Prospettive assistenziali, n. 125, gennaio-marzo 1999
parenti dei ricoverati: sono illegittime la rivalsa
dell’ente erogatore e la sottoscrizione dell’impegno a pagare le rette
massimo dogliotti
Nonostante la ragguardevole documentazione esistente (1), i Comuni, le Province e le Asl continuano imperterriti, approfittando
delle condizioni di debolezza degli utenti e dei loro congiunti, a pretendere
dai parenti di assistiti maggiorenni contributi economici non previsti da
nessuna legge vigente.
Siamo, pertanto, molto lieti di pubblicare l’articolo del Prof. Massimo
Dogliotti, Docente universitario di diritto e Magistrato di Corte di appello,
articolo che è, altresì, un autorevole approfondimento delle tematiche da noi
trattate nella nota “Contributi
economici imposti agli assistiti e ai loro congiunti: una delibera illecita e
vessatoria del Comune di Firenze” (2).
La sentenza della Corte di
Cassazione n. 481 del 1998 (per un breve commento alla quale si veda Prospettive assistenziali, n. 123, pag.
10) sembra aver oggettivamente incoraggiato (... ovviamente senza sua colpa)
pratiche, sicuramente illegittime, volte a richiedere contributi ai parenti per
i pagamenti delle rette dei ricoverati non autosufficienti.
Va peraltro ribadito che la
sentenza risolve definitivamente soltanto una specifica controversia, ma non ha
certo efficacia erga omnes e non
costituisce precedente vincolante. Una pronuncia isolata non rappresenta un
orientamento consolidato, e assai frequentemente accade (come nel caso si
auspica) che la Suprema Corte muti opinione; talora anche all’interno di essa,
tra Sezioni diverse, si rinvengono decisioni di tenore opposto, tanto che si
ricorre ad una sentenza a Sezioni unite, con giudici provenienti da diverse
sezioni, per tentare di raggiungere un orientamento univoco. Ma neppure tale
sentenza è vincolante, e anche successivamente può ravvisarsi una rinnovata
disparità di opinioni.
È abbastanza significativo del
resto che la Cassazione, dopo l’entrata in vigore della legge n. 833 del 1978
sulla riforma sanitaria, abbia sostenuto solo due volte in vent’anni la vigenza
della legge n. 1580 del 1931, sul recupero delle spese di spedalità (Cass. n.
481 del 1998; Cass. n. 11209 del 1992) e, tra l’altro, senza minimamente
motivare al riguardo.
In altra sentenza (Cass. n. 7989
del 1994) si affermava che, dopo la legge n. 833, il recupero delle spese di
spedalità (che, secondo qualcuno, giustificherebbe la prassi di richiedere i
contributi ai parenti) non è più disciplinato dalla legge n. 1580 del 1931, ma
dall’art. 69 della predetta legge n. 833 che accenna semplicemente ai recuperi
a titolo di rivalsa, senza indicare i soggetti tenuti; sembra semmai riferirsi
al ricoverato, ma non ai suoi parenti (come si vede, si tratta di opinione
radicalmente diversa rispetto a quella prospettata nelle sentenze n. 11209 e 481).
In ogni caso appare
ingiustificabile un’interpretazione estensiva della legge del 1931 (che – è
bene ribadirlo – si riferiva alle spese di spedalità e manicomiali), fino a
ricomprendere (venuto meno il presupposto originario: è ben noto che le spese di
degenza ospedaliera non sono più poste a carico degli utenti, e che i manicomi
– e anche le loro più recenti trasformazioni – sono stati definitivamente
chiusi) rapporti come quelli socio-assistenziali, cui il legislatore del 1931
certamente non si riferiva.
Ancora una volta si deve dunque
precisare che, allo stato della nostra legislazione, non esiste una norma di
rivalsa verso i parenti che legittimi una costituzione processuale
dell’assistito da parte degli enti erogatori.
Quante norme sono state scomodate
a sproposito per giustificare una prassi del tutto illegittima: l’art. 7 della
legge n. 6972 del 1890, l’art. 155 del Testo unico di pubblica sicurezza,
l’art. 2041 del codice civile (al riguardo, v. M. Dogliotti, in Prospettive assistenziali, n. 123, cit.,
pag. 10)!
L’ultima, nuova di zecca, è
quella degli art. 1 e 2 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, ma qui
il riferimento, pur discutibile, al nucleo familiare dell’assistito riguarda
esclusivamente le “prestazioni sociali”, e non è lecito scaricare, come
purtroppo spesso si fa, nel comparto sociale, tutte le prestazioni dovute agli
anziani non autosufficienti, che sono – e devono rimanere – esclusivamente
“sanitarie”.
Quando si comprenderà che per gli
anziani cronici, e per tutti i soggetti non autosufficienti, devono essere
fornite prestazioni e cure sanitarie? Possibile che tali soggetti debbano
essere gli unici a pagare le spese sanitarie? Del resto gli stessi sostenitori
della legittimità del contributo ai parenti finiscono indirettamente per
credere nella “sanitarietà” delle prestazioni, se richiamano una legge, come quella del 1931 che solo alle spese
sanitarie si riferiva.
In ogni caso il predetto decreto
rinvia ad un ulteriore decreto del Presidente del Consiglio che individuerà le modalità
attuative, anche con riferimento agli ambiti di applicazione, e dunque esso non
appare ancora, allo stato, del tutto operativo.
Infine, il decreto n. 109, del
quale tra l’altro si dovrebbe accertare l’esatta rispondenza alla legge di
delegazione, non fa – e non potrebbe fare – esplicito riferimento all’obbligo
alimentare dei parenti: com’è ben noto, non è certo l’autorità amministrativa
(ad esempio l’ente locale) competente ad individuare quali parenti siano tenuti
all’obbligo e l’ammontare di esso, funzione che spetta esclusivamente
all’autorità giudiziaria; si tratta per di più di rapporto privato tra soggetto
(creditore) e soggetto (debitore), in ordine al quale non possono interferire
altri soggetti, ancorché pubblici.
Come è noto, al di là della
richiesta di contributo, è ancor più frequente il caso di pagamento della retta
da parte del parente sotto la minaccia di non ammissione o dimissione del
ricoverato.
In genere il consenso del parente
viene ottenuto stipulando un vero e proprio contratto con il quale egli si
obbliga alla prestazione. A questo punto la facoltà di ottenere il pagamento
trova la sua fonte nel contratto e non già nell’obbligo alimentare. Non rileva
minimamente la qualità di figlio, fratello ecc. dell’assistito; anche un estraneo
potrebbe impegnarsi al pagamento. Sussisterebbero però gravi dubbi, nella
specie, sulla validità del contratto. Si potrebbe ipotizzare il vizio di
violenza (se l’ente avesse condizionato il ricovero all’impegno finanziario del
parente), ovvero ritenere che il contratto rientri nello schema di quelli a
favore di terzo: e si dovrebbe allora precisare che, ai sensi dell’art. 1411
del codice civile lo stipulante avrebbe sempre facoltà di revoca finché il
terzo non avesse dichiarato di accettare la prestazione. Sembra decisiva, per
sostenere l’invalidità della convenzione, l’osservazione che la prestazione è
dovuta in virtù di un obbligo istituzionale dello Stato, e non può trovare la
sua fonte in un accordo tra privati.
Oggi un’ulteriore argomentazione
(non tanto contro la validità, quanto contro l’efficacia del contratto o di
alcune sue clausole) sembra provenire pure dalla legge 6 febbraio 1996 n. 52
che disciplina i contratti del consumatore (il quale non è tale solo quando
riceve beni, ma pure quando è destinatario di servizi).
Si stabilisce in particolare che
sono vessatorie (e quindi inefficaci, con pronuncia del giudice anche
d'ufficio) le clausole che prevedono l’estensione dell’adesione ad altre
clausole che il consumatore non ha avuto la possibilità di conoscere, quelle
che consentono alla controparte (nella specie, l’ente erogatore) di modificare
unilateralmente le caratteristiche dal servizio o di aumentare, ancora
unilateralmente, il prezzo (art. 1469 bis del c.c.).
Dunque un impegno a pagare, del parente
o del terzo, se dovesse essere considerato legittimo (ma per quanto si è detto
sopra, deve invece ritenersi radicalmente illegittimo), comporterebbe per il
sottoscrittore il diritto di contrattare con l’ente le caratteristiche dei
servizi, l’ammontare delle rette, le eventuali modifiche, ecc.
Ma vi è di più. Ai sensi
dell’art. 1469 sexies del c.c., le associazioni rappresentative dei consumatori
(in questo caso, dei ricoverati e dei loro parenti) avrebbero facoltà di
convenire in proprio le controparti (gli enti erogatori) che utilizzano
condizioni generali del contratto abusive (l’impegno del parente al pagamento
delle rette) chiedendo al giudice di inibire in generale a quell’ente l’uso di
tali condizioni. Il giudice può ordinare che il provvedimento sia pubblicato in
uno o più giornali, di cui uno almeno a diffusione nazionale.
(1) Si
vedano le note del Direttore generale del Ministero dell’interno del 27
dicembre 1993, prot. 12287/70 e del Capo dell’Ufficio legislativo del
Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei
Ministri del 15 aprile 1994, prot. DAS/4390/1/H/795, del 28 ottobre 1995, prot.
DAS/13811/1/H/795 e del 29 luglio 1997, prot. DAS/247/UL/1/H/795; il parere
elaborato in data 18 settembre 1996, prot. 2667/1.3.16 dal Direttore del
Servizio degli affari giuridici della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;
la risposta fornita dall’Assessore all’assistenza della Regione Piemonte in
data 7 marzo 1996 ad una interrogazione; i provvedimenti assunti dal CORECO di Torino
in data 13 dicembre 1995 n. 36002, 1° agosto 1996, n. 11004/96 bis e 31 luglio
1997 n. 9152/97 bis, la sentenza della Prima Sezione civile del Tribunale di
Verona del 14 maggio 1996 pubblicata sul n. 1/1997 di “Famiglia e diritto”, i
pareri espressi dal Difensore civico della Regione Piemonte, Bruno Brunetti,
già Dirigente della Pretura di Torino, e contenuti nelle relazioni sulla
attività svolta nel 1997 e nel 1998.
Si
ricorda, inoltre, che la richiesta di contributi economici viola la legge
241/1990 nei confronti dell’assistito (le cui condizioni personali ed
economiche sono comunicate ai parenti e agli affini) e dei suoi congiunti (ai
quali l’ente pubblico richiede notizie non ammesse dalle disposizioni vigenti).
In
merito ai contributi economici, si vedano altresì il volume di Massimo
Dogliotti, Doveri familiari e
obbligazione alimentare, Giuffrè Editore, Milano, 1994, e le note a
sentenza di Massimo Dogliotti e Pietro Rescigno riportate su Giurisprudenza italiana, ottobre 1993,
pag. 679 e seguenti.
(2) Cfr. Prospettive assistenziali, n. 124.
www.fondazionepromozionesociale.it