Prospettive assistenziali, n. 125, gennaio-marzo 1999
Interrogativi
perché
il sindacato non pensa ai disoccupati handicappati?
In data 25 gennaio 1999 il CSA, Coordinamento
sanità e assistenza fra i movimenti di base, e il GGL, Gruppo genitori per il
diritto al lavoro delle persone con handicap intellettivo, hanno distribuito di
fronte alle sedi torinesi della CGIL, CISL e UIL la lettera aperta qui
riportata.
La redazione di “Prospettive assistenziali” chiede
ai dirigenti ed agli iscritti ai Sindacati CGIL, CISL e UIL: non ritenete che
il vostro disinteresse nei confronti dei disoccupati handicappati sia una
deplorevole forma di razzismo?
lettera aperta alle
organizzazioni sindacali
Il 17 novembre scorso il Segretario provinciale
torinese della CISL, interrogato durante un convegno sulle prospettive di lavoro
per gli handicappati intellettivi, ha risposto che, in un momento di
instabilità economica come l’attuale, non si possono caricare le imprese anche
di questo problema.
ribattiamo che non è un problema economico ma culturale e
politico
A maggiori utili ed a crescita economica non corrisponde maggiore occupazione:
infatti, secondo i dati Mediobanca dell’agosto ’98, mentre le Aziende hanno
registrato un aumento degli utili del
53%, l’occupazione è scesa dell’1,6%.
Ricordiamo
che ci stiamo battendo per il diritto al
lavoro di persone con un handicap intellettivo, in grado di lavorare con una resa produttiva costante e certa e non
è quindi un problema di “disagio psichico” (secondo l’ambigua espressione del
Segretario CISL).
Dal
1984, circa 300 di loro sono stati assunti e stanno lavorando in Comune,
Provincia, Aziende sanitarie, ENEL, AEM, Italgas, AMIAT, Acquedotto, Aziende
private. Alcune decine di loro lavorano presso negozi, supermercati, piccole
aziende artigiane. Circa un centinaio lavorano nelle cooperative che gestiscono
la pulizia e la manutenzione delle scuole.
ed il sindacato che cosa ha fatto?
Il
Segretario provinciale della CISL non ha fatto proprio nulla, anzi, non chiede neppure,
rinuncia addirittura in partenza.
Non
solo, ma in passato le OO.SS. hanno anche avallato accordi negativi come a Biella, dove si era accettata la
riduzione del salario fino al 60% ed a Treviso,
nel ricco Nord-Est dove la disoccupazione è al 6%, in cui si delegava
praticamente alle cooperative sociali l’inserimento lavorativo degli
handicappati in cambio di commesse da parte delle Aziende, applicando a loro
uso e interesse la Legge 482/68 sul collocamento al lavoro degli handicappati.
chiediamo che il sindacato tuteli questi lavoratori
tuttora disoccupati
A
Torino sono circa 300 gli
handicappati intellettivi ed i fisici con limitata autonomia ma in grado di
lavorare, iscritti nelle liste di collocamento.
il sindacato deve rivendicare posti di lavoro anche per
questi giovani
che non sono diversi dagli altri giovani disoccupati
La
Città di Torino sta predisponendo piani di intervento per rilanciare il settore
alberghiero e della ristorazione; vi sono sostanziosi finanziamenti per il
settore commercio, soprattutto in vista della riqualificazione di Porta
Palazzo.
Sono
state investite risorse consistenti per la candidatura alle Olimpiadi 2006 ed
in è in vista una ulteriore ostensione della Sindone.
si tratta di centinaia di posti di lavoro nei quali si
possono e si devono trovare spazi e mansioni adatti alle persone con handicap
intellettivo e fisico con limitata autonomia
Ricordiamo
anche che c’è un accordo siglato nel 1996 tra il Comune, le OO.SS., CGIL, CISL
e UIL, l’Unione Industriale e l’A.P.I. che prevede un incentivo di più di 20
milioni per ogni giovane handicappato intellettivo assunto.
C’è un
servizio per l’inserimento lavorativo presso il Comune (SIL) che garantisce
l’avviamento e la formazione.
Le imprese hanno ottenuto in questi anni: cassa
integrazione, mobilità, flessibilità e rottamazione.
che azioni ha promosso il sindacato per combattere
l’evasione della legge 482/68
e per chiedere posti di lavoro per gli handicappati
intellettivi e
fisici con limitata autonomia?
Non
dare lavoro alle persone handicappate significa condannarle all’isolamento e
privarle della possibilità di condurre una vita normale relegandole in
situazione assistenziale.
ci sono impegni che solo voi del sindacato potete
assumere:
ci aspettiamo al più presto una vostra iniziativa
la pastorale per gli anziani non autosufficienti non deve
tener conto della loro condizione di malati?
Sul n.
2/3, giugno-settembre 1998 di Anziani
Oggi, pubblicazione del Centro di promozione e sviluppo dell’assistenza
geriatrica dell’Università cattolica del Sacro Cuore, è apparso un articolo di
Massimo Petrini con il titolo “Spiritualità e geriatria: orientamenti per la
pastorale delle persone anziane non autosufficienti”.
L’Autore
afferma giustamente che per introdurre correttamente il tema della pastorale
delle persone anziane non autosufficienti, e cioè di soggetti che vivono una
difficile situazione di vita, «è
necessario primariamente cercare di comprendere questa situazione di vita».
Allo
scopo, il Petrini pone alcuni interrogativi sulla condizione del vecchio privo
di autonomia: «Come sopporta la sua vita
limitata? Come sente la propria vita un uomo costretto all’immobilità? Possono
gli uomini sani comprendere lo stato d’animo di un uomo costretto
all’immobilità?».
Anche
noi poniamo degli interrogativi. In primo luogo chiediamo: perché l’Autore non
fa mai riferimento alla condizione essenziale degli anziani non
autosufficienti: quella di essere
colpiti da gravi malattie invalidanti? È questa una sua posizione personale o
riflette l’orientamento dell’Università cattolica del Sacro Cuore? Sa il
Petrini, che fa parte della redazione di Anziani
Oggi, che sono numerosi gli anziani non autosufficienti (malati di
Alzheimer, ad esempio) che non sono costretti all’immobilità e che, anzi,
creano gravi problemi a causa della loro ossessiva mobilità diurna e spesso
anche notturna?
L’Autore
analizza molteplici bisogni delle persone anziane non autosufficienti che
elenchiamo fedelmente: bisogno di significato, di scopo, di speranza, di
trascendere le circostanze della vita, di supporto per le proprie perdite, di
una continuità, di essere incoraggiato nei suoi atteggiamenti religiosi, di
essere coinvolto in momenti religiosi, del rispetto della sua dignità personale
e del suo valore, di un amore incondizionato, di esprimere collera e dubbi, di
perdonare ed essere perdonato e di prepararsi al morire e alla morte.
Perché
non c’è una sola parola in merito alla cura della malattia, all’eliminazione o
almeno alla riduzione del dolore e alla prevenzione delle complicanze?
Non si
tratta di questioni della massima importanza?
l’unitre è un esempio di informazione corretta?
Leggendo
“UNITRE Informa”, periodico degli
aderenti all’Associazione nazionale Università della Terza età, si constata che
mai sono trattati i problemi degli anziani cronici non autosufficienti e dei
malati di Alzheimer, nonostante siano evidenti le vistose carenze degli
interventi che dovrebbero essere forniti dal Servizio sanitario nazionale che,
invece, continua a rifiutare di considerarli dei malati di sua diretta
competenza.
Le
prestazioni sanitarie domiciliari, ambulatoriali e residenziali non solo sono
quasi sempre insufficienti o, addirittura, inesistenti, ma sono a carico dei
malati e dei loro congiunti spese rilevanti (nei casi di ricovero presso
strutture private, dai 4 ai 6 milioni al mese!), nonostante che la legge
vigente preveda che tutti gli oneri siano interamente coperti dal Servizio
sanitario nazionale.
La
drammatica esperienza del figlio di una anziana malata cronica non
autosufficiente costretto a sborsare, data l’inattività dell’USL, ben 102
milioni non ha insegnato nulla all’UNITRE?
Perché
UNITRE Informa non affronta il
problema dei vecchi colpiti da malattie invalidanti e da non autosufficienza?
Per
quali motivi non fornisce informazioni e consigli sull’argomento?
Le
Università della terza età ritengono forse corretto l’attuale comportamento
delle USL?
Perché l’anffas collabora con la provincia di Torino che
ha sottratto decine di miliardi agli handicappati intellettivi?
In
occasione del trasferimento ai Comuni delle competenze assistenziali riguardanti
gli handicappati intellettivi, invece di trasmettere – come prevedeva la legge
142/1990 – tutte le risorse finanziarie ai suddetti enti la Provincia di Torino
ha trattenuto quasi venti miliardi all’anno.
Di
conseguenza, vi è stata in molte zone una riduzione delle prestazioni
concernenti i centri diurni, le comunità alloggio e altri servizi essenziali.
Perché,
anziché lottare affinché la Provincia di Torino restituisca le decine di
miliardi sottratti, l’ANFFAS del capoluogo piemontese ha preferito allacciare
con la suddetta istituzione rapporti di collaborazione che si sono
concretizzati con la pubblicazione di un volume il cui titolo è – guarda caso –
“Le carte dei diritti”, o più esattamente – secondo la nostra trentennale
esperienza – “I diritti di carta”?
www.fondazionepromozionesociale.it