIII Conferenza internazionale promossa dal
pontificio Consiglio per la pastorale sanitaria.
Caratteristiche principali dell’attuale situazione
dei vecchi malati acuti e cronici
Mentre, è noto a tutte le persone oneste, gli ospedali,
con preoccupante frequenza, continuano a dimettere gli anziani cronici non
autosufficienti, nonostante che essi abbiano ancora bisogno di cure non praticabili
a domicilio (3), la negazione delle cure incomincia ad estendersi ai bambini
gravemente malati.
Come ha riferito La
Stampa del 29 gennaio 1998, un bimbo di 10 anni è stato rifiutato da ben 14
ospedali prima di essere ricoverato in un reparto di rianimazione. Colpito da
tumore cerebrale, il piccolo aveva perduto conoscenza da due giorni (4).
Ne consegue che attualmente, a lato del Servizio
sanitario nazionale, è stato costituito un settore preposto alla badanza dei
vecchi e degli adulti inguaribili, settore che possiamo chiamare
“assistenziale-pseudosanitario”.
Le caratteristiche principali dei due comparti sono
precisate nella tabella riportata nella pagina seguente.
Conclusioni
Coloro che propongono l’eutanasia attiva o quella passiva
lo fanno per evitare il dolore insopportabile.
L’eutanasia da abbandono, invece, non viene mai attuata
per aiutare il malato che soffre: è una terribile forma di crudeltà che può
addirittura durare anni e, a volte (si pensi ai malati di Alzheimer e ai
pazienti psichiatrici) decenni.
Attualmente è praticata in modo estremamente diffuso
nelle strutture pubbliche e private, e certamente non può essere combattuta con
dichiarazioni verbali o semplicemente sottotitolando il piano sanitario
nazionale per il triennio 1998-2000 con l’espressione “Un patto di solidarietà
per la salute”.
(1) Cfr. in questo numero l’articolo “Un nostro grido di
allarme di vent’anni fa purtroppo ignorato”.
(2) Il testo della bozza di proposta di legge è il
seguente:
1. A partire dal 61° giorno di degenza presso le
Residenze sanitarie assistenziali di cui al decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri del 22 dicembre 1989, il ricoverato presso RSA
(Residenze sanitarie assistenziali) è tenuto a versare una somma non superiore
al 70% del proprio reddito pensionistico annuale all’Azienda USL che ha
disposto il ricovero. Il versamento deve essere effettuato con frequenza
mensile.
2. Entro e non oltre 180 giorni dall’entrata in vigore
della presente legge, le Regioni e le Province autonome di Bolzano e Trento
emanano leggi per:
a) l’attuazione del 1° comma del presente articolo
tenendo conto che al ricoverato deve essere garantita la disponibilità
dell’intero reddito pensionistico o di una parte di esso al fine di poter
provvedere:
– alle proprie esigenze non soddisfatte dall’istituzione
in cui è ricoverato (oneri verso terzi, vestiario, piccole spese personali,
ecc.);
– alle necessità dei congiunti conviventi o comunque a
suo carico;
b) garantire ai ricoverati nelle RSA tutte le occorrenti
prestazioni mediche, infermieristiche, riabilitative e alberghiere, comprese
quelle inerenti l’indennità di accompagnamento.
3. L’intero importo dell’indennità di accompagnamento
degli utenti nelle RSA è versato all’Azienda USL che ne ha disposto il
ricovero.
4. Nessun contributo può essere richiesto ai parenti dei
soggetti ricoverati presso RSA.
(3) Data la grande importanza dei contenuti, riportiamo
ancora una volta, la seconda parte del messaggio inviato dal Cardinale Carlo
Maria Martini ai partecipanti del convegno “Anziani attivi e anziani malati
cronici nell’Europa del 2000: orientamenti culturali ed esperienze a confronto”
(Milano, 24 e 25 ottobre 1996), organizzato dall’Istituto italiano di medicina
sociale, “Sanitas Domi”, Associazione Promozione sociale, “Prospettive
assistenziali” e la Scuola dei diritti “Daniela Sessano” dell’ULCES: «C’è tuttavia un altro gravissimo problema
che mi sta a cuore ed è emerso drammaticamente in episodi anche recenti i cui
protagonisti erano soggetti malati inguaribili e non autosufficienti. Sono
purtroppo decine di migliaia gli anziani cronici non autosufficienti dimessi,
anche in modo selvaggio, per far posto ad altri malati.
«Alla radice di questo
tarlo sta la convinzione che inguaribili equivalga a incurabili, convinzione che
non possiamo accettare. Infatti, la situazione di gravità esige che il paziente
viva dignitosamente gli ultimi giorni della sua vita ed è dovere della società
civile assicurargli tutte le cure di cui ha bisogno.
«Anzitutto nella propria
famiglia (cure domiciliari), poi nei day hospital, negli ospedali, nelle
residenze sanitarie e ci auguriamo perciò che tali ambiti diventino una
risposta, non la sola, di cura reale, in stretta collaborazione con le
strutture sanitarie, considerata la gravità dei pazienti che dovrebbero
ricoverare.
«Inoltre spero e mi
auguro che nel dibattito in corso sul tema dell’eutanasia (attiva o passiva) si
faccia il possibile affinché nel frattempo le persone non più in grado di
esprimere la loro voce non subiscano nei fatti un’eutanasia per abbandono da
parte di chi, in nome della razionalità delle risorse, vorrebbe negare le
prestazioni sanitarie cui hanno diritto come tutti i malati, secondo quanto è
previsto dalle leggi sanitarie in vigore nel nostro Paese».
(4) L’episodio era già stato segnalato sul n. 121 di
“Prospettive assistenziali”.
Servizio sanitario
nazionale • Opera
ai sensi della legge 833/1978 e successive modifiche. • In
base alle leggi vigenti deve curare senza limiti di durata tutti i malati
(acuti, cronici, convalescenti e lungodegenti). In pratica espelle i pazienti
definiti cronici, compresi i soggetti in fase terminale). • La
gestione compete alle aziende USL. • Le
cure sanitarie sono un diritto esigibile e le prestazioni urgenti sono
fornite immediatamente a semplice richiesta del cittadino. • Le
prestazioni sono gratuite salvo ticket. • Nessuna
contribuzione è a carico dei parenti tenuti agli alimenti. • Per
il personale addetto la legge richiede abilitazioni e titoli specifici; sono
inoltre previsti mansionari tassativi. • Gli
standard minimi delle strutture private e pubbliche, anche se non tutti
soddisfacenti, sono da anni definiti da leggi nazionali. • Sono
rari i casi di maltrattamenti violenti subiti dai malati ricoverati in
strutture pubbliche e private. Esempi
di strutture torinesi gestite dal Servizio sanitario nazionale o con esso
convenzionate: –
ospedali; case di cura private; RSA di Via Spalato n. 14 |
Settore
assistenziale-pseudosanitario • Funzionamento
illegale in quanto non previsto da nessuna legge dello Stato. • Vi
sono emarginati gli anziani cronici non autosufficienti, i malati di
Alzheimer ed i soggetti colpiti da altre forme di demenza senile, i pazienti
psichiatrici con limitata o nulla autonomia, quasi sempre anche nei casi in
cui insorgono situazioni acute, compresi infarti e ictus, che colpiscono
circa il 30% dei ricoverati presso RSA. • La
gestione è affidata agli assessorati all’assistenza dei Comuni; il supporto
sanitario è quasi sempre inadeguato (4). • Le
prestazioni assistenziali non sono un diritto esigibile, com’è dimostrato, ad
esempio, dalle liste di attesa anche di 3-4 anni per il ricovero in RSA. • Agli
utenti viene sempre richiesto un contributo, esclusi solamente coloro che
sono privi di mezzi economici. La retta giornaliera varia da 60 mila a 100
mila lire. • Se
l’interessato non ha redditi sufficienti per il pagamento della retta, quasi
sempre sono richiesti contributi ai parenti, nonostante ciò non sia previsto
dalla legge. Sovente la richiesta degli enti pubblici è un vero e proprio
ricatto: se non si firma l’impegno di pagamento, il congiunto non viene
assistito o ricoverato. • La
legge nazionale non richiede abilitazioni o titoli specifici esclusi gli
assistenti sociali, né prevede mansionari, neppure per la direzione dei
servizi. • Gli
standard minimi delle strutture pubbliche e private non sono definiti da
nessuna legge nazionale. Nell’istituto Carlo Alberto per anziani cronici non
autosufficienti, gestito direttamente dal Comune di Torino, ci sono ancora un
camerone di 24 letti e due di 19. • Numerose
sono le segnalazioni di maltrattamenti violenti, spesso molto gravi, subiti
da anziani cronici non autosufficienti, ricoverati presso strutture pubbliche
e, soprattutto, presso istituti privati. Esempi
di strutture torinesi del settore assistenziale-pseudosanitario: RSA di Via
Valgioie, Istituto di riposo per la vecchiaia, Casa geriatrica Carlo Alberto,
Convalescenziario alla Crocetta, Opera Pia Lotteri. |
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