Prospettive assistenziali, n. 124, ottobre-dicembre 1998

 

 

un nostro grido di allarme di vent’anni fa purtroppo ignorato

 

 

Quasi vent’anni or sono, purtroppo non creduti da nessuno, avevamo segnalato su questa rivista che «a causa della caduta della partecipazione e del cambiamento di posizione dei partiti di sinistra, si sta procedendo, partendo dalle Regioni economicamente più sviluppate, ad una inaccettabile riorganizzazione del settore assistenziale mediante il graduale cambiamento dell’utenza degli istituti di ricovero. Si passa dagli anziani autosufficienti ai cronici, dai minori normali agli handicappati intellettivi gravi, dai disadattati alle persone con profondi disturbi psichiatrici» (1).

Precisavamo, inoltre, che «i posti letto per i suddetti ricoveri possono ammontare a 200.000, ma la cifra può salire anche in misura notevole in considerazione del fatto che la definizione tecnica di cronicità e di gravità è molto elastica».

Successivamente, nel commentare il testo parlamentare che unificava le proposte di legge presentate nel 1979 da DC, PCI e PSI (2), denunciavamo che l’assistenza era stata individuata come «il settore nel quale scaricare tutti coloro che sono rifiutati dalla sanità: gli anziani cronici, gli handicappati non inseribili nel lavoro, le persone con disturbi psichiatrici, i tossicodipendenti, gli alcoolisti, i disadattati non in fase acuta» (3) e che «alla sanità non si attribuisce il compito di curare e riabilitare finché si è malati o non autosufficienti a causa della mancanza di salute, ma ad essa si attribuisce la facoltà, del tutto discrezionale, di dichiararsi incompetente ad intervenire con la semplice affermazione che la fase acuta è terminata» per cui «stando così le cose, il settore sanitario non ha convenienza, in termini politici, economici ed operativi, a curare e riabilitare. Ha invece l’interesse, anche per quanto riguarda il carico di lavoro dei medici, degli infermieri e degli inservienti, a scaricare nell’assistenza gli utenti più difficili». Queste affermazioni erano state confermate poco tempo dopo da una indagine svoltasi in una casa di riposo a Torino (4).

Due anni dopo ritornavamo sull’argomento precisando che i contenuti delle proposte di legge allora presentate per la riforma dell’assistenza avevano lo scopo di rinchiudere negli istituti «soprattutto quanti non sono e non saranno mai in grado di protestare, di comunicare le loro drammatiche esperienze, di innescare la protesta della parte più sensibile della popolazione» (5).

Evidenziavamo, altresì, che «case protette e cronicari sono destinati a sostituire i vecchi manicomi, incrementando notevolmente il numero dei reclusi, non fornendo ad essi nemmeno le misere garanzie formali della legge manicomale del 1904 e dando agli speculatori privati ampie possibilità di far quattrini».

 

Il nefasto documento del Consiglio sanitario nazionale del 1984

 

Parimenti inascoltato è stato il nostro grido di allarme lanciato sulle nefaste conseguenze del documento, proposto dal Prof. Achille Ardigò, e approvato in data 8 giugno 1984 da tutti i componenti del Consiglio sanitario nazionale: rappresentanti delle Regioni, dei datori di lavoro, dei sindacati dei lavoratori CGIL, CISL e UIL, dei commercianti, degli artigiani, dei coltivatori diretti, ecc. (6).

Nel documento veniva brutalmente stabilito che gli anziani non autosufficienti (7) dovevano essere trasferiti dalle strutture sanitarie alle case protette e organismi similari allo scopo di ridurre gli oneri del Servizio sanitario nazionale nella misura massima del 50%, addebitando la differenza agli
utenti.

 

Il devastante decreto Craxi del 1985

Il citato documento del Consiglio sanitario nazionale è stato la base del devastante decreto emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri Bettino Craxi in data 8 agosto 1985.

Nonostante che questo decreto avesse un mero valore amministrativo, e quindi non modificasse nessuna delle leggi vigenti ed i suoi contenuti fossero chiaramente illegali (dirottamento dei vecchi colpiti da malattie inguaribili e da non autosufficienza dalla sanità all’assistenza, ricovero in strutture quasi sempre non valide e con personale professionalmente non preparato, attribuzione ai ricoverati di pesanti oneri economici, ecc.) non vi furono proteste per cui venne attuato dalle Regioni e dalle USL. Piena conferma ottenne anche dai Comuni, nonostante che ad essi fossero attribuiti compiti e spese non previsti da alcuna legge.

Va anche ricordato che il Parlamento, il Governo, le Regioni, le USL ed i Comuni hanno completamente ignorato la sentenza della Corte Suprema di Cassazione 10150/1996 in cui venne ribadito quanto segue:

1. le leggi vigenti riconoscono ai cittadini il diritto soggettivo (e pertanto esigibile) in materia di prestazioni sanitarie e di attività a rilievo sanitario, mentre gli stessi cittadini hanno solo un interesse legittimo (e quindi con ampi spazi di discrezionalità per la pubblica amministrazione) per quanto concerne gli interventi socio-assistenziali;

2. le cure sanitarie devono essere fornite sia ai malati acuti che a quelli cronici;

3. essendo un atto amministrativo, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 agosto 1985 non ha alcun valore normativo;

4. si deve far riferimento alle prestazioni socio-assistenziali esclusivamente quando «sia prestata soltanto una attività di sorveglianza o di assistenza non sanitaria» (8).

 

Le nostre inascoltate proposte avanzate nel 1984

 

A. In merito al concetto di cronicità scrivevamo quanto segue: «Premesso che l’attenzione prioritaria deve essere rivolta a prevenire la cronicità, riteniamo che sia inaccettabile usare il concetto di cronicità (o qualsiasi altra definizione) per discriminare le persone malate.

«Se il personale sanitario ritiene necessario, ai fini terapeutici o organizzativi, usare i concetti di acuzie, cronicità, lungodegenza, non abbiamo nulla da obiettare allo stesso modo per cui ci sembrano pienamente giustificate le definizioni di terapia intensiva, terapia normale, cure minime.

«Riteniamo invece lesiva dei diritti dei cittadini ogni classificazione usata nel campo sanitario, scolastico (9), abitativo, culturale per allontanare i più deboli dal contesto in cui sono inserite le persone cosiddette normali».

B. Circa le competenze del settore sanitario, le nostre riflessioni erano così formulate: «A nostro avviso debbono essere attribuite “esclusivamente alla competenza sanitaria (e non a quella assistenziale) gli interventi nei confronti delle persone la cui mancanza di autonomia è dovuta a mancanza di salute”.

«L’esclusiva competenza del settore sanitario dovrebbe riguardare gli interventi nei confronti delle persone che, a causa di disagi psicofisici, siano essi acuti o cronici, non sono in grado di svolgere le funzioni proprie della loro età.

«Gli interventi dovrebbero essere di tipo ambulatoriale e/o domiciliare nei casi in cui obiettivi motivi di opportunità terapeutico-riabilitativa non impongano la degenza a carattere continuativo; di tipo residenziale negli altri casi.

«Le dimissioni (o non accettazioni) di ammalati dagli ospedali sono giustificate, pertanto, solo nei casi di recuperato benessere psico-fisico, o comunque in presenza di servizi territoriali alternativi che consentano il conseguimento di tale obiettivo.

«Le eventuali norme dirette a far carico ai cittadini di oneri economici, quali i tickets sulle prestazioni sanitarie e sui costi alberghieri delle rette di ricovero assistenziale, debbono riguardare tutti gli utenti, indipendentemente da qualsiasi loro classificazione (acuti, cronici, lungodegenti, lungoassistiti, convalescenti, ecc.).

«Devono restare di esclusiva competenza del settore sanitario gli interventi relativi al superamento dei disagi psico-fisici per quanto concerne le persone con disturbi mentali ed i tossicodipendenti.

«Per quanto riguarda gli anziani cronici non autosufficienti tutte le competenze dovrebbero essere concretamente assunte con la massima urgenza dal settore sanitario, così come è d’altra parte previsto dalla legge vigente.

«Ovviamente occorrerà operare affinché i servizi sanitari non vengano attuati secondo i consolidati metodi di intervento che privilegiano la cura delle malattie, senza tener conto delle esigenze personali. Invece la prevenzione, la cura, la riabilitazione, per essere efficaci, debbono prioritariamente prendere in considerazione le esigenze personali e sociali. Di qui la necessità che le
tecniche siano adattate alla persona e non viceversa».

C. Infine, nei confronti dell’integrazione dei servizi assistenziali e degli interventi sociali, osservavamo quanto segue: «Per una politica di reale promozione umana e sociale è, inoltre, indispensabile l’integrazione dei servizi e interventi sociali: sanità, scuola, casa, cultura, ecc. Ma l’integrazione fra servizi e interventi di settori diversi presuppone che ciascuno di detti settori abbia una sua autonoma organizzazione (e cioè propria competenza, proprio personale, proprio bilancio, proprie strutture e attrezzature) in modo da essere in grado di rispondere alle specifiche funzioni assegnate.

«In secondo luogo, per l’integrazione fra settori diversi è indispensabile predisporre piani comuni di lavoro che nello stesso tempo salvaguardino la specificità di ciascun settore e realizzino interventi coordinati per una più completa risposta alle esigenze dei singoli, delle famiglie, delle comunità.

«Nei casi in cui le suddette condizioni manchino, anche se solo parzialmente, non si realizza l’integrazione ma il settore più debole viene inglobato da quello più forte oppure è posto in condizione di un più o meno accentuato asservimento.

«Spesso è questa la posizione che il settore assistenziale – e non soltanto in Italia – ha nei confronti della sanità.

«Da queste considerazioni trae origine la nostra proposta di una piena autonomia (che non vuol dire separatezza o autarchia) del settore assistenziale, autonomia che presuppone – lo ripetiamo – una definizione precisa delle competenze assegnate, un proprio organico del personale addetto, proprie strutture e attrezzature ed un proprio bilancio.

«L’art. 30 della legge 27 dicembre 1983, n. 730, è stato approvato dal Parlamento anche sotto la spinta di coloro che, con molta superficialità, hanno sostenuto che la sanità deve corrispondere al settore assistenziale gli oneri di rilievo sanitario derivanti dallo svolgimento di attività contemplate dalla legge 833/1978 fra quelle di competenza del servizio sanitario nazionale.

Questa argomentazione è fondata sulla presunta necessità – da noi contestata – che certe categorie di malati (ad esempio gli anziani cronici non autosufficienti) devono essere assistiti, curati e riabilitati dal settore assistenziale, al quale la sanità deve solo rimborsare le spese di natura sanitaria (personale medico ed infermieristico, prodotti farmaceutici).

«È sorta così la definizione – usata solo nel campo assistenziale – delle spese alberghiere a carico dell’assistenza e quindi, in tutta la misura del possibile, degli utenti e dei loro familiari.

«Pertanto, per il settore sanitario, non si parla mai di spese alberghiere (si tratta di spese per riscaldamento, vitto, pulizia dei locali, igiene personale). Comunque esse non sono a carico dell’utente e dei familiari; mentre questi costi sono calcolati e spesso anche addebitati nel settore assistenziale, addirittura allo stesso utente. Capita perciò di trovarsi nella situazione assurda in cui il giorno prima, all’anziano ricoverato in ospedale, non viene addebitato nulla per vitto, riscaldamento, pulizia; il giorno dopo, essendo il paziente trasferito in un istituto, gli vengono addebitate le cosiddette spese alberghiere. E si tratta di una somma rilevante, dalle 15 alle 30 mila lire al giorno!

«La retta di ricovero di un anziano cronico non autosufficiente in un istituto di assistenza può arrivare alle 50-60 mila lire al giorno. Una somma insostenibile per la stragrande maggioranza dei cittadini.

«Per evitare le loro proteste (e per rendere sopportabili gli oneri a carico degli utenti e dei familiari), le conseguenze economiche derivanti dal “dirottamento” di pazienti dal settore sanitario a quello assistenziale vengono attenuate dal “provvidenziale” art. 30 della legge 27 dicembre 1983 n. 730 in modo da consentire, ad avviso del Consiglio sanitario nazionale:

– il minimo carico possibile di spese al settore sanitario;

– il minor carico di lavoro da parte di medici e paramedici;

– la massima assunzione di oneri economici da parte degli utenti e dei parenti tenuti agli alimenti.

In conclusione ai cittadini più deboli si può applicare il detto “imbrogliati e contenti”».

 

Conclusioni

Terminavamo l’articolo del 1984 con le seguenti considerazioni: «C’è ancora spazio per evitare questa nuova emarginazione di massa e questa rilevante ed indebita sottrazione di denaro? Crediamo di sì, a condizione che operatori, sindacati, associazioni dell’utenza, movimenti di base prendano urgentemente adeguate misure».

Purtroppo queste condizioni non si sono verificate e siamo addirittura arrivati al punto che il Segretario generale della CGIL, Sergio Cofferati, nella lettera inviata al CSA in data 30 luglio 1997, ha scritto che «essere anziani cronici non è una malattia» (10).

Da parte nostra continuiamo ad operare per gli altri e anche per noi stessi, affinché alle persone colpite da malattie inguaribili siano assicurate le necessarie cure sanitarie, come è previsto, d’altra parte, non solo dalle leggi vigenti, ma anche dal semplice buon senso.

 

 

 

(1) Cfr. l’editoriale del n. 48, ottobre-dicembre 1979, di Prospettive assistenziali “Inaccettabile l’attuale riorganizzazione del settore assistenziale”.

(2) Cfr. “La non riforma dell’assistenza”, Ibidem, n. 54, aprile-giugno 1981.

(3) Ricordiamo che, ai sensi del decreto legislativo 112/1998, ai servizi sociali sono stati assegnati compiti in materia di tossicodipendenza e alcooldipendenza, finora esercitati – giustamente a nostro avviso – dal comparto sanitario.

(4) Cfr. “Gli anziani cronici non autosufficienti: eutanasia da abbandono - Una ricerca in una casa di riposo”, Ibidem, n. 59, luglio-settembre 1982.

(5) “I nulla”, Ibidem, n. 64, ottobre-dicembre 1983.

(6) Cfr. “Tutto è pronto per una nuova emarginazione di massa”, Ibidem, n. 68, ottobre-dicembre 1984.

(7) Il Consiglio sanitario nazionale sapeva benissimo che si trattava di anziani malati. Infatti nel documento era precisato che «storicamente il non autosufficiente è stato ricoverato e assistito in ambito ospedaliero e paraospedaliero».

(8) Cfr. “La Corte di Cassazione conferma il diritto dei malati cronici alle cure sanitarie”, Ibidem, n. 117, gennaio-marzo 1997.

(9) Si pensi alla definizione di “ascolastico”, molto usata negli anni ’70-’80 con lo scopo di espellere i bambini problematici dalla scuola normale.

 

 

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