Prospettive assistenziali, n. 124, ottobre-dicembre
1998
Interrogativi
PERCHÈ
LA COMUNITÀ DI CAPODARCO PROPONE UN GHETTO?
Come abbiamo più volte scritto, i
Comuni sono tenuti fin dal secolo scorso ad assistere le persone incapaci di
provvedere alle proprie esigenze (1).
Partendo dall'obbligo di cui
sopra; tutte le organizzazioni interessate dovrebbero premere sulle Regioni e
sui Comuni affinché - finalmente - istituiscano i necessari servizi,
prioritariamente quelli domiciliari e, nel caso in cui detta modalità di
intervento non sia praticabile, creino le comunità alloggio di 8-10 posti al
massimo.
Purtroppo, come risulta
dall'articolo "Prima del dopo", apparso su Anch'io del maggio 1998, la Comunità di Capodarco, nota per le
iniziative di avanguardia assunte negli anni '70 per la deistituzionalizzazione
dei soggetti con handicap e il loro inserimento sociale, ha deciso di costruire
a Roma un complesso comprendente tre palazzine per ben trenta disabili. II
costo complessivo è di oltre 2 miliardi e mezzo.
Chiediamo a Don Franco
Monterubbianesi, fondatore e presidente della Comunità di Capodarco, ed agli
altri dirigenti della suddetta organizzazione se non ritengono che una
struttura per 30 persone handicappate non sia un ghetto.
La presenza delle persone con
handicap nel vivo del contesto abitativo non è una condizione assolutamente
irrinunciabile per l'effettivo riconoscimento della loro dignità?
Perché la Comunità di Capodarco
non utilizza il suo fortissimo potere contrattuale per ottenere che venga data
attuazione in tutta Italia alla legge 17 febbraio 1992 n. 179 "Norme per
l'edilizia residenziale pubblica"?
Ricordiamo che il primo comma
della legge sopra citata recita quanto segue: «Le Regioni, nell'ambito delle disponibilità, loro attribuite, possono
riservare una quota non superiore a115% dei fondi di edilizia agevolata e
sovvenzionata per la realizzazione di interventi da destinare alla soluzione
di problemi abitativi di particolari categorie sociali individuate, di volta in
volta, dalle Regioni stesse»:
Ne consegue che le comunità
alloggio potrebbero essere costruite nel normale contesto abitativo senza
oneri aggiuntivi.
LE
MISSIONI DON BOSCO FORNISCONO INFORMAZIONI CORRETTE SULLE ESIGENZE DEI BAMBINI
CHE ASSISTONO?
Nel giugno 1998 le Missioni Don
Bosco di Torino. hanno inviato alla mamma (deceduta da oltre 25 anni!) una
lettera contenente l'immancabile conto corrente postale.
La richiesta di denaro fa leva
sulla situazione di un fanciullo di nome Kumar descritta nei seguenti termini: «È un bambino, uno dei tanti, che gira solo
per le strade del suo villaggio. Pallikonda, nell'India Meridionale, è una
terra dura con tutti. Soprattutto con chi è ancora troppo piccolo e troppo
solo.
«A sei anni la vita
dovrebbe sorridere. Ma come fa Kumar a sorridere?
«Solo, stanco, rannicchiato su se stesso, con il capo sulle ginocchia,
l'abbiamo incontrato una sera all'angolo di una strada. Ci ha guardato. 1 suoi
occhi erano grandi, tristi, pieni di dignità. Con quegli occhi stava chiedendo
aiuto. Non pietà, né commiserazione, ma affetto, comprensione e la possibilità
di sopravvivere.
«- Ciao, io sono Suor Nancy. E tu come ti chiami? - Non ha risposto. La
nostra Suora Missionaria Nancy Pereira gli ha preso la mano e ha capito che
questo bambino di sei anni non era mai stato preso per mano. Mai accarezzato.
Quel semplice contatto è valso più di cento parole.
«Da quella sera Kumar vive al "Centro di accoglienza Don
Bosco" con i Missionari, e con tanti altri bambini come lui. Oggi ha un
letto in cui dormire, un posto a tavola dove mangiare, un tavolo per studiare.
«Lo sentiamo spesso ridere con gioia. È il suo modo semplice di ringraziare Dio. Anche noi siamo felici e ringraziamo
Dio per la gioia dei bambini che vivono al Centro».
Viene, quindi, precisato che «duecento ragazzi sono al sicuro, vivono, crescono, imparano al nostro
Centro».
È corretto presentare solo le
necessità più immediate di Kumar che «oggi
ha un letto in cui dormire, un posto a tavola dove mangiare, un tavolo per
studiare»?
Perché nulla viene detto sulle
esigenze affettive sue e degli altri bambini che vivono assieme a lui? Ha
ancora un senso una struttura di ricovero di ben 200 posti?
Perché non c'è nella lettera delle Missioni Don Bosco una
sola parola sugli aiuti dati o da dare alle famiglie di origine?
Per quali motivi non si fa
nemmeno cenno all'adozione, all'affidamento familiare a scopo educativo e
alle comunità alloggio?
Che cosa pensano i responsabili
delle Missioni Don Bosco del documento "Istituti mai più", presentato
al Convegno del 25 giugno 1997 dal CNCA, Coordinamento nazionale delle comunità
di accoglienza (2) a cui aderiscono moltissimi gruppi cattolici?
PERCHÉ
LE PENSIONI ABUSIVE DI TORINO CONTINUANO A RICOVERARE ANZIANI MALATI?
Riportiamo l'ordine del giorno presentato il 15 settembre 1998 dai
Consiglieri Pino Chiezzi, Francesco Moro, Rocco Papandrea e Laura Simonetti al Consiglio regionale
piemontese, ricordando che le pensioni abusive erano state denunciate dal CSA
alla Regione Piemonte e alla magistratura nel 1991.
Ordine del giorno
II Consiglio regionale del
Piemonte, considerato che:
• negli ultimi anni è
ulteriormente cresciuto il numero delle pensioni disposte ad ospitare persone,
per lo più anziane, autosufficienti; contemporaneamente, non è aumentato il
numero di persone anziane autosufficienti che trovano ospitalità in tali
strutture: si è così registrato un eccesso di offerta a fronte di una domanda
sostanzialmente costante;
• a fronte di tale eccesso, è
andato diffondendosi un fenomeno assai preoccupante, quello delle case di
riposo per autosufficienti che in realtà ospitano persone non autosufficienti
pur essendo prive della relativa autorizzazione;
• di fronte a tale fenomeno, che
in passato ha provocato numerosi scandali (cfr. le cosiddette pensioni lager) risulta assolutamente carente ed inadeguato il controllo ispettivo
operato dagli organi preposti. Anche quando vengono esercitati i controlli,
infatti, si verificano clamorose incongruenze: può ritenersi in tal senso
emblematica la storia di Villa Letizia di Via Belfiore 40, a Torino, gestita
dalla società Bonafous e dotata di 16 posti letto. Villa Letizia è in possesso
di una licenza di albergo ad una stella, ma dal 1990 - e forse anche prima -
ricovera anziani malati cronici non autosufficienti; nel 1993 l'USSL Torino
VIII negò a Villa Letizia l'autorizzazione al funzionamento come presidio
socio-assistenziale e due anni dopo il Comando dei NAS ne chiese la chiusura.
Nel 1996 fu revocata la licenza alberghiera e l'anno successivo fu negata
l'autorizzazione al funzionamento che, nel frattempo, la società Bonafous
aveva nuovamente richiesto; contro il diniego, la titolare fece ricorso al TAR.
Nel maggio 1997 ]'Assessorato regionale all'assistenza chiese un piano di
dimissione degli ospiti malati cronici non autosufficienti ed in agosto fu
emessa dall'Assessore comunale competente un'ordinanza di chiusura, contro la
quale fu presentato ricorso al TAR nel febbraio 1998. Ancora oggi, il Tribunale
amministrativo regionale deve emettere il pronunciamento definitivo.
Tutta la vicenda dimostra come il
TAR proceda con un'inammissibile lentezza e la Regione non voglia riconoscere
che nelle pensioni sono abusivamente ricoverati anziani malati cronici non
autosufficienti,
impegna la Giunta regionale
• a presentare a questa
assemblea, entro 30 giorni dalla data di approvazione del presente documento,
il quadro completo della situazione regionale per quel che riguarda il numero
di case di riposo e di locande per autosufficienti; il numero di case di
riposo per pazienti non autosufficienti; la frequenza ed i risultati dei
controlli effettuati su tali strutture e le sanzioni eventualmente comminate;
• a sollecitare il TAR ad
emettere sentenze definitive a fronte dei ricorsi dei privati, poiché il reiterare
provvedimenti sospensivi non solo non risolve le questioni controverse, ma
consente alle pensioni abusive di continuare ad incassare le laute rette.
* * *
Da parte nostra avanziamo i seguenti interrogativi:
- perché la magistratura non
interviene sul piano penale nei confronti dei responsabili di strutture prive
di autorizzazione?
- per quali motivi il TAR, dopo
aver assunto con sollecitudine i provvedimenti di sospensione degli ordini di
chiusura delle pensioni abusive (consentendo in tal modo la prosecuzione
dell'attività illecita), non emana le sentenze definitive?
- perché la Regione Piemonte e le
USL non intensificano i controlli e, soprattutto, per quali ragioni, dopo aver
accertato nelle pensioni abusive la presenza di anziani malati, non ne
dispongono l'immediato ricovero in strutture sanitarie?
(1) Cfr. l'articolo "Come abbiamo procurato un ricovero d'emergenza
a un nostro congiunto colpito da grave handicap intellettivo", Prospettive assistenziali, n. 123.
(2) Cfr. Prospettive assistenziali, n. 120, ottobre-dicembre 1997.
www.fondazionepromozionesociale.it