Prospettive assistenziali, n. 125, gennaio-marzo 1999
basta con gli istituti per i bambini del terzo mondo: una
lettera delle missioni don bosco e la nostra replica
Alla nota “Le Missioni Don Bosco forniscono informazioni corrette sulle
esigenze di bambini che assistono?”, pubblicata nel numero scorso, le stesse
Missioni Don Bosco ci hanno inviato il 3 febbraio 1999 la lettera che
pubblichiamo integralmente.
Ci scusiamo per il ritardo con
cui rispondiamo alla Vostra del 12/01/1999. Vi ringraziamo per averci offerto
l’opportunità di replicare all’articolo apparso sul n. 124 di “Prospettive
assistenziali”.
L’Associazione Missioni Don Bosco
è nata nel 1991 allo scopo di sensibilizzare le persone nei confronti della
realtà dei Paesi in via di sviluppo e di raccogliere fondi per sostenere le
iniziative ed i progetti dei Missionari salesiani che lavorano fuori
dall’Italia. La lettera da voi riprodotta nell’articolo sopra menzionato
risponde quindi a queste esigenze: far capire che esistono, in Paesi lontani
dal nostro, situazioni di necessità e far comprendere che, con un piccolo
sacrificio, si può dare un aiuto a chi lavora “sul campo”. Lo stile della
missiva è semplice e ovviamente non può dare un quadro completo dell’attività
svolta; chi vuole saperne di più, chi non condivide le nostre scelte, chi vuole
impegnarsi in prima persona può scrivere o telefonare in Associazione per
conoscerci meglio.
Nel leggere l’articolo apparso su
“Prospettive assistenziali” abbiamo avuto l’impressione che l’autore non avesse
compreso che la vicenda narrata da Sr. Nancy si svolgesse a Bangalore (India),
ma fosse certo che il tutto fosse avvenuto in Italia. Sia chiaro: non stiamo
dicendo che i bambini indiani abbiano minori diritti rispetto a quelli
italiani, ma soltanto che sarebbe opportuno rendersi conto della realtà
normativa, sociale ed economica di un Paese prima di esprimere dei giudizi
sugli interventi effettuati. Ci rendiamo conto che l’utilizzo della parola
“istituto” per indicare le Case in cui i ragazzi vanno a scuola o seguono
attività ricreative possa essere fuorviante per chi è abituato a confrontarsi
con la realtà italiana. Ci preme puntualizzare che non si tratta mai di
strutture in cui il minore viene “internato”: vi trascorre una parte della
giornata e poi torna a casa; rimane a dormire solo chi non ha una casa a cui
tornare. Ai bambini non si dà solo un piatto di riso (che non sempre c’è!), un
tavolo per studiare ed un letto per dormire: prima di tutto li si ascolta e li
si accoglie, nel senso pieno del termine. Se così non fosse, se non si
sentissero amati, dopo aver mangiato e dormito se ne andrebbero: non ci sono
porte chiuse a chiave.
È ovvio che i ragazzi, il più
delle volte, provengono da famiglie disgregate o con seri problemi economici: è
chiaro che per aiutare davvero i ragazzi si devono innanzi tutto aiutare le
famiglie d’origine. Il sostegno può essere di tipo “economico”, ma mai di
stampo meramente assistenziale: nel caso di specie, Sr. Nancy Pereira ha
ricevuto alcuni riconoscimenti (anche fuori dall’India) per essere stata tra i
primi a ideare e realizzare progetti di microcredito, soprattutto a favore
delle donne, per finanziare piccole attività autonome. Più generalmente, le
famiglie (laddove esistono) vengono coinvolte nel progetto educativo che
riguarda i figli.
Ci sembra poi che non si tenga in
dovuta considerazione il fatto che le politiche sociali che in Italia (almeno
in teoria) sono destinate all’attuazione difficilmente sono praticabili nei
Paesi in via di sviluppo: questo non significa che non ci si batta per crearle
e realizzarle. Nell’articolo si parla di adozione e di affidamento familiare:
in India, per esempio, è stata condotta una vasta campagna per promuovere
l’adozione nazionale, ma per ragioni legate alle tradizioni e alla cultura
locale ancora oggi l’adozione di un minore indiano si svolge principalmente in
questo modo: il futuro padre si reca in uno degli istituti autorizzati a
svolgere pratiche di adozione (e quelli salesiani non lo sono) e sceglie il
maschio di pelle più chiara. Nei Paesi in via di sviluppo chi vive in
condizioni economiche relativamente agiate non sempre è disponibile
all’accoglienza di chi versa in stato di necessità. Ciò nonostante, stiamo
portando avanti in varie parti del mondo progetti di “casa famiglia”: una
coppia adeguatamente preparata accoglie minori che non hanno famiglia o che
hanno bisogno di fare riferimento ad adulti “affidabili”; sovente questo è il
frutto dell’impegno di quelle che da noi potrebbero chiamarsi “associazioni di
volontariato”, quindi del privato sociale. In Sudan, per esempio, si è scelta questa
strada per rendere accessibili ai ragazzi del carcere minorile i corsi
professionali della scuola salesiana: invece che tornare in prigione, i ragazzi
sono inseriti in una famiglia che se ne assume la responsabilità.
Non ci sembra quindi di essere così
lontani dal modo di operare che voi auspicate; sicuramente tutto ciò non emerge
dalla lettera da voi citata, ma non è molto difficile “scoprire” come
lavoriamo.
Un ultimo accenno alla nostra
mancata adesione al CNCA: lo scopo istituzionale dell’Associazione Missioni
Don Bosco è l’intervento a favore dei Paesi stranieri in via di sviluppo. La
situazione minorile in Italia è al centro dell’attenzione di altre
organizzazioni salesiane. Per quanto ci concerne, dal 7 all’11 dicembre 1998 si
è tenuto a Roma il “Meeting internazionale Ragazzi di Strada”; vi inviamo una
copia della sintesi finale: potrebbe esservi utile per conoscere il nostro modo
di lavorare.
Vi ringraziamo per l’attenzione
che vorrete dedicarci. Auguri per il vostro lavoro.
Don Pier Luigi Zuffetti,
Presidente Associazione Missioni Don Bosco
La nostra replica
Due considerazioni:
1. Da oltre quarant’anni tutte le
ricerche scientifiche sono concordi nell’affermare che le carenze di cure
familiari ed i ricoveri in istituti, compresi quelli avente personale
adeguatamente preparato, provocano danni assai gravi alla personalità dei
bambini, danni che – molto spesso – sono permanenti e pregiudicano l’intera
loro vita.
Ovviamente questa situazione
riguarda tutti i bambini del mondo.
Per questi motivi Prospettive assistenziali non solo ha
lottato e lotta contro il ricovero in istituto in Italia, ma, per quanto
possibile, anche negli altri paesi (1), e si adopera per la creazione dei
necessari servizi alternativi, di modo che a tutti i fanciulli sia garantita
una famiglia (a seconda dei casi, quella biologica, o affidataria o adottiva
preferibilmente del paese di origine del minore).
Solo quando le soluzioni
precedenti non sono effettivamente attuabili, dovrebbero essere istituite
comunità alloggio con un massimo di 8-10 posti al fine di assicurare ai minori
una vita abbastanza simile a quella della famiglia.
Pertanto, a nostro avviso, in
Italia e all’estero non solo non dovrebbero più essere costruiti istituti
(compresi quelli organizzati, nei cosiddetti gruppi-famiglia come, ad esempio,
i villaggi SOS), ma dovrebbero anche essere al più presto superati quelli
esistenti.
Certo è che spostare l’intervento dal ricovero alla famiglia comporta un salto culturale e operativo che non sempre le organizzazioni sociali, comprese quelle religiose, intendono compiere.
Le numerose e forti resistenze
frapposte in Italia da numerosi enti all’adozione dei minori privi di
assistenza morale e materiale da parte dei genitori, sono una prova evidente
delle difficoltà da superare (2).
Al riguardo è estremamente
positivo che una importante organizzazione, come quella presieduta da Don
Benzi, abbia compiuto, sia in Italia che nei Paesi del Terzo Mondo in cui
opera, una netta scelta a favore del diritto del minore alla famiglia, come
risulta dall’articolo apparso su Sempre,
novembre 1998, che riproduciamo integralmente in questo numero.
2. Continuiamo a ritenere
fortemente diseducative, come avevamo motivato nello scorso numero, la
richiesta di contributi economici avanzata dalle Missioni Don Bosco (o da altre
istituzioni pubbliche e private) presentando con toni pietistici le condizioni
di vita dei minori (o di qualsiasi persona) e fornendo informazioni non
realistiche sui “prodigiosi” risultati ottenuti mediante il ricovero dei soggetti
bisognosi in istituti a carattere di internato (3).
(1) Fra
le nostre prese di posizione contrarie alla creazione di istituti all’estero,
ricordiamo: “Istituti di ricovero per bambini somali?” (n. 103), “Perché si
costruiscono all’estero istituti di ricovero per bambini?” e “Inaccettabile
iniziativa del SERMIG” (n. 115), “In Italia e all’estero non si devono più
costruire istituti per minori” (n. 116), “No all’orfanotrofio che l’Antoniano
vuole costruire in Bolivia” e “Istituti mai più” (n. 120), “Per quali motivi
Luciano Pavarotti vuole costruire un istituto in Liberia?” (n. 123).
(2) Si
veda, ad esempio, “Indagine sull’applicazione della legge sull’adozione
speciale da parte delle istituzioni di assistenza” (Prospettive assistenziali, n. 3/4, luglio-dicembre 1968) da cui
risulta che su 41 istituti presi in esame, di cui molti gestiti da
congregazioni religiose, nessuno aveva adempiuto all’obbligo, previsto dalla
legge 431/1967, di inviare al giudice tutelare l’elenco dei minori ricoverati
al fine di individuare quelli adottabili; “Inadempienza di istituzioni
pubbliche e private di assistenza” (n. 7); “Indagine conoscitiva su alcuni
istituti ed enti di protezione e assistenza all’infanzia esistenti in Piemonte”
e la lettera inviata dall’Associazione nazionale famiglie adottive alle
autorità religiose in data 20.9.1969 avente per oggetto “Inadeguata assistenza
ai minori e disapplicazione della legge sull’adozione speciale da parte delle
istituzioni di assistenza” (n. 8/9), “Istitutuzioni ecclesiastiche di
assistenza: partecipazione o isolamento - Atti del 40° Congresso nazionale
FUCI” (n. 10), “Indagine conoscitiva su alcuni istituti educativo-assistenziali
nel Lazio” (n. 11/12), “Reazioni ai recenti scandali dell’assistenza”
contenente anche lo scambio della corrispondenza intercorsa nel 1970 fra
l’Unione italiana per la promozione dei diritti del minore e la Segreteria di
Stato del Vaticano (n. 13, gennaio marzo 1971).
(3)
Nella lettera inviata nel giugno 1998 dalle Missioni Don Bosco alla mamma (deceduta
da oltre 25 anni!) di un nostro lettore, un fanciullo di 6 anni di nome Kumar,
che «gira solo per le strade del suo
villaggio, Pallikonda, nell’India meridionale (...) stanco, rannicchiato su se stesso, con il capo sulle ginocchia» dopo
aver incontrato una suora «vive al
“Centro di accoglienza Don Bosco” con i Missionari e con tanti bambini come
lui. Oggi ha un letto in cui dormire, un posto a tavola dove mangiare, un
tavolo per studiare. Lo sentiamo spesso ridere con gioia». Nella stessa
lettera veniva altresì precisato che «duecento
ragazzi sono al sicuro, vivono, crescono, imparano nel nostro Centro».
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