Prospettive assistenziali, n. 125, gennaio-marzo 1999
Editoriale
la riforma dell’assistenza: pessimo il testo unificato
predisposto dal comitato ristretto della commissione affari sociali della
camera dei deputati
Il CSA - Comitato per la difesa
dei diritti degli assistiti (1) ha predisposto il documento che riproduciamo integralmente.
Invitiamo tutti coloro che hanno
a cuore le condizioni della fascia più debole della popolazione di segnalare al
Ministro per la solidarietà sociale, ai Parlamentari e, in particolare, al
Presidente e ai Componenti della Commissione Affari sociali della Camera dei
deputati l’esigenza che la legge di riforma dell’assistenza (adesso denominata
“Disposizioni per la realizzazione del sistema integrato di interventi e
servizi sociali”) sia in grado di rispondere alle pressanti esigenze di coloro
che necessitano di interventi specifici per poter vivere e, sovente, per
sopravvivere (2).
Da parte nostra non riusciamo a
comprendere per quali motivi le Autorità affermino continuamente che lo Stato
non dispone dei mezzi economici per assistere le persone ed i nuclei familiari
(all’incirca da 1 a 1,5 milioni di soggetti) in situazione di bisogno (che
troppo spesso conducono un’esistenza a livelli subumani) e nello stesso tempo
decidano (si veda il testo unificato) di fornire a tutti i 56 milioni di
cittadini italiani prestazioni non indispensabili, ma solamente rivolte al
miglioramento della qualità della vita, soprattutto di coloro che attualmente
già conducono un’esistenza discreta o buona.
Da notare che quasi sempre gli
interventi previsti per tutta la popolazione non risolvono lo stato di bisogno
degli individui più deboli e indifesi (minori in situazione di abbandono totale
o parziale, handicappati intellettivi non in grado di svolgere alcuna attività
lavorativa a causa della gravità delle loro condizioni psico-fisiche, persone
senza fissa dimora, ecc.).
Rileviamo con estremo favore che
numerose organizzazioni hanno preso posizione inviando a Ministri per la
solidarietà sociale, On. Livia Turco (Via Vittorio Veneto 56, 00187 Roma) e
all’interno, On. Rosa Russo Jervolino (Palazzo del Viminale, 00100 Roma), alla
Presidente On. Marida Bolognesi, ai Vice-Presidenti, On.li Roberto Calderoli e
Paolo Polenta, nonché ai componenti (On.li Giacomo Baiamonte, Augusto
Battaglia, Giuseppe Bicocchi, Gloria Buffo, Maria Burani Procaccini, Rocco
Caccavari, Nicola Carlesi, Alessandro Cè, Francesca Chiavacci, Fabio Ciani,
Giulio Conti, Maura Cossutta, Paolo Cuccu, Fiorenzo Dalla Rosa, Silvana Dameri,
Giuseppe Del Barone, Sandro Delmastro Delle Vedove, Fabio Di Capua, Giovanni
Divella, Demetrio Errigo, Giovanni Filocamo, Giuseppe Fioroni, Mario Gatto,
Luigi Giacco, Salvatore Giacalone, Vasco Giannotti, Domenico Gramazio, Antonio
Guidi, Eugenio Jannelli, Francesco Paolo Lucchese, Giuseppe Lumia, Paolo Manca,
Piergiorgio Massidda, Adriana Poli Bortone, Carmelo Porcu, Annamaria Procacci,
Antonio Saia, Dino Scantamburlo, Elsa Signorino, Francesco Stagno D’Alcontres,
Tiziana Valpiana) della Commissione Affari sociali (Camera dei Deputati, 00100
Roma) il seguente appello: «Con la presente chiediamo che
nel testo unificato delle proposte di leggi concernenti “Disposizioni per la realizzazione del sistema integrato di interventi
e servizi sociali” siano previsti i seguenti punti irrinunciabili:
1. definizione dei soggetti aventi
diritto alle prestazioni. Al
riguardo dovrebbe essere rispettato il 1° comma dell’art. 38 della Costituzione
che così si esprime: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi
necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”. Pur
essendo necessario adeguare alla situazione odierna i concetti di “inabile” e
di “sprovvisto dei mezzi necessari per vivere” si ritiene che, anche a causa
della limitatezza delle risorse economiche, non debbano essere fornite prestazioni
assistenziali a coloro che hanno patrimoni e redditi sufficienti per poter
provvedere alle proprie esigenze;
2. definizione degli ambiti
territoriali e degli organi di governo
(Comuni singoli e associati) preposti alla gestione dei servizi, con
indicazione delle scadenze inderogabili della entrata in funzione degli organi
di governo;
3. precisazione dei servizi che
devono essere obbligatoriamente istituiti: in particolare per le persone
handicappate con limitata o nulla autonomia devono essere resi obbligatori i
seguenti interventi:
a) prestazioni di sostegno alla
singola persona o al nucleo familiare (assistenza economica, assistenza
domiciliare e personale);
b) interventi di sostituzione, anche
solo temporanea, del nucleo familiare (quando le iniziative di cui al punto
1 sono insufficienti) e quindi:
• affidamenti familiari;
• inserimenti in appartamenti protetti con un numero massimo di 4 posti per
soggetti handicappati in grado di autogestirsi;
• inserimenti in comunità alloggio con al massimo 8-10 posti (almeno 1
comunità ogni 30 mila abitanti) quando non sono attuabili gli interventi
precedentemente indicati;
c) centri diurni assistenziali a valenza educativa con lo scopo di favorire
la vita di relazione degli handicappati intellettivi che, a causa della gravità
delle loro condizioni, non sono in grado di svolgere attività lavorative con
resa continua e proficua. I centri diurni (almeno 1 ogni 30 mila abitanti)
devono ospitare al massimo 20-25 utenti ed essere aperti 8 ore al giorno per
almeno 5 giorni alla settimana;
4. definizione degli interventi che
devono essere svolti direttamente dagli enti gestori (ad esempio tutte le
attività relative all’accertamento del diritto alle prestazioni) e dei servizi
che possono essere affidati ad altri enti pubblici e privati;
5. trasferimento agli enti gestori di
tutte le funzioni assistenziali finora svolte dalle Province con i relativi
finanziamenti, personale, strutture e attrezzature;
6. conferma del vincolo di
destinazione dei redditi e patrimoni delle IPAB (istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) a favore degli
assistiti, tenendo conto della evoluzione degli interventi assistenziali;
7. definizione del ruolo del
volontariato e dell’associazionismo;
8. conferma della competenza del servizio
sanitario nazionale per quanto riguarda le cure sanitarie (domiciliari,
ambulatoriali e residenziali) per gli handicappati non autosufficienti a causa
di patologie in atto o loro esiti.
Documento
del CSA
Il Comitato ristretto della
Commissione Affari sociali della Camera dei deputati ha predisposto in data 12
novembre 1998 un testo che unifica le proposte di legge presentate dal Governo
e da Parlamentari per la riforma dell’assistenza.
Ne è risultata una stesura molto
preoccupante che, addirittura, non tiene in nessuna considerazione le norme
costituzionali.
Infatti non prevede interventi
specifici per coloro che non hanno le risorse indispensabili per la loro
sopravvivenza, nonostante che il 1° comma dell’art. 38 della Costituzione
stabilisca che «ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi
necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale».
In sostanza la Carta fondamentale
della Repubblica italiana riconosce che vi sono cittadini (in via di
larghissima approssimazione il 2-3% della popolazione e cioè da 1 milione a 1
milione e mezzo circa di persone) che, per poter vivere o almeno sopravvivere,
hanno la necessità di interventi aggiuntivi rispetto a quelli che devono (o
meglio dovrebbero) essere forniti dalla sanità, dalla casa, dall’istruzione,
dalla formazione professionale e dagli altri settori sociali.
Alcuni esempi sulla inderogabile necessità dei servizi assistenziali
Al fine di dimostrare l’esigenza
di interventi aggiuntivi per le persone ed i nuclei familiari in gravi difficoltà
economico-sociali, riportiamo alcune situazioni tratte dalla realtà quotidiana.
1. Maurizio è disoccupato ormai
da tre anni. Con la moglie Carla (invalida) e il piccolo Andrea vive in un
alloggio di periferia. L’affitto è di 250 mila lire al mese. Per un po’ di
tempo la situazione è stata risolta con i risparmi messi da parte. Da un anno
Maurizio è disperato e non vede nessuna via di uscita. A volte fa qualche
lavoretto, ma quel che ricava non è sufficiente per pagare l’affitto, la luce,
il gas e per provvedere alle altre necessità sue e della famiglia. Per sfamare
se stesso, la moglie e il figlio, e per le altre necessità familiari, l’unica
sua speranza attuale è il sussidio assistenziale.
2. È appena nata una bambina,
l’hanno chiamata Elena. La donna che l’ha partorita non l’ha riconosciuta.
Elena è quindi una bambina senza genitori. Mangia e dorme. Attualmente è
accolta in una comunità alloggio del Comune in cui è nata. È l’assistenza che
dovrà provvedere a Elena fino a che il Tribunale per i minorenni non l’avrà
affidata ad una famiglia a scopo di adozione.
3. Giovanni ha 7 anni. Gode di
buone condizioni di salute. Quando è necessario, interviene – come per tutti i
cittadini – il medico che è stato scelto nell’elenco predisposto dall’USL.
Abita con la madre (il padre è deceduto da tre anni) in un alloggio
dell’edilizia popolare. La madre lavora in una ditta tessile con uno stipendio
mensile di un milione e mezzo, sufficiente alle esigenze sue e del figlio. A
seguito della ristrutturazione dell’azienda, alla mamma di Giovanni è stato
assegnato il turno notturno. Non c’è stato niente da fare: o accettare o essere
licenziata. Si è rivolta all’assistenza, non avendo i mezzi economici per
pagare una persona che badi al bambino nelle ore in cui lavora. La soluzione individuata è l’affidamento di
Giovanni ad una famiglia dal lunedì sera al sabato mattino, con oneri
interamente a carico del Comune.
4. Ettore è colpito fin dalla
nascita da una grave forma di handicap intellettivo. Non è assolutamente in
grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze. Dopo aver frequentato
la scuola materna e quella dell’obbligo, è stato inserito in un centro diurno.
In questo modo Ettore svolge delle attività che gli consentono di non essere
totalmente dipendente dagli altri; nello stesso tempo i suoi genitori sono in
grado di continuare a tenerlo con loro.
5. Sandro ha 87 anni, la moglie
Marcella 75. Il marito ha la pensione minima, la moglie l’assegno sociale.
Abitano al quarto piano di una casa senza ascensore. Da qualche mese escono
quasi mai; non sono colpiti da nessuna malattia grave, ma si sono chiusi in
loro stessi. Il figlio Luciano è emigrato in Australia per motivi di lavoro
dove vive con la moglie e tre figli. L’unica soluzione possibile è l’intervento
del servizio di assistenza domiciliare.
6. Mario ha 73 anni. Da decenni è
una persona definita «senza fissa dimora». Non ha mai accettato le regole
sociali, regole che considera imposizioni insopportabili. Vuole essere
assolutamente libero. Si è sempre arrangiato. Poi non è più stato capace di
cavarsela da solo, anche se stava abbastanza bene sul piano psicofisico. Ha
chiesto di essere ricoverato in una comunità dove vive da 4 anni.
Anziché decidere di destinare le
risorse al soddisfacimento dei bisogni primari di questi cittadini, il testo
che stiamo esaminando prevede l’allargamento degli interventi assistenziali e
sociali a tutti, con benefici e vantaggi soprattutto per i benestanti.
Servizi previsti soprattutto per coloro che hanno le risorse economiche per
provvedere autonomamente alle loro esigenze
Mentre le autorità affermano
continuamente che lo Stato non dispone dei mezzi economici per assistere le
persone ed i nuclei familiari in situazione di bisogno che spesso vivono in
condizioni subumane (che sono – come abbiamo già detto – stimabili in
1-1,5 milioni di soggetti), nel testo in oggetto si prevede che possano essere
forniti a tutti i 56 milioni di cittadini italiani prestazioni non indispensabili per la loro esistenza, ma solo
rivolte al miglioramento della loro qualità della vita di individui che
attualmente conducono già una esistenza discreta o buona. A nostro avviso, è
proprio per questo motivo che dal testo unificato è sparita la parola
“assistenza” (che è legata al concetto di bisogno) e, allo scopo di poter agire
nei confronti dei poveri e dei ricchi, il titolo della normativa è il seguente:
“Disposizioni per la realizzazione del sistema integrato di interventi e
servizi sociali”.
L’inaccettabile espediente del decreto legislativo 112/1998
Purtroppo il testo del Comitato
ristretto della Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati ha solo
modificato in modo estremamente limitato l’impostazione data dal decreto
legislativo 112/1998, emanato nell’assurdo convincimento che, prevedendo servizi
rivolti a tutta la popolazione (benestanti e indigenti), ne derivi
automaticamente l’utilizzo anche da parte dei più deboli, dimenticando – fra
l’altro – che la stragrande maggioranza delle persone che necessitano di
assistenza non sono nemmeno in grado di esplicitare e comunicare le loro
esigenze.
Si pensi, al riguardo, ai bambini
privi di sostegno familiare ed agli handicappati intellettivi con limitata o
nulla autonomia e alle persone senza fissa dimora.
Gli utenti veri e indotti dell’assistenza
Se si esaminano in modo oggettivo
le condizioni degli attuali assistiti, si riscontra che essi appartengono a due
gruppi:
– il meno numeroso è costituito
da persone che presentano varie difficoltà personali, familiari e sociali
(minori privi del necessario sostegno familiare o in situazione di abbandono
parziale o totale, handicappati non inseribili nel lavoro a causa della gravità
delle loro condizioni, ecc.);
– il di gran lunga più numeroso è
composto da soggetti esclusi illegalmente dalla sanità (anziani e adulti malati
cronici non autosufficienti), dalla scuola (sono gravemente carenti le misure
contro l’evasione e la dispersione scolastica), dalla casa (affitti non
sostenibili), dalla previdenza (pensioni inferiori al minimo vitale) e dal
lavoro (disoccupazione e sottoccupazione che convivono anche grazie al
largamente praticato e non ostacolato lavoro nero).
Per quanto riguarda il primo
gruppo dovrebbe essere ovvio che gli interventi da praticare sono di natura
assistenziale con la ricerca, ove possibile (ad esempio, l’adozione), di
soluzioni per il pieno inserimento sociale.
In merito al secondo gruppo i
servizi assistenziali (e quelli sociali previsti dal testo unificato) non hanno
alcuna effettiva possibilità di fornire prestazioni adeguate alle esigenze, ma
possono – il che è evidente e incontrovertibile – intervenire solamente con
attività tampone, spesso emarginanti, come lo sono, ad esempio, i sussidi
economici elargiti ai disoccupati, l’inserimento in case di riposo dei vecchi
non più in grado di corrispondere gli affitti richiesti dal settore privato, il
ricovero degli anziani colpiti da malattie invalidanti presso le RSA
attualmente gestite dall’assistenza/beneficenza e domani – secondo il testo
unificato – facenti parte dei servizi sociali, anziani malati che pertanto
restano sempre discriminati rispetto ai giovani colpiti dalle stesse patologie.
Principali aspetti negativi del testo unificato
A nostro avviso sono i seguenti:
1. l’indeterminatezza degli organi di governo. Come è ovvio, anche nel
campo dell’assistenza ( o dei servizi sociali), com’è avvenuto per tutti gli altri settori (sanità, casa, scuola,
trasporti, ecc.) è assolutamente indispensabile la definizione degli organi di
governo e la loro attivazione. Purtroppo il testo unificato consente che i
Comuni, compresi quelli aventi poche decine di abitanti, possano rifiutare la
gestione associata dei servizi, senza peraltro essere tenuti a fornirli;
2. l’inadeguata definizione
dei servizi previsti. Non c’è un solo servizio a cui abbiano diritto i
cittadini ed i nuclei familiari in difficoltà. Se i Comuni singoli o associati
non forniscono le prestazioni necessarie per i più deboli, non ci sono
possibilità di reclamo, nemmeno per quanto riguarda le erogazioni che secondo
il testo unificato devono essere previste in tutte le zone. Pertanto queste
erogazioni possono essere fornite anche solo a pochi utenti e non a tutti
coloro che ne hanno la necessità;
3. le assurde proposte sulle
IPAB (Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza). In base alla
legge 6972 del 1890, i patrimoni delle IPAB e i relativi redditi devono essere
destinati esclusivamente alle persone in situazione di povertà. Inoltre i beni
mobili ed immobili delle IPAB non possono essere utilizzati per le spese di
gestione. È in base a questa norma che i patrimoni attuali delle IPAB ammontano
a 50 mila miliardi. Se – finalmente – questi beni venissero utilizzati per la
creazione di strutture assistenziali (comunità alloggio per minori e per
handicappati adulti, centri diurni per handicappati intellettivi gravi e
gravissimi, uffici per il personale dei servizi, ecc.) certamente vi sarebbe un
netto miglioramento delle condizioni di vita, attualmente spesso pessime, della
fascia più debole della popolazione. Il testo unificato, invece, delega il
Governo ad emanare un decreto legislativo per la revisione della disciplina
delle IPAB senza menzionare i principi sopra indicati (destinazione dei beni e
dei redditi ai poveri, divieto di utilizzo dei patrimoni per la copertura delle
spese di gestione). È inevitabile, pertanto, che nel giro di pochi anni i 50
mila miliardi vengano dispersi a favore soprattutto dei servizi sociali non
destinati alla fascia più debole della popolazione;
4. violata la dignità e
l’autodeterminazione degli handicappati. La stragrande maggioranza delle
persone con handicap è pienamente in grado di autogestirsi. Si pensi, ad
esempio, all’ex Presidente degli Stati Uniti Roosevelt, reso invalido dalla
poliomielite, e al compositore Beethoven colpito da grave sordità a 38 anni. È
pertanto inammissibile che tutte le persone disabili siano considerate
incapaci, come è scritto nell’art. 14 del testo unificato, al punto da
incaricare i comuni, d’intesa con le Aziende unità sanitarie, a redigere (anche
contro la volontà dei cittadini handicappati ?) progetti individuali per la
diagnosi, la cura, la riabilitazione, l’inserimento scolastico, professionale e
lavorativo, nonché per le prestazioni dei servizi sociali. Il testo unificato
prevede, addirittura, che «le condizioni di non autosufficienza o di dipendenza
sono riportate nella tessera magnetica sanitaria»!;
5. indeterminatezza del concetto di “non autosufficienza”. Nel testo
unificato, molto spesso ricorrono le parole “non autosufficienza”. È un termine
che può definire condizioni molto diverse. Infatti, non sono autosufficienti i
neonati in ottime condizioni di salute, gli handicappati intellettivi gravi e
gravissimi non colpiti da alcuna patologia in atto ed i giovani, gli adulti e
gli anziani affetti da severe malattie croniche. Mentre per i neonati si tratta
di una normalissima situazione esistenziale, per gli handicappati intellettivi
non inseribili in alcuna attività lavorativa a causa della gravità delle loro
condizioni cognitive occorre predisporre dopo la scuola dell’obbligo interventi
di assistenza sociale (in particolare centri diurni e comunità alloggio), per
gli anziani non autosufficienti a seguito di malattie invalidanti occorre
intervenire a livello sanitario
(inguaribile non è e non può significare incurabile). Per quanto riguarda la
cura delle persone malate croniche non autosufficienti, si ricorda che le
prestazioni più necessarie e più richieste dai malati e dai loro familiari non
sono quelle assistenziali (pulizia dell’alloggio, accompagnamenti, pasti a domicilio,
ecc.), ma quelle sanitarie (mediche, infermieristiche e riabilitative). Se le
malattie croniche venissero veramente considerate curabili, le prestazioni
assistenziali (ove occorrenti) dovrebbero integrare quelle sanitarie, che
dovrebbero essere considerate assolutamente preminenti com’è dimostrato, ad
esempio, dal servizio di spedalizzazione a domicilio dell’Azienda ospedaliera
S.Giovanni di Torino, funzionante ininterrottamente dal 1985. Occorre, dunque,
evitare che all’assistenza (o ai servizi sociali) vengano affidate funzioni
improprie, soprattutto se finalizzate a negare o ridurre le necessarie cure
sanitarie;
6. l’assistenza, in primo luogo quella economica, non deve essere fornita
a coloro che hanno sufficienti mezzi finanziari. È assurdo continuare a prevedere l’erogazione da parte dello
Stato di erogazioni economiche a coloro che hanno mezzi finanziari sufficienti
per provvedere alle proprie esigenze. È, altresì, inaccettabile come è previsto
nel testo unificato, che nella valutazione delle condizioni economiche si tenga
conto solo dei redditi e non anche dei patrimoni. Alle persone prive di redditi
ma aventi patrimoni, compresa la casa di abitazione, non dovrebbero mai essere
erogati sussidi economici a fondo perduto ma solamente prestiti da rimborsare
appena risolta la situazione di bisogno oppure in occasione della successione.
PROPOSTE
In merito al testo unificato si
avanzano le seguenti proposte:
A. Servizi sociali essenziali e
integrativi
Preso atto che sembra impossibile
contrastare la creazione del settore dei servizi sociali, fra l’altro deciso
con un furbesco colpo di mano del Governo con il consenso espresso o tacito di
tutti i Gruppi parlamentari con il decreto legislativo n.112/1998, si propone
che il testo unificato venga modificato prevedendo due specifiche forme di
intervento:
a) servizi sociali essenziali (obbligatori), denominati
preferibilmente assistenziali (o sociali), rivolti alle persone e ai nuclei
familiari che per vivere hanno la necessità di prestazioni aggiuntive rispetto
a quelle fornite dalla sanità, dalla casa, dall’istruzione, dalla cultura, dal
tempo libero e dagli altri settori sociali. Nell’allegato 1 sono indicate
alcune situazioni che comprovano l’esigenza sopra espressa. In questo modo si
darebbe anche attuazione alle ancora validissime norme contenute nel 1° comma
dell’art. 38 della Costituzione;
b) servizi sociali facoltativi, destinati al miglioramento della
qualità della vita della popolazione, la cui istituzione sia prevista
esclusivamente quando siano soddisfatti i bisogni primari di cui al precedente
punto a) e rivolti a tutti i cittadini, ricchi e poveri.
B. Utenti dei servizi
assistenziali (o sociali) essenziali
Potrebbe essere assunta la
definizione di cui all’art. 2 della proposta di legge n. 3666 presentata alla
Camera dei deputati dall’on. Bertinotti:
«1. Hanno diritto alle prestazioni ed ai servizi di cui alla presente
legge i cittadini italiani, gli stranieri e gli apolidi che si trovano in
condizioni di bisogno perché inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari
per una esistenza libera e dignitosa.
«2. In particolare, si considerano titolari del diritto all’assistenza e
alle erogazioni dei relativi servizi e delle relative prestazioni da parte
degli enti pubblici competenti le persone che si trovano in una delle seguenti
condizioni:
a) insufficienza del reddito e dei beni del singolo o del nucleo familiare
con cui il soggetto convive a garantire il superamento della soglia di povertà;
b) incapacità totale o parziale dell’interessato a provvedere alle proprie
esigenze per cause non determinate da malattie croniche in atto;
c) sottoposizione del soggetto a provvedimenti della autorità giudiziaria
che rendano necessaria l’erogazione di prestazioni di assistenza sociale;
d) rischio di emarginazione o di ricovero in istituto tale da rendere
necessari interventi di sostegno sociale e psicologico preordinati a far fronte
anche a temporanee difficoltà di relazione ed inserimento sociali».
C. Compiti delle attività
assistenziali (o dei servizi sociali) e relative priorità
L’ordine di priorità delle
attività assistenziali (o dei servizi sociali) dovrebbe essere il seguente:
- informazione ai cittadini e
alle forze sociali in merito ai problemi generali e specifici dell’assistenza,
dei servizi sociali, dell’emarginazione e dell’esclusione sociale;
- azione promozionale nei
confronti degli uffici preposti alla sanità, alla scuola, alla casa, alla
cultura ed agli altri settori sociali al fine di ottenere l’erogazione
tempestiva e corretta delle prestazioni dovute;
- attività dirette a fornire ai
singoli ed ai nuclei familiari la consulenza e il sostegno necessario per il
superamento delle situazioni di disagio;
- assistenza alle gestanti e alle
madri nubili e coniugate in difficoltà, comprese le attività rivolte a
garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i
propri nati;
- aiuti economici continuativi,
straordinari e a tempo determinato alle persone e ai nuclei le cui entrate
siano inferiori al minimo vitale e non siano possessori di beni mobili
registrati, esclusi quelli necessari per lo svolgimento di attività lavorative,
e di patrimoni immobiliari;
- erogazione di prestiti ai
soggetti privi di redditi, ma in possesso di beni;
- assistenza domestica (pulizia
dell’alloggio, acquisto derrate alimentari, accompagnamenti, ecc.) per le
persone non autosufficienti non in grado di ottenere le suddette prestazioni
con propri mezzi economici;
- inserimento presso famiglie,
persone e comunità alloggio di minori, di adulti e di anziani incapaci di una
vita autonoma, purché la non autosufficienza non sia dovuta a motivi sanitari,
nonché le iniziative rivolte alla dichiarazione di adottabilità e all’adozione;
- istituzione di centri diurni
per gli handicappati intellettivi ultraquindicenni non inseribili nel lavoro a
causa delle gravi limitazioni della loro autonomia. La frequenza dei centri
diurni dovrebbe essere totalmente gratuita, compresi mensa e trasporto, per
coloro che hanno introiti inferiori al minimo vitale;
- ricovero
di soggetti, non altrimenti assistibili, negli istituti fino al loro completo
superamento, da attuare entro e non oltre cinque anni dall’entrata in vigore
della legge sull’assistenza e sui servizi sociali.
D. Organi locali di governo
Competenti per la gestione dei
servizi assistenziali e sociali dovrebbero essere i Comuni singoli e associati,
come prevede giustamente il testo unificato.
Tuttavia, occorrerebbe stabilire
un termine temporale per la costituzione dei Consorzi, l’assunzione delle
relative competenze e l’erogazione delle relative prestazioni da parte degli
organi locali di governo.
Al riguardo, non si comprende per
quali motivi per la sanità siano stati precisati gli organi di governo e ciò
non venga stabilito per l’assistenza e per i servizi sociali.
Si ricorda che l’art. 25 del DPR
616/1977 stabiliva che le Regioni dovevano determinare con legge gli ambiti
territoriali adeguati alla gestione dei servizi sociali e sanitari «promuovendo forme di collaborazione fra gli
enti locali territoriali e, se necessario, promuovendo ai sensi dell’ultimo
comma dell’art.117 della Costituzione forme anche obbligatorie di associazione
fra gli stessi».
Si propone che le funzioni dei
Comuni possano essere esercitate secondo gli attuali assetti definiti dalle
Regioni (per evitare di distruggere ciò che funziona), stabilendo però che in
ogni caso gli ambiti territoriali dei servizi sociali siano sempre coincidenti
con quelli delle Aziende sanitarie locali o ne siano sottomultipli interi
(com’è, ad esempio, il caso del Piemonte) o multipli interi (il territorio del
Comune di Torino comprende 4 USL).
E. Competenze delle Province
Al fine di evitare interferenze
nella gestione affidata ai Comuni singoli e associati, le Province non
dovrebbero svolgere alcuna attività in materia di servizi sociali o, almeno,
nel campo dei servizi sociali essenziali.
Per lo stesso motivo non
dovrebbero nemmeno essere affidati alle Province compiti di programmazione, di
raccolta dei dati sui bisogni, di verifica, ecc. Estremamente valido è, invece,
quanto previsto dai commi 2 e 3 dell’art.7 del testo unificato, concernente il
trasferimento ai Comuni delle residue competenze assistenziali ancora facenti
capo alle Province.
F. Diritti esigibili
Al fine dell’effettivo
riconoscimento di diritti esigibili, si propone che, in merito ai servizi
sociali essenziali, gli utenti, le organizzazioni di volontariato e quelle non
lucrative di utilità sociale (ONLUS) iscritte negli appositi registri
regionali, possano presentare ricorso al responsabile politico dell’istituzione
preposta alla gestione dei relativi servizi, con l’obbligo di comunicare al
reclamante la decisione entro e non oltre 30 giorni.
Successivamente, dovrebbero
essere ammessi ricorsi all’autorità giudiziaria da parte degli utenti e delle organizzazioni
di cui sopra, ricorsi previsti anche senza l’assistenza di un proprio legale,
con procedura gratuita e sollecite decisioni.
G. Esercizio delle tutele dei
soggetti minorenni e degli adulti incapaci
Attualmente (art.354 del codice
civile) la tutela può essere deferita dall’Autorità giudiziaria ad un ente
d’assistenza (in genere il Comune) o all’ospizio in cui il soggetto è
ricoverato. In entrambi i casi si verifica una situazione di incompatibilità in
quanto le funzioni di controllo sono assegnate allo stesso organismo che
dovrebbe essere controllato poiché esercita i compiti assistenziali. Si propone
quindi che sia inserito il seguente articolo, tratto dalla proposta di legge
n.3801 presentata alla Camera dei Deputati il 3 giugno 1997 dall’On. Novelli:
«1. La regione autonoma della
Valle d’Aosta e le province, comprese quelle autonome, istituiscono, entro 90
giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’ufficio di
pubblica tutela con i seguenti compiti:
a) esercizio
delle funzioni di tutore deferite dal giudice tutelare;
b) svolgimento
dei compiti di assistenza sulle tutele, affidati dal giudice tutelare.
«2. La regione autonoma della
Valle d’Aosta e le province svolgono le funzioni di cui al comma 1 mediante
proprio personale ed avvalendosi di volontari.
«3. Entro centottanta giorni
dalla data di entrata in vigore della presente legge i giudici tutelari
trasferiscono agli uffici di cui al comma 1 le tutele da essi affidate ad enti
di assistenza e ad ospizi».
H. Valorizzazione delle IPAB
Com’è ovvio occorre evitare la
dispersione dell’attuale patrimonio delle IPAB (valutate dalla rivista
IPABOGGI, novembre-dicembre 1996, in oltre 50 mila miliardi).
Per raggiungere il suddetto
obiettivo è indispensabile che venga conservata l’attuale normativa in base
alla quale i patrimoni immobiliari e mobiliari non possono essere utilizzati
per le spese di gestione.
Ovviamente occorrerebbe ribadire
il vincolo di destinazione dei beni e dei redditi ad attività di assistenza
sociale (o per i servizi sociali essenziali).
Potrebbe essere confermata
l’attuale regolamentazione delle IPAB oppure la loro trasformazione in aziende
speciali ai sensi dell’art. 22 della legge 142/1990.
Apposite norme dovrebbero essere
approvate per confermare la destinazione ad assistenza delle IPAB privatizzate,
prevedendo gli opportuni controlli.
Analoghe disposizioni dovrebbero
essere previste per i patrimoni (assai rilevanti) pervenuti ai Comuni e alle
Province dall’estinzione di IPAB e dallo scioglimento di enti assistenziali
(ONMI, ECA, ENAOLI, ecc.).
I. Soggetti malati
autosufficienti e non autosufficienti
Dovrebbe essere confermato quanto
previsto dalle leggi 4 agosto 1955 n. 692, 12 febbraio 1968 n. 132 (in
particolare gli art. 29 e 41), 17 agosto 1974 n. 386, 13 maggio 1978 n. 180 e
23 dicembre 1978 n. 833 che sanciscono il diritto dei malati acuti e cronici,
autosufficienti e non autosufficienti, alle cure sanitarie gratuite e senza
limiti di durata, comprese – occorrendo – quelle praticate in Ospedali, case di
cura private convenzionate e altre strutture sanitarie.
Questo diritto è stato confermato
per i malati cronici dalla sentenza della Corte dì Cassazione n.10150/1996.
Le prestazioni assistenziali (o
dei servizi sociali essenziali) dovrebbero essere previste esclusivamente per i
soggetti di cui alla precedente lettera B, a meno che il Parlamento individui
le risorse per estenderle a tutti i cittadini.
Per quanto riguarda i soggetti
degenti presso le RSA sanitarie (le RSA assistenziali dovrebbero essere
trasferite al più presto al comparto sanitario) si potrebbe dare attuazione a
quanto previsto dalle proposte di legge Saia (Camera dei deputati, n. 5119 del
17 luglio 1998) e Ripamonti (Senato della Repubblica, n. 3481 del 29 luglio
1998) in base alle quali a decorrere dal 61° giorno di degenza presso le RSA,
il ricoverato è tenuto a versare una somma non superiore al 60-70% del proprio
reddito pensionistico.
Nello stesso tempo dovrebbe
essere confermato ciò che è previsto dalla legislazione vigente e cioè che gli enti
pubblici non possono pretendere contributi dai parenti dei malati e degli
assistiti maggiorenni.
Al riguardo si ricorda che finora
il Servizio sanitario nazionale mai ha richiesto contributi economici ai
congiunti di degenti, nello stesso tempo è noto che i competenti organi
centrali dello Stato, rispettando le norme vigenti, non hanno mai preso in
considerazione i redditi dei parenti per la concessione degli assegni sociali e
di invalidità, nonché per l’integrazione al minimo delle pensioni INPS e per
l’accesso al reddito minimo di inserimento disposto dal decreto legislativo
237/1998, emolumenti che fanno tutti parte delle erogazioni di assistenza
sociale.
L. Soggetti non malati e non
autosufficienti
Nei confronti dei soggetti
handicappati, non si ritiene opportuno introdurre il nuovo concetto di “non
autosufficienza” in quanto da un lato è difficilmente definibile e accertabile
(salvo i casi limite), e d’altro canto non comprende le persone con
autosufficienza limitata ma con bisogni molto gravi. Inoltre è assurdo
escludere dalle prestazioni relative al sostegno domiciliare i giovani e gli
adulti non autosufficienti come prevede l’art. 15 del testo unificato.
Si ritiene preferibile conservare
le attuali definizioni previste dalla legge quadro sull’handicap n.104/1992 e,
in particolare, quella “di gravità” stabilita dal 3° comma dell’art.3 della legge suddetta che recita: «Qualora la minorazione, singola o plurima,
abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere
necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella
sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione
di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei
programmi e negli interventi dei servizi pubblici».
M. Riconoscimento del
volontariato infra-familiare
Com’è noto, molte decine di
migliaia sono i congiunti che, senza avere alcun obbligo giuridico ma con forte
impegno etico, accolgono a casa loro parenti maggiorenni totalmente non
autosufficienti a causa di gravi handicap intellettivi o di malattie
invalidanti in atto o loro esiti.
Mentre è della massima importanza
la permanenza al proprio domicilio dei soggetti in difficoltà, si rileva che
molto spesso le competenti autorità approfìttano dei legami affettivi per non
fornire le prestazioni indispensabili, come ad esempio, i centri diurni per
handicappati intellettivi ultraquindicenni, non inseribili in corsi di
formazione a causa della gravità delle loro condizioni. Per i soggetti malati sovente
non vengono prestate a casa del paziente le necessarie cure mediche e
infermieristiche.
D’altra parte non si può
dimenticare che i vincoli di parentela non possono e non devono far venire meno
i doveri di solidarietà sociale da parte di tutta la comunità.
Va, altresì, osservato che non si
comprende per quali motivi le Amministrazioni pubbliche versino contributi
economici per gli affidamenti di maggiorenni a terze persone e non debbano
assumere gli stessi oneri se il soggetto convive presso congiunti i quali – lo
ripetiamo – non hanno alcun obbligo giuridico di continuare ad accoglierlo a
casa loro.
Pertanto, per favorire
l’accoglienza intra-familiare, e per dare un concreto aiuto a coloro che vi
provvedono spesso con enormi sacrifici materiali, psicologici ed economici, si
propone che nell’ambito della legge sui servizi sociali sia previsto il formale
riconoscimento del volontariato socio-assistenziale (o sociale), demandando
alle Regioni il compito di disporre i provvedimenti attuativi.
Si precisa che il volontariato
socio-assistenziale dovrebbe riguardare i congiunti che accolgono a casa loro
familiari maggiorenni colpiti da non autosufficienza non determinata da
malattie in atto. Infatti, per i malati dovrebbero provvedere le Aziende
sanitarie locali.
N. Emolumenti economici a
carattere continuativo
Premesso che ai Comuni singoli e
associati dovrebbero essere assegnati anche i compiti relativi ai contributi
economici temporanei e straordinari, sulla questione delle erogazioni
economiche a carattere permanente si unisce l’articolo “Per la creazione di un
nuovo settore: la sicurezza sociale” segnalando che occorrerebbe che il
Parlamento esaminasse anche il settore delle pensioni di guerra e assimilate.
Al riguardo, si segnala che un cieco di guerra (o assimilato) che abbia avuto
anche le mani amputate riceve una pensione mensile di 18 milioni! Inoltre ha
diritto ad avere gratuitamente accompagnatori per circa 40 ore settimanali. Per
coloro che svolgono un’attività lavorativa, alla pensione di guerra va aggiunto
lo stipendio percepito e quindi anche la pensione derivante dalla cessazione
del rapporto di lavoro.
O. Affidamento di servizi ad
enti privati
Nella legge occorrerebbe
precisare i compiti che i Comuni singoli o associati non possono affidare a enti
privati. Infatti bisogna evitare che venga meno la responsabilità diretta dei
Comuni stessi nei confronti delle funzioni di fondamentale importanza per i
cittadini (condizioni dì accesso, esame dei ricorsi, controlli e vigilanza,
ecc.). È altresì indispensabile evitare l’attribuzione di compiti gestionali ad
enti privati qualora ciò comprometta l’indispensabile integrazione delle
prestazioni e l’unitarietà della rete dei servizi. Infine occorrerebbe evitare
per motivi di evidente riservatezza l’affidamento a enti privati degli
accertamenti concernenti la situazione di abbandono dei minori e le valutazioni
sulla personalità degli aspiranti all’adozione e all’affido.
(1)
Fanno parte del CSA - Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di
base, le seguenti organizzazioni: Associazione genitori fanciulli handicappati
ex USSL 34 di Orbassano (To); Associazione italiana assistenza spastici,
sezione di Torino; Associazione italiana sclerosi multipla, sezione piemontese;
Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie; Associazione “La
Scintilla” di Collegno-Grugliasco (To); Associazione “Odissea 31” di Chivasso;
Associazione “Oltre il ponte” di Lanzo Torinese; Associazione “Prader Willi”,
sezione di Torino; Associazione promozione sociale; ASVAD, Associazione
solidarietà e volontariato a domicilio; Associazione spina bifida; Associazione
tutori volontari; COGEHA, Collettivo genitori dei portatori di handicap,
Settimo Torinese; Comitato per l’integrazione scolastica degli handicappati;
Coordinamento dei Comitati spontanei di quartiere; Coordinamento
paratetraplegici; CUMTA, Comitato utenti mezzi trasporto accessibili; GRH,
Genitori ragazzi handicappati di Venaria-Druento (To); Gruppo inserimento
sociale handicappati ex USSL 27; Unione per la lotta contro l’emarginazione
sociale; UTIM, Unione per la tutela degli insufficienti mentali; “Vivere
Insieme” di Rivoli Torinese.
(2)
L’indirizzo del Ministro per la solidarietà sociale, On. Livia Turco è Via
Vittorio Veneto 56, 00187 Roma; la Commissione Affari sociali della Camera dei
deputati, 00100 Roma, è così composta: Presidente On. Marida Bolognesi;
Vice-Presidenti On. Paolo Polenta e Roberto Calderoli; Segretari On. Luigi
Giacco e Giacomo Baiamonte; Componenti On.li Maurizio Balocchi, Augusto
Battaglia, Gloria Buffo, Maria Burani Procaccini, Rocco Francesco Caccavari,
Nicola Carlesi, Alessandro Ce’, Francesca Chiavacci, Fabio Ciani, Edro
Colombini, Giulio Conti, Maura Cossutta, Giuseppe Covre, Paolo Cuccu, Giuseppe
Del Barone, Sandro Delmastro Delle Vedove, Giovanni Divella, Giovanni Filoamo,
Giuseppe Fioroni, Mario Gatto, Salvatore Giacolone, Vasco Giannotti, Domenico
Gramazio, Antonio Guidi, Eugenio Jannelli, Francesco Paolo Lucchese, Marcella
Lucidi, Giuseppe Lumia, Mara Malavenda, Antonino Mangiacavallo, Piergiorgio
Massidda, Alessandra Mussolini, Paolo Peruzza, Carmelo Porcu, Elisa Tasca
Pozza, Annamaria Procacci, Antonio Saia, Dino Scantamburlo, Elsa Signorino
(relatrice), Francesco Stagno D’Alcontres, Renzo Tosolini e Tiziana Valpiana.
www.fondazionepromozionesociale.it