Prospettive
assistenziali, n. 124, ottobre-dicembre 1998
volontariato e rapporti con le istituzioni
Dal volume
“Le frontiere del sociale - Secondo rapporto” della Fondazione Zancan, curato
da Giovanni Sarpellon e Tiziano Vecchiato, riportiamo il paragrafo
“Volontariato, partiti, istituzioni: un’indipendenza difficile”, in cui sono
contenute importanti riflessioni.
Da parte
nostra rileviamo solamente che la collaborazione, o più precisamente, il
confronto con le istituzioni non comporta necessariamente «una sorta di
dipendenza» dalle istituzioni stesse.
«Come i partiti percepiscono in maniera
ambivalente il crescente ruolo politico del volontariato, altrettanto poco
definita è la posizione che il volontariato assume nei confronti dei partiti.
Più precisamente bisogna notare che alcuni settori del volontariato sono
tentennanti nello svolgere (o sviluppare) la possibile funzione di stimolo,
critica, innovazione che potrebbero svolgere nei confronti dei partiti: esitano
cioè ad entrare in conflitto con loro. Perché tanta prudenza? La risposta può
forse venire richiamando alla mente le precedenti osservazioni sul
legame/sovrapposizione che in questi decenni si è stabilito fra partiti di
governo e istituzioni, in conseguenza del quale una relazione conflittuale con
uno dei due soggetti può facilmente allargarsi all’altro. Buona parte del
volontariato non può più permettersi questo doppio conflitto. Questa
conclusione deriva da alcune semplici osservazioni.
«Se il volontariato oggi si pone il problema del
suo possibile ruolo politico, ciò avviene perché esso è diventato in questi
anni una realtà forte e diffusa in gran parte del paese; ma proprio perché esso
è tale, il volontariato ha dovuto stabilire una serie di rapporti con le
istituzioni, collaborando con esse nel duplice intento di aiutare le
istituzioni a svolgere meglio i loro compiti e di trovare a sua volta nelle
istituzioni un aiuto per compiere il proprio lavoro. Si è cioè stabilita una
sorta di dipendenza che necessariamente limita la libertà di critica e
scoraggia il possibile sorgere del conflitto che potrebbe derivare
dall’esercizio da parte del volontariato del suo ruolo di rappresentanza e di
proposta.
«Cruciale, nel definire la natura di questo
legame, è l’esistenza della “convenzione”, in virtù della quale l’organismo di
volontariato si assume il compito di svolgere un servizio in nome e per conto
dell’ente pubblico. La convenzione comporta alcune conseguenze che non sempre
vengono appieno valutate. Anzitutto essa induce nell’organizzazione uno
sviluppo che può essere mantenuto nel tempo solo se le risorse che la
convenzione stessa mette a disposizione continuano ad essere regolarmente
disponibili: in questo modo si stabilisce una dipendenza vitale del
volontariato nei confronti dell’ente convenzionante; in secondo luogo, poi,
l’aver assunto la responsabilità dell’erogazione di un servizio pubblico
conduce necessariamente l’organismo di volontariato a strutturarsi in modo da
poter svolgere permanentemente questa opera e a dotarsi quindi, gradualmente ma
inevitabilmente, di una organizzazione stabile (fatalmente preoccupata,
anzitutto, della propria sopravvivenza).
«I problemi che da questa trasformazione possono
derivare appaiono forse più evidenti ove si provi a immaginare, a titolo
d’esempio, la probabile vicenda di un qualche gruppo di volontariato. Si pensi,
tanto per citare un caso fra i mille possibili, al destino di un gruppo che
inizia la propria attività di assistenza domiciliare nel proprio quartiere
facendo ricorso all’opera prestata dai propri aderenti; il gruppo si espande
poi nei quartieri vicini e, grazie alle risorse generosamente messe a
disposizione da alcuni sostenitori, riesce anche a usufruire della
collaborazione part-time di alcune assistenti domiciliari professionali; il
successo di questa iniziativa spinge alla fine il gruppo a presentarsi per
concorrere all’assegnazione dell’intero servizio di assistenza domiciliare del
comune. A partire da questo momento emerge non solo la necessità di ben
organizzare i turni di presenza dei volontari, ma anche, probabilmente, di
ricorrere ad un maggior apporto di professionisti e, in poche parole, a dar
vita ad una vera e propria organizzazione la quale, dal momento che esiste,
richiede di per sé di continuare ad esistere: il nostro gruppo di volontariato
dipende alla fine dalla convenzione e questa non può cessare senza creare
problemi molto gravi.
«Quanti gruppi di volontariato hanno seguito un
percorso simile?
«È chiaro che la convenzione, in termini generali,
può trasformarsi da risorsa in problema. Un atteggiamento troppo acritico, o
conflittuale, dell’organismo di volontariato nei confronti dell’istituzione (o
del partito che domina l’istituzione) può produrre pericoli letali in ordine
alla sopravvivenza dell’organismo stesso.
«V’è tuttavia un’altra considerazione che
dev’essere almeno accennata, essendo importante anche se estranea alla tematica
qui discussa. La convenzione induce l’organismo di volontariato non solo a
professionalizzarsi e a darsi un’organizzazione di tipo aziendale, ma anche a
strutturarsi per operare indefinitamente nel tempo: non è questa la strada, già
percorsa mille volte lungo i secoli, attraverso la quale il volontariato si è
trasformato in sistema privato di assistenza? Nessuno può sostenere che ciò sia
necessariamente un male: ma sembra evidente che nel mondo del volontariato non
è presente una sufficiente consapevolezza della metamorfosi in corso e che poco
o nulla si fa per governare questo processo. Buona parte del volontariato
d’oggi ha avuto origine proprio dalla critica delle perversioni del vecchio
sistema privato d’assistenza: sarebbe ben singolare che lo stesso volontariato
inconsapevolmente desse oggi vita a qualcosa di simile a ciò da cui all’origine
voleva anzitutto differenziarsi».
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